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Introduzione: origine di un mito

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Academic year: 2021

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Introduzione: origine di un mito

Quando ci si accinge a parlare di un personaggio del mito, occorre sempre fare una premessa sulla natura della materia trattata: il personaggio mitico non sembra corrispondere ad una figura univoca, ma ad una molteplicità di immagini sovrapposte dai contorni poco definiti, ragion per cui è difficile riuscire ad afferrarne la personalità.

Il protagonista delle vicende mitologiche non nasce con una storia già ordinata e dettagliata così come la sua indole non è data una volta per tutte, ma è il racconto stesso nel suo farsi a determinare la sua specificità. Se vediamo il racconto mitico come una forma di linguaggio, capiremo meglio come solo attraverso la sua fruizione, nella sua narrazione e ricezione, le parti che lo compongono acquistino un valore in relazione agli altri elementi e come il loro significato contribuisca a creare una certa percezione del mondo e ne sia a sua volta condizionato e determinato. Perciò non si può parlare di un personaggio mitologico a prescindere dalla sua dimensione diacronica: esso difficilmente può essere isolato in una sua forma originaria che prescinda dalle successive rielaborazioni e dalle differenti versioni date della sua storia.

Il mito e tutti i personaggi che in esso vivono ed agiscono, siano essi divinità, eroi, o creature semi divine, rappresentano sempre un certo aspetto dell’esistenza, e rivestono significati ben precisi, anche se di volta in volta adattati alle necessità dei differenti contesti socio-culturali in cui operano.

Le varianti coesistenti di uno stesso racconto, gli episodi, spesso discordanti o incoerenti e difficilmente concordabili, legati ad un unico personaggio, sono conseguenza di tali adattamenti e non devono essere considerate versioni più o meno giuste o sbagliate, in quanto ognuna di esse, presa nella sua specificità, contribuisce a far emergere la sostanza più profonda del racconto. Una corretta lettura del mito deve spaziare attraverso le sue molteplici versioni e, partendo dall’analisi dei motivi, riuscire a ricavarne il senso profondo.

Prese nel loro insieme le singole vicende mitologiche vengono a costituire un tessuto compatto e variegato dal quale, sebbene non senza contraddizioni interne e varianti sovrapposte e compresenti, iati e ridondanze, sarebbe difficile isolarle. Esse vanno tutte insieme a formare un patrimonio che, saldamente ancorato nella coscienza collettiva, si diffonde all’interno di un’area incredibilmente estesa, soprattutto se consideriamo che il

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suo unico mezzo di divulgazione è quello orale e che il terreno in cui si muove spesso abbraccia realtà politiche ed antropologiche tra loro disomogenee.

Il problema delle origini di un patrimonio culturale tanto vasto non è a tuttora giunto ad una soluzione univoca e soddisfacente: se pure tutte le ipotesi finora formulate risultino plausibili e in grado di fare luce su determinati aspetti, tuttavia non giustificano nella sua totalità l’esistenza di un repertorio così ampio e articolato di storie, accessibile e alla portata di tutti.

Una delle ipotesi avanzate sull’origine del racconto mitologico è quella secondo cui esso trascriva in forma narrativa la memoria collettiva di antichi rituali ai quali si tentava di dare una spiegazione.

Molto spesso si è cercato di associare alcuni personaggi del mito con alcune figure di divinità decadute, generalmente reminescenze di culti pre-ellenici, improntati sulla figura di una Grande Madre (presente in varie forme cultuali nelle civiltà che durante l’età del bronzo abitavano le coste mediterranee). Il ricordo di questa divinità femminile avrebbe continuato a sopravvivere con il subentrare in Grecia di culti di derivazione indoeuropea che porteranno alla nascita della religione degli déi olimpi, imperniata sulla figura maschile di Zeus1.

Sulla base di alcune testimonianze relative al culto di Elena in varie città della Grecia si è creduto di vedere in lei i caratteri di un’antica divinità mediterranea che presiedeva al rinnovamento della vegetazione2. Questa figura, molto più antica rispetto al personaggio legato alle vicende della guerra di Troia, sarebbe poi stata identificata, attraverso un processo di declassazione, con l’Elena del mito, moglie di Menelao e regina di Sparta.

In questo processo di assimilazione sarebbero state coinvolte quindi due figure distinte: una sacra, l’altra storica. Si avrebbe cioè una seconda tendenza di segno opposto per cui il mito sarebbe il risultato di una progressiva eroicizzazione e deificazione di personaggi storici, il più delle volte re e regine, ma anche guerrieri particolarmente valorosi, la cui memoria veniva perpetrata dopo la morte attraverso celebrazioni pubbliche all’interno di ristrette comunità locali, e che poi finivano con l’essere associati a figure divine preesistenti, o col fondersi con forme di devozione non autoctone.

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Per un approfondimento sulle origini del mito: Kerenyi K., 1979.

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Anche se questa tesi non è esente da critiche e presenta diversi punti deboli, è importante comunque tenere a mente queste premesse quando nel mito ci imbattiamo in elementi che lasciano intravedere la persistenza di culti arcaici, o in caratteri che spesso si rivelano comuni a diverse figure mitiche, e che possono essere isolati come risalenti ad un'unica radice.

Nel personaggio di Elena confluiscono elementi provenienti da diverse matrici, il che ha portato a pensare al risultato di una fusione di due distinte individualità.

Partendo dall’origine del nome, la tradizione più antica vuole farlo derivare da quello della dea Selene (Σελήνε da cui Нελήνε), divinità lunare.

Questa ipotesi implicherebbe un legame con una triade divina, dal momento che la luna, data l’analogia dei suoi cicli con quelli che determinano la fertilità femminile, veniva messa in stretta associazione con la natura femminile e, nella fattispecie, l’alternarsi delle sue tre fasi era considerato in relazione alle fasi della vita della donna: vergine, ninfa e madre3.

In effetti, nella figura di Elena sembrerebbero essere riuniti questi tre aspetti nelle differenti forme di culto che gli erano tributate: a Sparta come vergine e come sposa (e così, come vedremo, anche in molte città dell’Attica), a Rodi, dove il suo culto era legato alla tradizione della sua morte per impiccagione, come donna non più giovane.

D’altro canto il motivo dell’impiccagione la metterebbe in relazione con tutta una serie di rituali di fertilità e rigenerazione connessi con divinità arboree. Anche Artemide, altra grande divinità legata alla fertilità ed alla Luna, era venerata in Arcadia, a Kondylea con il nome di Artemide Apankomenè (impiccata): con questa divinità lunare, vergine e figlia di Zeus, Elena sembra avere molto in comune, a cominciare dall’assonanza che lega il nome di sua madre Leda (che secondo un’interpretazione molto accreditata deriverebbe dalla forma persiana Lada che significa genericamente donna), con quello di Latona (Leto), madre di Apollo e Artemide.

Anche l’Elena oggetto di culto presso il Platanistàs di Sparta è una giovane vergine che, attorniata da sue coetanee, guida il corteo delle vergini nella danza: non si può evitare di notare l'analogia con le “sessanta fanciulle danzanti, figlie di Oceano, tutte di nove anni”

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che la dea bambina ottenne in dono dal padre Zeus perché andassero a formare il suo seguito di compagne4.

Il culto di Artemide, vista come dea delle danze delle fanciulle, mostra molte affinità con quello celebrato a Sparta in onore di Elena: nella Sparta arcaica e classica il culto di Artemide era associato ai riti segreti di iniziazione femminile, in particolare a quei riti che rappresentavano il distacco delle giovani dall'infanzia. In questo caso la dea tiene in mano una lira, oppure, come portatrice di luce, impugna due torce accese e fiammeggianti.

A questo punto bisogna prendere in considerazione un’altra etimologia del nome di Elena, che vedrebbe il nome derivare da helenē: fiaccola5. Tale significato di fiaccola ardente indicherebbe dunque la natura di una divinità luminosa e “splendente”, epiteto che ricorre non di rado in riferimento ad Elena. Inoltre il richiamo alla fiaccola metterebbe in relazione Elena con un certo tipo di cerimonie sacre in cui tali oggetti venivano utilizzati come suppellettili votive, ad esempio, come abbiamo visto, compaiono nel culto di Artemide come attributo della dea.

Helenē oltre ad essere la fiaccola liturgica, indicava anche un altro oggetto rituale: un cesto di vimini che veniva utilizzato per trasportare gli utensili sacri durante le cerimonie in onore di Artemide Brauronia6.

Vista la comune natura materica dei due oggetti, è probabile che tanto la torcia quanto la cesta prendessero il loro nome dal materiale con cui entrambi erano realizzati: un giunco. Quindi, probabilmente, si trattava di una pianta cui veniva riconosciuto un forte potenziale sacro in associazione alla dea, cui erano attribuite particolari virtù mediche e magiche (Artemide era anche la divinità che presiedeva, assieme ad Ilizia cui spesso era associata, al parto e alle nascite). Probabile che si trattasse di quell’elenio (helenium), che Plinio affermerà essere nato dalle lacrime di Elena, cui veniva attribuito il potere di conferire freschezza vigore al corpo, e che quindi veniva spesso utilizzato dalle donne come trattamento estetico7.

In ogni caso se davvero fosse questa l’origine del nome, si potrebbe ipotizzare una divinità arborea, celebrata con rituali di fertilità in cui un ruolo importante doveva essere

4 Callimaco, Inno a Artemide.

5 È l’interpretazione data nel Lessico di Esichio.

6Il centro principale di questo culto era a Braurone, nell'Attica. 7

Plinio, Naturalis Historia, XXI, 59: “Helenium e lacrimis Helenae dicitur natum, et ideo in Helene insula laudatissimum”

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svolto da vergini danzanti munite di fiaccole che forse erano agitate nella danza. Sappiamo, infatti, che rituali simili erano svolti in onore di Artemide Brauronia: probabile che nel corso del tempo fossero confluite in un’unica divinità, dai moli appellativi, differenti forme di culto appartenenti a divinità minori, di cui esistevano forme di devozione localizzabili in aree circoscritte. D’altro canto ritroviamo la stessa Elena danzare agitando delle fiaccole, quando dalla rocca di Troia, dopo l’ingresso del cavallo di legno entro le mura, segnalava in quel modo all’esercito greco appostato fuori città che la via era libera per l’attacco8.

Abbiamo quindi il quadro di una divinità della giovinezza, splendente, luminosa ma ambigua al pari della luna: portatrice di luce, ma anche di morte, come Artemide cacciatrice, il cui lato oscuro viene mostrato quando, imbracciato l’arco e le frecce, si rivela una dea inflessibile e spietata9.

Esiste un’altra ipotesi relativa all’origine del nome di Elena che creerebbe invece un legame con un’altra importante divinità, Afrodite. Il nome Helenè viene fatto risalire alla radice Velenè (Fελeνή), nome di un’antica dea-madre della fertilità da cui deriverebbe anche il nome latino di Venere. Anche se l’etimologia non pare troppo convincente è invece chiaro il legame di Elena con questa divinità, che, non a caso, sembra potersi identificare con l’ancestrale Nemesi (per alcuni, altro nome di Leda).

Se con Artemide Elena condivide l’aspetto virginale e il carattere di prorompente vitalità proprio della prima giovinezza, è da Afrodite che discende il suo potere seduttivo e la sua travolgente sensualità. A Sparta ella era onorata e invocata non solo come modello virginale delle giovani, ma anche come dispensatrice di bellezza e di fascino, assumendo connotati esplicitamente erotici.

Anche Afrodite, come divinità, affonda le sue radici nella personificazione femminile primigenia dei processi naturali, e anche lei assumeva talvolta la forma di una triade o di una coppia divina (le Afroditi, che a volte venivano identificate con le Ore, oppure con le Moire, o, come accadeva ad Atene, veniva considerata la più anziana delle tre).

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Virgilio, Eneide, VI, vv. 516-518: “illa chorum simulans euhantis orgia circum

ducebat Phrygias; flammam media ipsa tenebat

ingentem et summa Danaos ex arce uocabat.

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Spesso quando una divinità appariva come triplice, o quando un gruppo di divinità veniva considerato come unico e inscindibile, ciò rispondeva alla necessità di moltiplicare l’entità divina, onde celebrarne i differenti aspetti connessi al suo culto.

Afrodite, che in tempi più recenti riunifica in un'unica persona divina i suoi due aspetti, in quanto personificazione del godimento sessuale, manifesta due nature concorrenti: di supremo piacere, ma anche di forza malefica e distruttiva10.

Ancora in questa sua natura duplice ella si accosta a Nemesi, le cui origini sono individuate nel culto che le veniva tributato a Smirne, dove essa appariva sotto forma di divinità doppia e incarnava le forze ineluttabili che muovono il mondo attraverso l’avvicendarsi dei processi naturali. Solo in seguito la religione olimpica la identificherà con la giustizia divina, e ad essa sarà assegnato anche il ruolo di vendicatrice dell’offesa. Anche nel caso di Nemesi quindi una natura duplice accoglie in sé un aspetto positivo ed uno negativo: la tutela dell’ordine cosmico, e la punizione verso chi non si adegua ad esso. Nemesi rappresenta emblematicamente il caso di un culto in cui uno spirito della natura assume i connotati di esattore della giustizia divina11. Forse proprio in questo aspetto Nemesi sembra dare la chiave di lettura per il personaggio di Elena visto anche lo stretto legame tra le due12.

Elena è l’immagine del supremo godimento delle gioie di Amore, ma al contempo genera divisione e miseria sugli uomini, sopraffatti dal desiderio di afferrarla e possederla, se pure il possederla non comporta quella felicità sperata. In lei si incarnano, come in una triade divina, i caratteri di Artemide e di Afrodite, ma anche di Nemesi, la grande-madre: è questa complessità a rendere il personaggio difficilmente interpretabile, dal momento che sembra sottrarsi ad ogni definizione univoca.

10 Lindsay J.,1976, The judgement of Paris, pp.177-208. 11 Lindsay J., 1976, Nemesis, pp.300-332.

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Analizzeremo nel capitolo seguente la versione del mito che vuole Elena nata dall’unione di Zeus con Nemesi, e non già con Leda.

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