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IL CARNEVALE DELLA VITA

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Academic year: 2022

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IL CARNEVALE DELLA VITA

“Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti”

(L. Pirandello – “​Uno nessuno e centomila”​)

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Introduzione

In questa tesina abbiamo cercato di rielaborare con un certo equilibrio le idee che siamo riusciti ad estrarre dalle opere di Luigi Pirandello e dal nostro personale incontro con esse.

Abbiamo impostato il saggio su un argomento trattato dall’autore in svariate forme e in circostanze narrative diverse: le maschere, tema che ci coinvolge in prima persona: viviamo oggi in un contesto storico sicuramente diverso da quello di Pirandello, ma simile quanto ai contenuti. Tanti problemi analizzati dal nostro autore ci si presentano ancora irrisolti, universalmente avvertiti come centrali anche nel mondo di oggi: ad esempio quello, per noi fondamentale, dell’identità. Ciascuno vive in una forma, sottratto al flusso vitale di ciò che semplicemente esiste, celando sotto una o più maschere la propria originale e “unica”

umanità. Ciascuno vive, e rischia di morire, nel proprio personalissimo Carnevale.

«Sono una ragazza spesso critica con sé stessa, per cui faccio il possibile per “apparire” il sabato sera, che viene considerata da tutti una sera di svago. Ma perché ostinarsi ad

“apparire”? Perché non posso essere me stessa? Sono piena di paure e insicurezze; al di là di quello che possiamo intendere in genere con la parola “maschera”, per me ha due significati fondamentali: “apparire” e “nascondere”. Vogliamo essere chi non siamo, somigliare a qualcuno, oppure nascondere il nostro volto» . 1

Abbiamo scelto un metodo di analisi semplice: leggere alcuni dei romanzi e degli scritti più significativi dell’autore paragonandone il contenuto con la nostra esperienza umana, per comprenderne dall’interno la complessità e l’inquietudine che sono profondamente nostre.

L’obiettivo assunto è quello di cercare di capire il significato delle sue opere e il profondo messaggio che vogliono trasmetterci. In realtà questo lavoro rappresenta per noi soltanto un primo passo nel cercare di entrare nel mondo e nello sguardo dell’autore sul mondo. Ci auguriamo, dopo averlo conosciuto grazie all’esperienza dei Colloqui Fiorentini, di continuare a frequentarlo negli anni che verranno, conoscendo un po’ di più anche noi stessi nell’incontro con lui.

1​Dal tema di Chiara, una di noi (ottobre 2016).

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1. LA MASCHERA PERFETTA.

“Altre volte non siamo noi a nasconderci dietro una maschera ma sono gli altri a modellarci addosso identità a noi estranee poiché la concezione che questi hanno di noi non coincide col nostro vero essere”. (L. Pirandello - ​“Il Fu Mattia Pascal”​)

Che cos’è la “maschera perfetta”?

La maschera perfetta è quella più ambita, quella immacolata, quella che la società ci dipinge e costruisce in base alle sue esigenze, quella che in fondo anche l’uomo desidera per definirsi veramente realizzato nel mondo. La maschera perfetta, materialmente irraggiungibile, è l’illusoria aspirazione di ogni uomo, che invece ne indossa una per ogni occasione, volontariamente o involontariamente, cercando di sottrarsi alle interpretazioni che gli altri intorno a lui danno della sua “persona”. La maschera perfetta - l’etimologia latina ce lo indica in maniera potente - è quella che lascia “risuonare più forte” l’unicità della nostra presenza nel mondo, il nostro vero volto interiore.

Pirandello racconta nelle sue opere le difficoltà dell’uomo di adeguarsi alla società e al mondo circostante, pur lottando sempre per rimanere unito in sé stesso, per trovare questo suo

“vero volto”.

“Or che cos’ero io, se non un uomo inventato? Una invenzione ambulante che voleva e, del resto, doveva forzatamente stare per sé, pur calata nella realtà.” (L. Pirandello - ​“Il Fu Mattia Pascal”​). All’opposto, ogni tentativo partorisce un “uomo inventato”, costretto a “stare per sé”, pur “calato nella realtà”. La maschera porta l’uomo ad immedesimarsi in una realtà conforme a ciò che di lui vedono gli occhi degli altri, fabbricandosi un volto che, si illude, sia reale.

Leggendo viene il sospetto che ogni personaggio ideato da Pirandello abbia qualcosa della vita stessa dell’autore: ogni personaggio è come se volesse “scavalcare” lo spazio del racconto stesso, come per andare oltre la maschera indossata per imposizione di un mondo pieno di pretese, talvolta a loro volta mascherate da amore, confidenza, rispetto. In molti

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racconti questa dinamica ritorna, con caratteristiche leggermente variate, ma sempre originando estraneità, angoscia, tormento, tutti sentimenti troppo forti per essere esito di semplice finzione letteraria. Noi lettori ci sentiamo come travolti dall’evidenza esistenziale di certi “imprevisti” rivelativi inseriti nella maglia fitta e ripetitiva delle vicende narrate.

Sentiamo nostalgia della nostra “maschera perfetta”, spinti dalla lettura a desiderare una realtà che sfugga, a partire dalla finzione pirandelliana che invita a vivere, alle convenzioni, alle costrizioni e alle costruzioni che quotidianamente la soffocano.

La maschera perfetta racchiuderebbe in sé ogni aspetto e capacità che l’uomo deve possedere in ​relazione alla società del suo tempo, ma ovviamente nessun personaggio riesce ad indossare una maschera che si avvicini ai canoni di ciò che possa essere concepito come

“perfetto” per l’epoca. Nel momento in cui i personaggi sembrano avvicinarsi alla perfezione, ecco che cadono nel ridicolo. Molti di essi infatti, sul più bello, si rendono goffi e vengono

“smascherati”, privati all’improvviso proprio di quella maschera che con presunzione hanno cercato di rendere “vera”, in tutto conforme a quella “perfetta”, rivelatasi irraggiungibile.

Le nostre tante facce, quelle create di fronte alle diverse situazioni della vita, rappresentano di solito mondi lontani, ma incarnano tutte insieme il volto finale, l’icona, mutevole ma ultimamente gigia, degli infiniti modi di intendere la vita, di modificarla, di pretenderla perfetta, ben presenti e attivi tra noi. Questo tentativo di concepire e di esercitare un potere semidivino nei confronti della nostra e della altrui umanità è sem ​pre imperfetto. Quanto più si maschera di perfezione, quanto più pretende di fon ​dare in se stesso una presunta fraternità e uguaglianza, e di essere la soluzione dei proble ​mi umani, quanto più ci fa somigliare perciò a divinità impenetrabili, in discoteca, sui social come sulla passerella a cui riduciamo le nostre giornate, alle feste scintillanti come nei più semplici ritrovi tra amici, tanto più diviene disumano, fallimentare, tragico e, paradossalmente, ridicolo.

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2. LA CRISI DI IDENTITA’ GENERATA DALLA MASCHERA.

La società tende all’uniformità e ognuno viene valutato e giudicato​secondo gli stessi criteri.

Generalmente si tende a fondare la vita su obiettivi come il successo lavorativo, un reddito soddisfacente, uno stile di vita agiato. In un mondo in cui si è pilotati dall’apparenza, un’altra grande pecca è proprio la competizione. Nell’ambiente scolastico o universitario si tende a giudicare ogni ragazzo con un numero: più è alto, più sarà ritenuto adeguato allo stereotipo del giovane intelligente e di successo che la società odierna si è plasmato a sua immagine.

Corrispondere ad un identikit tracciato da altri: sembra essere questa la massima aspirazione delle giovani generazioni. Nasce così la competizione, da cui siamo, anche se inconsapevolmente, travolti: “chi indossa la maschera migliore?” In questo caso la maschera ha le sembianze di un numero, in cui si crede di poter condensare il “vero” talento e le “vere”

capacità di una persona. Ad ognuno viene assegnata una maschera ed ognuno tenderà, nel tempo, ad identificarsi con essa, perdendo di vista ciò che è e vuole essere realmente.

Oltre a dipendere dal periodo storico, la maschera a cui aspirare cambia anche in base all’età.

È normale da ragazzi cercare una certa popolarità tra i propri coetanei e un esempio forte sulla base del quale costruire, con caparbietà a tratti disperata, il proprio carattere; passata la giovinezza, gli obiettivi sono sempre più ambiziosi e la maschera sempre più forte e decisa, forse violenta.

Pirandello, come tutti i grandi autori, coglie in anticipo e con evidenza di rappresentazione che la maggior parte delle persone aspira a nascondersi dietro una maschera o addirittura aspira a possedere un’altra identità, come accade a Mattia Pascal: dopo che tutto il paese lo ha creduto morto, egli ne approfitta per fuggire dalla propria vita ed assumere la forma di un altro uomo, per vivere un’altra vita, che spera nuova e felice, con il nome di Adriano Meis.

Nessuno ha da se stesso il proprio nome. Sono i nostri genitori a sceglierlo per noi. Mattia Pascal vorrebbe, decidendo egli stesso di chiamarsi Adriano Meis, imponendo, simbolicamente, a se stesso un nuovo nome, darsi la vita da sé. E’ il sogno di Prometeo, di rubare il fuoco agli dei.

Inconsciamente desideriamo “mascherare” il nostro volto secondo le aspettative del mondo, nasconderlo per evitare di affrontare indifesi la realtà. Meglio ancora se la maschera dietro la

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quale ci nascondiamo coincide con quella che tutti vorrebbero vedere, ai primi del ‘900 come nell’era degli smartphone e delle nuove tecnologie; tempi che sembrano lontanissimi, eppure il succo della questione è sempre la ricerca della “maschera perfetta”, e pochi sono coloro che, affacciandosi al mondo reale, si rendono conto che tutti, consapevoli o no, tendiamo a mascherarci per entrare nella vita. La maschera si sostituisce lentamente alla nostra pelle, complici gli sforzi che facciamo per farla aderire perfettamente e nel tempo diventiamo esattamente come abbiamo desiderato: per sfuggire alla forma data, per non essere con-formi, anziché avvicinarci alla nostra forma vera, diveniamo de-formi. La violenza di cui è fatto questo rifiuto di vivere va incontro ad un destino di perdita, si ritorce inevitabilmente su di noi e ci rende altrettanto incapaci di comprendere il valore degli altri nella nostra vita, la loro presenza irriducibile non è più riconosciuta, in una corsa alla reciproca omologazione. Le maschere ci uccidono e ci impoveriscono, desertificando anche il mondo fuori di noi.

L’uomo è consapevole di come possa trasformarsi nel tempo? Nei racconti di Pirandello ogni personaggio prima o poi affronta questo aspetto problematico della propria vita: la maschera viene indossata fino all’avvenimento che genera una crisi interiore. Tentare disperatamente di celare la propria identità costa enorme fatica e non fa che esasperare la crisi, portando inevitabilmente il personaggio ad un punto di rottura: la maschera cade ed egli è costretto davanti ad uno specchio ad assistere inorridito a ciò che rimane del volto fin qui custodito nell’ombra. Ogni personaggio, nonostante alla fine della sua vicenda giunga alla propria crisi, durante la vita non fa altro che girovagare apparentemente senza meta, nella ricerca illusoria della “maschera perfetta”, dietro le cui fattezze nascondersi per sempre.

La maschera, perduta ormai ogni caratterizzazione negativa e dimenticata, o verrebbe da dire superata dagli eventi la profezia pirandelliana, è divenuta parte dell’ideale umano del XXI secolo: apparire, non essere. Gli adolescenti dell’era 2.0 hanno i loro avatar, i loro profili social e più di tutti credono di dover apparire nel mondo creando la propria “persona”, cioé la propria maschera: nascondersi per adattarsi, per sentirsi più forti, per essere divini. Ma ciò che di umano resta in ognuno di noi, quasi invisibile, nascosto sotto una montagna di bite, è pronto a risvegliarsi, a riprendere forza e ad iniziare la sua ribellione silenziosa. Come Belluca e Ciàula. Se soltanto accadesse che ...

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3. I VERI EROI INDOSSANO UNA MASCHERA.

Secondo Pirandello l’unica soluzione per porre fine al tormento e alla crisi in un mondo di mezze verità e di false certezze è accettare il tormento stesso.

Se si è costretti ad indossare una maschera per i più svariati motivi, si può solo accettare il compromesso e capovolgere la situazione a proprio vantaggio, come accade per Rosario Chiarchiaro, protagonista della novella “La Patente”, il quale pretende dal giudice D’Andrea la patente da iettatore per poter essere pagato.

La continua ricerca della “maschera perfetta” porta talvolta l’uomo ad adeguarsi a situazioni inaccettabili, a sottostare a condizioni ignobili, a scendere a compromesso, a scegliere una maschera qualsiasi nella convinzione di agire per il bene proprio e della società che lo vuole in un determinato modo. Non si rende conto che sta danneggiando quasi irreparabilmente la sua identità, che la fragile maschera che altri hanno costruito su di lui e per lui è destinata a lasciarlo nudo di sé. E’ naturale l’inclinazione dell’uomo a confrontarsi con gli altri, immedesimandosi nelle ragioni, nei modi di vivere, conformandosi ai giudizi altrui o criticandoli. Ma non sempre ha la forza di essere ciò che semplicemente è. La tensione ad essere pervade tutti i suoi sforzi, sia che cerchi di superarsi, sia che si limiti a celarsi agli occhi degli altri. La “maschera perfetta” è un prodotto originale o sociale, non è costruita dall’uomo, pur se quest’ultimo compie sforzi mortali per crearla da sé, e con scarsi risultati.

Si avrà quindi soltanto la vaga impressione di aver raggiunto il tanto agognato obiettivo, ma esso è irraggiungibile. Viene imposto dall’alto ciò che non fa parte della vera natura umana.

In questo modo la crisi di identità viene incrementata, non risolta.

È giusto, è umano che, per riuscire ad andare avanti, occorra accettare ciò che ci viene imposto dalla società? Si può dire che Rosario Chiarchiaro abbia veramente trovato la soluzione ai suoi problemi?

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4. UN MONDO SENZA MASCHERE SAREBBE UN MONDO MIGLIORE?

“Sapete che cosa significa amare l'umanità? Significa soltanto questo: essere contenti di noi stessi. Quando uno è contento di sé stesso, ama l'umanità.”

(L. Pirandello -​ “Ciascuno a suo modo” ​da​ “Tutto il teatro”​)

L’uomo è stato mai amato così com’è, senza dover per forza cercare di migliorarsi?

L’argomentazione di fondo di queste pagine dovrebbe portarci ad una prima risposta. Se l’uomo è stato sempre occupato nella costruzione di una “maschera perfetta”, probabilmente vuol dire che non è mai soddisfatto di sé, è inquieto riguardo ad ogni sfumatura del suo carattere unico e dei suoi comportamenti, altrettanto unici. La parola d’ordine quindi sembra essere “conformarsi“. E’ possibile sovvertire questa dinamica? Come si evince da molte sue novelle, Pirandello vuole renderci chiaro il messaggio per cui non è attraverso una maschera, perfetta o no, che si costruisce la propria felicità. Non è nella ricerca della “maschera perfetta” che si puo’ trovare la felicità. Il desiderio dell'uomo di essere felice, di essere realizzato nella quotidianità e nelle relazioni interpersonali nasce e si alimenta passo dopo passo dal confronto con le circostanze e con gli avvenimenti, ma prende forza soltanto nel momento in cui egli abbandona la maschera che lo appesantisce e lo inchioda, sfigurandogli non solo il volto, ma anche il cuore.

Potrebbe essere questo il primo passo verso un mondo migliore, un mondo dove ciascuno conceda uno sguardo amorevole alla realtà a partire dalla propria coscienza, liberando il proprio desiderio di amare ed essere amati, senza dover custodire il proprio volto all’ombra di una maschera. Solo nell’orbita di un amore smisurato per sé e per il mondo l’uomo troverà la forza di rinunciare all’obiettivo di conformarsi alla società attraverso le maschere della vita;

solo allora potrà amare l’umanità in tutte le sue sfumature, senza paura di sembrare identico a nessun altro, senza affannarsi nella ricerca illusoria di ciò che, rasentando una presunta perfezione, gli è tuttavia impossibile creare.

«L’esperienza più importante per me, in questo senso, è quella che sto vivendo da circa un anno. Mi è capitato di incontrare un ragazzo.

Con lui all’inizio mi sentivo in dovere di indossare una maschera, sempre presa, come sono,

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dalle paure e dalle insicurezze che porto in me. Avevo paura di non piacergli, avevo paura di sbagliare e non vederlo più in vita mia. Invece no. Dopo un po’ non ce la fai ad indossare maschere. C’è un momento in cui cadi e con te cade anche quella maschera. Allora capisci quanto una persona tiene a te. Capisci che, anche con il tuo volto “nudo”, quella persona ti ama. E neanche la famiglia ti conosce bene quanto lui: per loro le paure, le insicurezze e le ansie sono solo un momento di crisi, che poi passa. Invece per me non è così. Non è solo un momento. Lui, anche se lontano, molto lontano, è capace di capirmi quando arrivano periodi di crisi ed è capace di tirarmi su nonostante le mie imperfezioni, senza maschere.

A volte rimanere soli è utile per riflettere, per capire chi siamo realmente. Altre volte rimanere soli spesso peggiora soltanto le cose. Ma quando ognuno di noi può essere sé stesso, senza maschere? Solo quando qualcuno ci ama veramente ». 2

Alcuni, tra noi, continuano ancora a cercare una propria maschera, altri tendono ad indossare sempre la stessa, altri ancora ne possiedono un vero e proprio campionario, modelli per ogni ambiente ed ogni rapporto. Il conflitto tra ciò che l’uomo vuole essere e quello che l’epoca attuale lo porta a diventare è sempre vivo. Nel nostro mondo vige il conformismo, l’ispirazione è morta e sta scomparendo il gusto di essere sé stessi.

“La facoltà d'illuderci che la realtà d'oggi sia la sola vera, se da un canto ci sostiene, dall'altro ci precipita in un vuoto senza fine, perché la realtà d'oggi è destinata a scoprire l'illusione domani. E la vita non conclude. Non può concludere. Se domani conclude, è finita.” (L.

Pirandello - ​“Uno Nessuno e Centomila”, libro terzo, VII​) Ma cosa conclude? Oppure nulla è in grado di concludere?

Dal XIX al XXI secolo, da Pirandello ai giorni nostri, la “maschera perfetta” continua a rimanere oggetto del desiderio di uomini e donne di tutte le età. E’ lo scrigno dei propri segreti, la propria “personale” identità, quella vera, che spesso si ha paura a manifestare e perfino ad accogliere. La maschera crea un’ombra e nel cono d’ombra della maschera si cela l’Io, ciò di cui nessuno può liberarsi se non arrivando alla follia.

“Perché mostra di non credere alla mia potenza! Ma per fortuna ci credono gli altri, sa? Tutti, tutti ci credono! [...] Perché, signor giudice, ho accumulato tanta bile e tanto odio, io, contro tutta questa schifosa umanità, che veramente credo d’avere ormai in questi occhi la potenza

2​Dal tema di Chiara, una di noi (ottobre 2016).

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di far crollare dalle fondamenta una intera città!” (L. Pirandello - ​“La Patente”​)

Le maschere ci sono necessarie per affrontare la realtà, che spesso ci ferisce, ma ne diveniamo schiavi a tal punto che ci dimentichiamo i nostri desideri e assumiamo quelli della maggioranza, maschere semplicemente più astute e fortunate o soltanto più tristi, perché identità definitivamente smarrite.

Chi saremmo senza le nostre maschere? Che fine farebbe il gran teatro del mondo?

Riusciremo mai ad intenderci, non parlando la stessa lingua pur usando le stesse parole? La coscienza è davvero un gioco, una finzione? La vita è soltanto un grande Carnevale? Dopo la nostra lettura ci ritroviamo senza risposte, anzi: con più domande di prima. Soltanto ora le nostre domande sono diventate più vere, sono state come purificate da un fuoco.

Pirandello ha trovato nella scrittura una modalità tutta sua per conoscere la verità della vita e la via per raggiungere e svelare il cuore di ogni esperienza umana, frantumando tutte le presunte certezze della società borghese e, con esse, anche le nostre. Nel suo percorso riconosciamo anche noi come lui che la vita non è riconducibile a nessuna teoria che si possa elaborare su di essa, a nessuna filosofia, Non esistono istruzioni per l’uso. Esiste solo l’amore, come dice la nostra amica Chiara, che è capace di rivelarci a noi stessi e stabilire una comunicazione con l’altro.

Pirandello sembra essere d’accordo quando, scrivendo all’amico e critico Pietro Mignosi, gli confessa: ​«Caro Mignosi, lei ha ragione. Questo è il segreto della mia opera. Nessun critico, nemmeno di quelli che mi osannano l’ha capito e lo dirà mai. Quindi lei sarà avversato, non avrà fortuna con questo suo libro (…) non c’è nessuna legge, non c’è nessuna norma morale, non c’è nessuna istruzione per l’uso che trovi la forma di equilibrio tra la forma e la vita, tra il fluire e il permanere, non c’è nessuna regola che riesca a trovare il punto giusto. Nessuno l’ha mai trovato. Nessuna formula matematica trova il punto tra il fluire dell’esistenza e il permanere di qualcosa, tra la morte e la vita, non c’è nessuna regola che riesca a trovare questo punto. ​Solo l’amore lo trova, anzi, solo l’amore lo è​; ed è risolto il conflitto tra apparire e essere, tra quello che io dico e quello che tu capisci» . 3

3​Luigi Pirandello, Lettera a Pietro Mignosi.

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BIBLIOGRAFIA

NARRATIVA

● L. Pirandello – “Il fu Mattia Pascal” - 1904

● L. Pirandello – “Uno, nessuno e centomila”, libro III, VII - 1926

L. Pirandello – “La Patente”, da “Novelle per un anno” – 1911

TEATRO

L. Pirandello – “Ciascuno a suo modo” - 1924

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