• Non ci sono risultati.

Capitolo 2 Gli elementi dell’indagine

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Capitolo 2 Gli elementi dell’indagine"

Copied!
18
0
0

Testo completo

(1)

Capitolo 2

Gli elementi dell’indagine

In sé, il termine “homeless”, ormai entrato nel linguaggio corrente e soprattutto in quello dei mezzi di comunicazione di massa, fa riferimento alla condizione di chi è privo di un’abitazione, senza specificare quale sia la natura di questa privazione. In altre parole, non dà conto del fatto che si tratti di una perdita (come nel caso dello sfratto), di una scelta basata su particolari presupposti culturali (come avviene per gli zingari o i nomadi), di un’assenza (difficoltà di reperire una casa per effetto di cataclismi naturali e di eventi bellici), di un’impossibilità economica (disparità tra il reddito familiare e il costo delle abitazioni), o di una rinuncia (legata ad una condizione di fragilità psicologica, sociale ed economica).

Più precisamente, come altrove già specificato, la parola “home” definisce uno spazio abitativo che possiede anche una connotazione psicologia ed affettiva, in contrapposizione a “house” che designa aspetti meramente fisici e materiali. Da qui, la proposta di distinguere i “senza (fissa) dimora” (clochards, barboni, sans

(2)

domicile fixe, homeless) dai “senza casa”, persone che si trovano nella necessità di trovare, o di ritrovare, un alloggio1.

E’ perciò necessario operare una distinzione tra i due significati fondamentali del termine homelessness: homeless come senza (fissa) dimora e homeless come esclusi da un’abitazione2. Il primo termine vuole cogliere le problematiche relazionali o gli elementi di vulnerabilità o di forte disagio sociale che vengono fatti corrispondere al termine homeless nei suoi significati più restrittivi e convenzionali, come avviene, appunto, in italiano con il termine senza dimora o in inglese con il termine roofless. Il concetto di esclusione abitativa identifica, invece, la problematica sulla base delle (non) sistemazioni alloggiative adottate: esclusi dall’abitazione sono coloro che non hanno alcuna sistemazione (chi dorme all’aperto, per esempio), coloro che ricorrono a strutture alloggiative temporanee (centri di accoglienza), ma anche coloro le cui sistemazioni sono talmente inadeguate da non poter essere considerate soluzioni in senso abitativo proprio (baracche, abitazioni improprie).

Nonostante i tanti modi problematici che caratterizzano lo studio dei senza dimora, la letteratura è concorde nell’affermare che gli homeless non costituiscono una popolazione omogenea3.

La condizione di essere senza casa, o di essere senza fissa dimora, è legata ad una serie di eventi che, anche se non sempre possono essere collocati in un rigido nesso causale, hanno un’influenza indubbia sul fenomeno, specialmente quando compaiono in modo plurimo e simultaneo.

In particolare, i senza fissa dimora si trovano al centro di una sorta di “campo” negativo, inteso nell’accezione lewiniana4 di “totalità dei fatti coesistenti come mutualmente interdipendenti”. Gli individui si trovano al centro di un “campo di perdite”, come la perdita del lavoro, della famiglia, di relazioni affettive, dell’alloggio, delle risorse psichiche, e sembrano essere come inghiottiti dal vortice delle circostanze. Alle carenze oggettive, inoltre, va cumulata la

1

A. Gazzola, op. cit.

2

A. Tosi, C. Ranci, Senza dimora ed esclusione abitativa, Il rapporto italiano 1994 per European Observatory on Homelessness.

3

C. Barnao, Sopravvivere in strada. Elementi di sociologia della persona senza dimora, FancoAngeli, Milano, 2004.

4

(3)

percezione individuale della loro rilevanza, l’incidenza della mancata solidarietà sociale e uno o più eventi scatenanti che inducono al passaggio all’atto dello scivolamento sulla strada, fuori dai meccanismi di introspezione e di accettazione dei ruoli socialmente prescritti.

Viviana Verzieri5, sulla base della propria esperienza nel Servizio Sociale, individua tre tipologie-stadi di persone senza fissa dimora, a seconda della gravità e durata della loro condizione. La prima tipologia è definita “a rischio di emarginazione” e comprende coloro che sono caratterizzati dall’assenza di un’abitazione stabile, di un’attività lavorativa stabile e da condizioni psicologiche precarie. Per questa tipologia di senza fissa dimora è possibile pensare a interventi concentrati in un breve-medio periodo, tali da poter evitare percorsi di povertà conclamati.

La seconda tipologia è quella di coloro che sono “già inseriti nel percorso di emarginazione”, ossia coloro che sono caratterizzati dall’assenza di un’abitazione stabile, da accentuati problemi socio-sanitari per i quali diviene difficoltoso inserirsi nel mondo del lavoro. Accanto a problemi socio-economici si evidenziano anche problemi di tipo relazionale (mancanza di legami forti, di punti di riferimento). L’ultimo stadio comprende coloro che sopravvivono con l’aiuto dei servizi pubblici, del volontariato e della carità: sono i cosiddetti “cronici”, che hanno uno stile di vita talmente radicato che è difficile pensare ad un effettivo reinserimento del soggetto nel mondo del lavoro e ad una vita “normale”.

Ciò su cui desideriamo concentrare la nostra attenzione riguardo a questo fenomeno é rappresentato da: i “punti di rottura”, ossia quegli eventi che rivestono un ruolo decisivo nella dinamica dello scivolamento della persona nel processo di emarginazione; l’aspetto relazionale, quindi l’ambito degli affetti e delle reti di supporto; la dimensione lavorativa e la percezione di sé nelle biografie dell’abbandono delle persone senza fissa dimora.

5

M. Pellegrino, V. Verzieri (a cura di), Né tetto, né legge: l’emarginazione grave, le nuove povertà, i “senza fissa dimora”, op cit.

(4)

2.1

I

PUNTI DI ROTTURA

Che cosa accade a chi diventa, suo malgrado, un senza fissa dimora? Nella domanda è già implicita una realtà, forse a tanti sconosciuta: non esiste una vocazione per la libertà o per chissà quale altro ideale che spinge un uomo a divenire un senza fissa dimora.

Le ricerche in tema di persone gravemente emarginate hanno sviluppato una interpretazione relativamente concorde in merito alla realtà di queste ultime come “processo”; come evoluzione del crescente disagio e del relativo degrado sul piano fisico e relazionale.

Si descrive, in tal senso, una condizione di precipitosa involuzione verso il basso delle condizioni di sopravvivenza, a partire da un momento in cui la persona è giunta a sbilanciarsi in modo apparentemente irreversibile dal baricentro della normalità, via via fino a fermarsi alla soglia della sopravvivenza, in una lenta demolizione di sé6.

La condizione di homeless è la risultanza di un progressivo peggioramento del quadro di vita. Una circostanza specifica può scatenare il processo, ma, nella gran parte dei casi, si tratta di eventi che si verificano e vanno a pesare su situazioni già indebolite. La condizione di “vagabondo”, quindi, è riferibile a una concatenazione di eventi che investe le sfere sociali, economiche, psicologiche e culturali della persona.

All’origine della condizione di senza dimora, quindi, vi sono spesso degli “eventi-catastrofi” che si scaricano su una molteplicità di fattori, producendo così circoli viziosi dai quali è estremamente difficile uscire. Le sfere più ricorrenti nelle quali tali eventi accadono sono quella del lavoro e quella delle relazioni sociali7.

Giovanni Pieretti afferma: “è soprattutto un’inadeguatezza della persona di fronte alla complessità attuale e una tempesta relazionale (che coinvolge affetti, fiducia, autostima) che la destabilizza” fino al punto che arriva “a una sorta di soglia che

6

L. Gui (a cura di), op. cit.

7

C. Saraceno (a cura di), Rapporto sulle politiche contro la povertà e l’esclusione sociale 1997 – 2001, Carocci, Roma, 2002.

(5)

contraddistingue l’incapacità-riluttanza di provvedere a se stessa, definibile come processo di decomposizione di sé” 8.

Questo è un processo concreto che, passo dopo passo, diviene irreversibile e che induce al ritiro dal mondo circostante.

Ciò che è bene sottolineare, quindi, è che gli eventi, talvolta anche gravi, che si susseguono nella vita di tali persone, non sono di per sé decisivi nell’innescare meccanismi di degradazione. In condizioni di normalità, infatti, esiste comunque la possibilità di farvi fronte. Ma è solo quando questi eventi vengono a sommarsi ad altri fattori già esistenti che il rischio di superare la soglia del non ritorno diventa massimo.

Gli eventi di cui parliamo possono essere diversi e in parte li abbiamo già accennati: la disgregazione della famiglia, l’aver vissuto con uno solo dei due genitori, senza neanche conoscere l’altro, oppure l’essere stati istituzionalizzati da bambini, o l’aver perso i genitori precocemente; l’abbandono o la morte del coniuge, la dispersione della famiglia che ci si era costruiti; la perdita o la mancanza del lavoro, l’assenza di una rete di supporto; l’aver abbandonato la propria terra d’origine; episodi che sono la conseguenza, ma talvolta anche la causa, di altri problemi.

Queste rotture susseguenti risultano la chiave esplicativa sia dello stato di isolamento e della mancanza di rapporti significativi, sia della conduzione di un’esistenza limitata alla sola sopravvivenza, sia, infine, della scarsa efficacia degli interventi delle istituzioni9.

Spesso non è possibile individuare la causa scatenante, né il percorso di marginalità; tuttavia, è possibile, a livello teorico, stabilire la linea di demarcazione tra un equilibrio psichico di autonomia e una condizione di grave sofferenza che rende impossibile qualsiasi equilibrio che non sia quello di sopravvivenza.

8

G. Pieretti, in “TRA”, Trimestrale della federazione FIO.psd, anno XII, n. 2, 1999.

9

(6)

Secondo Giacomo Invernizzi10, esiste uno stadio di demarcazione irreversibile tra condizione di autonomia e stato confusionale, di crisi. L’irreversibilità è data dalla condizione di incapacità del soggetto di ritornare alla condizione di autonomia psico-sociale senza l’intervento di un aiuto esterno.

L’irreversibilità si manifesta a livello soggettivo come inconsapevolezza dell’individuo rispetto alla propria condizione; la percezione avviene a livello relazionale o fenomenologico come cambiamento della situazione esterna, mutata e persecutoria verso il soggetto.

Durante tutto il periodo di marginalità, l’individuo non si trova nelle condizioni di produrre energia spendibile sul piano psichico e sociale ma è consumatore della propria energia psichica e sociale finalizzata a lenire il disagio e lo stato di sofferenza.

Lo stadio ultimo di evoluzione del disagio è rappresentato dall’equilibrio di sopravvivenza. La progettualità del soggetto diviene giornaliera, le relazioni che si vengono ad instaurare sono strumentali, si ha l’assunzione dell’immagine di sé come barbone e la presenza di una dipendenza dai bisogni primari. In questo stadio di decomposizione del sé, la barriera verso un ulteriore avanzamento nella condizione di disagio è rappresentata dalla paura di morire.

2.2

-

L’

ASPETTO RELAZIONALE

10

G. Invernizzi, op. cit. Autonomia

Stato di sofferenza

(7)

L’aspetto relazionale, ossia lo scambio di contenuti tra ogni senza fissa dimora e l’ambiente circostante, sia con il mondo da cui sono espulsi, sia nei rapporti inter pares, gioca un ruolo importante sul fenomeno dei senza fissa dimora, perché costituisce la matrice da cui si imposta l’organizzazione sociale e definisce la posizione in cui queste persone si collocano.

I soggetti con sradicamento più consolidato e con forme di disagio più grave risultano avere meno reti di supporto, a confronto di quanti hanno problemi meno gravi.

Si parla insistentemente della riscoperta centralità della famiglia, come oggetto sociale e come agente di produzione, oltre che di consumo, dei servizi.

Come correttamente è stato osservato dal CENSIS11, la famiglia può intervenire nella fase di insorgenza di un evento problematico, configurandosi, a volte, come causa diretta o indiretta del disagio, e nella produzione vera e propria di attività finalizzate alla cura, alla tutela e al sostegno dei propri membri.

I membri di un nucleo familiare sentono con chiarezza se sono inclusi o esclusi dalla famiglia, nella misura in cui avvertono di avere in se stessi la famiglia stessa, cioè nella misura in cui l’hanno interiorizzata. La “famiglia interiorizzata” è un sistema spazio-temporale che fonda la propria unità sulla interiorizzazione reciproca da parte di ciascuno12.

Gli individui che si ritrovano a vivere in strada perdono progressivamente interesse nelle relazioni umane e si allontanano sempre più da ogni tipo di contatto13. Infatti, i rapporti con la famiglia, se ci sono, sono rari; tra di loro non si può certo parlare di amicizia, ma, più che altro, di unioni fondate essenzialmente sulla base di obiettivi comuni, pratici e materiali (reperimento di generi alimentari, di vestiario). I senza fissa dimora soffrono indubbiamente di un isolamento sociale, pur avendo a volte un tessuto minimo di relazioni che, però, sono chiuse e limitate a persone che si trovano spesso nella medesima situazione di bisogno.

La mancanza di relazioni affettive, un’esistenza non vissuta, ma sopravvissuta con l’aiuto dei servizi pubblici, quando ci sono, e del volontariato conduce alla

11

CENSIS, XXIV Rapporto 1990, FrancoAngeli, Milano, 1990.

12

A. Gazzola, op. cit.

13

(8)

cronicità del fenomeno, alla perdita dei riferimenti spazio-temporali. Le politiche più protettive, basate sull’assistenzialismo, portano in sé le proprie contraddizioni: spesso esse comportano una moltiplicazione di “sportelli” tra i quali le persone, trasformate in “aventi diritto” o in “casi da trattare”, si perdono. Inoltre, difficilmente riescono a prendere in considerazione, al di là delle situazioni puntuali che affrontano, le dinamiche positive o negative dei singoli soggetti. Infine, sono, in genere, impotenti a rispondere ai bisogni di sicurezza, di legami sociali, di solidarietà, di riconoscimento e di utilità sociale che proprio gli esclusi esprimono.

D’altra parte, spesso i senza fissa dimora sono degli “anoressici istituzionali”, cioè soggetti isolati, rinunciatari, fuori dai meccanismi più “normali” di aggiustamento sociale, non arrivano a diventare utenti poiché non sono né residenti, né contribuenti e, soprattutto, non sono soggetti capaci di individuare i propri bisogni, di scegliere il servizio adeguato al loro soddisfacimento, di utilizzarlo conformemente alla prassi e di ottenere l’erogazione di prestazioni.

I senza fissa dimora hanno difficoltà ad instaurare rapporti di cooperazione e di reciprocità, perché il distacco psicologico porta all’uscita dalla propria individualità e alla creazione di alleanze con carattere strumentale e contingente, non mirato a rapporti duraturi di mutuo e gratuito aiuto14.

Ciò che spesso accomuna la totalità dei senza fissa dimora è la fragilità e la debolezza dei legami con i loro familiari ed in particolare con la famiglia di origine. Spesso questo rapporto si è interrotto da molto tempo a causa di incomprensioni o per situazioni economiche difficili e non si è riusciti a ricomporlo. In alcuni casi sembra che la situazione familiare difficile e instabile abbia influito pesantemente sulla condizione di senza dimora. Però un effetto particolarmente incisivo e negativo sui rapporti con la famiglia, sia quella di origine che con la moglie e i figli, lo ha avuto il peggioramento della condizione sociale ed economica del soggetto15.

Talvolta, invece, i familiari sono scomparsi tutti a causa di malattie o incidenti. Ma anche in questo caso la vita della persona senza fissa dimora è caratterizzata

14

E. Stagni, Il sonno dei poveri, Sapere, Milano – Roma, 1975.

15

F. Ciucci, Il punto di vista dei senza fissa dimora come strategia di promozione del sistema di intervento, in: M. Pellegrino e G. Tomei, op. cit.

(9)

dalla solitudine e dalla mancanza di rapporti significativi con altre persone, quali, ad esempio, compagna, amici, parenti lontani, colleghi. La persona comincia a chiudersi in se stessa e ciò avviene per diversi motivi: a volte si vive la vergogna di una situazione che sembra essere irrimediabile, inizia la sfiducia verso il prossimo che lo si vede come un estraneo pronto solo a giudicare, si perde ogni legame con la realtà circostante, quasi come se non fosse più parte della persona stessa.

Spesso anche chi dice di essere in buoni rapporti con i familiari di origine, in realtà non ha un legame continuo e mantiene un buon livello di relazione proprio grazie alla sporadicità dei contatti e alla non piena sincerità, all’omissione riguardo alla propria condizione16.

La mancanza di reti sociali di sostegno contribuisce alla perdita dell’identità dell’individuo, o meglio, contribuisce a consolidare nella mente del soggetto il proprio status di emarginato. Se le persone sono sostenute, ossia fanno parte di una rete significativa di rapporti, questo non solo le aiuta praticamente a vivere, dato che ci sono scambi e sostegni materiali, ma continua a fornire una identità. La mancanza di una rete, o la sua rottura, fa sì che queste persone perdano le loro radici.

Dolore, paura, solitudine, incertezza, vergogna, senso di colpa, sentimento di inutilità sembrano emergere come tonalità emotive dominanti dell’individuo incapace di pensarsi come parte di una comunità. “Un individuo non può stare in piedi da solo”, ricorda Robert Castel, necessita di un insieme di “supporti”, di un tessuto di legami e relazioni sociali in cui collocarsi e con cui condividere esperienze17.

2.3

-

I

L LAVORO

16

F. Ciucci, op. cit.

17

M. Bergamaschi, Vite sospese. Processi di impoverimento e vulnerabilità sociale, in “TRA”, Trimestrale della federazione FIO.psd, anno XV, n. 2, 2001.

(10)

Il rapporto con il lavoro è al centro della problematica dell’esclusione: un’attività lavorativa, infatti, non solo permette di assicurarsi un reddito per soddisfare i bisogni elementari, ma procura al contempo uno statuto sociale, vale a dire una posizione riconosciuta all’interno della società. Il lavoro, da questo punto di vista, assicura l’integrazione degli individui e la coesione sociale.

Nella seconda metà degli anni Settanta, la società salariale, che ha conosciuto il suo culmine nei trent’anni consecutivi alla seconda guerra mondiale, entra in crisi nel momento in cui si affacciano e si diffondono nuove forme di precarietà e aumenta massicciamente la disoccupazione di lunga durata. Il lavoro risulta sempre meno protetto e un numero crescente di persone perde i supporti che ad esso erano tradizionalmente legati: protezione sociale, diritto del lavoro, sistemi di socializzazione collettivi (sindacati, partiti).

Queste stesse persone perdono simultaneamente anche una posizione sociale e i punti di riferimento per la costruzione della propria identità. Non più protetti e sostenuti, gli individui si trovano sempre più isolati: questa situazione è caratterizzata dall’indebolimento delle reti di socialità. Un numero crescente di individui si trova esposto ad una condizione di vulnerabilità. Questo è vero soprattutto oggi.

Le più importanti tendenze come la globalizzazione economica e la liberalizzazione, la ristrutturazione industriale e le nuove tecnologie si sono combinate nel causare grandi riduzioni nel numero dei lavori stabili a tempo pieno. Milioni di lavoratori eccedenti si sono visti forzati o a dipendere dai servizi di assistenza sociale o a ricorrere a lavori incerti e sottopagati. Nell’intera Unione Europea, un crescente numero di persone si troveranno a vivere in povertà con basse entrare o talvolta nessun reddito. La maggior parte di queste persone semplicemente non possono permettersi di pagare una sistemazione adeguata sul mercato privato degli alloggi e molti non hanno accesso agli alloggi della previdenza sociale18.

Alla precarietà occupazionale si affiancano, quindi, ulteriori ambiti di deprivazione: alloggio insalubre, precarie condizioni di salute, fragilità relazionale, dipendenza dagli interventi dell’azione pubblica. Queste condizioni di

18

(11)

vita generano negli individui coinvolti un sentimento di inutilità sociale, una percezione della propria situazione fortemente squalificante19.

La situazione economica attuale esige un tipo di organizzazione produttiva diversa, più duttile e più aperta ai cambiamenti e ciò, spesso, si traduce in una disparità sempre più sensibile tra domanda e offerta.

In questo ambiente, economicamente e socialmente turbolento, si acuiscono, inevitabilmente, i sentimenti di incertezza e di insicurezza che possono contribuire all’espulsione dei soggetti più fragili da un contesto sociale che richiede risorse e capacità di adattamento particolari.

I lavoratori non si collocano più all’interno di un’unità produttiva, ma all’interno di un processo e il concetto di mestiere viene eroso, stravolto dalle innovazioni tecnologiche che non consentono di identificare un ruolo con una fase di trasformazione, ma impongono la sua collocazione a livello di processo completo. E’ all’interno di questo ambito che si trasformano e si negoziano le identità lavorative, non più implicite quindi nel mestiere stesso20.

Questa particolare situazione impone qualità diverse da quelle che si erano rivelate utili in passato per collocarsi nel mondo del lavoro: ora è necessario puntare sulla capacità di cogliere rapidamente opportunità disperse in un ambiente incerto e in continuo mutamento, per cui l’accettazione della mobilità, la consuetudine per l’opportunismo e la precarietà diventano una componente del profilo professionale di lavoratori e “aspiranti lavoratori” in tutti i settori21.

Sul piano sociologico, Robert Castel22 ha mostrato che la ricomparsa, dopo un secolo, della vulnerabilità sociale all’interno delle nostre società ha creato delle zone di “turbolenza sociale” suscettibili di alimentare, a fronte di un problema professionale e/o familiare, la zona della désaffiliation. La nozione di désaffiliation non rimanda unicamente alla dimensione economica, o alla densità relazionale, ma è definita dalla combinazione di due vettori: mancata integrazione

19

M. Bergamaschi, Emergenza di una nozione: l’esclusione come paradigma della coesione sociale. Dalla povertà alla società duale, in “TRA”, Trimestrale della federazione FIO.psd, anno XII, n. 3, 1999.

20

S. Rota, Introduzione, in: ILRES, Indagine sulla disoccupazione di lunga durata in Liguria, Marietti, Genova, 1994.

21

A. Gazzola, op. cit.

22

(12)

occupazionale e isolamento sociale. In questo modello, l’accento cade sulla rottura del legame sociale, assicurato dal lavoro e dall’appartenenza ad una comunità.

Il lavoro risulta vettore di integrazione non in quanto attività, tra le altre, che assicura un reddito, ma in quanto fonte di identità e di appartenenza sociale, attività produttrice di senso per sé e per gli altri.

Un approccio “economistico” che assuma il lavoro unicamente come fonte di reddito non permette di cogliere l’attuale fragilità del legame sociale che coinvolge segmenti della popolazione sempre più ampi.

Rispetto alla seconda dimensione presa in esame, l’indebolimento della rete primaria, il sociologo francese evidenzia, tra le varie trasformazioni che hanno investito la famiglia, il diffondersi delle famiglie monoparentali, gli alti tassi di divorzio, di coabitazione al di fuori del matrimonio, di nascite illegittime, quali indici di una possibile “dissociazione dell’ordine familiare”.

Se si combinano le distinzioni sopra individuate, è possibile costruire uno schema tipologico con tre aree generali di definizione del problema:

Ad integrazione dello schema risultano utili alcune considerazioni su ciascuna delle tre “zone” costruite. Nell’area A, o dell’integrazione, si collocano individui che, indipendentemente dallo status sociale più o meno elevato e dalle

A INTEGRAZIONE Integrazione lavorativa Inserimento sociale B VULNERABILITÀ Precarietà lavorativa Fragilità relazionale C DÉSAFFILIATION Assenza di lavoro Isolamento sociale

(13)

diseguaglianze nei beni e risorse possedute e spendibili, risultano inclusi nel sistema sociale. Integrazione lavorativa e capacità di mobilitazione di supporti relazionali solidi costituiscono gli indicatori cruciali per la collocazione dell’individuo nell’area in oggetto.

L’area B, o della vulnerabilità, si definisce come possibile luogo di transizione per carriere individuali incrinate dalla precarietà e fragilità tanto a livello lavorativo quanto nelle relazioni sociali. Instabilità e precarietà possono costituire l’anticamera della povertà estrema. Area tradizionalmente esposta al rischio dell’esclusione, in sistemi di welfare solidi può trasformarsi in un’area in cui i soggetti trovano una collocazione stabile e duratura.

Nell’area C, o della désaffiliation, si combinano assenza di lavoro e isolamento sociale. Bisogna aggiungere che la désaffiliation rende quanto mai difficile l’accesso ai servizi, in quanto gli individui in essa inclusi non appartengono a quelli che altrove sono stati definiti “gruppi a rappresentanza forte e consolidata”23. In questa area, vite sospese e incapaci di inserirsi nella comunità di appartenenza percepiscono il pericolo della solitudine e dell’assenza dei legami. Una condizione vissuta come minaccia costante di instabilità, che impedisce all’individuo di pensare un futuro che non è in grado di controllare24. La figura del senza fissa dimora, dell’uomo senza territorio, dello sradicato, del barbone, ne è un chiaro esempio.

Il lavoro coincide fortemente con il possesso di un’identità e con una serenità che altrimenti vanno smarrite. Il lavoro porta la sicurezza di essere qualcuno e di saper fare qualcosa, anche nei casi meno agiati.

2.4

L

E BIOGRAFIE DELL

ABBANDONO

Le biografie dell’abbandono sono biografie segnate da crisi di autonomia, da situazioni di dipendenza, di difficoltà, da rotture, da anomia, da disorientamento.

23

P. Guidicini, G. Pieretti (a cura di), I volti della povertà urbana, FrancoAngeli, Milano, 1988.

24

(14)

Negli individui viene meno la capacità di costruirsi dei percorsi di senso condivisi, mentre la propria condizione di vita viene vissuta in modo sempre più individuale, addirittura autoreferenziale25.

Occorre riconoscere che queste biografie incarnano la difficoltà a costruire vite nell’attuale società ad elevata complessità, esprimono con particolare evidenza la fragilità dell’uomo della modernità nel definire la propria identità e il proprio spazio interiore. Chi scivola nell’esperienza della solitudine, dell’abbandono, in mancate relazioni, è obbligato ad elaborare significati, a tessere trame, a costruire degli equilibri interiori.

Per chi vede infranta la propria possibilità di accesso alle vite possibili c’è la necessità di percorrere un itinerario di produzione di significati per costruire un paesaggio interiore.

Non sempre, però, chi vive una situazione di disagio esprime una richiesta di aiuto, perché il “paesaggio interiore” è tutto pieno; per questo sembrano non esserci mancanze ed assenze che chiedono relazionalità, legami, spazi d’incontro, possibilità di costruire un significato condiviso.

Ogni biografia contiene elementi forti e deboli i quali possono costituire per la persona delle fratture. Queste possono essere più o meno grandi e gravi, possono essere particolari ed eccedenti la normalità, oppure essere dentro i passaggi e le transizioni normali del vivere della persona, nelle sue relazioni, nella manipolazione del mondo, nel suo ritorno all’interiorità.

Un’identità senza legami porta dentro di sé diverse possibilità e opportunità, diversi elementi che esprimono più una frattura che un’integrazione; in particolare, l’identità moderna vive una profonda scissione fra ciò che è e ciò che fa, vive cioè la difficoltà a vedersi “dentro” le cose che fa. E’ questo un io che si trova continuamente in una perenne sperimentazione: il rischio è che oggi questa dinamica occupi, invada in modo assoluto l’esperienza della persona (si prova a vivere, per vedere come va).

Le biografie dell’abbandono rivelano questa frattura, questa fatica fondamentale a trovare ogni giorno una ragione convincente e plausibile per vivere.

25

(15)

A chi è lontano dai luoghi fisici e simbolici della relazione (famiglia, lavoro, relazioni amicali) non resta che concentrare la propria identità in tempi e spazi ristretti, rinchiudersi in relazioni sempre più immediate e sempre meno numerose26.

Ciò che veramente viene da chiedersi è se le persone che si ritrovano a vivere in strada si rendono conto della loro condizione, se riescono ad uscire da questo stato di forte solitudine e di lontananza dai legami affettivi, se provano vergogna o sensi di colpa per ciò che vivono. Queste domande possono avere risposte solo ascoltando le loro storie di vita.

Tema principale che caratterizza le biografie di soggetti che si trovano in condizione di grave marginalità è il contesto di abbandono. Questa caratterizzazione trova significati in due direzioni: la prima è rivolta alle dinamiche relazionali, mentre la seconda rimanda alla percezione che il soggetto ha di se stesso.

Il tema dell’abbandono nella dimensione relazionale fa riferimento all’esperienza individuale delle fratture relazionali dove l’individuo è stato contemporaneamente soggetto e oggetto di abbandoni. Situazioni che hanno avuto più contesti, da quello di maggior appartenenza come può essere stato il contesto parentale, a quelli più neutri come possono essere stati i contesti legati al paese di origine e alla città di riferimento. Inoltre, in entrambi questi contesti la situazione può avere avuto tempi di evoluzione dove la dinamica relazionale e i tentativi di riaggancio e separazione si sono giocati in più fasi fino all’esaurimento delle possibilità. Nella dimensione più rivolta alla percezione che il soggetto ha di se stesso l’esperienza dell’abbandono si traduce nella percezione di una profonda solitudine.

Questa situazione non è la normale conseguenza dell’assenza di relazioni ma, oltre a questa, assomma la percezione dei fallimenti individuali. Sotto questo aspetto la percezione è quella di una profonda solitudine e quindi di appartenere al nulla.

26

I. Lizzola, L. Casati, Per una antropologia della marginalità, in “TRA”, Trimestrale della federazione FIO.psd, anno XII, n. 1, 1999.

(16)

La mancanza di relazioni e il senso di profondo vuoto si uniscono in alcune biografie all’esperienza di una condizione sanitaria molto precaria.

Spesso la gravità dei fatti accaduti e l’impossibilità di recuperare delle situazioni relazionali o di rendere possibili occasioni che erano appartenute al passato, si traducono nella consapevolezza del soggetto in colpe che sembrano non avere nessuna possibilità di riscatto. In questo senso la consapevolezza della propria storia diviene per il soggetto un vincolo che appesantisce l’esistenza e gli fa perdere la naturale leggerezza e disincanto tipiche di una vita non provata dallo sbaglio poi riconosciuto.

In termini progettuali, questa pesantezza di traduce in una insicurezza nelle possibilità di affrontare il proprio futuro. Lo stigma sociale che spesso segna queste biografie e che rende difficile il rientro sociale ha un risvolto anche a livello individuale: lo stesso individuo si ritiene inabilitato a un riconoscimento. Quando questa situazione viene superata, l’individuo si trova a dover riscoprire una nuova identità spesso composta da elementi appartenenti all’esperienza del soggetto ma mai valorizzati. Questa nuova condizione ridimensiona il senso di colpa collocandolo in una visione nuova, non come dimensione di pesantezza, ma di limite del soggetto e di esperienza del passato a cui si può attingere in termini di sapere e di saggezza.

Il vivere alla giornata è una affermazione che definisce molto bene l’organizzazione temporale delle persone che si trovano sulla strada. Rispondere ai bisogni urgenti che si presentano tutti i giorni, quali il mangiare, il dormire, la soddisfazione da forme di dipendenza, occupa la maggior parte della giornata. Ogni mattina, l’organizzazione della giornata passa tramite l’individuazione dei luoghi che possono rispondere a questi bisogni, determinando una situazione di routine qualora questi siano fissi, o una situazione di ricerca dei luoghi e della strategia per ottenere la risposta voluta quando questi non sono fissi.

Questa modalità organizzativa acquisita dal soggetto durante tempi lunghi di pratica viene interiorizzata mediante una lenta morte di tutti i movimenti interiori del soggetto. E’ in questo modo che assistiamo all’emergere di una dimensione di animalità segnata da una prevalenza degli istinti sui sentimenti, del tempo percepito come immediatezza a svantaggio di una organizzazione dove la

(17)

preparazione e l’attesa di ciò che avverrà fanno parte di una intelligenza organizzativa o di una percezione del tempo in forma adulta27.

Il percorso di marginalità è spesso vissuto dal soggetto in modo inconsapevole. La persona per mesi o anni vive la propria condizione senza la percezione che qualcosa stia cambiando. Questa situazione si viene a creare, da una parte, perché esiste una innata rimozione di tutto ciò che potrebbe far percepire il degenerare degli avvenimenti, dall’altra, perché il soggetto non è nella possibilità di cogliere elementi che potrebbero segnalare i cambiamenti. Il contesto esterno nel tempo si accorge dei cambiamenti che si stanno verificando nel soggetto e, dopo una iniziale tenuta, adotta gli atteggiamenti che sono di tutela e di espulsione della persona che sta creando “confusione”.

Questa modifica degli atteggiamenti del mondo circostante, dei rapporti più stretti o di quelli amicali fino a giungere a quelli di tipo sociale, è l’elemento che fa percepire al soggetto che si trova in situazioni di disagio, non ancora di marginalità, che qualcosa sta cambiando. Questo cambiamento viene percepito come un complotto di tutto il mondo esterno. In questo senso il soggetto si considera il capro espiatorio di una realtà circostante che si è coalizzata con un atteggiamento persecutorio privo di significato. In questa situazione il soggetto si trova a sperimentare un senso di impotenza e di rabbia perché ogni sua azione sembra aggravare ulteriormente la situazione, senza che gli vengano date possibilità di giustificazione o di riscatto.

Finché permane questa situazione e non si verificano le condizioni per cui il soggetto è aiutato a riprendere in mano la propria vita, lo stesso si atteggerà nella forma dell’animale ferito che, in ogni situazione, sente la necessità di esprimere il proprio rancore verso una causa che può trovare identità in una persona specifica o in una istituzione.

Il passaggio ulteriore avviene in un ampio arco di tempo che porta la persona verso le forme estreme di marginalità, caratterizzate da un passaggio emotivo verso l’indifferenza. Questo nuovo stato emotivo rappresenta l’uscita del soggetto dalla socialità. Da questo punto in avanti, l’individuo utilizzerà la dimensione

27

G. Invernizzi, Biografie dell’abbandono, in “TRA”, Trimestrale della federazione FIO.psd, anno XV, n. 3, 2001.

(18)

sociale solo per rispondere ai suoi bisogni primari, avvierà solo dei rapporti strumentali dove la dimensione affettiva sarà inesistente.

Si può quasi affermare che da parte del soggetto ci sia un rifiuto consapevole o una rinuncia a tutto ciò che viene percepito come la causa del suo disastro. Contro la società che non lo vuole fa a sua volta un gesto di rifiuto, un atto di auto-emarginazione. Il patto sociale che fa riconoscere gli individui come unità, concretamente nella forma della comunità locale, in questa situazione si rompe. Il soggetto si ritrova così nel mondo della marginalità o all’interno dell’unico rapporto che rimane con il mondo sociale, quello assistenziale, dove si realizza un rapporto tra oggetti e non tra soggetti28.

28

Riferimenti

Documenti correlati

689/2019, presupposto per il riconoscimento del diritto alle prestazioni a sostegno del reddito a carattere assistenziale, così come indicate al paragrafo 2 del messaggio

Successivamente sono state acquisite informazioni dettagliate sulle organizzazioni e gli enti che erogavano direttamente almeno un servizio; sono state rilevate le

Ringrazio profondamente i dipendenti di questa Amministrazione, che in questa fase confermano un impegno importante al servizio dei cittadini, insieme a tutti gli

Dato un array e un elemento t voglio dividere l’array in modo che tutti gli elementi minori di t vengano prima di quelli maggiori o uguali di

Vengono quindi successivamente trattate le misure cautelari e le misure alternative alla detenzione in carcere perché, in relazione alle persone senza dimora, le prime

Si è stimato quindi che la quota di persone senza dimora non inclusa nella stima dell’indagine presso i servizi di mensa e accoglienza notturna si attesti al 3,5%, valore

Il welfare giapponese tratta in modo molto diverso i lavoratori part- time da quelli full-time dato che il governo giapponese esonera i datori di lavoro dall’iscrivere i

In un mondo del lavoro generato dalla quarta rivoluzione industriale, nel quale le tecnologie diventano sempre più economiche, efficienti e in grado di sostituirsi all’uomo in