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1.1 Lotta biologica

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Introduzione

1 INTRODUZIONE

1.1 Lotta biologica

L’impiego massiccio di prodotti chimici in agricoltura è recepito oramai con crescente sospetto da parte dell’opinione pubblica. Nel caso di patogeni terricoli, i ben noti problemi legati alla presenza di residui tossici negli alimenti e gli effetti collaterali nei confronti di organismi “no target” presenti nell’ambiente, sono le forze trainanti i principali partiti e movimenti ambientalisti che chiedono una drastica riduzione nell’utilizzo di prodotti chimici in ambito agricolo (Bell et al., 1996; Ristaino e Thomas, 1997).

Allo stesso tempo, fattori di natura prettamente tecnico-economica, quali l’aumento dei costi necessari alla scoperta e allo sviluppo di nuove molecole, dovuto all’insorgenza di resistenza da parte di patogeni e parassiti nei confronti di sempre più numerosi fitofarmaci, hanno contribuito al crescere dell’ interesse verso strategie di difesa che sostituiscano o almeno riducano l’impiego di tali prodotti. I microrganismi benefici sono in prima linea in questo campo di ricerca (Vannacci e Gullino, 2000).

Il termine lotta biologica è stato coniato per la prima volta nel 1919 da H. S. Smith

(DeBach, 1964) in riferimento all’utilizzo di insetti esotici nel controllo di popolazioni di

insetti dannosi. Gli entomologi hanno tentato di mantenere il termine lotta biologica

riferito soltanto “all’azione di parassiti, predatori, o patogeni nel mantenere densità di

popolazioni di altri organismi ad una media più bassa di quella che si avrebbe in loro

assenza” (Baker e Cook, 1974), restringendo così il campo della lotta biologica alla sola

introduzione artificiale nell’ambiente di microflora antagonista ed ignorarando tutti quei

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meccanismi di controllo biologico, che da sempre esistono negli ambienti naturali e che da sempre sono stati utilizzati in agricoltura (Campbell, 1989).

Una più ampia e completa definizione di lotta biologica è quella proposta da Cook e Baker (1983) secondo la quale “la lotta biologica é la riduzione della densità di inoculo o delle attività patogeniche del patogeno ottenuta per mezzo di uno o più organismi diversi dall’uomo” dove per uno o più organismi diversi dall’uomo si intendono:

• ceppi avirulenti o ipovirulenti dello stesso patogeno,

• l’ospite stesso reso meno suscettibile attraverso il miglioramento genetico, le pratiche agronomiche od attraverso l’attività di microrganismi associati,

• gli antagonisti del patogeno, definiti come quei microrganismi che interferiscono

nella sopravvivenza o nelle attività patogeniche del patogeno.

La lotta biologica può perciò essere realizzata attraverso pratiche agronomiche che creano un ambiente favorevole agli antagonisti, incrementano la resistenza della pianta ospite od entrambe; attraverso l’incrocio varietale atto a migliorare la resistenza dell’ospite nei confronti del patogeno o a rendere l’ospite più adatto alle attività degli antagonisti; infine attraverso l’introduzione massale di antagonisti, ceppi non patogenici od altri organismi od agenti benefici (Cook e Baker, 1983).

Non tutti gli studiosi di patologia vegetale sono concordi nell’accettare una definizione così ampia di lotta biologica, tendendo ad escludere da tale ambito le pratiche agronomiche e l’utilizzazione della resistenza genetica delle piante ospiti (Campbell, 1989).

Negli studi di lotta biologica, la maggior attenzione è comunque dedicata all’interazione

microbica con la pianta ospite o con il patogeno, atta a ridurre l’inoculo dello stesso e la

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1.1.1 Meccanismi di azione degli antagonisti

Un antagonista è un microrganismo (batterio o fungo) che agisce contrastando un patageno bersaglio, interferendo con il suo ciclo biologico, oppure crescendo associato ad esso (Baker e Cook, 1974).

Tra i meccanismi d’azione possiamo ricordare:

• la competizione per nutrienti o altri prodotti presenti in quantità limitata e richiesti dal patogeno,

• l’ antibiosi, cioè la liberazione da parte di un microrganismo di antibiotici o altri composti chimici tossici per il patogeno,

• la predazione, l’iperparassitismo, il micoparassitismo o altre forme dirette di sfruttamento del patogeno da parte di un altro microrganismo,

• l’ induzione di resistenza nelle piante ospiti.

Un agente di lotta biologica (Biological Control Agents, BCAs) agisce attraverso uno dei suddetti meccanismi o più frequentemente attraverso più di un meccanismo (Elad, 1996).

Tuttavia, meccanismi di azione di alcuni Agenti di Lotta Biologica rimangono tuttora sconosciuti (Baker e Cook, 1974) ed alcune interazioni antagonistiche non cadono in alcuna delle categorie classiche sopra elencate (Zimand et al., 1996).

Il primo meccanismo d’azione che andremo ad esaminare è la competizione. La

competizione fu definita da Clark (in Baker e Snyder, 1965) come “lo sforzo di due o più

organismi di guadagnarsi la quantità desiderata di un substrato quando l’offerta dello

stesso risulti insufficiente per entrambi”. Essenziale perchè avvenga la competizione è

che il “substrato”, la risorsa, sia limitante; se la risorsa è presente in quantità sufficiente

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per tutti, allora non c’è competizione.Così come la competizione per la luce rappresenta il fattore più importante nell’evoluzione e nella sociologia delle piante superiori, così la competizione per i substrati e lo spazio, rappresenta il fattore principale per i funghi eterotrofi del suolo (Garret, 1956).

La competizione tra i microrganismi avviene per lo più per i nutrienti (es. carboidrati, azoto ed altri fattori di crescita) ma può verificarsi anche per lo spazio (es. siti di infezione) o per l’ossigeno (Faull, 1988). L’acqua non rappresenta un fattore di competizione per i funghi in quanto questi sono in grado di alterare il potenziale idrico, adeguandolo alle loro esigenze (Frankland, 1981) anche se i microrganismi possono però competere per lo spazio che presenta il contenuto d’acqua ottimale.

L’ossigeno, in alcuni casi, può diventare un fattore limitante; in presenza di organismi della rizosfera molto attivi oppure di suolo umido e asfittico, la deficienza di ossigeno si localizza di solito intorno alla radice. La competizione per l’ossigeno svolge quindi un ruolo importante in condizioni di questo tipo e i competitori che riescono ad esaurire le risorse di ossigeno del terreno più rapidamente, sono tra i più interessanti per il biocontrollo (Baker e Cook, 1974).

Gli habitat naturali fungini sono caratterizzati da una scarsa disponibilità di nutrienti facilmente accessibili (zuccheri semplici e amminoacidi). Tra gli elementi presenti nel terreno soltanto il ferro, l’azoto ed il carbonio hanno un’importanza tale da giustificare uno stato di competizione in caso di carenza. Anche se richiesto in quantità ridotte, il ferro riveste un’importanza primaria nel metabolismo cellulare dei funghi.

L’assimilazione del ferro da parte dei funghi avviene di solito attraverso l’emissione di

composti organici chelanti a basso peso molecolare (500-1000 Da), chiamati siderofori.

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prodotti può essere ristretta ad una particolare famiglia strutturale, ma in molti casi, i funghi sono in grado di sintetizzare siderofori riconducibili a diverse famiglie strutturali.

L’ampia variabilità trova spiegazione nella maggiore capacità di adattamento alle diverse condizioni ambientali (Anke et al., 1991).

Nel biocontrollo di microorganismi fitopatogeni, l’attività dei siderofori riveste un ruolo di primaria importanza. Il sequestro del ferro da parte di antagonisti produttori di siderofori può infatti portare all’inibizione della crescita o dell’attività metabolica dei patogeni (Loper, 1990; Misaghi et al., 1982).

La competizione per l’azoto può verificarsi in substrati dove questo è presente a basse concentrazioni. Alcuni funghi hanno mostrato un adattamento ecologico a condizioni di questo tipo (Lockwood, 1981). In particolare la competizione per l’azoto è risultata essere evidente in substrati con un elevato rapporto C/N, quali ad esempio residui vegetali, legno, acqua e substrati artificiali presentanti tale elevato rapporto (Lockwood e Filonow, 1981).

Il carbonio, insieme all’azoto, rappresenta l’elemento più importante nella nutrizione degli organismi eterotrofi. La principale fonte di carbonio dei microrganismi del terreno è rappresentata dagli essudati radicali, dalle radici in accrescimento e dai residui colturali.

In un esperimento Burber e Martin (1987) stimarono che il 3-9% dei composti assimilabili prodotti da grano e orzo e fonte di carbonio, venivano emessi come essudati radicali.

La varietà di substrati presenti nel terreno, sia da un punto di vista qualitativo che

quantitativo, fa si che la comunità dei microrganismi sia sempre in continuo cambiamento

e successione. Esiste infatti una diversità biochimica tra i vari organismi; alcuni funghi ad

esempio prediligono substrati costituiti da composti semplici quali zuccheri solubili e

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amminoacidi mentre altri sono in grado di metabolizzare, tramite appositi enzimi extracellulari, anche substrati complessi come cellulose e lignine. Le cellulose e le lignine sono degradate da gruppi fungini appartenenti agli Ascomiceti, Deuteromiceti e Basidiomiceti (Lockwood, 1981).

Studi condotti su Fusarium solani, mostrarono come la competizione del carbonio da parte della microflora antagonista presente nel terreno, poteva essere proposta come meccanismo alla base del biocontrollo della malattia (Maurer e Baker, 1965; Snyder et al., 1959).

La competizione per i nutrienti implica la lotta per la cattura e la difesa delle risorse tra i funghi vicini e probabilmente è il principale meccanismo di biocontrollo. La competizione tra un agente di biocontrollo ed un patogeno, qualora la crescita dell’antagonista porti alla riduzione della popolazione del patogeno o della produzione di inoculo, può condurre al controllo della malattia (Paulitz, 1990; Deacon e Berry, 1992).

Il successo della competizione dipende anche dall’abilità dell’antagonista di sostenersi in un ambiente già da lui colonizzato. Nei microrganismi del terreno, ad esempio, risulta essere importante la “rizosphere competence” (capacità di colonizzazione della rizosfera) (Lynch, 1990).

Il secondo meccanismo d’azione che andremo ad esaminare è l’antibiosi. Intesa nel suo significato più ampio, l’antibiosi può essere definita come “l’inibizione di un organismo per mezzo di un metabolita prodotto da un altro”. Sebbene si tratti di solito di un’inibizione di crescita, essa può anche risultare letale (Cook e Baker, 1983).

Per antibiotici si intenderanno quei composti a basso peso molecolare, prodotti dai

microrganismi e deleteri per l’accrescimento o l’attività di altri microrganismi (Fravel,

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volatili che non e gli agenti litici (Jackson, 1965), anche se non tutti gli autori sono concordi con questa inclusione.

I funghi hanno dimostrato di essere capaci di produrre un’ampia varietà di sostanze tossiche in grado di agire contro un ampio range di organismi procarioti ed eucarioti. La capacità di un fungo di produrre antibiotici può quindi risultare determinante nell’abilità di colonizzazione di un substrato e di mantenimento della propria presenza sullo stesso (Faull, 1988).

Il terzo meccanismo d’azione che andremo ad esaminare è il micoparassitismo. In natura i funghi spesso crescono su altri funghi, tale associazione non implica necessariamente una relazione di tipo parassitario. Un micoparassita può essere definito come un fungo che vive in intima associazione con un altro dal quale trae alcuni o tutti i sui nutrimenti. I micoparassiti sono raggruppati in necrotrofi (distruttivi) e biotrofi (in equilibrio). Un micoparassita necrotrofo, stabilito un contatto con il proprio ospite, di solito invade le cellule di questo e ne causa la distruzione; un micoparassita biotrofo infligge un leggero o non evidente danno all’ospite (Barnett e Binder, 1973). Nel micoparassitismo biotrofico si stabilisce un contatto persistente ed una occupazione della cellula ospite che rimane viva mentre nel micoparassitismo necrotrofo, le cellule dell’ospite vengono uccise dopo il contatto e molto spesso prima che avvenga la penetrazione.

L’interazione tra i micoparassiti e loro ospiti fungini avviene in quattro fasi, disposte in sequenza ma spesso sovrapposte tra loro:

1. localizzazione 2. riconoscimento

3. contatto e penetrazione

4. acquisizione del nutrimento

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La presenza, la durata e l’importanza di ciascuna fase dipende da diversi fattori: i tipi di funghi coinvolti, se il micoparassita è biotrofo e necrotrofo, l’organo attaccato, il tipo di habitat naturale e le sue condizioni ambientali prevalenti (Whipps et al., 1988).

L’ultimo meccanismo d’azione che andremo ad esaminare è l’induzione di resistenza.

L’induzione di resistenza, sia localizzata che sistemica, si verifica pressochè in tutte le piante in seguito all’attacco di microrganismi patogeni, a danni fisici causati da insetti od altri fattori, a trattamenti chimici di vario tipo inducenti la stessa e in seguito alla presenza di rizobatteri non patogeni (Kuc, 2001; Oostendorp et al., 2001). Notevoli progressi sono stati fatti nel chiarimento delle “vie” coinvolte nell’induzione di resistenza; in molti casi l’acido salicilico e l’acido iasmonico, insieme all’etilene e al protossido di azoto, inducono una cascata di eventi che portano alla produzione e all’accumulo di una varietà di metaboliti e proteine aventi diverse funzioni (Hammerschimdt et al., 2000; van Loon et al., 1998).

Al momento sono note tre vie di induzione di resistenza nelle piante. Due di queste,

vedono coinvolta la produzione di PR (pathogenesis-related-proteins); in un caso la

produzione di PR avviene in seguito all’attacco di microrganismi patogeni, nell’altro in

seguito a necrosi o ferite provocate da patogeni (es. erbivori, insetti ecc.), benchè

meccanismi di diverso tipo possono indurre entrambe le vie. Nel primo caso, (pathogen-

induced-pathways), la pianta produrrà come molecola segnale l’acido salicilico mentre

nell’altro, (herbivory-induced pathway), l’ acido iasmonico. Questi composti e i loro

analoghi, inducono risposte simili anche se applicati esogenamente, inoltre risulta

rilevante lo scambio di informazioni (crosstalk) tra queste due diverse vie (Bostock et al.,

2001).

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Le vie indotte dall’ acido salicilico e dall’acido iasmonico sono caratterizzate dalla produzione di PR (pathogenesis-related-proteins). Queste comprendono: chitinasi, glucanasi e taumatine, enzimi ossidattivi quali perossidasi, polifenol-ossidasi e lipossigenasi. Si possono inoltre accumulare composti a basso peso molecolare aventi attività antimicrobica (fitoalessine) (Harman et al.,2004).

Al momento la terminologia associata a queste due vie, dipendendo dalla tradizione individuale di ciascun ricercatore, è molto confusa (Hammerschimdt et al., 2000); per semplicità si indica come SAR (systemic acquired resistence), ciascun processo che vede come risultato il diretto accumulo di PR e fitoalessine (Harman et al.,2004).

Il terzo tipo di induzione di resistenza è quello indotto dai rizobatteri non patogeni, ed è indicata come RISR (rhizobacteria-induced systemic resistence). Sebbene da un punto di vista fenotipico l’RISR sia molto simile alla SAR, essa funziona in modo completamente diverso. La colonizzazione dell’apparato radicale da parte dei rizobatteri non induce infatti una produzione ed un accumulo diretto di PR, ed alcuni ceppi batterici sembrano non indurre neppure l’accumulo di acido salicilico (Bakker et al., 2003). Comunque, in seguito all’attacco di un patogeno, la pianta, in presenza di rizobatteri, vede aumentate le sue capacità di risposta e si ha una diminuzione di severità della malattia. L’RISR quindi detemina un potenziamento delle risposte di difesa della pianta, senza la cascata di proteine tipica delle vie dell’acido salicilico e iasmonico (SAR) (Harman et al., 2004).

1.2 Il genere Trichoderma

Il genere Trichoderma venne introdotto da Persoon circa 200 anni fa e è costituito da un

fungo anamorfico, isolato prevalentemente dal suolo e da materiale organico in

decomposizione (Grondona et al., 1997).

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Introduzione

Trichoderma è normalmente rinvenibile nel suolo; quasi tutti i suoli dell’area temperata e tropicale contengono circa 10

1

-10

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propaguli per grammo di terreno. Questi funghi colonizzano anche legno e parti erbacee in decomposizione, nei quali la forma teleomorfa (appartenente al genere Hypocrea) è stata spesso rinvenuta. Tuttavia la forma perfetta di molti ceppi di Trichoderma, tra i quali anche i principali agenti di bioncontrollo non è ancora nota (Harman et al., 2004). Molti ceppi di Trichoderma ai quali non è stato associato uno stadio sessuale sono ritenuti mitotici e clonali (Kubicek e Harman, 1998).Il genere Hypocrea (ordine Hypocreales, classe Ascomycetes) fu descritto per la prima volta nel 1925 ad opera di Elias Fries. La relazione tra le due forme, anamorfa e teleomorfa, fu identificata soltanto nel 1957 ad opera di Dingley e successivamente da Webster e Rifai (Rifai e Webster, 1966; Webster e Rifai, 1968).

Sebbene siano stati compiuti notevoli passi in avanti nella conoscenza di questo genere, la tassonomia di Trichoderma è tuttora incompleta, e la distinsione delle specie appartenenti a queste genere rimane problematica (Kubicek e Harman 1998).

La maggior parte delle specie appartenenti al genere Trichoderma hanno elevate velocità

di accrescimento in colture artificiali e producono piccoli conidi verdi o bianchi. Queste

caratteristiche rendono relativamente facile l’identificazione di Trichoderma a livello di

genere anche se il concetto di specie all’ interno del genere è di difficile interpretazione e

c’è una considerevole confusione per quanto ne riguarda l’assegnazione di Rifai (Rifai,

1969), sulla base delle caratteristiche morfologiche, suddivise il genere Trichoderma in

nove raggruppamenti di specie. In seguito Bisset (Bisset, 1991) attuò delle modifiche

includendovi anche alcuni anamorfi appartenenti al genere Hypocrea e andando così a

costituire cinque nuove sezioni. Il concetto di specie all’interno del genere Trichoderma

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è molto ampio e ciò ha fatto si che si andassero a costituire molti taxa specifici e subspecifici (Grondona et al., 1997).

Le colonie in attivo accrescimento di individui appartenenti al genere Trichoderma inizialmente hanno il micelio immerso nel substrato di crescita. La colonia può presentare un micelio aereo e ialino, che può assumere un aspetto variabile tra disordinato, fioccoso, lanoso e aracdinoide in base al ceppo e al mezzo di coltura. Alcuni isolati possono modificare il colore del substrato di coltura rilasciando pigmenti colore giallo, ambra, verde, rosso tenue e marrone. Una delle caratteristiche peculiari di questo genere è la produzione di odori di cocco o canfora, con intensità variabili tra il molto pronunciato e il fortissimo.

I conidiofori possono essere prodotti dalla colonia in modo diffuso, a ciuffi o con formazione di pustole compatte; generalmente vengono prodotti in distinti anelli concentrici dalle tipiche sfumature verdi, solo raramente possono essere bianche, grigie o marroni. In molte specie i conidiofori sono costituiti da un largo asse principale che porta ramificazioni ad intervalli regolari che producono, a loro volta ramificazioni secondarie, che diventano progressivamente più corte e sottili quanto più sono adiacenti all’apice. Le ramificazioni possono essere più o meno divergenti, solitarie, opposte o in verticilli;

ramificazione verticillate ripetute possono portare alla formazione di una struttura

piramidale altamente ramificata; in altre specie la ramificazione è meno regolare, con

ramificazioni solitarie od opposte e con ramificazioni secondarie scarse. Ciascuna

ramificazione termina con una o più fialidi. Le fialidi sono tipicamente disposte in

verticilli divergenti posti alle estremità delle ramificazioni dei conidiofori, oppure in

verticilli posti direttamente al di sotto dei setti lungo il conidioforo e lungo le

ramificazioni. In altri casi possono essere presenti fialidi opposte o solitarie disposte

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Introduzione

irregolarmente. Per quanto riguarda la forma esistono fialidi cilindriche, subglobose o ampolliformi (Fig. 1.1).

Fig. 1.1 – Conidioforo di T .harzianum al microscopio composto.

I conidi sono monocellulari, generalmente di colore verde, oppure possono essere incolori, grigi o marroni. La parete può essere liscia, rugosa, sinuosa, bollosa o può presentare sporgenze simili ad ali derivanti dalla parete esterna. Per quanto riguarda la forma, esistono conidi subglobosi, ellissoidi, allungati o cilindrici.

Le clamidospore sono comunemente presenti nelle colonie e sono abbondanti soprattutto nel micelio sommerso; possono essere intercalari o terminali su corte ramificazioni laterali di ife vegetative; possono essere di forma globosa o ellissoide; possono essere di colore verde o giallo chiaro oppure incolori; presentano parete liscia, a volte con spessore fino a 4 µm.

Le ife vegetative generalmente sono ialine, con parete liscia, di 2-10 µm di larghezza,

meno frequentemente (o nel micelio sommerso) le ife possono essere di colore giallo

chiaro, con parete irregolare ispessita, fino ad una larghezza di 16 µm (Kubicek e

Harman, 1998).

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1.2.1 Ecologia e fitness ambientale di Trichoderma

Durante l’evoluzione, in seguito a diverse forme di selezione naturale, gli organismi hanno evoluto diverse strategie di sopravvivenza. Tale spettro vede ai poli opposti due tipi di organismi, gli r-selected e i k-selected (Gadgil e Solbrig, 1972).

Le specie r-selected (simili alle specie ruderali descritte da alcuni autori) presentano elevate capacità di tipo riproduttivo. L’abbondante produzione di conidi e spore li rende molto competitivi nella dispersione (Cooke e Rayner, 1984). Essi sono caratteristici di luoghi disturbati od effimeri, quali sostanza organica in decomposizione od essudati radicali,(Campbell, 1989), hanno aspettative di vita brevi e impegnano gran parte o tutte le risorse disponibili nella riproduzione. Al polo opposto dello spettro troviamo le specie k-selected, che caratterizzano situazioni stabili, dove la competizione per la dispersione è sostituita da quella per lo spazio o per le risorse presenti in quantità limitata (Begon et al., 1986). Le loro aspettative di vita sono lunghe e destinano una piccola parte delle risorse disponili alla riproduzione o impegnano se stessi alla riproduzione soltanto al termine del loro ciclo vitale. Entro il continuum r-k, tre forme di selezione naturale hanno originato tre tipi di strategie di sopravvivenza:

La “R- selection” ha dato origine ad una strategia di tipo ruderale, caratterizzata da un ciclo vitale breve e da un’elevata capacità riproduttiva. Tale strategia si adatta perfettamente ad ambienti severamente disturbati e nutritivamente ricchi.

La “C- selection” ha originato una strategia di tipo combattivo che massimizza

l’occupazione e lo sfruttamento delle risorse in ambienti relativamente stabili e non

stressati.

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Infine la “S-selection”, che ha dato origine ad una strategia di stress-tolleranza prevede lo sviluppo di meccanismi adattativi tali da permettere la sopravvivenza in condizioni ambientali di stress (Grime, 1979).

Nella successione di specie descritte da Grime, 1977 e Campbell, 1989, le specie ruderali (R-selected), in seguito ad un eccessivo aumento della densità di popolazione vengono sostituite da specie combattive (C-selected) e queste a loro volta, non appenna le condizioni ambientali e nutritive divengono sfavorevoli, sono sostituite da specie stress tolleranti (S-selected). Appare quindi evidente quanto le strategie ecologiche dipendano principalmente da tre fattori: lo stress, il disturbo e la competizione (Cooke e Rayner, 1984).

Sarebbe sorprendente se i funghi potessero essere classificati soltanto in una delle tre strategie: il comportamento di un fungo infatti varierà in relazione al suo stadio di sviluppo, alla decomposizione del substrato da questi colonizzato, alla presenza di competitori e in base ai fattori abiotici. Persino all’interno di uno stesso micelio potrebbero rinvenirsi tipi di comportamento diversi.

Sulla base di quanto premesso le specie appartenenti al genere Trichoderma forniscono

interessanti esempi di combinazione delle diverse strategie: molte specie si comportano

come ruderali, presentando elevate velocità di accrescimento, abbondante produzione di

conidi e un’ampia varietà di enzimi tra cui le cellulasi. Altre specie sono caratterizzate da

un comportamento di tipo combattivo, sono forti antagonisti di altri funghi ed esplicano il

loro antagonismo per mezzo di meccanismi quali la produzione di antibiotici solubili e

volatili ed il parassitismo. Infine altre risultano essere stress-tolleranti; T. harzianum ad

esempio è tollerante allo stress indotto dalla scarsità nutritiva (Wainwrigth, 1988).

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La naturale distribuzione di Trichoderma è fortemente influenzata dalla temperatura dell’

habitat, e gruppi di specie hanno differenti ottimi di temperatura e diversi gradi di tolleranza (Domsch et al., 1980). La crescita “temperatura dipendente” sembra essere un fenomeno adattativo in Trichoderma poichè specie con ottimi di temperatura più elevati, hanno origine dai climi più caldi (Danielson e Davey, 1973b). Gran parte delle specie, in base a pubblicazioni di studi di laboratorio, presentano valori ottimali di crescita all’interno del range 25-30°C. C’è comunque da tenere in considerazione il fatto che in origine la selezione di molti isolati è avvenuta a temperatura ambiente, andando così a limitare il reperimento di isolati psicrofili o termotolleranti.

Nei confronti dell’ attività dell’acqua, da parte del genere Trichoderma, ci dovremmo aspettare un comporatamento che varia dal mesofilico all’idrofilico. In base allo studio di Jackson et al., (1991) condotto su T. virens, T. citrinoviride e due isolati di T. viride, gli isolati mostrarono una dimunuzione nella velocità di accrescimento ifale all’aumentare del potenziale idrico oltre un range di -0.7;-14.0 MPa. Entro tale range tutti gli isolati risultarono essere più tolleranti verso il potenziale osmotico (i.e. NaCl, glicerolo) rispetto al potenziale di matrice (polietilenglicolo). Una diminuzione dell’attività dell’acqua risultò promuovere la sporulazione di T. harzianum (Harman et al., 1981).

Anche la concetrazione di ioni H+ influenza notevolmente la crescita dei funghi;

l’assorbimento di molti nutrienti, quali zuccheri ed amminoacidi, avviene infatti

attraverso un simporto di ioni H+. Per questo motivo i funghi generalmente preferiscono

condizioni di pH leggermante acido. Sebbene pochi siano gli studi dettagliati dell’effetto

che il pH ha sulla crescita di Trichoderma spp. nel loro ambiente naturale, risulta

accettato in generale che questi mostrino un’accrescimento stentato a valori di pH

superiori a 7.

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La crescità di Trichoderma, di solito, presenta un ottimo entro un range di pH 4.0-6.5, mentre soltanto alcune specie di Trichoderma sono in grado di tollerare pH inferiori a 3.0.

Trichoderma quindi sembra svolgere al meglio la sua azione in condizioni di umidità e pH subacido (Bruehl, 1987), ma è bene ricordare che all’interno del genere questa fitness può variare a seconda della specie e persino dell’isolato considerato (Papavizas, 1985).

Risulta quindi molto importante valutare la diversa sensibiltà degli isolati nei confronti dei fattori abiotici ambientali (Hjielrod e Tromso, 1988).

1.2.2 Trichoderma in lotta biologica

Negli ultimi anni il genere Trichoderma ha ricevuto una considerevole attenzione come agente di biocontrollo nei confronti di diversi patogeni terricoli (Chet, 1987; Samuel, 1996).

L’ interesse nei confronti di questo genere è ampiamente motivato. Il genere Trichoderma

ha una diffusione pressochè ubiquitaria e risulta facilmente isolabile da suolo. I funghi

appartenenti a questo genere di solito sono buoni saprofiti, con caratteristiche sia di

ruderali che di combattivi colonizzatori secondari (Widden e Scattolin, 1988). Da un lato

quindi essi sono in grado di crescere e sporulare su numerose fonti di carbonio e

nitrogeno, permettendo quindi l’utilizzo di substrati naturali a basso prezzo, dall’altro

hanno la capacità di produrre un vasto assortimento di metaboliti, sfruttati da questi per la

sopravvivenza nei complessi ecosistemi del suolo. Queste caratteristiche fanno si che si

adattino perfettamente ad una strategia di difesa di tipo inondativo e ad una produzione di

tipo industriale. In aggiunta, l’utilizzo industriale di cellulasi extracellulari prodotte da T.

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Introduzione

di questo fungo (Kubicek et al., 1990), fornendo anche informazioni riguardo alla tecnologia fermentativa, la quale risulta essere un passaggio chiave nella produzione commerciale di biofitofarmaci. Le caratteristiche di questi funghi e la convergenza di interessi da differenti campi di applicazione, hanno quindi agito sinergicamente e spinto la ricerca nei confronti di Trichoderma. Attualmente circa un terzo dei prodotti commerciali disponibili che utilizzano i funghi come principio attivo, sono a base di Trichoderma (Vannacci e Gullino, 2000).

Diversi isolati di Trichoderma sono risultati essere efficaci agenti di biocontrollo nei confronti di vari funghi patogeni del suolo, sia in condizioni di serra che di pieno campo (Chet, 1987; 1990).

Ceppi di Trichoderma sono stati utilizzati con successo contro marciumi radicali e basali causati da Pythium ultimum, Phytopthora spp. e Rhizoctonia solani su ravanello (Lifshitz et al., 1985), mais e soia (Kommedhal et al., 1981); contro avvizzimenti su varie colture, causati da Sclerotinia spp. (Vannacci et al., 1989; Vannacci et al., 1991), così come da Fusarium (Chet, 1990); contro la moria dei semenzali (damping off) causata da Rhizoctonia solani (Scaramuzzi et al., 1986; Cristani et al., 1995; Mihuta e Rowe, 1986).

Sono state messe a punto svariate tecniche di applicazione di Trichoderma: applicazioni a spaglio nei campi infestati; applicazioni nei solchi lungo le file di semina; applicazioni di Trichoderma direttamente nella zona radicale prima del trapianto delle piantine in campo;

conciatura del seme utilizzando sospensioni di spore di Trichoderma ,(Chet, 1987; 1990).

Formulazioni a base di ife in attiva crescita su crusca (Lewis and Papavizas, 1987), su

torba di crusca di frumento (Sivan et al., 1984), o su perlite di mais (Wilson et al., 1988)

sono state introdotte nel terreno con successo. Nonostante formulazioni di questo tipo

risultino efficaci, l’ introduzione di antagonisti nel terreno comporta, di norma, la

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Introduzione

distribuzione di notevoli quantità di materiale e ciò rende questa strategia non sempre di pratica applicazione; inoltre l’incapacità mostrata da taluni microrganismi di stabilirsi nel terreno (Elad et al., 1982 a; Papavizas et al., 1982) potrebbe comportare, per di più, la ripetizione dei trattamenti con un aggravio dei costi. Allo scopo di aggirare questi ostacoli alcuni gruppi di ricerca (Harman et al., 1980; Harman et al., 1981; Elad et al., 1982 b;

Marshall, 1982; Ruppel et al., 1983) si sono orientati verso la concia del seme con antagonisti quale metodo di lotta biologica (G. Scaramuzzi et al., 1986). Inoltre la conciatura del seme garantisce una più immediata disponibilità del prodotto biologico attivo. Il seme si trova infatti a germinare in una “nicchia” protetta, dove anche la giovane pianta troverà riparo dagli attacchi di patogeni presenti nel terreno e ciò soprattutto se il microrganismo è in grado di colonizzare dapprima la spermosfera e poi la rizosfera (Roberti, 2001).

Isolati di Trichoderma sono stati utilizzati nella conciatura di sementi contro patogeni del seme (Vannacci et al., 1986; Vannacci et al., 1987) e contro patogeni tellurici (Harman and Taylor, 1990; Sarrocco, 2000). L’ efficacia della concia di semi di pisello e ravanello, con spore ad esempio di Trichoderma, per mezzo di un semplice trattamento a base di metil-cellulosa, contro Rhizoctonia solani e Pythium, è stata dimostrata (Harman et al., 1981).

Il passaggio da metologie di laboratorio per la concia delle sementi su piccola scala, a

tecniche di applicazione su larga scala risulta complesso e problematico. Un esempio di

concia del seme mediante un procedimento di tipo industriale risultato efficace è quello

riguardante l’applicazione di T. harzianum su semi di barbabietola da zucchero per

contrastare la moria dei semenzali (damping off) in campo (Perez De Algaba et al., 1993).

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Introduzione

coating) del seme, sia per l’applicazione di agenti di difesa chimici che biologici (Scheffer, 1994). E’ nota l’efficacia di alcuni Trichoderma, applicati mediante tale procedimento, nel contrastare la moria dei semenzali causata da Rhizoctonia solani e Pythium ultimum. I conidi di alcuni ceppi di Trichoderma, applicati sui semi e immagazzinati a 4°C e 15°C sono risultati essere in grado di sopravvivere rispettivamente dai 5 ai 3 mesi; questo va ad avvalorare la possibilità di un controllo della moria dei semenzali attraverso un procedimento industriale di rivestimento pellicolare del seme (Cliquet e Scheffer, 1995).

1.2.3 Meccanismi d’ azione di Trichoderma

Le interazioni antagonistiche fra Trichoderma e gli altri funghi sono il risultato dell’antibiosi, del micoparassitismo, della competizione per i nutrienti e dell’induzione di resistenza. Questi meccanismi non si escludono a vicenda. Ad esempio il controllo di Botrytis sui grappoli d’uva da parte di Trichoderma coinvolge sia il micoparassitismo degli sclerozi prodotti dal patogeno che la competizione per i nutrienti (Dubos, 1987). In alcuni studi è stato dimostrato che antibiotici ed enzimi idrolitici non solo vengono prodotti insieme ma agiscono anche sinergicamente (Di Pietro et al., 1993; Schirmböck et al., 1994). Alcune interazioni antagonistiche inoltre sembrano non ricadere in nessuna delle categorie classiche, un esempio è quello di T. harzianum il quale sembra essere in grado di ridurre la patogenicità di Botrytis cinerea causando una diminuzione nella produzione di enzimi degradativi della pectina da parte del patogeno (Zimand et al., 1996).

La competizione

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Introduzione

Come accennato i funghi appartenenti al genere Trichoderma di solito sono buoni saprofiti capaci di combinare proprietà dei ruderali (R-selected), con proprietà dei colonizzatori competitivi (C-selected) (Widden e Scattolin, 1988). I funghi R-selected sono attivi solo in habitat caratterizzati da un basso grado di competizione combattiva e stress; saranno perciò predominanti in presenza di sorgenti nutritive prontamente assimilabili e dove c’è, almeno inizialmente, una scarsa microflora. La loro abilità competitiva è legata alla capacità di sfruttare le risorse disponibili come primari colonizzatori; questo probabilmente è effettuato attraverso una rapida germinazione delle spore ed un rapido accrescimento del micelio (Cooke e Rayner, 1984). Trichoderma presenta tali caratteristiche, esso è infatti un buon colonizzatore primario, ha cioè tutti gli attributi necessari alla colonizzazione di un substrato vergine; presenta una rapida velocità d’accrescimento, una prolifica produzione di conidi ed un’ampia versalità nell’utilizzo del substrato (Dix e Webster, 1984; Harman e Kubicek, 1998). T. hamatum ad esempio, viene riportato come ruderale in quanto forma colonie sporulanti in prossimità del substrato colonizzato, ma non si accresce attraverso il terreno (Eastburn e Butler, 1988).

Allo stesso tempo Trichoderma è riportato anche con caratteristiche dei C-selected. I

funghi C-selected sono attivi in habitat caratterizzati da un basso grado si stress e con

limitate disponibilità di risorse non sfruttate. In tali condizioni il successo è derminato da

una strategia combattiva sufficiente sia a difendere le risorse guadagnate come

colonizzatore primario, sia ad agire come colonizzatore secondario per le risorse già

occupate da altri (Cooke e Rayner, 1984). T. viride e T. album sono riportati tra i più

efficaci difensori del substrato conquistato, dall’invasione di colonizzatori secondari

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Introduzione

nel terreno, è stato in grado di ridurre la colonizzazione della stessa da parte di Fusarium culmorum (Lynch, 1990). Isolati di Trichoderma appropriatamente selezionati e spruzzati sui fiori della vite durante la fioritura, sono stati in grado di colonizzare i tessuti in senescenza e di ritardare la colonizzazione da parte di Botrytis, riducendo così la severità della malattia sui successivi frutti. L’importanza del ruolo svolto dalla colonizzazione competitiva nell’ inibizione di Botrytis è confermata dal fatto che ripetute applicazioni dell’antagonista durante la fioritura diano i migliori risultati e soprattutto che l’applicazione più importante sia stata quella durante la tarda fioritura, in corrispondenza dell’inizio della senescenza dei petali (Dubos, 1987; Gullino; 1992; Harman et al., 1996).

Trichoderma non è soltanto abile a difendere i substrati conquistati ma è in grado di agire anche come colonizzatore secondario, sostituendosi ai primari nello sfruttamento delle risorse con attivi ed antagonistici mezzi. T. harzianum e Gliocladium roseum (Clonostachys rosea), in esperimenti di laboratorio, sono stati infatti in grado di colonizzare il tessuto infettato da Sclerotinia sclerotiorum e di diminuire la produzione e la vitalità degli sclerozi da esso prodotti (Whipps, 1987).

T. harzianum inoculato insieme a Rhizoctonia solani su paglia di riso, è apparso in grado di influenzare la produzione di sclerozi da parte di R. solani e dopo due settimane di incubazione il recupero del patogeno risultava diminuito del 20% (Mew e Rosales, 1985).

E’ stato inoltre osservato che Trichoderma aveva un effetto deprimente sulla sopravvivenza di Cephalosporium gramineum nei residui colturali (Lai e Bruehl, 1966).

Lal (1939 ) osservò che T. lignorum limitava la popolazione di Ophiobolus graminis nella

paglia di grano. Molto importante è osservare se la sostituzione dei primari colonizzatori

avvenga perchè questi non hanno la capacità enzimatica necessaria ad andare oltre nella

degradazione e quindi il substrato per loro risulti esaurito o se la sostituzione avvenga

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Introduzione

grazie ad attivi ed antagonistici mezzi propri del colonizzatore secondario. Nel caso infatti di “substrato esaurito” la sostituzione non rientrebbe più nelle strategie dei C- selected ma degli S-selected (Cooke e Rayner, 1984).

Abbiamo già detto che tra gli elementi presenti nel terreno soltanto il ferro, l’azoto ed il carbonio hanno un’importanza tale da giustificare uno stato di competizione in caso di carenza. Per quanto riguarda il carbonio i funghi appartenenti al genere Trichoderma, questi sono capaci di utilizzare come unica fonte di carbonio un’ampia varietà di composti. In generale essi prediligono il galattosio e lo xilosio tra i monosaccaridi, il cellobiosio tra i disaccaridi ed in misura minore alcuni alcoli (mannitolo e glicerolo). Gli isolati T. viride T67 e T. harzianum T82 sembrano invece preferire il saccarosio (Danielson e Davey, 1973). Gli stessi autori in un esperimento atto a testare la capacità degradativa della cellulosa da parte di alcuni isolati, osservarono che l’efficacia maggiore era mostrata da T. pseudokoningii, T. harzianum e T. viride. Il genere Trichoderma è indicato come uno tra i più forti colonizzatori della paglia (Harper and Lynch, 1985). Nei confronti dell’azoto, in uno studio effettuato da Danielson e Davey (1973), gli isolati mostrarono una crescita migliore in presenza di amminoacidi ed azoto ammoniacale, seguito da urea e da nitrato. In particolare l’alanina, l’acido glutammico e l’acido aspartico rappresentano fonti eccellenti di azoto per Trichoderma spp..

Nei confronti del ferro, all’interno del genere Trichoderma, T. longibranchiatum e T.

pseudokoningii producono siderofori riconducibili a tutte e tre le famiglie strutturali, quindi sia di tipo fusigeno, ferricromico che coprogenico (Anke et al., 1991).

L’antibiosi

Il genere Trichoderma produce diversi metaboliti antifungini, i più noti sono la gliovirina,

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Introduzione

funghi e batteri (Papavizas, 1985), ed il 6-n-pentil-2H-pirone-2-uno (PPT) responsabile del profumo di cocco (Claydon et al., 1987) caratteristico di alcuni isolati di Trichoderma.

La produzione di antibiotici da parte del genere Trichoderma è fortemente influenzata dai fattori ambientali, il più importante dei quali è il substrato di crescita del fungo (Kubicek e Harman, 1998). Terreni nutrizionalmente più ricchi determinano la produzione di un maggior numero di composti organici volatili (VOCs) ed una maggiore quantità di ciascun singolo composto (Wheatley et al., 1997).

Sorprendentemente non è stata posta molta attenzione all’ effetto che la temperatura può avere sulla produzione e sull’attività antibiotica. Lumsden et al. (1992 a) rilevarono che, in una coltura fuorisuolo costituita da granuli di alginato di T.virens, la produzione dell’antibiotico gliotossina, a partire da 15°C, cresceva all’aumentare della temperatura fino al raggiungere un plateau in corrispondenza di una range di temperatura di 25-30 °C.

Considerando le basse temperature di alcuni suoli al momento del trapianto è evidente quanto questo fenomeno potrebbe influire negativamente sull’attività di biocontrollo.

Tra i fattori ambientali che influenzano l’attività antibiotica il sinergismo antibioco- enzima riveste sicuramente un ruolo di primo piano. L’effetto sinergico di una endochitinasi e di una gliotossina isolata da T. virens è stata dimostrato da Di Pietro et al.

(1993), nei confronti della germinazione dei conidi di B.cinerea. Il medesimo fenomeno è stato osservato successivamente da Schirmböck et al. (1994) con i metaboliti di T.

harzianum. L’aggiunta di un endochitinasi, di una chitobiosidasi o di una β-1,3-glucanasi

al substrato contenente gli antibiotici trichorzianine A1 e B1 riduceva drasticamente la

concentrazione di antibiotico necessaria alla completa inibizione della germinazione dei

conidi di B. cinerea. Lorito et al. (1996 b) sperimentarono gli effetti di sette diversi

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Introduzione

antibioci e due fungicidi in tutte le combinazioni con otti enzimi di origine fungina, batterica e vegetale. Tutte le combinazioni enzima-composto antimicrobico mostrarono un incremento dell’azione inibitoria contro B. cinerea e F. oxysporium.

Sebbene la produzione di antibiotici da parte dei funghi sia un fenomeno ben documentato (Howell, 1998; Sivasithamparam e Ghisalberti, 1988) pochi sono i lavori recenti dimostranti chiaramente la produzione di antibiotici da parte dei funghi nella rizosfera e nella spermosfera. Di conseguenza rimane ancora molto da chiarire sull’esatto ruolo svolto da questi nel controllo della malattia (Whipps, 2001). Particolarmente interessanti sono quegli studi in cui la produzione di antibiotici sembra avere un legame definito con il biocontrollo. Un esempio è quello proposto da Howell nel 1999 per Trichoderma (Gliocladium) virens; in base al profilo antibiotico i ceppi di tale specie possono venire assegnati a due diversi gruppi, denominati P e Q. I ceppi appartenenti al gruppo P producono l’antibiotico gliovirina che risulta attiva contro Pythium ultimun ma non contro Rhizoctonia solani AG-4. Al contrario i ceppi appartenenti al gruppo Q producono l’antibiotico gliotossina la quale è attiva contro R. solani e molto meno contro P. ultimum. Da test di biosaggio delle piantine (seedling bioassay tests) i ceppi appartenenti al gruppo P sono risultati maggiormente efficaci nel controllo della moria dei semenzali (damping-off) causato da Pythium mentre i ceppi appartenenti al gruppo Q hanno dato migliori risultati nel controllo del damping-off causato da R. solani (Howell, 1991; Howell et al.,1993). In questo sistema sperimantale è quindi evidente che gli antibiotici abbiano un ruolo nel biocontrollo (Whipps, 2001).

Un altro esempio interessante è quello fornito dal sistema zinnia-Pythium: la soppressione

della malattia da parte di T. virens G-20, incorporato nel terriccio da invaso, è risultata

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Introduzione

1989; Lumsden et al., 1992 a, b). La gliotossina prodotta da Trichoderma sembra sia anche responsabile della perdita di citoplasma di R.solani, osservata direttamente sulle membrane in terriccio da invaso (Harris e Lunsden, 1997).

Il micoparassitismo

Trichoderma spp. è in grado di parassitizzare un’ampia gamma di funghi patogeni di piante economicamente importanti. Il parassistismo di Trichoderma spp. è di tipo distruttivo, esso porta infatti alla morte del fungo ospite (Barnett e Binder, 1973).

Il micoparassitismo è un processo complesso che coinvolge diverse fasi, la maggior parte dei quali risultano essere altamente specie-specifica (Kubicek e Harman, 1998). La sequenza delle fasi, in generale, sembra essere la seguente: percezione del patogeno, accrescimento verso lo stesso, contatto, riconoscimento, adesione, penetrazione ed uscita (Whipps, 2001).

In Trichoderma spp. la percezione del fungo target sembra essere dovuta all’espressione

sequenziale di enzimi degradativi delle pareti cellulari. Sebbene isolati differenti possano

seguire differenti patterns di induzione, sembrano sempre produrre bassi livelli di una

esochitinasi extracellulare. La diffusione di tale enzima catalizza il rilascio di oligomeri

di parete cellulare dai funghi target, tale rilascio induce l’espressione di endochinasi

fungitossiche (Brunner et al., 2003) che diffondono e iniziano l’attacco del fungo target

prima che il contatto fisico sia realmente avvenuto (Zeilinger et al., 1999, Viterbo et al.,

2002). Una volta che i funghi sono venuti in contatto, Trichoderma spp. attacca l’ospite,

può eventualmente avvolgersi attorno ad esso, formando i cosidetti coilings e formare

appressori sulla superficie dell’ospite. Il ricoscimento sembra essere mediato dal legame

dei carboidrati presenti nelle pareti cellulari di Trichoderma spp. con le lectine del fungo

target (Inbar et al., 1996).Trichoderma spp. produce molti enzimi fungitossici che

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Introduzione

degradano le pareti cellulari (Chet et al., 1998), e probabilmente anche antibiotici peptaboliti (Schirmböck et al., 1994). Le attività combinate di questi composti risultano nel parassitismo del fungo target e nella dissoluzione delle pareti cellulari. Sul sito degli appressori possono essere prodotte lesioni della parete ifale del fungo target attraverso le quali le ife di Trichoderma entrano direttamente nel citoplasma del fungo ospite (Harman et al., 2004). Le chitinasi e le β-glucanasi svolgono un ruolo cruciale nella penetrazione dal momento che la struttura della parete cellulare fungina è costituita principalmente dai polimeri strutturali β-glucani e chitina (Lorito et al., 1994b). Nell’ultima fase dell’interazione antagonista-ospite, Trichoderma digerisce il contenuto intracellulare dell’ospite, provocando la perdita del citoplasma e la disintegrazione delle ife dell’ospite (Benhamou e Chet, 1996).

Ci sono almeno 20-30 geni conosciuti, proteine ed altri metaboliti che sono direttamente coinvolti in questa interazione, che è tipica dei sistemi complessi usati da questi funghi nelle loro interazioni con altri microrganismi (Harman et. al, 2004).

Poco si conosce ancora dei fattori coinvolti sia nell’accrescimento verso il patogeno che nel riconscimento dello stesso; per quanto riguarda quest’ultimo la catena di traduzione del segnale che si attiva in seguito al riconoscimento del fungo ospite non è ancora nota;

evidenze sperimentali su Trichoderma harzianum indicano che il segnale è tradotto da proteine G eterotrimeriche mediante l’implicazione di cAMP (Omero et al., 1999).

Come precedentemente ricordato, la presenza e la durata delle singole fasi è specie-

specifica. Essendo sia la penetrazione che la degradazione della parete cellulare fasi

frequentemente osservate durante il micoparassitismo una grande enfasi è stata posta sia

nella caratterizzazione che nel clonaggio degli enzimi extracellulari quali β-1,3-glucanasi,

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Introduzione

1996 a; Peterbauer et al., 1996; Archambault et al., 1998; Deane et al., 1998; Vázquez- Garcidueñas et al., 1998). L’esatto ruolo svolto da questi enzimi nel biocontrollo è stato ricercato attraverso la costruzione di mutanti iperproduttori dell’enzima, mutanti enzima negativi e piante transgeniche esprimenti l’enzima (Whipps et al.,, 2001). Un trasformato di T. harzianum, iperproduttore per la proteinasi codificata da prb1 è risultato avere un’efficacia 5 volte superiore nel controllo della moria delle piantine causata da R. solani su cotone. Nello studio del micoparassitsmo la maggior attenzione è stata comunque riservata alle chitinasi; numerosi sono gli studi riguardanti la β-N-acetylhesosaminidasi (EC 3.2.1.52), l’endochitinasi (EC 3.2.1.14) e la chitin 1,4-β-chitobiosidasi,(Haran et al., 1996 a; Schikler et al., 1998; Lorito, 1998).

L’azione delle chitinasi è altamente sinergica sia con altri componenti delle chitinasi che con altri componenti implicati nel biocontrollo, quali ad esempio gli antibiotici (Broglie et al., 1991; Lorito et al., 1994b; Schirmböck et al., 1994; Haran et al.,1995; Jach et al., 1995; Lorito et al., 1996 c). Il sinergismo con altri enzimi chitinolitici o glucanolitici risulta in un drastico aumento dell’azione litica e inibitoria anche nel caso in cui gli enzimi abbiano attività minima o nulla quando applicati da soli (de la Cruz et al., 1992;

Lorito et al., 1993, 1994 b, 1996 c). In T. harzianum gli enzimi chitinolitici e la β-1,3- glucosidasi agiscono sinergicamente non solo tra loro (Lorito et al., 1994; Lorito et al., 1993) ma anche con gli enzimi chitinolitici prodotti da G. virens (Di Pietro et al., 1993), con l’agente di biocontrollo Enterobacter cloache (Lorito et al., 1993) e con composti fungitossici (Lorito et al., 1994).

La capacità delle chitinasi di aumentare l’effetto antifungino di composti non enzimatici o

di altri microrganismi sembra essere addirittura più importante del sinergismo enzimatico

(Lorito et al., 1993, 1994b).

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Introduzione

Nel caso del meccanismo sinergico enzima-antibiotico, questo è risultato essere una conseguenza dell’effetto concertato dell’enzima e dell’ attività MAC, (MACs: cell membrane affecting compounds), sull’integrità della parete cellulare, come evidenziato nel caso degli antibiotici peptaboliti (Lorito et al., 1996b). Mentre le chitinasi riducono la rigidità della parete, gli antibiotici peptaboliti inibiscono la sintesi obbligata della membrana dei composti della parete cellulare, andando così a compromettere la capacità riparatrice dell’ifa (Kubicek et al., 2001).

Durante l’instaurazione delle interazioni micoparassitarie probabilmente sono necessari trasportatori ABC; mutanti di T. atrovitidae, mancanti di tali trasportatori sono infatti stati inibiti dalle tossine prodotte da B. cinerea, R. solani e P. ultimum e sono risultati essere parassiti fungini meno efficaci (Lanzuise et al., 2002; Ruocco et al., 2002). La scoperta che Trichoderma spp. produca trasportatori ABC è recente. Queste permeasi ATP- dipendenti mediano il trasporto di diversi substrati attraverso le membrane biologiche;

una sovraespressione dei geni degli ATP-traportatori diminuisce l’accumulo di composti tossici all’interno delle cellule di Trichoderma. In Trichoderma spp., i trasportatori ABC risultano essere importanti in molti processi tra cui la resistenza verso agenti intossicanti ambientali prodotti dalla microflora o introdotti dall’attività umana (es. fungicidi e metalli pesanti), e la secrezione di composti (antibiotici e enzimi degradativi della parete cellulare) necessari per stabilire interazioni micoparassitarie con funghi patogeni o per la creazione di un microambiente favorevole (Lanzuise et al., 2002).

Da quanto finora emerso il micoparassitismo sembra quindi avere un importante ruolo nei

processi di biocontrollo. Rimane comunque difficile da valutare la relativa importanza del

micoparassitismo in condizioni di pieno campo (Kubicek e Harman, 1998).

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Introduzione

Dimostrazioni di micoparassitismo nella spermosfera e nella rizosfera sono rare (Lo et al., 1998).

L’induzione di resistenza

Recenti scoperte evidenziano la capacità di Trichoderma spp. di indurre sia una resistenza di tipo sistemico che localizzato nei confronti di molti patogeni, (Harman et al., 2004). La prima chiara dimostrazione di induzione di resistenza da parte di Trichoderma spp. venne pubblicata nel 1997 da Bigirimana et.al.: il trattamento del suolo con T. harzianum T-39 permise la crescita di piante di fagiolo resistenti alle malattie causate da Botritys cinerea e Colletotrichum lindemuthianum. Sebbene T-39 fosse presente solo sulle radici, dieci giorni dopo la sua applicazione si ebbe una riduzione nel numero e dell’area delle lesioni foliari.

Studi simili sono stati recentemente effettuati su un’ampia gamma di piante sia mocotiledoni che dicotiledoni e con differenti specie ed isolati di Trichoderma: T. virens G-6, G-6-5 e G-11 su cotone contro Rhizoctonia solani (Howell et al., 2000);T.

harzianum T-39 su pomodoro, pepe, tabacco, lattuga e fagiolo contro B.cinerea,(De Meyer et al., 1998); T. asperellum T-203 su cetriolo contro Pseudomonas siringae pv.

lachrymans (Yedidia et al., 2004); T. atroviride P1 su fagiolo contro B. cinerea (M.L., dati non pubblicati; Harman et al., 2004);T. harzianum T-1 e T-22 e T. virens T3, su cetriolo contro il green mottle mosaic virus (Lo et al., 2000); T. harzianum T-22 su pomodoro contro Alternaria solani (Seaman, 2003) e su mais contro Colletotrichum graminicola (Harman et.al., in the press); Trichoderma GT3-2 su cetriolo contro C.

orbiculare, P. syringae pv. lachrymans (Koike et al.,, 2001); T. harzianum su pepe contro Phytophtora capsici (Ahmed et al., 2000). In particolare l’abilità dell’isolato T-22 di T.

harzianum di indurre resistenza sistemica in piante di mais contro Colletotrichum

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Introduzione

graminicola è degna di nota, poichè finora nessun altro organismo simbionte o associato ha dato simili risultati di induzione di resistenza su questa coltura.

Una delle scoperte più interessanti è stata quella relativa all’ induzione di resistenza da parte del ceppo T. harzianum T-22 su pomodoro contro Alternaria solani. Il ceppo T-22 rizosfera-competente ha infatti fornito un controllo sia spazialmente che temporalmente distante dal punto e dal momento di applicazione. L’infezione naturale causata da Alternaria solani sulle foglie di pomodoro è stata sostanzialmente ridotta tramite l’applicazione del ceppo T-22 sulle radici avvenuta ben più di cento giorni prima (Seaman, 2003). Non si sa ancora quanto possa essere la durata dell’induzione di resistenza in assenza del ceppo di Trichoderma inducente, comunque sembra che nel caso di ceppi rizosfera-competenti, i quali crescono continuativamente con la pianta, possa avvenire un’induzione di resistenza sistemica a lungo termine (Harman et al., 2004).

Ceppi mutanti e selvatici di un isolato di T. virens sono stati testati nella loro capacità di controllo della moria delle piantine causata da Rhizoctonia solani. In tale caso il biocontrollo non sembrò essere associato nè con la produzione di antibiotici nè con il micoparassitismo bensì con la capacità dei ceppi di T. virens di indurre la produzione di fitoalessine. I dati indicarono quindi che, contrariamente alle precedenti opinioni formulate sui meccanismi di controllo, gli effetti diretti sui patogeni sono solo uno dei meccanismi implicati, e forse sono meno importanti dell’induzione di resistenza. In questo caso T. virens sembrò indurre resistenza localizzata e non sistemica (Howell, 2003).

I dati finora ottenuti indicano quindi che la resistenza localizzata e sistemica indotta è una

componente importante del biocontrollo di Trichoderma spp.; è bene comunque ricordare

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Introduzione

che meccanismi diversi potrebbero essere responsabili del biocontrollo di ceppi differenti, su piante differenti e con patogeni differenti.

E’ evidente quanto la capacità di indurre resistenza verso una serie di malattie causate da diversi patogeni (inclusi funghi, batteri e virus), in un’ampia varietà di piante, sia largamente diffusa in questo genere fungino. Comunque rimane ancora molto da capire quali siano i sistemi specifici coinvolti.

Al momento sono noti tre classi di composti, prodotti da ceppi di Trichoderma e coinvolti nell’induzione di resistenza (Harman et al., 2004). Si tratta di proteine aventi funzione enzimatica ed altre funzioni (Anderson et al., 1993; Fuchs et al., 1989; Hanson et al., in the press), omologhi di proteine codificati da geni dell’ avirulenza (Avr) (de Wit et al., 2002; Baker et al., 1997) e oligosaccaridi e composti a basso peso molecolare (Mach et al., 1999, Zellinger et al., 1999; Woo et al., 2002; Kubicek et al., 2001).

1.3 Rhizoctonia solani

L’elevata adattabilità all’esistenza saprofitaria, la sua versalità ecologica e l’elevato potenziale patogenetico fanno di Rhizoctonia solani uno dei parassiti più dannosi per le produzioni agrarie.

La forma perfetta di R. solani Khϋn è Thanathephorus cucumeris (Frank) Donk,

appartenente all’ordine Tulasnellales, classe Basidiomycetes, T. cucumeris si manifesta

raramente, in genere solo in fasi di vita saprofitaria, mentre il parassitismo è proprio del

micelio sterile (Matta, 1996).

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Introduzione

Questo micete, più che altro nella sua forma sterile di Rhizoctonia, è stato rinvenuto su oltre duecente specie diverse, appartenenti ad oltre sessanta famiglie di Fanerogamae (Goidanich, 1964).

Tale polifagia è il riflesso dell’esistenza di numerosi ceppi, che si diversificano tra loro per l’ospite, gli organi colpiti, il grado di virulenza, la sopravvivenza nel suolo ed altre caratteristiche (Baker, 1970).

R. solani è stata suddivisa in dieci gruppi di anastomosi (AG), (Sneh et al., 1991). Tra i ceppi appartenenti allo stesso gruppo AG è stata osservata una certa affinità per gli ospiti colpiti e per il tipo di danno (Anderson, 1982).

Il micelio di R. solani, ialino in età giovanile e bruno od olivaceo in età più avanzata è costituito da ife settate, provviste di un restringemento in corrispondenza dei setti, larghe in media 7-9 µm e ramificate per lo più in direzione obliqua o perpendicolare rispetto all’

ifa madre. I setti, con l’andare del tempo, dividono il micelio in articoli dilatati, corti,

disposti in catena od isolati, facilmente distaccabili che ricordano le fruttificazioni ifali. Il

micelio raddensandosi va a costituire pseudosclerozi in forma di masserelle spesso di

colore bruno, bruno tabacco, nero, bruno porpora, isolate o riunite, poco definite, lanose o

glabre, irregolari o voluminose e misuranti 5-15 mm di diametro le cui caratteristiche

variano a seconda dei ceppi di appartenenza (Goidanich, 1964), (Fig. 1.2).

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Introduzione

Un importante carattere è la natura multinucleare delle cellule ifali, che ne consente la generale distinsione dalle Rhizoctonia con miceli binucleati, in rapporto metagenetico con Ceratobasidium.

R. solani persiste nel terreno come micelio in attiva crescita o come sclerozi, e può esservi introdotto anche con organi di moltiplicazione e semi infetti. Oltre ad attaccare organi ipogei in condizioni di elevata umidità atmosferica può risalire ed attaccare le parti aeree di piante erbacee. In generale causa gravi danni a temperature relativamente elevate (>21°C), ma è capace, con alcuni dei suoi ceppi di notevole adattamento termico, di attività patogeniche anche a temperature più basse. Le condizioni di umidità ottimali per questo fungo non sono facilmente e univocamente individuabili. Essendo ostacolato dalla scarsa ossigenazione, con l’aumento del contenuto idrico del terreno sposta tendenzialmente la propria attività verso strati più superficiali (Matta, 1996).

R. solani può essere associata come strategie saprofitarie agli R-selected (Campbell, 1989); la classificazione in tale raggruppamento è giustificata dal fatto che R. solani sia efficace nella cattura delle risorse, come colonizzatore primario (Papavizas, 1970) e sembri mal sopportare situazioni di competizione (Papavizas et al., 1975). I funghi R- selected sono infatti attivi solo in habitat caratterizzati da un basso grado di competizione combattiva e stress; sono perciò predominanti in presenza di sorgenti di carbonio prontamente assimilabili e dove c’è almeno inizialmente una relativa scarsa micoflora. La loro abilità competitiva è principalmente legata alla capacità di sfruttare le risorse disponibili come colonizzatori primari, (Cooke e Rayner, 1984).

R. solani è considerato un patogeno avente una elevata capacità saprofitica competitiva

(Park, 1963), intendendosi con tale termine “la somma delle caratteristiche fisiologiche

(34)

Introduzione

che determinano il successo della competizione per la colonizzazione dei substrati organici morti”, (Garret, 1956).

Il successo di R. solani come saprofita ruderale è legato principalmente alla capacità del suo lussureggiante micelio di svilupparsi rapidamente e al fatto di essere un micoparassita necrotrofo facoltativo (Cooke e Rayner, 1984).

In qualità di patogeno necrotrofo esso infatti può trovarsi all’interno dei tessuti della pianta quando questi sono ancora vitali, ed andare perciò ad occupare una posizione di vantaggio quando questi, in seguito alla morte dell’ospite, giungono nel terreno.

Successivamente R.solani può non limitarsi alla colonizzazione dei residui conquistati, ma partendo da questi puo andare ad esplorare ampi volumi di terrreno e ricercare nuove fonti di nutrimento, grazie alla capacità del suo micelio di svilupparsi rapidamente.

Questo comportamento sembra suggerire una strategia secondaria, sono infatti gli S- selected che spesso mostrano abilità di crescere attraverso il suolo (Pugh, 1980).

Molte sono le evidenze del fatto che R. solani mal sopporti situazioni di competizione (Papavizas et al., 1975). In seguito alla riduzione della presenza degli antagonisti, Baker et al., (1967) rilevarono un incremento della colonizzazione di sostanza organica da parte di R. solani. Mew e Rosales (1985) videro che T. harzianum influiva sulla produzione di sclerozi da parte di R. solani e che l’abilità dell’antagonista nella decomposizione della paglia di riso comprometteva la sopravvivenza del patogeno.

In generale R. solani risulta essere molto veloce nella colonizzazione di tessuti morti solo

se presente prima di altri organismi saprofiti; ne conviene che la colonizzazione di un

substrato da parte di altri funghi può prevenire l’invasione di saprofiti facoltativi

(Papavizas, et al., 1975)

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