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Capitolo 4 CONTROLLO INTEGRATO

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Capitolo 4

CONTROLLO INTEGRATO

Le parassitosi, costituiscono, soprattutto per i ruminanti, un problema tuttora molto attuale, gli animali allevati al pascolo o in stalla sono continuamente esposti ai parassiti e possono costantemente infettarsi. Coccidi, nematodi gastrointestinali, trematodi e cestodi rappresentano le principali preoccupazioni per gli allevatori biologici ().

In passato si è abusato nell’utilizzo degli antielmintici, attratti soprattutto dalla loro capacità di ridurre la carica parassitaria negli animali in tempi brevissimi. Tuttavia questo ha portato a non pochi problemi, che vanno dall’accumulo dei residui nei prodotti animali ed alla loro dispersione nell’ambiente, allo sviluppo sempre più frequente di fenomeni di resistenza nei confronti di queste molecole chimiche (Jackson and Coop, 2000; Van Wik, 2001). Il trattamento effettuato su animali che si trovano in un ambiente contaminato è spesso anche inutile, in quanto dopo poco tempo questi si infettano nuovamente (Ambrosi, 1995; Thamsborgh et al., 1999).

I trattamenti antielmintici vengono fatti solitamente in un momento chiave del ciclo del parassita, ovvero nel momento di massima infestazione, che è variabile in base al parassita, al clima, al tipo di allevamento ed alla sensibilità alle molecole farmacologiche (Ambrosi, 1995). Altro fattore da considerare è che normalmente ci si trova di fronte al fenomeno del poli-parassitismo, per cui questo è molto difficile da mettere in pratica, dato che ogni parassita ha delle caratteristiche proprie e che i farmaci non sono efficaci su tutte le forme parassitarie (Ambrosi, 1995; Thamsborgh et al., 1999).

Per questi motivi ed anche per la diffusione del metodo biologico, che richiede una riduzione dell’utilizzo della terapie convenzionali e nel

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quale l’uso dei farmaci a scopi preventivi è vietato, attualmente per il controllo delle malattie parassitarie si consiglia l’uso del “Controllo Integrato” (Thamsborgh et al., 1999, 2001; Waller e Thamsborg, 2004). Per Controllo Integrato si intende l’uso combinato di misure di preventive, di varia natura, associate ad adeguate tecniche di gestione degli allevamenti, con lo scopo di ridurre al minimo l’utilizzo di agenti farmacologici chimici (Thamsborgh et al., 1999).

Questo tipo di approccio interdisciplinare include una serie di possibili strategie di controllo non chemio-terapiche, utilizzabili sia nell’allevamento biologico che convenzionale.

Le misure previste nel controllo integrato comprendono la gestione del pascolo, l’alimentazione, il controllo biologico, l’utilizzo di razze resistenti e il ricorso a terapie alternative quali fitoterapia ed omeoterapia (Thamsborg, 2001).

Lo scopo di questo tipo di controllo è quello di creare una situazione di equilibrio tra parassita e animale ospite, facendo in modo di abbassare la carica parassitaria; in questo modo si permette all’ospite di sviluppare una resistenza immunitaria nei confronti dei parassiti senza gravi conseguenze cliniche e produttive. Se un animale non è mai venuto a contatto con i parassiti non è un fattore positivo, in quanto si trova in uno stato di elevata sensibilità (Eysker, 2001; Ecological Agriculture Projects, 1984).

Un programma di controllo efficace deve avere come basi di partenza la conoscenza della biologia e dell’epidemiologia di un determinato parassita e l’utilizzo di misure preventive adeguate (Colditz et al., 1996; Shaw et al., 1998; Waller, 1999; Vercruysse e Claerebout, 2001).

Il primo passo per il controllo delle parassitosi è quella di conoscere la realtà dell’allevamento, questo può essere fatto attraverso il

monitoraggio delle parassitosi presenti in quel determinato allevamento al fine di individuare, attraverso analisi parassitologiche quali e quantitative, quali parassiti sono presenti e conoscere la prevalenza, l’intensità e la variabilità nel corso dell’anno di tutti i parassiti isolati. Solo dopo aver acquisito queste informazioni è infatti possibile individuare sia quali di essi rappresentano un reale problema

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per quel determinato allevamento che quali possono essere le misure, tra quelle previste nel controllo integrato, utili per il loro controllo.

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GESTIONE DEL PASCOLO

Il controllo delle endoparassitosi, attraverso una corretta gestione del pascolo, è tra le sfide principali per quegli allevatori che cercano di ottenere elevati livelli di benessere per i loro animali, questo richiede accurate programmazioni a lungo termine e deve tenere in considerazione diversi fattori, come la densità degli animali, le diverse fasce di età dei gruppi, il tempo e l’intensità del pascolamento (Younie, 2004; Ecological Agriculture Projects, 1984).

Diverse strategie di gestione dei pascoli possono minimizzare il rischio di una infezione parassitaria, fondamentale è la conoscenza del parassita, delle sue caratteristiche epidemiologiche e patogenetiche, la sua diffusione nella zona in cui ci si trova (Ecological Agriculture Projects, 1984).

Nel pianificare una adeguata gestione bisogna ricordare che per molte parassitosi i soggetti più sensibili sono i giovani soggetti, soprattutto quelli che vengono portati al pascolo per la prima volta (Colditz et al., 1996; Shaw et al.,1998), in quanto gli adulti hanno già sviluppato le difese immunitarie e ne subiscono meno gli effetti, ad eccezione delle fattrici nei periodi del parto e della lattazione.

In alcuni casi anche il momento della giornata in cui gli animali sono portati al pascolo può essere importante. Le larve degli strongili gastrointestinali, ad esempio, tendono a salire verso la cima delle piante la mattina presto, quando c’è la rugiada, e la sera dopo il tramonto, quando non sono più colpite dalla luce solare diretta e la temperatura è più mite. Per questo è importante cercare di condurre al pascolo gli

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animali quando la rugiada è già asciutta e di farli rientrare in stalla prima del tramonto (Ambrosi, 1995).

Allo stesso modo è bene ricordare che l’80% dei parassiti si localizza nei primi centimetri di vegetazione, quindi una misura preventiva può essere quella di introdurre gli animali nel pascolo quando l’erba ha raggiunto un’altezza di almeno 10 cm.

Ancora, per quanto riguarda gli strongili gastrointestinali, le larve infestanti si trovano sul pascolo in maggiori concentrazioni durante i mesi autunnali rispetto a quelli estivi, si dovrebbe quindi cercare di limitare le ore di pascolo in estate per poter ridurre la contaminazione nei mesi successivi (Ambrosi, 1995).

Un altro metodo che può aiutare nel controllo della diffusione delle endoparassitosi è la rotazione dei pascoli, ad esempio destinando i terreni, in modo alternato, al pascolo ed alla coltivazione, così da minare la sopravvivenza dei parasiti con le cure agronomiche o attraverso le successive fasi per la conservazione dei foraggi.

Solitamente le pratiche utilizzate per il controllo delle endoparassitosi possono essere classificate in tre principali tipologie, indicate come procedure evasive, preventive e “diluitive” (Thamsborg et al., 1999). Le metodiche preventive hanno lo scopo di evitare il contatto fra parassita ed ospite, ad esempio soggetti non infetti o trattati vengono inseriti in un pascolo pulito, libero da parassiti. Per pascolo pulito si intende un’area in cui il rischio di infezione è limitato perché la contaminazione è nulla o comunque molto bassa (Thamsborg et al., 1999). Il numero di parassiti, necessari a definire un pascolo pulito, varia in base alla specie in causa, al clima ed alla vitalità delle forme infettanti (Thamsborg et al., 1999; Younie, 2004). L’area in questione può essere un pascolo inutilizzato da anni oppure un pascolo permanente in cui specie di animali diverse si alternano oppure, ancora, terreni destinati alle produzioni agricole in cui gli animali vengono condotti dopo il raccolto (Thamsborg et al., 1999; Younie, 2004).

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Le strategie evasive prevedono lo spostamento degli animali da una zona infetta ad un’altra che non lo è. Gli spostamenti possono avvenire una o più volte durante la vita produttiva degli animali e possono essere associati a trattamenti allopatici, nel momento in cui questi si rendano necessari, utilizzando la pratica definita dagli autori anglosassoni “dose and moving” (letteralmente “tratta e sposta”) (Thamsborg et al., 1999). Anche in questo caso si utilizzano dei pascoli puliti, in cui, nella stessa stagione, non hanno pascolato animali appartenenti alla stessa specie. Questo tipo di piano prevede quindi la rotazione dei pascoli, ovvero la divisione del terreno in parcelle di varie dimensioni utilizzate in successione dagli animali (Thamsborg et al., 1999).

Da un punto di vista parassitologico, l’obbiettivo è evitare che gli animali tornino su una stessa parcella prima che il rischio di infezione sia diminuito, ovvero aspettare il tempo necessario affinchè le forme parassitarie infettanti si siano devitalizzate (Thamsborg et al., 1999). Di conseguenza si può dedurre che, maggiore è il numero di parcelle, o comunque il tempo di sosta in ognuna, minore sarà la carica parassitaria residua (Thamsborg et al., 1999).

Una accortezza che può essere utilizzata è quella di prevedere la divisione del gregge in gruppi distinti per età. Vista la suscettibilità degli animali giovani, questi dovranno essere fatti pascolare su campi con bassa contaminazione; per questa categoria animale si dovrebbero pertanto usare pascoli nuovi o campi coltivati (Thamsborg et al., 1999). Nell’allevamento biologico è più difficile ottenere buoni risultati con questi sistemi, in quanto non sono permessi trattamenti preventivi, e gli animali che giungono sul pascolo pulito continuano ad eliminare forme parassitarie. Questo fenomeno è notevolmente accentuato se ci si trova nel cosiddetto peri-parturient rise o lactation-rise, che consiste in un aumento notevole dell’emissione di uova che inizia nel periodo che precede il parto e si prolunga anche durante la lattazione, rendendosi responsabile di una notevole contaminazione ambientale (Younie et al. 2004). Gli aumenti dei livelli di infezione che si realizzano, soprattutto verso fine giugno inizio luglio, possono essere aggirati spostando gli animali su un altro pascolo (Thamsborg et al., 1999; Younie et al. 2004).

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Sull’utilità del trattamento antiparassitario degli animali in queste particolari fasi vi sono idee fortemente contrastanti; da una parte esso è largamente sconsigliato, in quanto contribuisce ad aumentare lo sviluppo di una popolazione parassitaria resistente agli antielmintici, perchè le forme parassitarie che vengono eliminate sui pascoli sono spesso quelle che sono sopravvissute al trattamento allopatico (Thamsborg, 1999; Cabaret et al., 2002). Barger (1997) afferma, tuttavia, che un approccio chemioterapico può essere utilizzato nelle pecore e negli agnelli al momento dello svezzamento.

Per poter applicare in modo ottimale questa tecnica è necessario conoscere approfonditamente le dinamiche della popolazione parassitaria che si trova nell’ambiente, soprattutto è necessario conoscere quanto tempo è necessario affinché un pascolo possa essere definito a rischio e quanto tempo deve passare per poterlo ritenere sano (Eysker, 2005).

La teoria della diluizione si basa sulla convinzione che è possibile ottenere animali più resistenti alle infezioni aumentando il rapporto tra animali suscettibili e resistenti. La diluizione può essere ottenuta in vari modi, partendo sempre dal presupposto che gli animali giovani sono i più suscettibili, ad esempio facendo pascolare gli agnelli con soggetti adulti, ormai immunizzati, con animali appartenenti ad altre specie o semplicemente riducendo la densità degli animali. Due sono i sistemi di controllo principali utilizzate, ovvero tecniche di pascolamento miste ed alternate tra specie diverse, ad esempio tra ovini e bovini.

Alcuni autori (Barger, 1999; Reinecke, 1994; Fernandes et al., 2004), hanno confermato che il controllo delle parassitosi attraverso un sistema di pascolo alternato può ridurre la carica infestante se i bovini vengono fatti pascolare prima delle pecore. Questi greggi presentano livelli di positività coprologica notevolmente ridotti rispetto ad altri che vengono periodicamente trattati con antielmintici o in cui viene praticata la semplice rotazione dei pascoli.

Per quanto riguarda il pascolo misto, di bovini con ovini, i dati a disposizione sono meno, ad esempio in Nuova Zelanda è stato

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sperimentato un sistema in cui il pascolo era così organizzato: l’area a disposizione è stata divisa in due blocchi principali, uno utilizzato per le giovani rimonte tenute con i bovini ed uno per le pecore adulte. Ognuno dei due pascoli è composto da vari recinti, le rimonte devono essere spostate ogni 7-14 giorni e non devono tornare sullo stesso terreno per almeno 60 giorni. Le pecore rimangono nella loro area per il periodo che intercorre tra lo svezzamento degli agnelli ed il parto successivo, quindi passano nel paddock dei bovini e viceversa. Le pecore, con i giovani nati, vengono spostati mensilmente tra i vari recinti, fino a quando gli agnelli, una volta svezzati, vengono spostati nel pascolo insieme ai bovini (Cabaret et al., 2002).

Uno studio effettuato da Marley (2004), che ha avuto la durata di quattro anni, ha comparato gli effetti sulle performance produttive degli agnelli, valutate come incremento ponderale, e sulla loro carica parassitaria, in due diversi sistemi di gestione di pascolo, misto ed alternato. I risultati ottenuti sono risultati in linea con quelli ottenuti in lavori analoghi, ed hanno dimostrato che il pascolo alternato, ottenuto utilizzandolo prima per i bovini, consente di ridurre i livelli di infezione negli agnelli appena svezzati in maniera più marcata rispetto al pascolo misto ed in tempi più brevi, tuttavia a lungo andare i risultati che si ottengono sono pressoché equivalenti.

Buoni risultati si possono ottenere, come già accennato, anche semplicemente riducendo la densità degli animali per unità di superficie (Thamsborg, 2001; Marley, 2006). In questo modo è possibile ridurre il numero di parassiti eliminati dall’ospite e di conseguenza il grado di contaminazione del pascolo (Stromberg, 1997). La densità incide in modo variabile in base all’età degli animali, alla specie parassitaria in causa ed ai livelli di contaminazione iniziale del pascolo (Thamsborg, 1999).

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4.2

ALIMENTAZIONE

L’alimentazione rappresenta una componente fondamentale del controllo integrato, animali ben nutriti riescono infatti a sviluppare delle buone difese immunitarie nei confronti delle parassitosi, reagendo nei loro confronti più efficacemente ed in tempi minori, rispetto a soggetti malnutriti (Holmes,1993).

Molte ricerche sono state fatte, e sono tuttora in atto, per capire la relazione intercorrente fra lo stato nutrizionale e le infezioni parassitarie negli ovini, così come anche nelle altre specie.

Importante risulta a tal fine comprendere quali sono gli effetti negativi che i parassiti causano nei loro ospiti e come è possibile sfruttare l’alimentazione per migliorare la resistenza e la resilienza degli animali (Coop and Holmes, 1996).

In base all’età dell’animale ed al loro stadio fisiologico, le risorse alimentari, una volta assorbite, vengono ripartite per i vari fabbisogni di mantenimento, accrescimento e riproduzione. Se è in corso un’infezione i parassiti vanno a sottrarre una quota delle sostanze ingerite, che non sarà più disponibile per l’animale. A tal proposito, Coop ed Holmes (1996) prima e Bishop e Starter (2003) poi, hanno dimostrato che se l’apporto proteico non riesce a coprire i fabbisogni alcune di queste funzioni vengono compromesse, ad esempio quella immunitaria (Rahmann, 2007).

Da studi effettuati si evidenzia che le infezioni parassitarie determinano una diminuzione del metabolismo, legata principalmente alla perdita di proteine, ed una riduzione nell’efficienza di utilizzazione dell’energia metabolizzabile (Coop e Kyriazakis, 1999).

È stato visto che un supplemento nell’alimentazione, soprattutto di proteine, è capace di ridurre ed alleviare gli effetti patogeni negativi delle infezioni parassitarie, causando una diminuzione delle perdite produttive, una diminuzione della conta fecale dei parassiti e, per quanto riguarda la produzione di lana, un aumento del diametro delle fibre del vello (Thamsborg, 2001, Rahmann, 2007).

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L’utilizzo di proteine in grado di bypassare il rumine sarebbero l’elemento ideale, nonostante ciò, essendo vietate nel regime biologico l’utilizzo di urea e di farine di pesce, è necessario trovare altre soluzioni. Obbligatorio diventa, pertanto, mettere a disposizione pascoli di ottima qualità (Thamsborg, 2001; Younie, 2004).

Le categorie di animali a cui viene fornito il supplemento alimentare sono quelli con maggiore suscettibilità, ovvero giovani soggetti e fattrici in prossimità del parto. In base al rapporto costi/benefici un aggiunta di foraggi, concentrati ed eventualmente proteine by-pass, può essere fornita anche ad animali che vengono tenuti costantemente al pascolo, soprattutto in inverno, ma anche in caso di stagioni siccitose, dove l’approvvigionamento sul pascolo è minore ().

Per quanto riguarda gli agnelli, l’integrazione è importante in particolare se somministrata alla fine della stagione del pascolo, perché è in questo periodo che si sviluppa l’infezione parassitaria, che può andare ad inficiare sulle future performance produttive (Knox, 2006).

Sulla somministrazione di un supplemento proteico a fine gravidanza sono stati fatti innumerevoli studi e, benché siano stati ottenuti spesso risultati differenti, tutti concordano sull’effetto benefico che queste ottengono.

È stato dimostrato che la somministrazione di fonti proteiche aggiuntive nel periodo del parto può ridurre il fenomeno del peri-parturient rise, sia in termini di intensità che di durata, questo però solo se anche durante la gestazione l’apporto di proteine è stato adeguato (Thamsborg, 2001; Younie, 2004).

Coop ed Holmes (1996), studiando gli effetti dell’apporto proteico sui parassiti, sono giunti alla conclusione che il supplemento nutrizionale non previene l’instaurarsi dell’infezione parassitaria, ma permette all’animale di sviluppare una risposta immunitaria più efficace, con una diminuzione nell’eliminazione fecale dei parassiti ed aiuta a prevenire successive infestazioni, inoltre Valderábano (2002) riporta anche una riduzione di fertilità e prolificità della popolazione parassitaria, accompagnata da una diminuzione delle dimensioni dei parassiti.

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Un altro aspetto dell’alimentazione che può aiutare nel controllo degli elminti è l’utilizzo dei cosiddetti foraggi bioattivi o nutracetici. Questi sono dei foraggi che contengono dei metaboliti secondari (le nutricine), che contribuiscono a ridurre l’infezione parassitaria e che sono utilizzati più per il loro effetto benefico sulla salute animale che per il loro valore nutrizionale (Waller e Thamsborg, 2004).

L’introduzione di piante ad azione antielmintica potrebbe rappresentare un notevole aiuto, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, in quanto di facile realizzazione e poco costosa.

Queste piante possono costituire una parte importante della dieta e possono essere fornite dopo essere state tagliate oppure coltivate ed essere destinate al pascolo, la scelta migliore è quella di inserirle nella rotazione delle colture (Younie et al., 2004). Il pascolo può essere esclusivo oppure misto ad altre cultivar. Nonostante i risultati incoraggianti, ancora molte ricerche devono essere svolte per poter applicare nella pratica l’utilizzo di foraggi nel controllo delle parassitosi. I limiti derivano in particolar modo dalle innumerevoli variabili che agiscono su questa tipologia di controllo, in quanto i foraggi, e le sostanze in essi contenuti, sono influenzati dalla stagione, dal clima e dalla cultivar.

Questo importante aspetto verrà considerato più approfonditamente nel paragrafo relativo alla fitoterapia.

4.3

CONTROLLO BIOLOGICO

Il controllo biologico rappresenta un metodo di controllo della popolazione parassitaria attraverso l’utilizzo di microrganismi viventi che vengono introdotti in un ambiente (Thamsborg, 1999). Con questo tipo di controllo preventivo non si va ad agire sugli animali colpiti da un’infezione parassitaria, bensì si va a cercare di interrompere le fasi parassitarie che si svolgono nell’ambiente esterno.

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È un campo di ricerca abbastanza recente, per quanto riguarda il controllo integrato, ma che promette notevoli passi avanti per la prevenzione delle parassitosi (Larsen, 1997; Vercruysse, 1998).

Lo scopo è sempre quello di mantenere la popolazione parassitaria, diffusa nell’ambiente, al di sotto della soglia necessaria a provocare sintomi clinici o perdite economiche, permettendo allo stesso tempo di ridurre anche la carica parassitaria nell’ospite mettendolo nelle condizioni di sviluppare una buona immunità naturale acquisita (Gronvold et al., 1993; Wolstrup et al., 1994; Nansen et al., 1995; Thamsborg, 1999;Larsen et al., 1995,1997,2006).

Tra le varie strategie di controllo biologico, l’utilizzo dei funghi nematofagi per il controllo dei nematodi gastrointestinali dei ruminanti è quella che ha mostrato una riduzione nella popolazione larvale nei pascoli più significativa (Larsen, 1997).

Questi funghi sono ubiquitari, ma si trovano soprattutto in ambienti ricchi di materiale organico, come le feci od il compost. Nei vari studi che si occupano e si sono occupati di controllo biologico l’attenzione è stata rivolta soprattutto all’utilizzo delle spore di Duddingtonia flagrans (Larsen, 1997; Thamsborg, 1999; Waller e Thamsborg, 2004).

Questo fungo ha tre principali caratteristiche: le sue spore resistono alla digestione e germinano nelle feci, dove possono attaccare le larve, si moltiplica e si accresce velocemente all’interno delle feci umide e possiede un’attività nematofaga aggressiva (Larsen et al. 1991,1992,1994,2006; Waller e Faedo, 1993; Waller et al. 1994; Faedo et al. 1997; Llerandi-Juarez e Mendoza-de Gives, 1998, Chandrawathani et al 2002; Waller e Thamsborg, 2004).

L’azione di questo fungo si esplica cercando di interrompere il ciclo dei parassiti prima che le larve possano raggiungere l’erba nel pascolo ed essere quindi ingerite ( Waller e Thamsborg, 2004). Il fungo agisce solo sugli stadi larvali. Così come gli altri funghi nematofagi, per

Duddingtonia flagrans, i nematodi rappresentano un’importante fonte

di nutrimento (Barron, 1997).

Per massimizzare l’effetto dei funghi nematofagi è importante, per prima cosa, assicurare un basso livello di infestazione del pascolo

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attraverso la gestione del pascolo o eventualmente trattamenti antielmintici strategici. È stato visto che successivamente, somministrando per due stagioni le spore del fungo, diminuisce la popolazione larvale e così anche la necessità di ulteriori trattamenti chimici.

Studi effettuati hanno dimostrato che la somministrazione delle spore sottoforma di integrazione alimentare possono costituire un valido metodo per il controllo a lungo termine dei nematodi. Altri metodi prevedono la miscelazione insieme all’alimento o ai minerali, anche se in questo modo le dosi assunte risultano enormemente variabili (Thamsborg, 1999; Larsen, 2006).

Risultati molto positivi si sono ottenuti con la somministrazione attraverso l’uso di boli ruminali a lento rilascio (Chandrawathani et al., 2002). Il problema principale rimane determinare quale sia la dose efficace. Da studi effettuati si è visto che dosi tra le 100000 e 1000000 spore per Kg di peso somministrati a pecore infette possono portare ad una riduzione nel numero di larve infettanti dal 70 al 95% (Thamsborg, 2002).

Il fungo e le uova devono essere presenti contemporaneamente nelle feci per poterne avere gli effetti benefici, di conseguenza le spore devono essere somministrate giornalmente o comunque con bolo ruminale a lento rilascio (Faedo et al., 2000).

Per quanto riguarda il controllo dei trematodi, possono essere utilizzati varie specie di volatili, sia terrestri, quali oche e tacchini, che acquatiche, quali anatre e beccaccini che si nutrono di molluschi gasteropodi che rappresentano ospiti intermedi dei F. haepatica e D. dendriticum (Ambrosi, 1995).

Batteri, funghi, protozoi, vermi terricoli ed artropodi coprofagi potrebbero avere un ruolo nella prevenzione delle parassitosi, anche se le ricerche su un loro probabile utilizzo nella pratica aziendale sono ancora poche.

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4.4

RESISTENZA GENETICA

La forte spinta selettiva operata sugli animali allo scopo di aumentare i livelli produttivi ha portato ad un declino delle performance riproduttive e ad una diminuzione della resistenza (Rauw et al., 1998). Lo sfruttamento della resistenza genetica delle razze sembra essere promettente e potrebbe consentire di tenere sottocontrollo le infezioni parassitarie se applicato insieme alle altre metodiche di prevenzione. L’utilizzo di razze geneticamente resistenti potrebbe essere una soluzione permanente che non richiede l’apporto di ulteriori risorse esterne e costi addizionali.

L’esistenza di razze geneticamente resistenti è stata ipotizzata, e poi studiata, principalmente in animali allevati nei paesi in via di sviluppo, dove la combinazione di fattori sfavorevoli, quali malnutrizione, condizioni ambientali scadenti, elevati livelli di infestazione parassitaria e scarso uso della medicina convenzionale, hanno operato una selezione naturale con nascita di animali resistenti (Baker, 1998, 2003; Waller e Thamsborg, 2004).

A svantaggio delle razze resistenti gioca il fatto che le loro produzioni risultano inferiori, Beilharz (1993) e da Rauw (1998) hanno formulato una teoria secondo cui c’è una correlazione negativa tra performance produttive e stato sanitario degli animali. Infatti se un animale concentra le sue risorse su una singola funzione, in questo caso le produzioni, non saranno poi disponibili per tutte le altre, quali la risposta immunitaria incidendo sul stato di salute (Pryce, 2004).

Molti studi evidenziano la resistenza degli ovini a diversi parassiti, in particolare H. contortus, Trichostrongylus spp., O. circumcincta. Il parametro più utilizzato per la valutazione della resistenza è la quantità di uova per grammo di feci (FEC), che costituisce il metodo più efficace per stimare il livello dell’infestazione influenzato da fattori ambientali e fisiologici, ma anche dalla suscettibilità o dalla resistenza ai parassiti (Waller, 1999). Contemporaneamente, notevoli progressi vengono fatti da un punto di vista genetico per la ricerca del gene responsabile del

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carattere resistenza, attraverso la comparazione delle mappe genomiche (Waller e Thamsborg, 2004).

L’individuazione dei tratti genomici in causa può risultare utile per la selezione di razze resistenti.

Con le tecniche di miglioramento genetico è possibile selezionare nelle razze più produttive, ed al contempo più suscettibili nei confronti dei parassiti, il carattere della resistenza (Waller e Thamsborg, 2004).

La spinta verso la selezione di razze più resistenti è operata soprattutto dal settore biologico, per motivi etici, economici e sanitari (Pryce, 2004). Anche la normativa del biologico incentiva verso l’utilizzo e la valorizzazione delle razze autoctone, più rustiche e maggiormente adattate al territorio, che spesso rischiano l’estinzione in seguito alla sostituzione con le razze cosmopolite.

Nonostante i benefici che si prospettano nell’utilizzo della resistenza genetica per il controllo delle parassitosi, le ricerche in questo campo richiedono tempi lunghi, anche perché lungo è l’intervallo di generazione negli allevamenti, ed i risultati sono controversi ed insicuri, proprio per la difficile relazione intercorrente tra produttività e salute (Waller e Thamsborg, 2004).

4.5

FITOTERAPIA

L’utilizzo delle piante a scopi terapeutici ha un uso molto antico anche se, con l’avvento dei moderni antielmintici, è caduto in disuso. In questi ultimi anni si sta diffondendo, sia nei paesi industrializzati che in quelli in via di sviluppo, un interesse sempre maggiore verso queste piante ritenute curative.

Le piante che si ritiene abbiano un’azione antielmintica sono davvero tante, ad esempio la pianta e le foglie di menta, cipolla o noci sembrano agire contro i parassiti gastrointestinali, i semi di cetriolo e zucca contro i cestodi, gli estratti di Artemisia spp. ed Acacia contro i parassiti ematici (Guarrera, 1999; Adewunmi et al. 2001; Denaro et al. 2001; Lans

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et al. 2000). Il contributo principale alla scoperta di piante o loro estratti aventi proprietà antielmintiche deriva principalmente dall’etnoveterinaria, le cui preparazioni sono utilizzate in varie parti del mondo (Anon., 1994, 1996; Bizimana, 1994;Waller et al., 2001; Wanyama, 1997a,b; Watt and Breyer- Brandwijk, 1962). Per quanto riguarda l’efficacia di queste piante, poche sono quelle per cui c’è un’evidenza scientifica, ovvero per cui sono stati svolti adeguati test, sia in vivo che in vitro (Githiori et al., 2006).

Un lavoro recente, effettuato in medicina umana, ha riunito le piante per cui sono stati effettuati studi scientifici validati, solo 58 sono risultate corrispondenti ai criteri (Cabaret et al., 2002). Tra le piante più diffuse per il trattamento delle parassitosi: Ginko biloba, Hypericum

perforatum, Allium sativum, Vaccinium macrocarpum, Echinacea purpurea, agustifolia e pallida, la cui efficacia non è testata

scientificamente.

I meccanismi con cui certe piante o loro estratti, una volta ingeriti, possano determinare una diminuzione nella vitalità, motilità o fecondità dei parassiti sono spesso sconosciuti. Per alcune piante è stato suggerito che l’effetto antiparassitario sia secondario ad un miglioramento delle difese immunitarie dell’ospite, indotto dal supplemento alimentare, (Githiori et al., 2006; Athanasiadou e Kyriazakis, 2004), per altre si ipotizza la presenza di composti ad azione antielmintica diretta, che possono essere principi attivi o metaboliti secondari, alcuni sono stati identificati.

Recentemente una classe in particolare di composti ha attirato l’attenzione dei ricercatori, ovvero i tannini condensati, un gruppo eteregeneo, la cui concentrazione nelle piante dipende dal tipo di terreno, dalla cultivar e dalla piovosità.

Il contenuto in tannini può variare da tenori intorno allo zero in alcuni tipi di specie vegetali, fino al 40% in alcune piante tropicali (Younie, 2004).

Un buon contenuto in tannini, intorno al 5%, è presente anche in alcuni foraggi come la sulla, il ginestrino o la lupinella, che oltre a questi possiedono anche altri metaboliti secondari attivi e anche un alto valore

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nutritivo. Studi nel loro utilizzo per il controllo delle elmintosi stanno dando buoni risultati, sembra infatti che abbiano una certa attività antielmintica e, a determinati stadi di maturazione, agiscono come vermifughi (Anderson, 1987).

L’introduzione dei tannini nella dieta degli ovini determina una riduzione del numero di escrezione delle uova fino al 50%, per una azione combinata di riduzione della fertilità dei parasiti adulti ed una loro eliminazione diretta. Inoltre possono agire riducendo la capacità invasiva delle larve (Waller e Thamsborg, 2004).

Un’introduzione inferiore al 10% nella dieta degli ovini consente di proteggere le proteine dalla degradazione ruminale formando con esse dei composti insolubili, aumentandone la quantità disponibile che raggiunge il piccolo intestino (Waghorn et al., 1997; Waller 1999; Thamsborg et al., 1999).

Il meccanismo d’azione dei tannini è pressoché sconosciuto, non si sa se la sua azione deriva da proprietà specifiche o dal semplice fatto di consentire alle proteine di by-passare il rumine aumentandone i livelli assorbiti (Thamsborg et al., 1999,2004; Waller, 1999).

I tannini sembrano inoltre non agire su tutti i parassiti; infatti in uno studio effettuato da Athanasiadou (2001), hanno dimostrato di essere efficaci su quelli del piccolo intestino, ma non su quelli abomasali. Particolarmente ricco di tannini risulta l’estratto di Quebraco, la cui somministrazione può permettere di ridurre il numero di uova eliminate ed il numero di parassiti adulti che sono localizzati nel piccolo intestino degli ovini. Risulta fondamentale approfondire gli studi su questi composti e, in particolare, quelli sui loro effetti secondari a lungo e breve termine, e sulle loro dosi giornaliere, in quanto somministrazioni elevate per lunghi periodi si sono talvolta dimostrate deleterie per la salute animale (Githiori et al., 2006).

Anche la cicoria sembra dare risultati interessanti, utilizzata come pascolo per gli ovini sembra assicurare un soddisfacente controllo dei parassiti abomasali. La cicoria non è un foraggio molto ricco di tannini, tuttavia contiene altre componenti interessanti, tra cui ad esempio il sesquiterpene lattone, appartenente alla categoria dei terpenoidi, che in

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vitro ha già dato dimostrazione di attività antielmintica e la curarina, un composto fenolico (Waller e Thamsborg, 2004; Molan et al, 2000).

4.6

OMEOPATIA

L’omeopatia rappresenta una delle più comuni e diffuse alternative all’utilizzo della medicina convenzionale, il cui impiego è sollecitato anche dai regolamenti comunitari. (Vaarst et al., 2004).

Questa pratica nasce intorno al XVIII secolo, dagli studi di un medico tedesco, Samuel Hahnemann e si basa su sette principi fondamentali da lui enunciati.

1. PRINCIPIO DELLA SIMILITUDINE: “Similia Similibus Curentur”, secondo cui il rimedio appropriato per curare una malattia è quello che, somministrato in un soggetto sano, induce i sintomi che si vogliono curare in quello malato;questo dimostra il parallelismo presente tra il potere tossicologico di una sostanza ed il suo potere terapeutico. Secondo questa teoria i risultati della terapia sono migliori più sono simili i sintomi che presenta il paziente con quelli che induce il rimedio omeopatico nel soggetto sano.

2. PRINCIPIO DELL’ENERGIA VITALE: “dynamis”, l’omeopatia considera l’essere vivente nella sua pienezza, ovvero come un’insieme in cui il corpo e l’anima si fondono in maniera inscindibile l’uno nell’altro; ad animare questo essere è proprio la forza vitale, che presiede alle funzioni organiche ed ai ritmi biologici e che permette di vivere una meravigliosa vita armonica di sensi ed attività. (Hahnemann, Organon). Secondo la medicina omeopatica, l’insorgenza di uno squilibrio, o disritmia, che altera l’energia vitale conduce alla malattia, che inizialmente non viene percepita, ma nel tempo tende a manifestarsi con sintomi sia fisici che psichici.

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3. VIS MEDICATRIX NATURAE: il trattamento omeopatico fornisce all’organismo gli input necessari a ristabilire spontaneamente il proprio equilibrio, o euritmia, stimolando le sue difese naturali. Secondo gli omeopati infatti ogni essere vivente ha già in se le risorse necessarie alla guarigione, ma con la somministrazione dei rimedi è possibile aiutare ed accelerare questo processo.

4. PRINCIPIO DELLA DOSE MINIMA INFINITESIMALE: i rimedi sono somministrati in dosi altamente diluite, infatti gli omeopati ritengono che attraverso la diluizione e la successiva dinamizzazione le proprietà farmacologiche delle sostanze di partenza vengono notevolmente potenziate. Hahnemann afferma che “Con questo semplice trattamento le forze nascoste allo stato greggio e quasi dormienti vengono sviluppate in modo incredibile e risvegliate ad attività”.

5. PRINCIPIO DELLA SPERIMENTAZIONE PURA: l’unico modo per sapere quali alterazioni può causare un rimedio in un essere vivente è quello di somministrarlo singolarmente. La raccolta accurata dei sintomi omeopatici che derivano dalla somministrazione di un particolare principio, consentono di definire la Patogenesi del medicamento. Importante è capire che le parole Sintomi e Patogenesi non hanno lo stesso significato che in medicina convenzionale. La Patogenesi Omeopatica rappresenta l’insieme dei sintomi che una sostanza produce quando viene somministrata individualmente ad un soggetto sano.

6. PRINCIPIO DEI MIASMI O DIATESI COSTITUZIONALI: I miasmi sono le cause profonde delle malattie, Hahnemann individua tre principali cause di alterazione dell’energia vitale, la Psora, la più importante, che causa una diminuzione delle difese immunitarie aumentando quindi la suscettibilità alle malattie, la Sicosi, caratterizzata da reazioni dell’organismo eccessive, come ad esempio una ipertrofia, e per ultima la Sifilis, caratterizzata da un processo distruttivo che si manifesta attraverso disfunzioni, ulcerazioni e perversioni. Secondo l’omeopatia, ogni individuo è predisposto ad un certo stato di malattia in base alle sue

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caratteristiche fisiche e mentali ed alla sua predisposizione ereditaria.

7. PRINCIPIO DELL’INDIVIDUALIZZAZIONE DEL RIMEDIO: dopo aver raccolto i dati ed aver analizzato i sintomi si effettua la repertorizzazione, in modo tale da poter identificare il rimedio più simile e quindi più adatto alla malattia in causa. Per poter far questo è necessaria la conoscenza dei rimedi, ovvero della Materia Medica, e l’utilizzo appropriato del Repertorio. I rimedi sono riportati nella cosiddetta Materia Medica, costantemente aggiornata, che associa a ciascuno i propri sintomi corrispondenti. Al contrario, il Repertorio, elenca per ogni sintomo un possibile rimedio. Ad oggi sono conosciuti in omeopatia oltre 5000 rimedi, di cui solo 150 vengono usati con elevata frequenza (Del Francia, 1997).

L’applicazione del metodo omeopatico prevede una serie di fasi: inizialmente è necessario raccogliere i sintomi, tra questi bisogna scegliere quelli che risultano più significativi; Hahnemann nella sua opera, l’Organon, afferma che “bisogna attenersi soprattutto, e quasi esclusivamente,ai sintomi oggettivi e soggettivi caratteristici, più appariscenti, più insoliti, più originali e personali…”. Spesso i sintomi omeopatici possono apparire irrilevanti, in quanto non sono solo dei disturbi fisici, ma anche comportamentali. Si effettuano un esame obbiettivo generale ed uno speciale dei singoli apparati, indagini strumentali e di laboratorio. Come detto prima è necessario valutare il comportamento degli animali, mettendolo in relazione al loro etogramma, ed il loro modo di rapportarsi all’ambiente e di reagire a determinati stimoli. Attraverso un colloquio approfondito con chi si prende cura degli animali si cercherà di individuare le patologie più frequenti ed i problemi più rilevanti (Del Francia, 1997; ).

A questo punto è necessario analizzare il caso, andando a cercare degli elementi di congiunzione tra i vari sintomi, in quanto bisogna sempre tenere

presente che sono interdipendenti tra loro. Si vanno a ricercare i rimedi che presentano una patogenesi il più possibile simile a quella del

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problema riscontrato nel gruppo esaminato, effettuato quindi una repertorizzazione.

Dopo essere arrivati alla scelta del rimedio il passo successivo è quello di decidere la potenza. Come già accennato in precedenza, le sostanze di partenza vengono sottoposte a due successive fasi; la diluizione e la dinamizzazione, che si realizza attraverso una serie di 100 succussioni. Le metodiche con cui queste possono essere realizzate sono diverse: decimale (DH), centesimale (CH), korsakoviana (K), cinquantamillesimale (LM).

In caso di diluizioni superiori a 9 CH non è più dimostrabile la presenza di alcuna molecola all’interno del preparato, tuttora non è ancora ben chiaro il meccanismo con cui i rimedi possano agire, si pensa che questi sfruttino meccanismi di natura neuroendocrina.

Le sostanze utilizzate nella pratica omeopatica possono essere di origine vegetale, animale o minerale. Le piante o loro parti vengono sottoposte ad estrazione alcolica o ad estrazione glicerica, ottenendo rispettivamente la tintura madre o il macerato glicerico. I rimedi di origine animali possono derivare da animali interi o segmentati, oppure ancora da loro organi (animali superiori) o secrezioni. Infine, per quanto riguarda i minerali, che sono insolubili in acqua, questi vengono triturati ripetutamente fino a divenire solubili.

Il rimedio può essere confezionato in forma liquida o in granuli inerti di lattosio impregnati della soluzione.

L’utilizzo dell’omeopatia negli allevamenti biologici presenta notevoli vantaggi, soprattutto perché, rispetto alle terapie convenzionali, consente di ottenere un residuo zero nei prodotti di origine animale, non ha impatto ambientale e non valgono le critiche che attribuiscono i risultati delle cure omeopatiche all’effetto placebo.

Per gli animali allevati è difficile conoscere bene i pazienti, il loro stato attuale, la loro storia, il loro modo di reagire a determinati stimoli, e soprattutto le condizioni in cui vivono. Per l’omeopata infatti la malattia rappresenta una reazione dell’animale a determinate condizioni in cui si trova o a ciò che lo circonda. In questo caso di notevole importanza è il

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dialogo con chi più di tutti vive a stretto contatto con l’animale. (Vaarst et al., 2004).

Per ottenere una guarigione, con i medicinali omeopatici, è necessario eliminare il più possibile tutti quei fattori di tipo ambientale o gestionale che possono rappresentare un ostacolo. Da questo si deduce che un prerequisito fondamentale è rappresentato da una corretta gestione dell’allevamento, con particolare attenzione al benessere animale.

Nonostante l’ampia diffusione di questa disciplina, spesso mancano dei dati scientifici che attestino l’efficacia e l’assenza di effetti secondari dei rimedi omeopatici, di conseguenza è necessario che sotto questo punto di vista la ricerca prosegua. (Schoen, 1994; Vaarst, 1996, 2004; Smith-Schalkwijk, 1999). Il metodo di elezione per la validazione di un rimedio omeopatico è la sperimentazione in doppio cieco, ci sono dei veri e propri protocolli da seguire strettamente. (FEDESA, 1995; Altman, 1999). Per la valutazione degli effetti del rimedio è possibile eseguire delle prove in doppio cieco, trattando soggetti sani con rimedi omeopatici a diluizioni crescenti e gruppi di controllo con il placebo.

Per quanto riguarda l’utilizzo dell’omeopatia nel trattamento delle parassitosi, sono pochi gli studi con valenza scientifica e spesso aventi risultanti contrastanti. Ad esempio Gibbon ha effettuato, nel 2002, uno studio sull’utilizzo dell’omeopatia come possibile alternativa agli antielmintici, confrontando due gruppi di pecore, uno trattato omeopaticamente ed uno in modo convenzionale con Levamisole. Dai risultati ottenuti è stato possibile mettere in evidenza che nel gruppo di controllo trattato con il levamisole la diminuzione della conta fecale delle uova era solo temporanea e gli animali potevano facilmente reinfestarsi. Al contrario nel gruppo omeopatico si è osservata una netta riduzione nel numero di opg successivamente al secondo trattamento omeopatico, interessanti sono stati soprattutto i risultati ottenuti nel periparturient rise. Secondo Gibbon rimedi omeopatici, può essere somministrato mensilmente dopo il periodo di pascolo estivo, con lo scopo di controllare le infezioni da parte di elminti abomasali.

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L’Omeopatia non elimina i parassiti, bensì permette all'ospite di sviluppare una resistenza nei loro confronti. L'omeopatia può essere utile per il mantenimento di un soddisfacente stato di salute e benessere degli animali più in termini di prevenzione che di cura. Uno dei principali ostacoli è rappresentato dalle scarse conoscenze scientifiche (Gibbon, 2002). Altri studi analoghi hanno, al contrario, messo in evidenza uno scarso effetto dei rimedi sulle parassitosi, ad esempio secondo uno studio effettuato da Rocha et al. nel 2006, dopo sei mesi di trattamenti giornalieri non è stato possibile rilevare alcun beneficio nella salute o nella produttività degli ovini, rendendo inutili l’impiego dei rimedi sia a scopo curativo che profilattico.

Rahmann e Seip affermano che spesso le cure omeopatiche sono inadatte nel trattamento delle elmintosi acute. Questo può dipendere anche dal fatto che spesso l’omeopatia viene praticata anche da chi non ha le qualifiche e le conoscenze adatte, infatti talvolta dosi non corrette possono causare un aggravamento delle condizioni dei pazienti o una iper reazione.

In conclusione, si può dire che l'omeopatia ha il potenziale per aiutare l'animale a superare le condizioni di deterioramento indotte dall’infezione parassitaria, ma attualmente viene considerata un mezzo inadatto come misura a breve termine nel trattamento dei nematodi intestinali negli allevamenti biologici , (Cabaret et al., 2002b; Humann-Ziehank and Ganter, 2005). È tuttavia ipotizzabile un’efficacia nella prevenzione delle infestioni basata sulla possibile acquisizione di meccanismi di resistenza attraverso trattamenti ripetuti, resi più efficaci da un’opportuna rotazione di pascoli che consenta il risanamento del terreno successivamente alla fase di eliminazione indotta dall’esaltazione del self-cure conseguente alla somministrazione del rimedio omeopatico.

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