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Decisione N del 15 febbraio 2018

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Academic year: 2022

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COLLEGIO DI BOLOGNA

composto dai signori:

(BO) MARINARI Presidente

(BO) LONGOBUCCO Membro designato dalla Banca d'Italia

(BO) PAGNI Membro designato dalla Banca d'Italia

(BO) SOLDATI Membro di designazione rappresentativa

degli intermediari

(BO) ALVISI Membro di designazione rappresentativa

dei clienti

Relatore CHIARA ALVISI

Seduta del 23/01/2018

FATTO

Con ricorso presentato in data 29.5.2017, unitamente a copia del preventivo reclamo dd.

19.4.2017, la società ricorrente deduce di aver perfezionato, in data 24.11.2010, con un intermediario in seguito incorporato dall’odierna resistente, un contratto di leasing immobiliare (n. ***009), della durata di 18 anni, per un importo finanziato pari a 1.980.000,00 euro. L’art. 4 del contratto di leasing indica il “corrispettivo totale della locazione finanziaria in euro 2.413.326,40, oltre imposte, da suddividere in 216 canoni, di cui il primo di euro 270.000,00 oltre imposte, da versare contestualmente alla sottoscrizione del rogito di compravendita; nonché n. 215 canoni mensili di euro 9.968,00, oltre imposte, da versare a decorrere dal primo giorno del 1° mese susseguente alla consegna”. Sempre l’articolo 4, ultimo comma, del contratto di leasing prevede che “il corrispettivo della locazione finanziaria sarà ricalcolato semestralmente giusta il regolamento di indicizzazione allegato al presente contratto sub A. Il tasso leasing nominale, giusta delibera CICR 4.3.2003 – Istruzioni della Banca d’Italia 25.07.2003, applicato al presente contratto è pari al 2,7%”.

Il ricorrente lamenta, anche a mezzo della perizia allegata al ricorso, l’indeterminatezza delle condizioni economiche di cui all’art. 4 del contratto di leasing. Il ricorrente deduce che la formula per ricavare il tasso leasing nominale (che è un tasso interno di attualizzazione) è quella individuata dalla Banca d’Italia nel paragrafo 3 delle “Istruzioni

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per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi” del 2009. In base a tale formula è possibile calcolare il ‘tasso interno di attualizzazione” ove si conosca il valore dei canoni periodici e le altre variabili della formula. Viceversa, in base alla stessa formula, è possibile calcolare l’importo dei canoni periodici se si conosce il valore del tasso interno di attualizzazione. Secondo il ricorrente, affinché l’oggetto del contratto sia determinato è necessario che “qualunque sia l’incognita per la quale si risolve l’uguaglianza (ovvero che sia il tasso leasing, dato il valore dei canoni periodici, oppure che sia il valore dei canoni periodici, dato il tasso leasing) il risultato ottenuto sia univoco”. Per contro, nel caso di specie, se si calcola il Tasso leasing escludendo dal calcolo tutte le commissioni e gli oneri pattuiti il valore del Tasso leasing nominale risulterebbe pari a 2,7554%. Se invece si calcola il Tasso leasing includendo gli oneri accessori all’erogazione del credito il valore risulterebbe pari a 2,7942%, laddove il contratto di leasing riporterebbe, invece, il tasso leasing nominale del 2,70%. Ne deriva che nel primo caso il calcolo del canone periodico sarebbe pari ad euro 9.924,20, nel secondo caso il canone periodico sarebbe di 9.893,00 euro, mentre applicando il tasso leasing nominale indicato nel contratto (pari al 2,70%) il canone periodico risulta di 9.968,96 euro. Ne deriverebbe, secondo il ricorrente, che “il contratto di leasing stipulato” dallo stesso “presenta pattuizioni economiche, quali quelle indicate all’art. 4 del contratto (riferite al tasso leasing e/o all’importo del canone periodico) che non consentono di determinare in modo univoco il piano di rimborso applicato al contratto”.

Il ricorrente lamenta, pertanto, l’indeterminatezza e l’indeterminabilità dell’oggetto del contratto, e dunque la violazione dell’art. 1346 c.c., in quanto nel caso di specie il tasso di leasing non sarebbe desumibile dal contratto con certezza, come sarebbe invece necessario al fine di “ritenere sussistente il requisito della determinabilità dell’oggetto del contratto di cui all’art, 1346 c.c.” (cfr. Cass. civ., sentenza n. 25205/14).

All’indeterminatezza ed indeterminabilità dell’oggetto del contratto conseguirebbe, secondo il ricorrente, non già la nullità del contratto bensì la mera nullità parziale della relativa clausola (quella concernente la determinazione del tasso del leasing), che verrebbe dunque sostituita dalla disposizione di cui all’art. 1284, terzo comma, c.c., ai sensi della quale “gli interessi superiori alla misura legale devono essere determinati per iscritto; altrimenti sono dovuti nella misura legale”, con conseguente sostituzione del tasso contrattuale con il tasso legale vigente al momento della stipula, individuato nella perizia allegata al ricorso nella misura dell’ 1,00%. Ricalcolando il piano di ammortamento del leasing al tasso dell’1,00%, il ricorrente ottiene un canone periodico mensile pari a 8.606,43 euro, oltre Iva. Considerando di aver complessivamente corrisposto in favore della società di leasing importi maggiori rispetto a quanto dovuto in base al piano di ammortamento ricalcolato al legittimo Tasso Leasing, il ricorrente afferma di aver indebitamente corrisposto all’intermediario la somma di euro 114.770,95 (pari alla differenza tra tutte le rate effettivamente pagate e le rate ricalcolate al tasso legale maggiorato delle spese sostenute dalla società al momento della stipula del contratto) di cui, dunque, chiede la restituzione ovvero la compensazione con il debito residuo che, alla data del 1.8.2016, risultava pari a 1.290.959,60 euro (all. 20). Ne consegue, secondo il ricorrente, che il nuovo debito residuo alla data dell’1.8.2016 risulterebbe pari a 1.176.188,65 euro (ovvero 1.290.959,60 euro – 114.770,95 euro). Il ricorrente chiede, inoltre, all’ABF di rideterminare il canone mensile del leasing immobiliare oggetto di controversia nell’importo di euro 7.830,86 con decorrenza dal 1 settembre 2016, fermo restando l’importo del riscatto finale.

Il ricorrente conclude chiedendo all’ABF di procedere al ricalcolo dei rapporti dare/avere tra le parti, applicando al contratto di leasing – in sostituzione del tasso di leasing

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convenzionale, attesa la nullità dell’art. 4 del contratto per indeterminatezza ed indeterminabilità del corrispettivo - il tasso legale dell’1%, con conseguente rideterminazione del debito residuo nella misura di euro 1.176.188,65 alla data del pagamento dell’ultima rata, il 31.7.2016, o nella diversa misura valutata di giustizia, detratto l’importo di quanto versato, nel pregresso, in eccedenza rispetto al dovuto, come da perizia allegata al ricorso sub 2. Il ricorrente chiede, inoltre, all’ABF di procedere al ricalcolo dei canoni futuri, nella misura pari ad euro 7.830,86 di ciascuno a partire da settembre 2016, o nella diversa misura valutata di giustizia.

In data 2.8.2017 si costituiva l’intermediario depositando le proprie controdeduzioni ed una perizia di parte. L’intermediario eccepisce che i calcoli effettuati nella relazione tecnica allegata al ricorso non sarebbero conformi alla lettera del contratto, poiché il perito del ricorrente: - i) avrebbe “calcolato il tasso interno di attualizzazione peritale (mensile), trasformandolo poi in un tasso annuo “equivalente” anziché “nominale”, come invece esplicitamente convenuto in contratto. Evidentemente, il tasso risultante è leggermente superiore al tasso leasing nominale per effetto della capitalizzazione mensile”; ii) avrebbe effettuato i calcoli prendendo in considerazione degli oneri contrattuali accessori previsti ai fini del calcolo del TEG dalla normativa sull’usura, benché il tasso leasing ed il TEG siano due indici differenti, il cui calcolo è normativamente diverso. L’indeterminatezza lamentata dal ricorrente sembrerebbe combinare infatti “riferimenti normativi sull’usura con quelli sulla trasparenza, selezionando di volta in volta quanto più conveniente”; - nel contratto in esame sarebbe stato calcolato il tasso interno di attualizzazione periodale conformemente alla normativa di riferimento; - il contratto in discussione qualificherebbe il tasso leasing come “nominale” e non equivalente, come invece sostenuto dalla società ricorrente; - l’esplicita qualificazione del parametro contrattuale “tasso leasing nominale” indicherebbe inequivocabilmente il criterio per la trasformazione del tasso interno di attualizzazione periodale in tasso annuo; - la trasparente qualificazione del parametro contrattuale come

“tasso leasing nominale” non lascerebbe alternative applicative da un punto di vista matematico – finanziario per la determinazione del piano di rimborso dei contratti e darebbe luogo ad un’unica applicazione possibile che assicurerebbe la coerenza di tutte le condizioni dei Contratti (tasso leasing nominale, importo netto finanziato, importo dei canoni e del riscatto, periodicità e durata). L’Allegato 1 alle perizia tecnica dimostrerebbe infatti che, dato il valore dei canoni periodici e del riscatto, il tasso periodale mensile per il quale si verifica l’uguaglianza con l’importo netto finanziato sarebbe pari a 0,22499963%, cui corrisponderebbe il tasso leasing nominale indicato in contratto, pari al 2,70%

(0,22499963% * 12).

L’intermediario conclude chiedendo, anche alla luce di quanto dettagliato nella controperizia allegata sub 4 alle controdeduzioni, di rigettare le avverse domande in quanto infondate, previo accertamento della legittimità della condotta della banca.

DIRITTO Incompetenza per valore.

Seppur l’intermediario nulla abbia eccepito in via pregiudiziale, il Collegio rileva che parte ricorrente formula domande che superano la competenza per valore attribuita all’ABF.

Trattando di questione pregiudiziale, attinente alla stessa ammissibilità del ricorso, il

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Collegio può esaminarla d’ufficio. In tal senso la giurisprudenza dell’ABF è concorde (si veda, ad esempio, quanto statuito dal Collegio di Milano, con la decisione n. 3722/16:

“Ancorché l’eccezione non sia sollevata dall'intermediario, la questione di procedibilità del ricorso, poiché introduce una domanda che non è di mero accertamento e che perciò esorbita dalla competenza per valore dell’Arbitro, deve essere rilevata d'ufficio”).

Nel caso di specie, parte ricorrente invoca la nullità (per indeterminatezza) della clausola concernente il corrispettivo contrattuale nonché l’applicazione, in sua sostituzione, dell’art.

1284 c.c. Conseguentemente, il ricorrente chiede all’ABF il ricalcolo del piano di ammortamento mediante la sostituzione del tasso contrattuale con il tasso di interesse legale vigente al momento della stipula del contratto di leasing, individuato in perizia nella misura dell’ 1,00%. All’esito di siffatto ricalcolo, parte ricorrente chiede all’ABF la

“restituzione” della somma di euro 114.770,95, che secondo la tesi del ricorrente sarebbe stata indebitamente pagata, ovvero di operarne la compensazione col debito residuo, pari alla differenza tra tutte le rate effettivamente pagate e le rate ricalcolate al tasso legale, maggiorato delle spese sostenute all’apertura del contratto (cfr. Tabella 20 allegata al ricorso).

Come è noto, la Sez. I, § 4 delle “Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari” prevede che: «All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono. Se la richiesta del ricorrente ha ad oggetto la corresponsione di una somma di denaro a qualunque titolo, la controversia rientra nella cognizione dell’ABF a condizione che l’importo richiesto non sia superiore a 100.000 euro».

In relazione alla suddetta questione pregiudiziale, l’orientamento dell’ABF, sulla scia della pronuncia del Collegio di Coordinamento n. 3169/14, è favorevole ad un’interpretazione non formale ma sostanziale dell’oggetto della domanda, al fine di verificare l’eventuale eccedenza del petitum rispetto al limite valoriale fissato.

Secondo quanto ritenuto dal Collegio di Coordinamento, decisione n. 3169/14:«(…) il richiamato § 4 [pare] debba essere letto nel senso che il limite di valore trova sì applicazione soltanto nei casi di domande aventi, formalmente e direttamente, ad oggetto l’attribuzione di una data somma di denaro o di un bene da parte dell’intermediario, e tese dunque a ottenere la condanna di quest’ultimo al relativo pagamento, ma preclud[e] altresì quelle domande che pur formalmente aventi ad oggetto l’accertamento di diritti o obblighi che abbiano ad oggetto prestazioni di valore superiore alla soglia, siano strumentalmente ed esclusivamente finalizzate all’esercizio di azioni volte alla condanna dell’intermediario per importi superiori a 100.000 euro (cfr. decisione n. 1946/2012 Collegio di Napoli). Tanto osservato con riferimento al quadro sistematico e regolamentare, venendo al caso di specie deve osservarsi come, su di un piano formale, la domanda formulata dall’istante si atteggi a domanda di mero accertamento, tesa a verificare la reclamata illegittimità della condotta dell’intermediario (rectius, la piena legittimità (…) della richiesta di pagamento sia del [ricorrente] sia da parte del beneficiario” della stand-by letter of credit”) e, pertanto, non abbia apparentemente ad oggetto alcuna pretesa risarcitoria o altra richiesta di pagamento di somme di denaro. Tuttavia, detta domanda, proprio per la sua formulazione, tradisce la volontà di ottenere una pronuncia che sotto la forma dell’accertamento attesti il diritto a richiedere il pagamento dell’importo di cui alla lettera di credito escussa dal creditore della ricorrente e come tale prodromica rispetto alla proposizione davanti all’Autorità Giudiziaria Ordinaria di un’azione di condanna dell’intermediario al pagamento degli importi in contestazione. O meglio, se si vuole, come l’accertamento dell’obbligo qui

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richiesto costituisca il presupposto stesso della successiva domanda di condanna. Di qui l’inammissibilità della domanda proposta. PQM Il Collegio dichiara il ricorso irricevibile».

Nello stesso senso si è successivamente espresso il Collegio di Roma, con le decisioni n.

10794/17 (“Le Disposizioni ABF (…) prevedono un limite di competenza per valore di euro 100.000,00, che nella specie risulta ampiamente oltrepassato (…). Nel caso specifico come detto, la domanda è intesa alla restituzione di somme, superiori complessivamente al suddetto importo, che si assumono corrisposte o addebitate in eccesso, e dunque non può che essere dichiarata inammissibile”) nonché con decisione n. 8496/16 («Il Collegio ritiene fondate le eccezioni preliminari di inammissibilità del ricorso sollevate dall’intermediario. Al riguardo si osserva che l’accoglimento del ricorso comporterebbe lo svincolo e il pagamento da parte della banca di una polizza fideiussoria di € 350.00,00 oltre interessi legali. Si è dunque, evidentemente, al di sopra della competenza per valore fissata per l’ABF. Come peraltro si è osservato con il Collegio di coordinamento n.

3169/14, il § 4 del Regolamento ABF deve essere letto nel senso che “il limite di valore trova sì applicazione soltanto nei casi di domande aventi, formalmente e direttamente, ad oggetto l’attribuzione di una data somma di denaro o di un bene da parte dell’intermediario, e tese dunque a ottenere la condanna di quest’ultimo al relativo pagamento, ma precluda altresì quelle domande che pur formalmente aventi ad oggetto l’accertamento di diritti o obblighi che abbiano ad oggetto prestazioni di valore superiore alla soglia, siano strumentalmente ed esclusivamente finalizzate all’esercizio di azioni volte alla condanna dell’intermediario per importi superiori a 100.000 euro”. Quando la domanda si atteggi a domanda di mero accertamento, tesa a verificare la reclamata illegittimità della condotta dell’intermediario e, pertanto, non abbia apparentemente ad oggetto alcuna pretesa risarcitoria o altra richiesta di pagamento di somme di denaro, occorre considerare se la domanda, proprio per la sua formulazione, tradisca la volontà di ottenere una pronuncia che sotto la forma dell’accertamento attesti il diritto a richiedere il pagamento e sia a tal fine prodromica rispetto alla proposizione davanti all’Autorità Giudiziaria Ordinaria. O meglio, se si vuole, come l’accertamento dell’obbligo qui richiesto costituisca il presupposto stesso della successiva domanda di condanna. Nel caso di specie l’accertamento è evidentemente strumentale allo svincolo e dunque deve ritenersi inammissibile il ricorso, per incompetenza per valore»).

Nel caso all’esame del Collegio, la domanda proposta dalla società ricorrente è volta ad ottenere, come si legge nel ricorso e nella perizia allegata al ricorso ,“la restituzione ovvero il detratto dal debito residuo” della somma di euro 114.770,95. Si tratta, dunque, di una domanda che, secondo quanto previsto dalle Disposizioni cit. “ha ad oggetto la corresponsione di una somma di denaro” di importo superiore ai 100.000,00 euro.

Nel caso di specie, che la domanda spiegata dal ricorrente oltre soglia non si riduca ad una mera domanda di accertamento dell’indebito, risulta evidente anche con riferimento all’invocata compensazione giudiziale di quanto pagato dal ricorrente, asseritamente in eccedenza, con quanto ancora dovuto dal resistente. Si tratta, infatti, di una domanda con la quale il ricorrente chiede non solo l’accertamento del suo indebito ma altresì la liquidazione dell’asserito debito restitutorio nonché l’estinzione, per via di compensazione giudiziale, del suo debito residuo fino a concorrenza dell’importo dell’asserito indebito, pari in ipotesi ad euro 114.770,95.

Alla luce di quanto sopra, il Collegio dichiara il ricorso inammissibile in quanto eccedente la sua competenza per valore.

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PER QUESTI MOTIVI Il Collegio non accoglie il ricorso.

IL PRESIDENTE

firma 1

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