• Non ci sono risultati.

3 APPLICAZIONI DEL CAPABILITY APPROACH ALLO STUDIO DI FENOMENI SOCIALI: POVERTÀ, DISEGUAGLIANZA E CARESTIE

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "3 APPLICAZIONI DEL CAPABILITY APPROACH ALLO STUDIO DI FENOMENI SOCIALI: POVERTÀ, DISEGUAGLIANZA E CARESTIE"

Copied!
41
0
0

Testo completo

(1)

3 APPLICAZIONI DEL CAPABILITY APPROACH ALLO STUDIO

DI FENOMENI SOCIALI: POVERTÀ, DISEGUAGLIANZA E

CARESTIE

In questo capitolo sono stati esaminati i contributi che la metodologia del Capability Approach ha comportato allo studio di alcuni fenomeni sociali come la povertà, la diseguaglianza e le carestie. L’approccio ha consentito di raggiungere nuovi e approfonditi risultati, manifestando una comprensione più approfondita delle cause reali dei problemi e delle loro manifestazioni.

Il primo passo è stato quello di spostare il centro dell’attenzione dai mezzi, (i redditi), ai fini che gli esseri umani perseguono, soprattutto alle libertà che rendono realizzabili tali fini.

L’approccio di Sen considera come appartenenti al campo d’analisi anche variabili sociali allo stesso modo di quelle economiche. La scelta dei funzionamenti da realizzare dipende non solo da fattori economici – reddito, prezzi, risorse – ma anche da fattori culturali.

Nello studio della povertà le variabili sociali assumono un peso determinante: non ha senso parlare di “minimo di sussistenza” in termini assoluti, va invece relazionato con il contesto sociale di riferimento.

Al pari, l’approccio si è rivelato innovativo nello studio della diseguaglianza che si è svolta tenendo sempre presente la sostanziale diversità umana e la molteplicità delle variabili in base alle quali l’eguaglianza può essere valutata.

Infine risulta estremamente interessante considerare la nuova chiave di lettura proposta dall’autore nello studio sulle carestie, le quali sono viste più come conseguenze di un mal funzionamento governativo che di calamità naturali. Consideriamo per primo il tema della povertà.

(2)

3.1 La povertà come privazione di libertà

C’era una famosa storiella di uova e frittate. È più ricco un paese che fa una frittata con due uova da dieci euro, oppure uno che ne fa una con cinque uova da tre euro?

Il Pil cresce di più con la frittata più piccola, che sfama di meno…

3.1.1 La povertà è un concetto assoluto o relativo?

In passato la povertà è stata quasi del tutto associata ai paesi meno sviluppati, meno industrializzati, emarginati dal moderno sistema economico di sviluppo e si tendeva a sottovalutare la portata del fenomeno nei paesi in cui il capitalismo era oramai affermato, arrivando ad affermare che in questi sistemi non esistesse. Analisi e ricerche comparative hanno screditato l’errata conclusione che la povertà costituisse solo un fenomeno marginale nei paesi sviluppati.

Prima di trattare la nuova visione del concetto di povertà elaborata da Amartya Sen, è opportuno conoscere brevemente le diverse definizioni che il fenomeno ha avuto nel tempo per riuscire a rispondere ad un quesito di base: la povertà assume un valore relativo o assoluto?

Il primo contributo sull’analisi della povertà risale alla metà dell’Ottocento,

Charles Both75 e Seebohm Rowntree76 cercarono di studiare il fenomeno nell’

Inghilterra post-rivoluzionaria, caratterizzata dalla nascita delle prime classi sociali in conflitto tra di loro, la borghesia e il proletariato. I due economisti fondarono le proprie teorie utilizzando una concezione assoluta di povertà, legata in linea di

75 C. Booth, The inhabitants of tower Hamlets, their condition and occupations Journal of the Royal Statistical Society, 1887. 76 S. Rowntree, Poverty: a study of Town Life, 1901.

(3)

massima alla rilevazione del soddisfacimento o meno di bisogni primari, riguardanti malnutrizione, condizioni di salute, alloggio, vestiario ecc., ciò che Rowntree

chiamava il minimo necessario per “il mantenimento della salute e dell’efficienza fisica”.

Tale metodo d’indagine prevedeva la determinazione di un certo livello minimo di reddito, detto linea di povertà. Redditi al di sotto di tale soglia facevano classificare un individuo o una famiglia come poveri.

Negli anni immediatamente successivi il secondo conflitto mondiale, quando la “libertà dal bisogno” era divenuta il cavallo di battaglia dei nuovi governi post bellici, gli economisti europei adottarono un approccio relativista nelle analisi sociali sulla povertà al fine di smentire la falsa illusione che era stata data dalle ricerche condotte con il metodo assolutista: la povertà non era stata debellata nel continente.

Townsend e Abel-Smith77 sottolinearono i limiti dell’impostazione assolutista,

che legava il concetto di povertà solamente alle necessità fisiche e biologiche dell’individuo, escludendo qualsiasi altro tipo di esigenza, proponendo una visione nuova del fenomeno. La povertà, secondo questo nuovo approccio, poteva essere definita solo in relazione ad un dato contesto storico-culturale ed economico, in quanto la posizione di un individuo poteva essere confrontata solamente con il tenore di vita della società di cui fa parte.

La necessità di quest’approccio risultava evidente in quanto un’impostazione basata sul concetto di povertà assoluta non era più applicabile nelle economie avanzate, visto che la soddisfazione dei bisogni primari, come il cibo e il vestiario, non costituiva più un problema di massa. Ma ciò non voleva dire che la povertà era stata sconfitta.

Anche quando si è in grado di soddisfare i bisogni di base, si può essere poveri perché le proprie condizioni di vita si collocano ben al di sotto di quelle prevalenti nella società.

(4)

3.1.2 L’approccio seniano

Partendo da un esame critico dell’approccio unidimensionale, quello appunto basato fondamentalmente sulla definizione e calcolo della povertà a partire da un’unica variabile (reddito o spesa per i consumi), tra la fine degli anni settanta e gli

inizi degli anni ottanta, Sen78 ne sviluppò uno radicalmente nuovo.

In particolare Sen propose di studiare la povertà, la qualità della vita e la disuguaglianza non solo attraverso i tradizionali indicatori economici-monetari, ma soprattutto analizzando la possibilità di vivere situazioni cui le persone possano dare un valore positivo. Non solo, quindi, la possibilità di nutrirsi e avere un alloggio, ma anche quella di partecipare alla vita della comunità, di avere un’istruzione, ecc.

L’innovazione fu quella di rendere centrale il fattore umano almeno quanto tutti quelli economici fino ad allora considerati.

In quest’ottica il reddito diviene solo una delle dimensioni della povertà: si avverte l’esigenza di concentrarsi maggiormente sulla qualità della vita che sulle ricchezze possedute. Ciò ha permesso all’autore non solo di descrivere meglio il problema, ma di dare spiegazioni più appropriate alle cause che ne stanno a fondamento.

Sen non si schiera dalla parte della concezione relativista. Come lo stesso ha sottolineato, “in confronto alla semplicistica definizione assoluta di povertà, la

concezione relativa ha rappresentato un cambiamento estremamente gradito.”79, ma

un approccio puramente relativista non risulta comunque funzionale all’analisi del fenomeno.

Infatti, se si sperimenta un generale aumento del numero degli indigenti in seguito ad un calo della prosperità dovuto ad un periodo di recessione, non è detto che con il metodo relativista si misuri un incremento della povertà. Una situazione del genere, ricorda Sen, si è verificata in Olanda, il cosiddetto “inverno di fame” tra il

78 A. Sen, Uguaglianza di che cosa?, in Scelta,benessere, equità , Il mulino, Bologna, 1982. 79 A. Sen, Resources, Values and Development, Basil Blackwell Publisher Ltd.,Oxford, 1984,p.143.

(5)

1944 e il 1945 non venne rilevato dall’approccio relativista basato sulla disuguaglianza dei redditi, proprio perché ci fu un abbassamento generale dei redditi in tutte le fasce sociali80.

Per Sen, dunque, neanche le concezioni relativiste possono costituire un’adeguata base teorica per concettualizzare la povertà. Un giusto approccio non può disgiungere le due componenti, non è conveniente da un punto di vista analitico scindere l’idea di povertà in concettualizzazioni o assolutiste o relativiste.

La sua argomentazione parte dal presupposto che “nell’idea di povertà c’è un nucleo assolutista irriducibile […].Se ci sono fame e denutrizione, evidentemente,

indipendentemente da qual è il quadro relativo, c’è povertà.”81.

Naturalmente le variabili fame e/o denutrizione possono essere sostituite da altri aspetti, perché non sono molto frequenti nei paesi industrializzati, ma questo non deve farci incorrere in considerazioni assolutiste illogiche.

Nel senso che la misurazione del fenomeno non si può basare su confronti che, pur rilevando situazioni di disuguaglianza, non costituiscono prova di povertà; ad esempio confronti di spesa tra individui che hanno redditi comunque molto elevati rispetto allo standard della società a cui appartengono.

L’aspetto relativista nasce, secondo Sen, dalla considerazione per cui la soddisfazione di un bisogno può dipendere dalla posizione relativa di una persona nei confronti di altri.

Ma quest’equivoco è stato chiarito da Sen rifacendosi al “concetto di necessario” di Adam Smith:

“per necessario non intendo soltanto ciò che è assolutamente indispensabile per la vita, ma qualsiasi cosa di cui secondo le convenzioni di un paese, è indecente che la gente per bene, anche del più basso rango, sia priva…le convenzioni hanno fatto delle scarpe di cuoio

80 A. Sen, Poverty and Famines:An Essay on Entitlement and Deprivation, Clarendon Press,Oxford,1981. 81 Ibidem,p.150.

(6)

una necessità della vita in Inghilterra. La più miserevole delle persone per bene, di un sesso

o dell’altro, si vergognerebbe di apparire in pubblico senza.”82.

In queste righe possiamo vedere come Smith non si pone minimamente la questione relativa, le scarpe di cuoio servono per non vergognarsi affatto, non per vergognarsi di meno. Un risultato assoluto, ma in un contesto relativo.

3.1.3 Perché capacità e non reddito?

Sen parte da un’idea di povertà in relazione al concetto di uguaglianza: se vogliamo eliminare la povertà dobbiamo raggiungere l’uguaglianza di che cosa?

Sen si interroga circa i risultati delle politiche volte a debellare questo fenomeno: queste devono tendere una sostanziale eguaglianza dei redditi, delle utilità, dei diritti, o di cos’altro?

Con l’applicazione del capability approach al concetto più generale del benessere, eravamo giunti alla conclusione che il vantaggio individuale andava misurato in base alle capacità possedute dal soggetto, ovvero alla libertà sostanziale di vivere il tipo di vita ritenuto migliore.

Alla luce di una simile definizione, la povertà non può che essere considerata come un’incapacitazione fondamentale dell’individuo a godere di tali libertà.

Sen rifiuta ogni approccio alla povertà che si basi esclusivamente su misurazioni di reddito e utilità, pur non negando che il basso reddito costituisca una delle principali cause della penuria, anzi la mancanza di reddito può proprio essere una delle ragioni primarie di incapacitazione di una persona. Ma la sua attenzione si focalizza su una concettualizzazione della povertà come disuguaglianza delle capacità: ove vi è disuguaglianza delle capacità, vi è deprivazione; ove vi è incapacitazione, vi è povertà.

(7)

Esistono infatti numerose motivazioni che ci spingono dallo spazio del reddito allo spazio delle capacità per ben comprendere la portata del fenomeno povertà.

La prima motivazione riguarda l’alterazione della relazione reddito-capacità, ovvero le facoltà di usufruire del reddito risentono fortemente dell’influenza di numerose variabili. Queste possono essere inerenti all’età del soggetto (a causa dei particolari bisogni propri di una persona giovanissima o anziana), ai ruoli sociali (si pensi alle grandi responsabilità della maternità o al ruolo riservato alla donna in certe culture), al luogo di residenza (se è soggetto a siccità, alluvioni, oppure in base al regime politico, l’esistenza di guerre, sicurezza sociale, ecc.) ed ogni altra variabile incontrollabile per il singolo soggetto. Quando si effettuano dei confronti tra gruppi, queste variazioni parametriche sono determinanti.

La seconda motivazione riguarda l’accoppiamento degli svantaggi, ovvero la sovrapposizione tra lo svantaggio nel percepire reddito e lo svantaggio nel convertire il reddito in funzionamenti. Le malattie, le invalidità, non solo riducono le possibilità di guadagno, ma riducono anche le capacità di godimento del reddito, cioè le capacità di trasformare il reddito in funzionamenti realizzati (achieved functioning). Ciò può significare che una persona malata può aver bisogno di maggior reddito per realizzare il medesimo funzionamento. In questa prospettiva, la povertà nello spazio delle capacità è più “intensa” che nello spazio del reddito, per la sovrapposizione dell’incapacità di guadagno e di godimento.

La terza motivazione riguarda le disparità interne ad un gruppo. Le consuetudini riguardanti le distribuzioni di reddito all’interno della famiglia sollevano ulteriori difficoltà nel computo della povertà dei membri esclusi o svantaggiati dalla stessa distribuzione. La disparità dei sessi è un fattore determinante nell’allocazione familiare del reddito, in molti paesi dell’Asia, del Nord Africa e senza andare troppo lontano, anche in certe regioni d’Europa. Sen sottolinea che in quei paesi, come l’India, dove la famiglia gioca un ruolo dominante, spesso anche ciò che è guadagnato dalla donna viene ridistribuito a favore dell’uomo. In questo caso l’entità della deprivazione non può essere adeguatamente espressa sulla base di tale reddito.

(8)

È importante, a questo punto, distinguere i fini dai mezzi. Ciò che Sen contesta è il reddito come indicatore di povertà, in quanto questo è uno dei mezzi, assieme ad altri, per il raggiungimento di un fine: uscire dalla condizione di povertà. Per quanto possa essere importante distinguere il concetto di povertà come scarsità di reddito dal più ampio concetto di povertà come mancanza di capacità, resta sempre il fatto indiscutibile che i due concetti restano sempre in qualche modo correlati.

Se il reddito è un importante mezzo per l’aumento delle capacità, è anche inconfutabile il fatto che un aumento nelle capacità di condurre la propria vita, implica una maggiore capacità di produrre reddito. Un’istruzione di base e una buona assistenza sanitaria possono aumentare le capacità individuali di procurarsi e godere del reddito, liberandosi così dalla povertà per reddito.

Vogliamo qui solamente riportare un esempio. Supponiamo che una persona per una qualsiasi ragione non riesca a trovare lavoro, ma goda di un una indennità di disoccupazione statale. Questa può apparire meno deprivata da un punto di vista del reddito, ma lo è sicuramente sul piano della dignità umana per la sua impossibilità di realizzarsi mediante il lavoro.

3.1.4 Povertà, capacità e beni: la necessità di un approccio multidimensionale

L’assunto di base della teoria seniana è che la deprivazione assoluta in termini di capacità personali è in relazione con la deprivazione relativa in termini di beni, redditi

e risorse83. In altre parole, la povertà e’ un concetto assoluto nell’ambito delle

capacità, ma molto spesso assume una connotazione relativa nell’ambito dei beni necessari.

E’ naturale, sostiene Sen, che la definizione dei beni per sfuggire alla povertà cambi a seconda delle società in esame, proprio perché cambia la definizione stessa di povertà. In società in via di sviluppo sono ancora in discussione i bisogni primari, per

(9)

cui i bisogni fisici tendono ad occupare un posto di maggiore rilievo; ma in società più prospere, dove tali bisogni sono già soddisfatti, esistono esigenze diverse che portano in primo piano, ad esempio, bisogni legati alla partecipazione alla vita della collettività, che non possono essere considerati meno importanti.

In entrambi i casi si sperimenta una deprivazione relativa all’ambito dei beni ma assoluta in quello delle capacità.

Proprio le differenze nei bisogni individuali hanno spinto Sen a studiare la povertà come un fenomeno multidimensionale: le capacità non possedute possono rappresentare le diverse “dimensioni” del concetto.

Gli approcci tradizionali hanno classificato le unità d’analisi (individui, famiglie, regioni, ..) come ricche o povere sulla base di una linea di povertà identificata in genere con il reddito medio. La classificazione è avvenuta mediante una logica insiemistica aristotelica, definita appunto binaria o dicotomica perché gli unici valori che possono essere attribuiti alla variabile sono solo due, 0 e 1, “appartenenza” o “non-appartenenza” alla categoria poveri.

La critica seniana parte dalla considerazione che una simile misurazione non ci dice nulla né sulla distribuzione del fenomeno all’interno del sottinsieme, non considera i “poveri più poveri di altri”; né tanto meno è adatta a comprendere il fenomeno in società più complesse, dove i bisogni si discostano, per il loro soddisfacimento, dalla variabile reddito.

Un’analisi multimensionale risulta più funzionale alla definizione di povertà risultante dal capability approach, perché si può essere poveri in diverse “dimensioni”: si è poveri quando non si hanno le capacità per ottenere una buona assistenza sanitaria, un’adeguata alimentazione, ma anche quando non si hanno le capacità per acquistare un paio di scarpe di cuoio; e si può essere poveri con diverse “intensità”.

La “funzionalità”di una persona non ha a che fare unicamente né con il bene che la rende possibile, né con l’attitudine psicologica del soggetto che ne fa uso, ma con l’utilizzo vero e proprio del bene in questione.

(10)

Secondo quest’ottica l’attenzione non è rivolta ad identificare i poveri separandoli dai non poveri, ma a specificare che cosa i soggetti riescono a fare con i mezzi a loro disposizione.

Quindi, “nello spazio del reddito, il concetto rilevante di povertà deve essere basato sull’inadeguatezza (a generare livelli minimi accettabili di capacità), piuttosto

che sulla scarsezza (indipendentemente dalle caratteristiche individuali)”84.

Ora guardiamo il problema da una prospettiva più metodologica. Se abbiamo identificato l’incapacità a realizzare un determinato insieme di funzionamenti come indice di una condizione di privazione e quindi povertà, il “grado di povertà” di una persona dipende dal numero di capacità non possedute rispetto alle desiderate, oppure dal numero di funzionamenti mancati?

L’approccio delle capacità è più ricco da un punto di vista informativo riguardo al benessere goduto da una persona rispetto ad un approccio basato sui funzionamenti realizzati.

L’approccio delle capacità dà anche un’idea della libertà goduta individualmente nello scegliere e nel realizzare l’insieme dei funzionamenti desiderati. Ma, la valutazione delle capacità richiede la costruzione di una matrice che racchiuda tutte le possibili alternative in termini di funzionamenti realizzabili rispetto ad un funzionamento già realizzato ed in riferimento ad un paniere di beni accessibili. E quest’esercizio di computazione potrebbe risultare illimitato, anche perché qualora si volesse procedere mediante “ipotesi esemplificative”, eliminando le alternative, per così dire, “banali” si rischierebbe di ridurre il significato delle capacità e le libertà ad esso correlate. Inoltre, in base a quale criterio si potrebbe giudicare la banalità o meno di un’alternativa?

Basare lo studio della povertà sui funzionamenti realizzati semplificherebbe molto il processo analitico, ma con il rischio di perdere informazioni importanti.

(11)

Poiché vi sono contesti in cui la distinzione tra sapere che cosa una persona “ha potuto fare” e che cosa “avrebbe potuto fare” è importante, la scelta della variabile sembra abbastanza chiara per Sen, l’approccio delle capacità appare il più adeguato.

3.2 La diseguaglianza

“Due interrogativi centrali per l’analisi etica dell’eguaglianza sono: 1) perché eguaglianza? 2) eguaglianza di che cosa? Le due domande sono distinte ma fondamentalmente interdipendenti. Non si può pensare di difendere o criticare l’eguaglianza senza sapere quale sia l’oggetto del contendere, cioè quali siano le caratteristiche da eguagliare (ad esempio, redditi, risorse, opportunità, risultati, libertà diritti). Non è possibile rispondere alla prima

domanda ignorando la seconda: questo sembra relativamente ovvio.”85

Così Sen introduce l’argomento nel suo saggio La disuguaglianza. Un riesame critico, che può essere ritenuto, a detta dello stesso, una “riconsiderazione del dell’idea di diseguaglianza” letta attraverso la valutazione e il giudizio sulle strutture sociali in genere, giacché il primo aspetto dipende dal secondo.

Infatti da economista Sen tratta la diseguaglianza nella sua veste di fenomeno sociale, ampliando le basi informative riguardanti il suo principale attore: l’uomo caratterizzato da molteplici esigenze.

Lo studio seniano ruota nella sua complessità intorno a due assunti: la sostanziale eterogeneità umana e la molteplicità delle variabili in base alle quali l’eguaglianza può essere valutata.

La diversità umana va considerata in termini di:

• caratteristiche esogene: proprietà di beni, eredità acquisite, provenienza sociale, condizioni ambientali, ecc.;

(12)

• caratteristiche personali: età, sesso, predisposizioni a malattie, abilità mentali e fisiche, talenti, ecc.

Un egualitarismo eccessivo, contraddistinto da una mancata considerazione delle diversità personali, può generare effetti profondamente antiegualitari soprattutto per i più svantaggiati: non tutti, infatti, possiamo essere considerati nello stesso modo. La

retorica espressione “gli uomini nascono tutti uguali” non è applicabile alle analisi

sociali, e se l’utilitarismo ha chiamato in causa questo principio lo ha fatto solo per una necessità di semplificazione della fase analitica.

La disuguaglianza va letta dunque in termini di una variabile, e proprio la scelta di quest’ultima indica lo spazio entro cui intendiamo considerare il fenomeno.

I vantaggi e gli svantaggi relativi di cui le persone godono in confronto agli altri possono essere giudicati sulla base di molte variabili diverse, come ad esempio i redditi, le ricchezze, le utilità, le risorse, le libertà, la qualità della vita, ecc.

La pluralità delle variabili su cui possiamo focalizzare l’attenzione – variabili focali – al fine di valutare la diseguaglianza interpersonale rende necessario affrontare, ad un livello molto preliminare, una difficile decisione sulla prospettiva da adottare; Sen definisce questa fase come “scelta dello spazio valutativo”.

“Le differenze di punto focale sono particolarmente importanti a causa della pervasiva diversità umana. Se tutte le persone fossero identiche, l’eguaglianza in uno spazio (ad esempio, reddito) sarebbero tendenzialmente coerente con eguaglianze in altri (ad esempio,

salute, star bene, felicità).”86

Dunque possiamo sostenere che partire dall’assunto della diversità umana comporta necessariamente che i risultati di eguaglianza ottenuti in uno spazio coesisteranno con risultati di diseguaglianza in un altro.

Il fondamento della scelta valutativa consiste in una giusta argomentazione che dimostri che la diseguaglianza che si genera in qualche spazio significativo è tollerabile come conseguenza di un’eguaglianza in un altro spazio più importante.

(13)

A questo punto la domanda iniziale “eguaglianza di che cosa?” si trasforma in

“qual è lo spazio corretto per l’eguaglianza di base?”.

Il riconoscimento della pluralità di spazi entro i quali il fenomeno può essere valutato può far sorgere dei dubbi sul contenuto dell’idea di eguaglianza.

Da un lato l’adattabilità del concetto ai diversi contenuti attraverso i quali può essere espresso è motivo di imbarazzo da parte degli studiosi: la pluralità dei significati attribuibili al fenomeno non permette di dargli una definizione univoca, valida in assoluto.

Dall’altro, c’è chi ha associato questa pluralità al fatto che in sostanza l’eguaglianza non riflette una vera esigenza, in altri termini l’eguaglianza viene considerata un’idea vuota, priva di contenuti.

Per Sen l’accusa di “vacuità” non coglie il carattere positivo dell’idea di eguaglianza: anche quando si afferma solo l’esigenza di eguaglianza, senza definirne lo spazio, si sta attestando la volontà di considerare le basi del sistema valutativo della società.

Inoltre la pluralità dei contenuti non va vista come fonte di imbarazzo, ma come una necessaria conseguenza dei molteplici contesti in cui l’idea può operare; addirittura in ciascun contesto le esigenze di eguaglianza possono essere tutte allo stesso modo forti e distinte. Ciò non dovrà sorprendere, dato che la pluralità dei

contesti riflette una questione più profonda, “ovvero una pluralità riguardo alla nozione

appropriata di vantaggio individuale nei confronti sociali”87.

Le varie istanze dunque riflettono le opinioni diverse a proposito di ciò che è considerato rilevante per valutare il vantaggio individuale.

Il grado di appropriatezza dei vari spazi dipenderà in ultima analisi dalla motivazione che induce allo studio della diseguaglianza, questa viene misurata per qualche motivo, “e la scelta dello spazio così come la selezione di particolari misure di

diseguaglianza in quello spazio dovrà esser fatta alla luce di quelle intenzioni”88.

87 Ibidem, p. 46.

(14)

3.2.1 L’inadeguatezza degli approcci tradizionali

Tutti gli approcci all’etica dei fenomeni sociali hanno cercato di raggiungere l’uguaglianza di “qualcosa”, un qualcosa che occupa una posizione di rilievo nella teoria di volta in volta presa in considerazione.

Così ci troviamo di fronte agli egualitarismi del reddito, a quelli del benessere, delle utilità, dei diritti, delle libertà.

Tutte queste posizioni sono in qualche modo essenzialmente egualitarie e

sostengono l’eguaglianza di qualcosa che tutti dovrebbero avere.89

Tutto dipende da ciò che si ritiene essere l’aspetto socialmente centrale, che porta ad accettare la diseguaglianza nelle “periferie” della teoria.

A seconda del criterio rispetto al quale raggiungere l’uguaglianza possiamo distinguere in ciascun caso le proprietà invarianti (quelle che in ogni caso vanno tutelate, che costituiscono l’aspetto fondamentale per cui l’eguaglianza deve essere chiamata in causa) da semplici connessioni accidentali o condizionali (che vanno tollerate solo nel caso in cui non intacchino le proprietà invarianti).

Considerando due degli approcci più noti, l’utilitarismo e la teoria dei beni primari, Sen giunge alla conclusione che entrambe le teorie si fermano a considerare le acquisizioni.

La formula utilitaristica richiede, come abbiamo più volte ribadito, la massimizzazione della somma delle utilità totali godute dai vari individui. Un simile approccio sembrerebbe non voler raggiungere nessun risultato egualitario. In realtà, l’utilitarismo attribuisce esattamente la stessa importanza all’utilità di tutti gli individui nella funzione obiettivo, e questa circostanza, unita allo schema

89 La caratteristica comune di dichiararsi egualitari è collegata all’esigenza di dimostrare un’eguale attenzione per tutte le

(15)

massimizzante, garantisce che i guadagni di utilità di tutti abbiano lo stesso peso nell’esercizio della massimizzazione.

“In effetti è proprio questo elemento egualitario che si riconnette a un principio fondamentale dell’egualitarismo, ovvero quello di dare <<ugual peso agli interessi eguali di tutte le parti coinvolte>>[Hare], o di <<assegnare sempre lo stesso peso agli interessi degli individui>>[Harsanyi]”90.

Dunque, anche le analisi utilitarie possono essere impiegate nello studio del fenomeno disuguaglianza. In qualche contesto infatti potremmo essere interessati alle posizioni relative dei vari individui in termini di reddito, per esempio per evidenziare gli effetti che una disuguaglianza di reddito può avere nei casi di criminalità o di disagio sociale. Per quanto una simile distribuzione ci dia poche indicazioni sulla diseguaglianza relativa allo star bene in quanto tale, non ne consegue che questo spazio sia assolutamente improduttivo.

Vi sono due approcci generali alla valutazione delle acquisizioni nella teoria economica che si muovono in due direzioni distinte: una considera il vantaggio personale in termini positivi, sulla base delle acquisizioni; l’altra in termini negativi, sulla base del divario rispetto all’acquisizione massima possibile.

L’eguaglianza tra persone può pertanto essere definita o in termini di ottenimenti

o in termini di divari dai valori massimi che ciascuno può ottenere91.

Sen sembra più propenso verso la prima soluzione, la diseguaglianza di ottenimenti: nel momento in cui ci troviamo a considerare la diseguaglianza di un individuo affetto da una grave disabilità, sembrerebbe più fruttuoso analizzare la sua situazione tramite gli ottenimenti che potrebbe raggiungere, anziché limitarsi a descrivere semplicemente il divario tra le sue potenzialità e quelle degli individui sani.

90 A. Sen, Eguaglianza di che cosa? , p. 31.

(16)

Tuttavia il limite delle teorie utilitaristiche, o più genericamente economiche92, rimane quello di aver tralasciato proprio la componente della diversità umana nello studio del benessere individuale e sociale, per cui simili considerazioni sono estranee al loro campo d’indagine.

Richiamiamo in causa ora la teoria di Rawls, che ha proposto un allontanamento dalla mera valutazione delle acquisizioni, concentrandosi, invece, sui mezzi per le acquisizioni.

Anziché l’utilità o le preferenze soggettive, Rawls propone una nuova unità metrica attraverso la quale affrontare problemi di redistribuzione e giustizia: i cosiddetti “beni sociali primari”. Questo tipo di beni hanno un carattere generale, per cui risultano necessari indipendentemente dai piani di vita e dalle preferenze specifiche di ogni singolo individuo. Si tratta, in particolare, di beni basilari come le libertà fondamentali, il potere, il reddito, le basi sociali del rispetto di sé. I beni primari costituisco delle “chiavi d’accesso” ad altri beni (il reddito, per esempio, permette di acquistare le cose di cui l’individuo necessita; il diritto al voto gli permette di scegliere i propri rappresentanti; ecc.).

Pertanto l’equità anelata tramite questo principio non risiede nel garantire che tutte le preferenze dei cittadini vengano soddisfatte, ma nell’assicurare che i bisogni primari siano distribuiti in modo adeguato.

A tale scopo Rawls ha proposto l’applicazione del principio di differenza, secondo cui le differenze sociali ed economiche devono essere combinate in modo da offrire il maggior beneficio a coloro che sono più svantaggiati.

Secondo Sen la teoria rawlsiana muove nella direzione giusta: valutare la diseguaglianza in questo spazio significa tener conto della pluridimensionalità del fenomeno.

Tuttavia anche la scelta della variabile dei beni primari non è completamente valida perché rimane insensibile alle differenze con cui i diversi soggetti riescono a trasformare i beni sociali primari in libertà di scelta e di realizzazione dei propri piani

(17)

di vita. Occorre, dunque, riconoscere che l’eguaglianza del possesso di beni primari non corrisponde esattamente all’eguaglianza delle libertà sostantive godute dai singoli, a causa delle variazioni personali nella capacità di conversione di risorse e beni.

“Se gli individui fossero fondamentalmente molto simili, allora un indice dei beni primari potrebbe costituire un buon modo di giudicare il vantaggio. Di fatto però, le persone hanno bisogni molto diversi che variano con la salute, la longevità, le condizioni climatiche, l’ubicazione, le condizioni di lavoro, il temperamento, e persino le dimensioni fisiche (che

influenzano la richiesta di cibo e vestiario) ”.93

Alla luce di queste considerazioni Sen pone le basi per una proposta alternativa, partendo dall’assunto per cui la posizione di una persona all’interno di un assetto sociale può essere giudicata da due diverse prospettive: le effettive acquisizioni e la libertà di acquisire. Le prime riguardano ciò che un individuo riesce a fare, le seconde considerano le concrete opportunità che ha di mettere in atto ciò che desidera fare.

Le due prospettive non sono sempre connesse: si può avere diseguaglianza di acquisizioni e diseguaglianza di libertà, senza che le due coincidano necessariamente La distribuzione adeguata di beni non sempre produce una situazione di eguaglianza sociale, perché l’utilizzo che si può fare dei beni varia da individuo ad individuo. Pertanto si potrebbe dire che le acquisizioni assumono valore solo quando possono essere trasformate in funzionamenti effettivi.

3.2.2 L’eguaglianza secondo le capacità

(18)

Se consideriamo la vita di una persona come un insieme di funzionamenti, composti da stati di essere e di fare, le acquisizioni possono essere viste come il vettore di tali funzionamenti.

I funzionamenti rilevanti possono riguardare necessità relativamente semplici, come essere ben nutrito o in buona salute, o acquisizioni più complesse, come essere felici o avere una buona considerazione di sé. La tesi di fondo è che i funzionamenti siano costitutivi dell’essere di una persona.

La capacità è un insieme di vettori di funzionamenti, e riflette la libertà di scegliere.

“Così come il cosiddetto <<insieme di biancio>> nello spazio delle merci rappresenta la libertà della persona di comprare panieri di merci, l’<<insieme delle capacità>> nello

spazio dei funzionamenti riflette la libertà della persona di scegliere fra le vite possibili.”94

Diversamente dalla teoria dei beni primari, i funzionamenti rivelano direttamente i risultati acquisiti dall’individuo su diversi piani (quello della salute, della longevità, ..), l’accento cioè non è posto sui beni, ma su quello che i soggetti riescono a fare mediante questi. Inoltre rispetto alle variabili dell’utilitarismo, i funzionamenti vantano una maggiore oggettività: rilevano un reale stato, un’effettiva attività; al contrario dell’utilità, ad esempio, che deve esprimere delle condizioni mentali soggettive.

Per questo motivo nell’impostazione seniana sono previsti i confronti di funzionamenti interpersonali.

Tramite il concetto di capacità, Sen ritiene di aver colto il vero significato dell’estensione della libertà, mentre Rawls era riuscito solo a spostare l’interesse della letteratura verso l’apprezzamento della libertà.

L’importanza dell’eguaglianza è spesso posta in contrasto con quella della libertà.

Ma per Sen le due sono direttamente collegate, “il tema dell’eguaglianza viene sollevato

(19)

immediatamente come supplementare all’affermazione dell’importanza della libertà”: semplicemente alla proposta libertaria si chiede di procedere alla distribuzione dei diritti fra le persone. Le due categorie, quella dell’eguaglianza e quella della libertà, non possono essere messe in contrasto, perché non si trovano sullo stesso piano logico. Non si può considerare l’una come l’alternativa dell’altra.

La libertà costituisce uno dei possibili campi d’applicazione dell’eguaglianza, e l’eguaglianza una delle possibili configurazioni della distribuzione della libertà.

Per cui sussistono da un lato esigenze di uguali diritti alla libertà, e dall’altro numerose altre istanze di uguaglianza a proposito di altrettante aspetti riguardanti la vita degli individui.

Sen sostiene che l’ambito migliore e più esteso in cui valutare la diseguaglianza sia quello della distribuzione delle capacità fondamentali, perché è quello che più di tutti valorizza la complessità dell’essere umano, incline non solo alla soddisfazione di desideri e piaceri, ma anche alla realizzazione di progetti di vita e di obiettivi a cui dare valore. Ma vediamo il contenuto sostantivo di questo spazio.

Per Sen è necessario costruire un indice dei funzionamenti o delle capacità che influiscono sul well-being, nonché stabilire all’interno di quest’indice un ordine di priorità. Proprio per le difficoltà che abbiamo già delineato nel capitolo uno, relative all’imbarazzo di costruire un indice delle capacità, Sen propone di procedere tramite un ordinamento parziale di alcune delle variabili ritenute importanti. Queste variabili sono ottenute tramite un’intersezione degli ordinamenti di funzionamenti cui i singoli danno valore. Tutte le coppie di funzionamenti sui quali non si è raggiunto l’accordo rimarranno fuori dall’ordinamento. Questo non dovrà essere visto come un risultato negativo, perché sarà possibile giungere alla completezza dell’ordinamento in momenti successivi, quando cioè si riuscirà a formulare un giudizio in merito al conflitto, ampliando le basi informative relative alla coppia.

La “sospensione del giudizio” quando non sia possibile valutare in modo

moralmente chiaro e obiettivo gli stati, rappresenta l’elemento più distintivo della metodologia seniana: in opposizione alla tendenza a semplificare tipica della scienza economica, Amartya Sen ci invita a riprodurre la complessità delle situazioni.

(20)

3.2.3 Perché diseguaglianza economica e non di reddito

“Diseguaglianza di reddito” e diseguaglianza economica” sono state utilizzate da sempre come sinonimi nella letteratura economica; Sen ha voluto rendere chiara la distanza di significato che separa le due espressioni, ponendo l’accento sul fatto che il loro uso indistinto ha provocato forti distorsioni nello studio generale del fenomeno “diseguaglianza”.

Se qualcuno dice di lavorare sulla diseguaglianza economica, normalmente si ritiene che stia studiando la distribuzione del reddito, la distinzione tra i due aspetti invece è molto importante.

“Molte delle critiche rivolte all’egualitarismo economico come valore o come obiettivo concernono molto più direttamente il concetto ristretto di diseguaglianza di reddito di quanto

non si applichino alla nozione più ampia di diseguaglianza economica.”95

Assicurare una quota maggiore di reddito ad una persona con numero più elevato di bisogni relativi ad una malattia o ad un handicap, può essere considerata una violazione del principio dell’uguaglianza dei redditi, ma non di quella dell’uguaglianza economica. Quest’ultima, infatti, deve tenere conto, nella sua applicazione, delle diverse esigenze connesse alla situazione individuale di ciascuno, per aspirare ad un’uguaglianza dei risultati conseguibili attraverso i mezzi economici.

In questo contesto è necessario considerare le eterogeneità degli individui e le loro rispettive condizioni non reddituali, per andare oltre la visione economica. Il

95 A. Sen, Dalla diseguaglianza di reddito alla diseguaglianza economica, sta in La diseguaglianza. Un riesame critico, Il

(21)

reddito deve essere considerato semplicemente nella sua funzione strumentale, un mezzo per raggiungere obiettivi ritenuti importanti.

Partendo dal presupposto che la relazione tra reddito (risorse), acquisizioni

individuali e libertà non è costante, “tipi diversi di situazioni contingenti portano a

variazioni sistematiche nel convertire i redditi nelle specifiche capacità di funzionamento che possiamo acquisire (ad esempio, le varie cose che possiamo fare o essere) e influenzano i nostri stili di vita.”96

Sen evidenzia cinque importanti fonti di variazioni parametriche:le eterogeneità personali, le diversità ambientali, le variazioni nel clima sociale, le differenze nelle prospettive relazionali e la distribuzione all’interno della famiglia. Le eterogeneità personali riguardano, come abbiamo già detto, le caratteristiche fisiche legate a età, sesso, handicap o malattie, che rendono diversi i bisogni di ciascun individuo. Anche se spesso vi sono situazioni di svantaggio personale non compensabili.

Le diversità ambientali considerano le variazioni nelle condizioni ambientali, dovute a fenomeni climatici (piovosità, siccità, inondazioni, temperature, ecc.) che possono influenzare le capacità di conversione dei redditi.

Le variazioni nel clima sociale indicano le condizioni sociali relative alla disponibilità di servizi pubblici (quali sanità, istruzione, lotta al crimine, ecc.) e alla natura delle relazioni nella comunità che svolgono un ruolo importante nella formazione di capacità e funzionamenti.

Le differenze nelle prospettive relazionali esaminano sostanzialmente le variazioni tra società diverse. Questo fattore chiama in causa le convenzioni e i costumi della società a cui appartiene l’individuo nonché le risorse che questa può offrire per il raggiungimento del “rispetto di sé” da parte del singolo. Questo parametro confronta le differenze tra società non intermini di reddito assoluto ma di conseguimenti ottenibili.

Infine il fattore distribuzione all’interno della famiglia costituisce l’unità di base per considerare i redditi dal punto di vista del loro utilizzo. Le regole redistributive

(22)

seguite all’interno della famiglia influenzano il benessere e la libertà dei suoi componenti.

Queste considerazioni sono stata rafforzate sul piano empirico da diversi esempi che lo stesso Sen ha presentato in più saggi per indicare quali tipi di contrasti possono nascere dalla variabilità della relazione redditi – acquisizioni.

“Le persone povere che abitano nel Kerala o in Cina o nello Sri Lanka hanno una speranza di vita enormemente superiore a quella delle popolazioni molto più ricche del Brasile, del Sud Africa e della Namibia, per non parlare del Gabon. Dal momento che le variazioni nella speranza di vita sono influenzate da un gran numero di interventi di natura economica, tra cui le politiche di vaccinazione, l’assistenza medica, il sistema scolastico, e così via, il raggio d’azione delle opportunità economiche è molto più ampio di quello del reddito considerato da solo. [..] Anche in termini di analisi di diseguaglianza, confrontando il Kerala, la Cina e lo Sri Lanka da un lato e il Brasile, il Sud Africa, la Namibia e il Gabon dall’altro si rileva

che l’ineguaglianza va in direzioni opposte.”97

Da questi dati emerge che le differenze tra standard di vita, definiti in termini di reddito pro-capite e in termini di capacità di raggiungere l’età anziana, dipendono essenzialmente da tutta una serie di fattori esterni all’individuo, e nel caso specifico dalle politiche e dai programmi pubblici.

3.2.4 Analisi della diseguaglianza: classe, famiglia, ruolo delle donne

3.2.4.1 L’analisi per classi

(23)

Le analisi generali della diseguaglianza procedono molto spesso non in termini di

singoli individui, ma di gruppi, restringendo l’attenzione alle variazioni fra questi98.

A seconda del tipo di classificazione che viene utilizzato, si punta l’interesse su certi tipi di diversità anziché su altri. Affrontare il tema della diseguaglianza in relazione a quello della diversità umana ci porta ad assumere che esistono vari tipi di differenze e che l’esigenza di praticità impone di trascurarne alcune, per concentrare l’attenzione su quelle più rilevanti.La diseguaglianza, cioè, viene studiata in relazione alle variabili utilizzate per suddividere in gruppi la popolazione oggetto d’indagine.

Nella letteratura sulla diseguaglianza la classificazione più ampiamente usata è stata quella incentrata sulle classi economiche, definite in senso marxiano.

Secondo Marx le classi si definiscono essenzialmente in rapporto alla proprietà dei mezzi di produzione, la quale fa si che in ogni periodo vi siano sempre due classi fondamentali (liberi e schiavi, baroni e servi della gleba, capitalisti e salariati, ..). Questa concezione del concetto di classe ha sicuramente dei connotati ideologici e politici, Marx però aveva proposto nelle sue argomentazioni una fondamentale distinzione tra classe “in sé” e classe “per sé”: un conto è la classe intesa come aggregato di individui che in una data società si trovano in una situazione economico-sociale pressappoco identica, e un conto è la classe intesa come unità autocosciente che lotta in modo solidale per i medesimi obiettivi. È questo tipo di classe, quella che perviene alla coscienza della propria posizione, il soggetto rivoluzionario marxista.

Nelle analisi socio-economiche viene utilizzata la prima definizione, quella di classe in sé.

Il tipo di diseguaglianza analizzabile secondo questa impostazione rimanda alle variabili della ricchezza e del reddito. E, se pur questa classificazione ha prodotto numerosi e sostanziali risultati sul piano dell’analisi politica, sociale ed economica, non sempre si è rivelata adatta ad analizzare particolari relazioni, come ad esempio

98 Si può comunque considerare la diseguaglianza tra gruppi attraverso un “interesse derivato”, cioè considerarla come fonte di

(24)

quella che Sen ritiene essere la più importante: la relazione tra opportunità economiche e libertà.

“Vi sono molte altre diversità, ed un approccio all’eguaglianza che voglia affrontare i problemi dell’appagamento dei bisogni e della garanzia delle libertà deve andare oltre una

struttura di analisi basata esclusivamente sulle classi”.99

Se anche le diseguaglianze derivanti dalla proprietà privata venissero del tutto eliminate, rimarrebbero tutta una serie di diseguaglianze relative alle variabili personali (abilità, bisogni).

Anche nelle argomentazioni marxiane ritroviamo l’esigenza di non considerare gli esseri umani solamente secondo una prospettiva economica, che considera gli uomini solamente come lavoratori, ignorando tutto il resto. All’ideale dell’

emancipazione politica”, che produce situazioni di democrazia e di eguaglianza

formali, Marx contrappone l’ideale di un’ “emancipazione umana” che mira alla

democrazia e all’uguaglianza sostanziali, ovvero al recupero autentico dell’ ”essenza

sociale dell’uomo”.

Nella Critica del programma di Gotha, Marx, movendosi su un terreno meno

filosofico e più socio-politico, descrive due fasi100 della società futura. Nella prima

abbiamo una società comunista per come emerge dalla società capitalistica, cioè ancora intrisa di valori borghesi. Proprio uno di questi è costituito dall’eguaglianza nelle ricompense per il lavoro; questo “uguale diritto” è di matrice borghese in quanto

non tiene conto delle differenze individuali: “ma un uomo è superiore ad un altro

fisicamente o intellettualmente e perciò fornisce più lavoro nello stesso arco di tempo o può lavorare più a lungo… inoltre un operaio è ammogliato e un altro no, … uno ha più figli di un altro, ..”.

L’eguaglianza per Marx deve tenere conto dei bisogni non solo delle capacità, e costituisce la logica della seconda fase del comunismo:

99 A. Sen, Classe, genere e altri gruppi, in La diseguaglianza. Un riesame critico, p.169. 100 In seguito definite rispettivamente “socialismo” e “comunismo”.

(25)

“in una fase più elevata della società comunista, dopo che è scomparsa la subordinazione osservatrice degli individui alla divisione del lavoro, e quindi anche il contrasto tra lavoro intellettuale e fisico; dopo che il lavoro non è divenuto solo soltanto mezzo di vita, ma anche il primo bisogno della vita; dopo che con lo sviluppo onnilaterale degli individui sono cresciute anche le forze produttive e tutte le sorgenti della ricchezza collettiva scorrono in tutta la loro pienezza, solo allora l’angusto orizzonte giuridico borghese può essere superato, e la società può scrivere sulle sue bandiere: Ognuno secondo le sue capacità; a ognuno secondo i suoi bisogni.”

Dunque la classificazione di classe può essere utilizzata nelle analisi sulla diseguaglianza, ma non va considerato l’unico strumento, perché, da come risulta da tutta la tradizione sociologica, le variabili di base delle classificazioni sono molteplici: possiamo considerare lo status sociale, la razza, il sesso, la religione ecc., e costruire su ciascuna variabile una teoria sull’eguaglianza.

3.2.4.2 Analisi della famiglia e ruolo delle donne

Un’interessante analisi della famiglia e del ruolo delle donne ci viene proposta da Sen all’interno della sua critica all’economia classica. Quest’ultima, nei suoi studi, ha sempre considerato l’individuo come indipendente e autonomo nelle sue scelte, non considerando assolutamente i vincoli che il sistema familiare può imporre.

Per cui nel tentativo di includere la famiglia nel novero dei soggetti economici, la scienza economica ha utilizzato degli espedienti poco convincenti: ha trattato la famiglia come un individuo, oppure ha basato il benessere familiare sulle scelte di un capofamiglia dispotico.

Secondo Sen queste impostazioni non affrontano adeguatamente il problema della complessità dell’economia della famiglia.

(26)

Il modo più realistico di pensare i rapporti intercorrenti in ambito familiare è, secondo l’autore, quello di vederli come dei “conflitti cooperativi”: all’interno della famiglia si costituirebbero cioè sia rapporti di cooperazione che di conflitto dal momento che oltre agli esiti che portano benefici a tutte le parti bisogna considerare

anche che le parti hanno spesso interessi contrapposti101. Per riuscire a cogliere queste

differenze è opportuno rifarsi alle posizioni di potere che necessariamente si formano nel contesto familiare, derivanti dallo status dei componenti. Vi sono dei membri che godono di una posizione migliore in termini di benessere goduto, per esempio colui che percepisce lo stipendio avrà maggior potere nelle scelte di spesa.

Sen ha dedicato lunghi anni e buona parte della sua produzione a provare, tramite studi empirici, le grandi discriminazioni esistenti all’interno della famiglia. In quest’ambito le disparità si dispiegano in vari settori: dalla distribuzione di cibo, al diverso grado di istruzione, all’incidenza delle malattie.

Se la maggior parte degli studi dell’autore sono stati effettuati nei paesi poveri, non significa che il fenomeno non esista nell’occidente industrializzato, dove la diseguaglianza familiare colpisce soprattutto le donne. Qualche dato può servire a

tratteggiare il quadro della situazione, anche se solo a grandi linee102.

Per quanto riguarda l’assunzione di cibo, nonostante le difficoltà nell’ottenere informazioni quantitative, accurate indagini hanno mostrato che in uno Stato come il Bangladesh, all’interno di ciascun gruppo di età, le donne consumano una minor quantità di calorie e proteine degli uomini. Un simile studio pone all’attenzione, tra l’altro, il problema di rapportare i consumi al fabbisogno di cibo il quale viene sistematicamente considerato, dalle tabelle in uso, maggiore per i maschi. In realtà, osserva Sen, ci sono forti dubbi sulla fondatezza delle stime del fabbisogno: esso sembrerebbe variare da individuo a individuo ed inoltre in relazione, nel caso delle donne, a periodi particolari della vita, come la gravidanza e l’allattamento.

101 A. Sen, L’economia e la famiglia, in Risorse valori sviluppo, p. 187-195. 102 I dati sono ripresi da Sen, Famiglia e cibo, in Risorse valori sviluppo , p. 165-180.

(27)

Un’altra stima, riguardante lo stato di denutrizione degli abitanti delle zone rurali del Bengala occidentale in seguito all’inondazione del 1978 e 1979, dimostra che tra i bambini il sesso femminile presentava un maggior grado di denutrizione calcolato in base al peso rispetto all’età.

Un’ulteriore indagine sulla distribuzione delle malattie a Calcutta tra il 1976 e il 1978, mostra ancora una situazione nettamente a sfavore delle donne, con un indice delle malattie, nella maggior parte delle zone e in tutte le classi di età (tranne in quella dei giovani fino a 14 anni), superiore nel sesso femminile. Questo dato è senz’altro legato al grado di denutrizione e alle minori cure sanitarie somministrate alle donne.

Un ultimo campo di indagine, quello relativo all’alfabetizzazione e alla scolarità, non si presenta più rassicurante: in molte parti del mondo, dove pure è sensibilmente diminuito il tasso di analfabetismo tra i maschi, sopravvive un alto grado di quello femminile, con punte che toccano, in Afghanistan, una percentuale del 390% in più rispetto a quello maschile.

Infine un ultimo dato, indicativo di una terrificante realtà: nelle società in cui vi è una sostanziale (seppur incompleta) uguaglianza tra i sessi (come nel Nord America e in Europa), la proporzione donne/uomini è 1.05. Nel Terzo Mondo, invece, la proporzione può scendere fino a 0.95 in Egitto, 0.94 in Bangladesh e Cina, 0.93 in India, 0.90 in Pakistan. Le “donne mancanti” (missing women) sono quelle donne che sarebbero certamente rimaste in vita se le rispettive società avessero esteso loro lo stesso trattamento riservato ai maschi. Il numero complessivo che risulta da questa misurazione quantitativa dell’eccesso di mortalità femminile causata da ingiustizie è impressionante: secondo le stime di Sen, nei paesi in via di sviluppo “mancano” circa cento milioni di donne.

Nonostante dati tanto preoccupanti vari tipi di analisi economica perseverano nel considerare la famiglia, in fatto di lavoro e consumi, come un’unità decisionale, senza considerare le diversità interne e la peculiarità degli esiti distributivi cui relazioni e ruoli instauratesi tra i componenti conducono: le implicazioni per l’analisi e la politica economica, sono, a parere di Sen, davvero considerevoli.

(28)

Dal punto di vista della politica economica, ad esempio, il problema della denutrizione non può essere visto più solo come un problema di attribuzioni di cibo alla famiglia, dato che si deve tener conto delle attribuzioni all’interno della stessa. In che modo definire il benessere individuale rispetto a quello della famiglia?

Sen suggerisce di concentrarsi sulla menomazione delle capacità personali, dato che in questo modo si può effettivamente dare importanza alle diseguaglianze in seno

alla famiglia: non possiamo “chiudere gli occhi di fronte alla tragedia della

sproporzionata denutrizione infantile (o di quella, più acuta, patita dalle fanciulle in situazioni di eccezionali ristrettezze…) o alla abnorme incidenza delle malattie tra le donne [..] Questo problema va tenuto distinto dalla privazione dei beni in quanto tale, poiché “l’impostazione basata sulla capacità” guarda a ciò che i beni possono fare agli esseri umani. Pertanto la denutrizione e la diffusione delle malattie, per non parlare della

mortalità, costituiscono un punto focale migliore dell’assunzione di cibo”.103

Per valutare il tenore di vita di persone socialmente svantaggiate è importante poter tener conto delle differenze individuali, cosa che si può giudicare solo concentrandosi sulle effettive acquisizioni individuali.

La sociologia ha da sempre evidenziato il ruolo del potere delle idee nel mantenimento delle disuguaglianze sociali, in qualsiasi contesto queste si verifichino. Sia i membri del gruppo “dominante” che quelli del gruppo “subalterno” tendono ad accettare acriticamente le ideologie, ossia quegli insiemi di idee che giustificano le disuguaglianze facendole apparire “naturali”e perfino giuste.

In quest’ottica possiamo considerare il fenomeno delle “preferenze adattive”, derivanti dall’accettazione fatalistica delle condizioni di vita da parte degli individui più svantaggiati della società. Un fenomeno che tipicamente si manifesta nelle donne di paesi che tradizionalmente le hanno relegate a mansioni e ruoli di secondo piano: esse ora non sentono nemmeno più il bisogno o il desiderio di ribellarsi a convenzioni ormai consolidate, non sono in grado di manifestare insoddisfazione e sofferenza. Le rivendicazioni femminili si sono concentrate sul benessere inteso in termini di

(29)

trattamenti migliori e meno iniqui, tuttavia per Sen questa non è la strada migliore per affrontare il problema. Il vero cambiamento deve passare attraverso l’azione delle donne stesse.

È molto diverso considerare le donne come “pazienti”, passive beneficiarie di aiuti, o come protagoniste attive del loro mutamento o, più in generale della società. L’emancipazione femminile è avvenuta tramite conquiste successive, che si rafforzavano tra loro man mano che venivano incrementate: laddove la donna ha conquistato la capacità di procurarsi un reddito proprio, di avere un lavoro extradomestico, un’istruzione, dei diritti di proprietà, di partecipare alla vita sociale, ha anche imposto la sua autonomia sociale.

Un esempio, sottolineato da Sen in più saggi, di come le libertà si autoalimentano è quello relativo alla fertilità: si è rilevato che, dove la donna ha acquisito maggior potere e ha raggiunto una condizione di vita migliore, in seguito ad un più alto livello di istruzione e all’impiego in lavori extradomestici, è avvenuta spesso una riduzione della natalità: la riduzione del tasso di fertilità ha permesso alla donna di affermarsi anche fuori dall’ambito domestico, sgravandola dalle continue cure materne che

comportano sovente una limitazione sostanziale di varie libertà.104

Il tema delle disuguaglianze di genere è stato approfondito dalla filosofa

americana Martha Nussbaum105 secondo l’ottica seniana delle capacità. A differenza

di Sen, la Nussbaum ritiene che l’approccio delle capacità debba assumere una forma più dettagliata, il suo intento, come avevamo già specificato altrove in questa tesi, è quello di superare l’uso meramente comparativo della metodologia seniana ed elaborare una lista universalistica aperta e rivedibile di capacità umane fondamentali, che dovrebbero essere rispettati da tutti i governi di tutte le nazioni, e rivendicati da tutti i cittadini: affinché possa dirsi garantito il minimo esistenziale per il rispetto della dignità umana. Per la filosofa le disuguaglianze non sono semplicemente ed unicamente un problema di leggi ingiuste, regimi democratici e costituzionali sulla

104 Questo tema è trattato in Sen, Lo sviluppo è libertà. Perché non c’è crescita senza democrazia, Mondadori, Milano, 2000, p.

194.

(30)

carta continuano a tollerare forti discriminazioni sessuali. L’approccio delle capacità, basato su una lista di capacità di base, sarebbe in grado di garantire ai gruppi deboli una particolare attenzione per la giustizia sostanziale piuttosto che per quella formale, e far leva sulla necessità di realizzare azioni positive per affermarla.

La lista della Nussbaum costituisce dunque un’elencazione di valori universali validi per tutte le tradizioni culturali o religiose.

È chiaro a tutti che le capacità di cui parla Nussbaum prendono nella sua teoria il posto dei diritti: sono imprescrittibili né possono mai venire eluse a favore di altri tipi di vantaggi sociali.

L’approccio delle capacità presenta dei vantaggi rispetto all’approccio dei diritti: non rischia di essere considerato di importazione occidentale perché non è legato a una cultura particolare o ad una tradizione storica delimitata. Se parliamo di ciò che le persone sono effettivamente in grado di fare o di non fare, non diamo alcun privilegio ad un’idea occidentale, perché le idee di attività e capacità si trovano in qualsiasi cultura.

Questo approccio salvaguarda il valore della diversità di costumi senza preservare la brutalità di alcune pratiche, quali possono essere la violenza domestica, l’emarginazione femminile o la mutilazione genitale.

3.3 Le carestie

Ancora una volta Sen si oppone alla visione economica tradizionale che collega il fenomeno delle carestie a un crollo improvviso della quantità di cibo disponibile. Dai suoi studi empirici e teorici emerge l’impossibilità di considerare un simile evento alla luce di parametri troppo semplificatori che si rivelano inadeguati a coglierne la complessità.

Sen parte dalla considerazione che il fattore relativo alla disponibilità di cibo è meno determinante di quanto è stato sempre postulato, e che considerazioni sulle

(31)

scelte di politica economica e sul rapporto tra istituzioni e mercato possono fornire una chiave di lettura più adeguata allo studio del fenomeno.

“La fame non ha a che fare solo con la produzione alimentare e l’espansione dell’agricoltura, ma anche con il funzionamento dell’intera economia e, in senso ancora più ampio, con quegli assetti politici e sociali che possono agire, direttamente o indirettamente, sulla capacità della popolazione di procurarsi da mangiare e di mantenersi sana e ben nutrita. Inoltre, sebbene un’azione politica intelligente possa fare molto, è importante che il ruolo dello stato sia integrato da un funzionamento efficiente di altre istituzioni economiche e sociali: dagli scambi commerciali e di mercato all’attività dei partiti politici, delle organizzazioni non governative e delle istituzioni (compresi dei media ben funzionanti) che

alimentano e facilitano una discussione pubblica informata.”106

Le teorie economiche classiche sembrano ancora rifarsi alla prospettiva malthusiana del semplicistico rapporto tra risorse di cibo e popolazione. In base a questa prospettiva, la fame è vista come un problema di sovraffollamento e le carestie un effetto diretto della crescita della popolazione: la produzione non riesce a soddisfare la domanda. Dunque l’attenzione della maggior parte degli studi sulle carestie è incentrata sulla produzione nazionale di cibo, poiché la causa scatenante il fenomeno è da ricercare nella prolungata insufficienza che ad un certo punto giunge al tracollo, magari in concomitanza con un evento, quale una siccità o un’inondazione.

3.3.1 L’approccio seniano delle attribuzioni

Al cosiddetto approccio della disponibilità, o meglio relativo a quella visione delle carestie come diretta conseguenza del declino della disponibilità di cibo (food

(32)

availability decline, FAD), Sen contrappone il suo modello basato sulle attribuzioni (entitlement approach).

L’economia non distribuisce gli alimenti per carità o in base a meccanismi di distribuzione automatica, per cui la cosa di cui, secondo Sen, bisogna occuparsi non è l’offerta totale di cibo, ma il “titolo” che le persone possono o meno avere per disporre di tali beni. Nell’approccio seniano l’attenzione si concentra sui diritti che un individuo ha su panieri di merci, ivi compreso il cibo. In un simile ambito la morte per fame assume un connotato diverso: è il risultato della mancanza di un titolo valido per consumare un paniere con una quantità sufficiente di cibo.

La funzione di attribuzione dei titoli dipenderà in generale dalle caratteristiche giuridiche, politiche, economiche e sociali della società in esame, e nello specifico Sen parla di tre fattori determinanti: la dotazione, le possibilità produttive e le condizioni di scambio. Per dotazione Sen intende “il possesso di risorse produttive, o anche ricchezze, che abbiano un prezzo sul mercato”107. In generale il paniere di mezzi di cui dispongono gli individui comprende lavoro, terra e altre risorse. Ma nella realtà, gran parte dell’umanità dispone solo della propria forza lavoro. Le possibilità produttive sono relative alle innovazioni tecnologiche e alla capacità della popolazione di utilizzarle. Infine le condizioni di scambio rappresentano la capacità di vendere e acquistare merci e la determinazione dei prezzi relativi dei diversi prodotti (soprattutto di quelli relativi agli alimenti di prima necessità).

Per quanto riguarda la creazione di titoli la dotazione, sotto forma di terra e lavoro, può essere utilizzata direttamente per produrre cibo (è il caso dell’agricoltura), ma in alternativa la capacità di procurarsi da mangiare deriva dal reddito sotto forma di salario. Visto che la maggior parte degli esseri umani dispone solo della propria forza lavoro e quindi non produce direttamente generi alimentari necessari al proprio fabbisogno, la capacità d’acquisto di questi ultimi dipenderà dal salario ottenuto mediante il lavoro, dunque indirettamente dalla produzione di altri beni o servizi. Nello studio delle carestie risulta, dunque, di fondamentale importanza analizzare la

(33)

rete di interdipendenze che si viene a creare tra diversi settori produttivi. Può accadere, infatti, che moltissime persone perdano la capacità di procurarsi da mangiare perché non funziona la produzione in un settore che non è necessariamente quello alimentare. Per questo motivo bisogna fare molta attenzione al funzionamento del mondo del mercato. Durante un’emergenza economica le ragioni di scambio possono modificarsi in maniera sostanziale, provocando degli esiti rapidissimi e disastrosi. Alcune carestie sono state accompagnate da bruschi cambiamenti dei prezzi relativi dei prodotti o dei salari rispetto ai prodotti dovute alle cause più varie, di solito fenomeni climatici.

Da queste osservazioni appare chiaro che le carestie e la morte per fame sono un fenomeno molto più complesso di quello descritto da una semplice mancanza locale di cibo o da una relazione cibo-popolazione. Questa considerazione è confermata da un’ulteriore osservazione: all’interno di una data società non tutti i gruppi sono colpiti dalla catastrofe, né tutti allo stesso modo; molto dipende dalla posizione e dall’attività che un individuo svolge all’interno della comunità.

L’analisi approfondita di carestie molto diverse dimostra che in nessun caso l’approccio del declino nella disponibilità di cibo è in grado di spiegarne le cause né le dinamiche. Sen illustra questo argomento attraverso studi dettagliati, e a tal proposito potremmo considerare quelli riguardanti quattro grandi carestie: quella del Bengala (1943-1944); quella dell’Etiopia (1972-1974); quella del Sahel (1968-1973); quella del Bangladesh (1974).

La carestia del Bengala del 1943 fu caratterizzata da un periodo critico fra maggio e ottobre durante il quale ci fu un numero elevato di morti per fame, il tasso di mortalità rimase poi elevato per alcuni anni a causa delle epidemie provocate dalla carestia. Dalle statistiche si rileva che il raccolto di riso (che costituisce l’alimento di base della popolazione bengalese) del 1943 era in qualche misura calato, in relazione al raccolto dell’anno precedente, ma era molto più alto del raccolto del 1941, che non era stato un anno di carestia. Lo studio dimostra che cambiamenti relativamente piccoli nella disponibilità di cibo possono esser accompagnati da crescite drammatiche nel numero di morti per fame. Se indaghiamo sui gruppi sociali e

Riferimenti

Documenti correlati

• Negli anni della crisi (i dati sono fermi al 2012/2013…) la dinamica della diseguaglianza varia a seconda *dei Paesi, ma anche del *modo di misurare la diseguaglianza (riferimento

• Negli anni della crisi (dati fermi al 2012/2013…) la dinamica della diseguaglianza varia a seconda *dei Paesi, ma anche del *modo di misurare la diseguaglianza (Y o ricchezza

Gli svantaggi delle donne rispetto al mercato del lavoro e alla quali- tà dell’occupazione sono ancora notevoli, anche in re- lazione al loro forte impegno nelle attività di cura; la

Fra il 1985 e il 2016 la quota di donne nel settore privato è passata dal 33,3% al 40,3% e grandi modifiche si registrano quando si guarda alla composizione

I servizi di welfare, infatti, come gran parte dei settori dell’economia fondamentale, sono fortemente dipendenti dallo Stato che garantisce alle imprese private

3 Applicazioni del Capability Approach allo studio di fenomeni sociali: Povertà, diseguaglianza e carestie

La presenza di versamento pericardico è un riscontro piuttosto frequente nei pazienti affetti da anoressia nervo- sa (22-35%), è generalmente non emodinamicamente

In questo caso la soluzione c’è e si chiama snapshot printer: una famiglia di modelli nati per essere connessi direttamente alla fotocamera digitale (cosa che possono fare anche