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Il commercio internazionale di armi The Arms Trade Treaty

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Il commercio internazionale di armi

The Arms Trade Treaty

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Indice

INTRODUZIONE

-Natura e dimensioni del problema CAPITOLO I La legislazione italiana

1.1 -Legge n.185 del 9 luglio 1990

Le modifiche introdotte con l’accordo Faranborough 1.2 -Il Registro Nazionale delle imprese

1.3 -Il Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza 1.4 -Art.11 l.185/1990

1.5 -Art.13 l.185/1990

CAPITOLO II

La regolamentazione europea del commercio di armi

2.1 -Premessa storico giuridica 2.2 -Il Codice di Condotta 2.3 -L’Accordo di Farnborough

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CAPITOLO III The Arms Trade Treaty

3.1 -Verso il trattato: le negoziazioni e la struttura 3.2 -L’oggetto e l’obiettivo del trattato

3.3 -L’ambito di applicazione del Trattato e UNROCA 3.4 -Small arms e Light Weapons

3.5 -Le attività non disciplinate dal Trattato: l’eccezione all’art.2

3.6 -Munizioni

3.7 -Parti e Componenti

3.8 -Art.5: una lettura congiunta con gli art.12-13

CAPITOLO IV

Il sistema di controllo sui trasferimenti

4.1 -Proibizioni

4.2 -Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite 4.3 -Trasferimenti illeciti di armi convenzionali 4.4 -Il divieto al momento dell’autorizzazione 4.4.1. - La conoscenza

4.5 -Esportazione e valutazione dell’esportazione 4.6 -I criteri di prevenzione

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CAPITOLO V

Le attività disciplinate dal trattato

5.1 -Importazione

5.2 -Transito o trasbordo 5.3 -Intermediazione 5.4 -Diversione

5.4.1- Le modifiche apportate nel corso delle Negoziazioni

5.4.2 – La diversione di armi trasferite 5.4.3 – Scambio di informazioni

CONCLUSIONI Un’analisi critica

I. Può ritenersi un successo? II. Una negoziazione debole III. Le lacune della disciplina

IV. Il trasferimento di armi verso attori non statali V. Il sistema di controllo

VI. Il principio di trasparenza e la cosiddetta “clausola di riservatezza” Postfazione

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INTRODUZIONE

NATURA E DIMENSIONI DEL PROBLEMA

Parlare di commercio di armi implica la necessità di chiarire l’ambito o meglio, gli ambiti in cui questo si colloca.

La parola “armi” evoca prima di tutto l’aspetto della sicurezza, della difesa pubblica di uno Stato, produttore o acquirente che sia all’interno della transazione.

Con “commercio” si fa rifermento all’ambito economico di compravendita tra Stati: import ed export di armamenti di dimensioni tali da richiedere una regolamentazione puntuale ed accurata.

Non esiste uno Stato che possa definirsi totalmente autosufficiente nel campo dell’industria militare interna; gli scambi in questo settore sono sempre stati presenti; la dimensione del settore dell’industria militare di un paese può al massimo determinare una diminuzione nell’import, ma molto difficilmente porterà ad una chiusura dei mercati all’esterno.

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Stati Uniti e Russia, in base al report redatto dal SIPRI1 1 (Stockholm International Peace Research Institute),

risultano i principali stati esportatori di armi convenzionali nel quinquennio 2009-2013. L’affermarsi di queste due super potenze nel settore militar-industriale risale al periodo della Guerra Fredda: l’avanguardia tecnologica e di produzione offerta da Stati Uniti ed Unione Sovietica non trovava eguali sul mercato in quel momento storico.

La Nato aveva interesse a rallentare il trasferimento di armi all’Unione Sovietica e, a questo proposito, creò il COCOM, Coordinating Committee for Multilateral Export Controls, per bloccare l’export di armi, tecnologie industriali, tecnologie atomiche, dai paesi del Patto di Varsavia all’URSS.

In seguito al crollo dell’Unione Sovietica il mercato delle armi ha subìto delle modifiche che con il tempo hanno portato ad una vera e propria globalizzazione del settore. Stati Uniti e Russia continuano a risultare ai primi posti nelle statistiche di settore ma,

1 Il SIPRI è un istituto internazionale di ricerca indipendente con sede a Stoccolma, fondato

nel 1966. Dal 1968 il SIPRI pubblica annualmente serie statistiche relative al commercio di armamenti e alle spese militari. L’Istituto pubblica regolarmente un annuario (SIPRI Yearbook), che riporta i dati relativi al commercio degli armamenti.

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oggi, sono seguite da molti altri stati concorrenti, tra cui l’Italia che risulta ottava nel report stilato dal SIPRI.

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CAPITOLO I

La legislazione italiana

L’esportazione di armamenti in Italia per molto tempo è stata priva di una regolamentazione specifica. Le armi venivano considerate alla stregua di una merce qualsiasi ed inoltre, il regio decreto n.1161 del 1941 prevedeva che tutto ciò che riguardasse il trasferimento di armamenti fosse coperto da segreto militare. Il vulnus normativo persistette fino al 1975, quando il Ministero del Commercio con l’Estero emanò due decreti:

D.M. 10/01/1975 “Tabella export- Disposizioni particolari in materia di esportazione di merci”

D.M. 20/3/1975 “Norme specifiche su controllo delle esportazioni di materiale bellico”

Quest’ultimo mai pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

La legge n.110/1975 “Norme integrative sulla disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi” introdusse una prima categorizzazione di armi ed istituì la Commissione Consultiva Centrale per le armi, riunitasi per l’ultima volta, prima della sua soppressione, il 3 settembre 2012.

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Considerando la materia di competenza dell’ambito economico commerciale piuttosto che giuridico, il commercio di armi non trova in Italia una normativa ricca; fino al 1990 è doveroso richiamare la disciplina del TULPS (Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza) che tuttavia si occupa principalmente del rilascio di licenze, necessarie ad assicurare un controllo interno rivolto alla sicurezza del cittadino e dello Stato in generale.

Dobbiamo attendere la legge n.185 del 1990 perché siano

introdotte in Italia delle regole più stringenti circa la trasparenza ed il controllo nei trasferimenti di armi.

1.1 - Legge n.185 del 9 luglio 1990

Le modifiche introdotte con l’accordo Faranborough

Oggetto della disciplina legislativa sono i “materiali d’armamento”, rimanendo escluse le comuni armi da sparo. Non solo rientrano nell’ambito di applicazione della legge le armi ad

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uso esclusivamente militare, ma vi sono ricomprese anche le cosiddette armi dual use2.

La conformità del commercio di armi alle politiche estere e di difesa dell’Italia viene affermata fin dal primo articolo della legge, nel quale inoltre troviamo sottolineata la necessità che qualsiasi operazione che riguardi gli armamenti o la cessione di licenze, sia conforme al dettato della Costituzione. In particolare, vengono richiamati l’art.11 Cost. in cui si afferma che “L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali...” e l’art.117 Cost sulla potestà legislativa esclusiva dello Stato che tratta delle “politiche estere” e di “la difesa e le Forze armate, la sicurezza dello Stato, le armi, munizioni ed esplosivi” (ai punti a) e b)) all’interno della competenza esclusiva statale. La conseguenza immediata di tale dettato costituzionale è la presenza, a livello nazionale, di sole fonti di rango primario a disciplinare la materia.

2 REGOLAMENTO (CE) N. 428/2009 del Consiglio del 5 maggio 2009 che istituisce un

regime comunitario di controllo delle esportazioni, del trasferimento, dell’intermediazione e del transito di prodotti a duplice uso;

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Il primo articolo della legge 185/1990 si occupa di accentrare il potere di controllo nelle mani dello Stato ed in particolare del Governo per quanto riguarda la predisposizione di misure idonee ed il rispetto della differenziazione produttiva. A partire dal quinto

art.2 n.1 «prodotti a duplice uso sono i prodotti, inclusi il software e le tecnologie, che possono avere un utilizzo sia civile sia militare; essi comprendono tutti i beni che possono avere sia un utilizzo non esplosivo sia un qualche impiego nella fabbricazione di armi nucleari o di altri congegni esplosivi nucleari»

articolo vengono introdotti dei divieti, così da circoscrivere per la prima volta lo spazio entro il quale è possibile muoversi lecitamente quando si tratta di commerciare armi.

Si tratta in particolare di situazioni vietate perché “in contrato con la Costituzione, con gli impegni internazionali dell'Italia e con i fondamentali interessi della sicurezza dello Stato, della lotta contro il terrorismo e del mantenimento di buone relazioni con altri Paesi, nonché' quando manchino adeguate garanzie sulla definitiva destinazione dei materiali”3.

L’art. 1 n.6 lett. a) introduce il divieto di importazione e transito di armi nei paesi in stato di conflitto armato, costituendo questa un’ipotesi di contrasto con l’art.51 della Carta delle Nazioni

3 Art.1 n.5 l.185/1990

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Unite4, salvo diversi impegni assunti dall’Italia a livello

internazionale o salva diversa delibera del Consiglio dei Ministri.

La legge in questione introduce per la prima volta in Italia dei principi e delle linee guida in grado di indirizzare l’attività e soprattutto di individuare i responsabili posti al vertice del controllo.

L’art.2 della legge è dedicato alla definizione di materiali di armamento5 ai fini dell’applicazione della presente legge Segue la

disciplina del Registro nazionale delle imprese all’art.3, che prevede che l’iscrizione a quest’ultimo costituisca condizione necessaria al rilascio di autorizzazioni e permessi da parte del Ministero della Difesa con il contributo di pareri emessi dal UAMA (Unità per le Autorizzazioni di materiali d’Armamento

4 Art. 51 Carta delle Nazioni Unite:

“Nessuna disposizione del presente Statuto pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza

internazionale. Le misure prese da Membri nell’esercizio di questo diritto di autotutela sono immediatamente portate a conoscenza del Consiglio di Sicurezza e non pregiudicano in alcun modo il potere e il compito spettanti, secondo il presente Statuto, al Consiglio di Sicurezza, di intraprendere in qualsiasi momento quell’azione che esso ritenga necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale.”

5 “materiali che, per requisiti o per caratteristiche tecnico produttive e di

progettazione, sono tali da considerarsi costruiti per un prevalente uso militare o di corpi armati o di polizia” art.2 l.185/!990.

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presso il Ministero degli Affari Esteri).

L’art.5 n.1 rubricato “Relazione al Parlamento” prescrive che il Consiglio dei Ministri riferisca al Parlamento le operazioni precedentemente autorizzate e svolte entro il 31 dicembre, redigendo una propria relazione entro il 31 marzo di ciascun anno. Dalle disposizioni della presente legge si evince la volontà di strutturare un controllo di concerto all’interno dello Stato, tale da garantire continue verifiche durante tutto l’iter del processo.

1.2 - Il Registro Nazionale delle imprese

L’art.3 l.185/1990 prevede che presso il Ministero della difesa, ufficio del Segretario generale- Direttore nazionale degli armamenti, sia istituito il Registro Nazionale delle imprese. Nel suddetto registro vengono annotate le imprese operanti nel settore industrial-militare, in particolare tutte quelle imprese che si occupano di “progettazione, produzione, importazione, esportazione, manutenzione e lavorazioni comunque connesse di materiale di armamento”.

L’iscrizione al Registro Nazionale è condizione necessaria affinché le imprese possano intraprendere qualsiasi operazione di

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import/export, fabbricazione di materiale di armamento e trattative contrattuali.

1.3 - Il Testo Unico delle leggi di Pubblica Sicurezza

L’art.3 c.3 l.185/1990 afferma che “l’iscrizione al registro tiene luogo dell’autorizzazione di cui all’art.28, comma secondo, del Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza”. L’autorizzazione menzionata consiste in una licenza rilasciata dal Ministro dell’Interno per la fabbricazione di armi da guerra di qualsiasi tipo, di parti di esse ed in generale di qualsiasi oggetto che possa essere ricollegato alla categoria di arma.

In base all’art.34 del Regolamento del TULPS, la domanda

indirizzata al Ministro dell’Interno per l’ottenimento della licenza, deve contenere i seguenti elementi:

1. le generalità complete del richiedente

2. l’ubicazione delle industrie richiedenti destinate alla produzione

3. l’indicazione del tipo di armamenti e della quantità che il richiedente intende produrre

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4. il periodo di tempo ritenuto necessario dal richiedente per portare a termine la produzione del suddetto quantitativo 5. la sottoscrizione del richiedente è inoltre necessaria la

capacità di agire; di conseguenza la possibilità di ottenere la licenza sarà inibita al minore di età, all’inabilitato (art.415 c.c.), all’interdetto (art. 414 c.c.) ed al condannato in stato di interdizione legale (art.32 c.p.).

La licenza sarà valida per lo svolgimento di operazioni concernenti la tipologia di armi e la quantità indicata nella richiesta; qualsiasi tipo di variazione circa il contenuto della richiesta, deve essere previamente comunicato al Prefetto, in base art.84, 2°comma del Regolamento.

L’industria che abbia ottenuto la licenza è sottoposta, per tutta la durata della sua validità, a controlli da parte del Ministro per l’Interno per mezzo di funzionari e delegati, a garanzia della pubblica sicurezza nello svolgimento delle attività autorizzate. Il Ministero della Difesa, in base all’art 35, 2° comma, TULPS, può svolgere attività di controllo tecnico, in considerazione del tipo di materiale prodotto dalle industrie in questione e dell’alto livello di rischio che ne deriva. Il controllo può essere svolto in qualsiasi

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momento, con libero accesso all’interno dell’azienda da parte di delegati, tecnici o militari.

Il Ministro dell’Interno, essendo l’Autorità vigilante principale, è responsabile di accertarsi della regolarità dello svolgimento delle operazioni e, se necessario, ha il potere di modificare il contenuto della licenza, di sospendere la sua esecuzione, di ritirare il materiale prodotto ed infine di revocare la licenza interrompendo le operazioni in corso (art. 36 Regolamento).

1.4 - Art.11 l.185/1990

L’art.11 l.185/1990 apre la Sez. II riguardante “Operazioni per i paesi non appartenenti all’Unione Europea”.

L’articolo è rubricato “Domanda di autorizzazione”,

autorizzazione necessaria per svolgere operazioni di importazione, esportazione, transito e cessione di licenza, nel caso in cui siano coinvolti paesi extra comunitari.

La richiesta di autorizzazione, sottoscritta dal legale rappresentante dell’industria richiedente o da un delegato dalla stessa designato per lo scopo, viene presentata al Ministro degli affari esteri che ne dà comunicazione al Ministro del commercio con l’estero.

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Il secondo comma elenca dalla lettera a) alla lettera h) gli elementi necessari della domanda. Qui riportiamo le lettere d), f) ed h) come segue:

d) il Paese di destinazione finale del materiale ovvero eventuali Paesi, enti, imprese e soggetti di destinazione intermedia o finale ai sensi del comma 3 lettera c);

f) eventuali obblighi economici verso lo Stato per diritti di proprietà e di brevetto e simili;

h) eventuali affidamenti da parte di Amministrazioni dello Stato per la esecuzione della operazione pattuita.

Inoltre, è necessaria l’indicazione delle generalità identificative del richiedente e le caratteristiche del materiale di armamento.

Il terzo comma fornisce un elenco dei documenti da allegare alla domanda:

1. copia dell’autorizzazione o del nulla osta, dove previsti; 2. copia del contratto o del subcontratto di forniture o acquisto

o trasporto per la parte inerente alle condizioni commerciali e finanziarie dell'operazione; se il contratto è scritto in lingua straniera, la copia deve essere corredata dalla traduzione in lingua italiana;

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3. un certificato d'importazione rilasciato dalle autorità governative del Paese destinatario, per i Paesi che partecipano con l'Italia ad accordi di controllo reciproco sulle esportazioni di materiali di armamento; per tutti gli altri Paesi, un "certificato di uso finale" rilasciato dalle autorità governative del Paese destinatario, attestante che il materiale viene importato per proprio uso e che non verrà riesportato senza la preventiva autorizzazione della autorità italiane preposte a tale compito.

Il certificato di uso finale deve essere autenticato dalle autorità diplomatiche o consolari italiane accreditate presso il Paese che lo ha rilasciato.

Infine, è previsto che per le operazioni di cui all’art.9, 4°e 5° comma, non siano necessari i documenti qui richiamati, essendo previste specifiche autorizzazioni.

1.5 - Art.13 l.185/1990

Lo svolgimento di operazioni che prevedono la circolazione (import, export, transito) di materiali di armamento, parti di essi, la cessione di licenze industriali, operazioni di outsourcing

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militarindustriale, l'intermediazione, la delocalizzazione produttiva e i trasferimenti intangibili di software e di tecnologia6,

richiedono l’autorizzazione il cui iter di rilascio è previsto dall’articolo in questione.

Il Ministro degli affari esteri, previo parere del Comitato

Consultivo di cui all’art.7 della presente legge, di concerto con il Ministro delle finanze, rilascia l’autorizzazione entro 60 giorni dalla presentazione della domanda ovvero, nel caso in cui venga negata, è tenuto a fornire una specifica motivazione.

L’autorizzazione può essere rilasciata nella forma di licenza globale di progetto rilasciata al singolo operatore7 , quando

riguarda lo svolgimento di operazioni con Paesi dell’Unione Europea e della NATO. È necessario che l’Italia abbia stipulato con questi paesi degli accordi che rispettino i principi ispiratori

6 Il decreto legislativo 22 giugno 2012, n. 105 ha modificato la legge n. 185/1990 sul

controllo dell'esportazione dei materiali di armamento, in attuazione della direttiva 2009/43/CE, che semplifica le modalità e le condizioni dei trasferimenti all'interno delle Comunità di prodotti per la difesa. Le modifiche sono intervenute su molte previsioni della legge 185 con l’estensione dei controlli e dell’applicazione a una serie di attività prima non previste, come ad esempio l’intermediazione e la delocalizzazione produttiva.

7 La “Licenza Globale di Progetto” è stata introdotta dalla legge del 17 giugno 2003,

n.148 di ratifica dell’accordo quadro di Faranbourough. Costituisce una tipologia autonoma di autorizzazione.

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della presente legge e che non pongano in contrasto con quanto previsto dall’Accordo Farnborough stipulato il 27 luglio 2000. La licenza di globale di progetto può autorizzare la fornitura di materiali di armamento prodotti o sviluppati in base ad un programma congiunto, ai Paesi firmatari dell’accordo di Farnborough, per uso militare nazionale.

L’articolo prosegue indicando le circostanze in cui non è richiesto il previo parere del Comitato; di conseguenza sarà il Ministro degli affari esteri a rilasciare autonomamente l’autorizzazione. Si tratta di fattispecie elencate dall’art.9,4° e 5° comma:

“L'inizio delle trattative contrattuali ai fini delle operazioni di esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento da e verso Paesi NATO e UEO ovvero delle operazioni contemplate da apposite intese intergovernative, deve essere comunicato al Ministero della difesa che, entro 30 giorni dalla ricezione della comunicazione, ha facoltà di disporre condizioni o limitazioni alla conclusione delle trattative stesse.” (art.9, 4° comma l.185/1990)

Il 5° comma elenca operazioni di importazione ed esportazione soggette al solo nulla osta del Ministro della Difesa.

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Le amministrazioni interessate devono essere informate riguardo alle autorizzazioni rilasciate ex art.13.

Il quarto comma (abrogato dal D.P.R. 20 aprile 1994, n. 373) prevedeva che l’impresa, decorsi 60 giorni dalla presentazione della domanda, nel caso in cui non avesse ottenuto l’autorizzazione di cui all’art.11 e non avesse ricevuto comunicazioni di rigetto della domanda da parte del Ministro degli affari esteri, potesse rivolgersi direttamente al Comitato Interministeriale per gli scambi di materiale di armamento per la difesa8, il quale era autorizzato a

concludere la procedura in via definitiva.

Nel caso in cui l’impresa richiedente voglia intraprendere operazioni di esportazione di componenti specifici e parti di ricambio di materiali di armamento è necessario presentare copia del certificato di importazione all’impresa destinataria o in alternativa il certificato di uso finale o un documento di valenza equipollente.

8 Il CISD, è stato un organismo statuale istituito presso la Presidenza del Consiglio

dei Ministri con la Legge 9 luglio 1990, n. 185. L’art.6 della legge prevedeva che il Comitato formulasse gli indirizzi generali per le politiche di scambio nel settore della difesa e che dettasse direttive d’ordine generale per l’esportazione, l’importazione ed il transito dei materiali di armamento. Era previsto inoltre lo svolgimento di attività di sorveglianza. È stato soppresso con la Legge n. 537 del 24 dicembre 1993.

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CAPITOLO II

La regolamentazione europea del commercio di armi

2.1 - Premessa storico giuridica

Al termine della Guerra del Golfo del 1991, all’interno dell’Unione Europea si aprì un dibattito, animato dall’esigenza di una regolamentazione uniforme in materia di esportazione di armi.

Aprire le trattative intorno ad un siffatto argomento, significava scontrarsi con problemi non solo di ordine economico, ma anche politico giuridico. Costruire una cooperazione ultra statale significava innanzitutto delegare ad una gestione comune l’ambito della produzione di armi, che incide direttamente sull’economia interna e su tutto ciò che questa comporta: livello occupazionale, strategie di commercio, peso dell’industria militare sul bilancio statale ecc.

Affidarsi ad una disciplina comune comportava, in secondo luogo, una parziale rinuncia degli Stati all’egemonia decisionale circa la propria sicurezza, a favore di una cogestione condivisa tra gli stati dell’Unione.

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Infine, da un punto di vista giuridico, il diritto dell’Unione Europea coesiste con i singoli ordinamenti nazionali, dovendosi quindi strutturare in modo tale da poter risultare compatibile con questi, nonostante le loro differenze e le diverse tradizioni giuridiche. L’art. 296 del Trattato istitutivo della Comunità Europea, così come modificato dal Trattato di Amsterdam (in precedenza la materia era disciplinata ex art.223) può essere visto come un ostacolo alla totale cooperazione tra gli stati, lasciando un’ampia libertà agli stessi nel decidere circa la propria sicurezza e difesa.

L’articolo infatti introduce una vera e proprio eccezione antitrust, costituendo una deroga al principio di libera concorrenza del sistema economico europeo.

La lettera b) del Trattato recita: “ogni Stato membro può adottare le misure che ritenga necessarie alla tutela degli interessi essenziali della propria sicurezza e che si riferiscano alla produzione o al commercio di armi, munizioni e materiali bellico; tali misure non devono alterare le condizioni di concorrenza nel mercato comune per quanto riguarda i prodotti che non siano destinati a fini specificatamente militari”.

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L’introduzione di questa deroga alla disciplina generale potrebbe indurre a ritenere che gli Stati godano di una discrezionalità pressoché illimitata, con il solo limite di non incidere sul mercato dei beni che esulano dall’ambito militare, così da autodeterminarsi nella produzione e nel commercio di armi a scapito di una qualsiasi collaborazione, ritenendo prioritaria l’esigenza di tutelare la sicurezza nazionale.

In realtà, proprio per circoscrivere la possibilità di ricorrere a questa eccezione antitrust, una decisione del Consiglio del 1958, predispose una lista di prodotti rientranti nella deroga, anche se ad oggi ha un valore meramente indicativo e non vincolante.

Nonostante la vaghezza della disciplina appena riportata, gli Stati dell’Unione hanno iniziato un processo di collaborazione, tuttora in corso, volto a raggruppare industrie militari ed imprenditori nazionali con l’obiettivo di dare vita al BITD, Base Industriale e Tecnologica della Difesa. La maggiore difficoltà riscontrata nel raggiungimento di questo fine è data dall’interesse predominante degli stati di perseguire obiettivi interni, spesso politici ed economici.

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I governi nazionali spesso presentano significative partecipazioni nelle imprese nazionali e, forti anche della possibilità offerta dalla deroga dell’art.296 lett. b), prendono decisioni dettate soprattutto dall’esigenza di affermarsi sul mercato a scapito delle industrie concorrenti, di crescere come potenze economiche nel settore industrial militare e tutto questo tendenzialmente viene fatto in nome dei valori ideologici “difesa” e “sicurezza”. La lett. a) dell’art. 296, fornendo un ulteriore strumento agli stati membri per mantenere una posizione autonoma, recita: “nessuno Stato membro è tenuto a fornire informazioni la cui divulgazione sia dallo stesso considerata contraria agli interessi essenziali della propria sicurezza”, ribadendo il ruolo decisivo dello stato nazionale, lasciato libero di decidere discrezionalmente, ancora una volta in nome della propria sicurezza.

La conseguenza di tutto questo è data dal persistere, tra gli stati dell’Unione, di normative anche profondamente diverse tra loro. Tuttavia, negli ultimi anni, sono stati mossi passi importanti nella direzione di una disciplina più organica e armonizzante; la creazione ed il potenziamento della PESC (Politica estera e sicurezza comune) e l’integrazione economico-industriale (portata

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avanti anche attraverso il progetto della BITD), hanno condotto all’elaborazione di due strumenti:

• Il Codice di Condotta Europeo sulle Esportazioni di Armi del 1998

• L’Accordo Quadro per la Ristrutturazione dell’Industria Europea degli Armamenti del 2000

2.2 - Il Codice di Condotta

Il Codice di Condotta Europeo sulle Esportazioni di Armi è stato approvato nel giugno 1998 dal Consiglio dei Ministri dell’Unione Europea nel contesto della PESC. Il Codice introduce otto criteri etici a cui attenersi nelle esportazioni di armamenti ed un primo meccanismo di scambio di informazioni tra Stati durante le operazioni.

Gli otto criteri etici di condotta, a cui gli Stati devono attenersi sono i seguenti:

1. Rispetto degli impegni nazionali degli Stati membri, in particolare delle sanzioni decretate dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e di quelle decretate

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dall’Unione, degli accordi sulla non-proliferazione e su altri punti, così come degli altri obblighi internazionali;

2. Rispetto dei diritti umani nel paese di destinazione finale. Nel caso in cui vengano accertate gravi violazioni dei diritti umani, gli Stati saranno tenuti ad interrompere le operazioni di esportazione di armi, così come dovranno prudentemente accertarsi dei fatti prima di concedere licenze.

3. Situazione interna del paese di destinazione finale in funzione dell’esistenza di tensioni o conflitti armati

4. Mantenimento della pace, sicurezza e stabilità regionale; 5. La sicurezza nazionale degli Stati membri la cui politica

estera dipenda dalla responsabilità di uno Stato membro, così come dei Paesi alleati o amici;

6. L’atteggiamento del Paese acquirente nei confronti della comunità internazionale, con particolare attenzione al suo comportamento nei confronti del terrorismo, alla natura delle sue alleanze e al rispetto del diritto internazionale; 7. L’esistenza del rischio che l’equipaggiamento possa essere

deviato all’interno del Paese acquirente o verso destinazioni indesiderate;

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8. La compatibilità delle esportazioni d’armi con la capacità tecnica ed economica dello Stato ricevente, tenuto conto del fatto che gli Stati dovrebbero soddisfare le proprie esigenze legittime di sicurezza e di difesa con un coinvolgimento minimo delle risorse umane ed economiche per gli armamenti.

Nelle disposizioni operative viene descritto il meccanismo di consultazione.

Attraverso questo strumento è stato aperto un canale di comunicazione forte tra gli Stati, che nell’adeguarsi al dettato del Codice, dovranno consultarsi, fornendo chiarimenti dettagliati, ogni qual volta uno degli Stati membri neghi un’autorizzazione all’esportazione, in base a quanto previsto dal Codice.

La consultazione deve tenersi anche nel caso in cui uno Stato intenda concedere un’autorizzazione di vendita, quando ne sia stata negata una essenzialmente identica nel corso dei tre anni precedenti da un altro Stato membro. Attraverso questo meccanismo di scambio di informazioni, il Codice di Condotta

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ha dato vita ad una rete burocratica di autorizzazioni e controlli che prescinde dal parere di un singolo Stato, poggiando piuttosto sull’Unione Europea come ente organico. Un tipo di collaborazione siffatta è volta inoltre a scongiurare pratiche elusive nelle operazioni di esportazione di armi, più facilmente attuabile se non vi è scambio di informazioni tra gli Stati. Il Codice di Condotta risulta apparentemente uno strumento innovativo, che fornisce la possibilità di disciplinare uniformemente un campo delicato come quello degli

armamenti. In realtà, da un punto di vista giuridico, risulta troppo debole per poter raggiungere siffatti obiettivi. In primo luogo, è uno strumento non vincolante ed è strutturato in modo tale da lasciare agli Stati molta autonomia. Gli otto criteri introdotti sono espressi in termini generici, senza definire alcun tipo di fattispecie in modo da fornire standard di comportamento che gli stati possano seguire. Inoltre, il meccanismo di comunicazione, che avrebbe avuto la

potenzialità di innovare e migliorare la gestione comune del settore, risulta anch’esso lacunoso. In particolare, non prevede alcun tipo di obbligo per gli Stati di condividere informazioni circa autorizzazioni e licenze; le consultazioni bilaterali si

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applicano solo in caso di rifiuto da parte di uno Stato, ma al termine della consultazione le informazioni sulla decisione finale restano nelle mani dello Stato-operante senza alcun obbligo di condivisione con gli altri. Inoltre, perché questa ipotesi di comunicazione obbligata in caso di diniego si verifichi, il Codice parla della necessità che l’autorizzazione di vendita in questione sia essenzialmente identica ad una negata nel tre anni precedenti. Il problema è che un’espressione del genere, con la sua estrema vaghezza e priva di qualsiasi tipo di indicazione per poterla specificare, espone l’intera procedura al rischio che non venga applicata proprio adducendo la mancanza del requisito richiesto.

2.3 - L’Accordo di Farnborough

L’Accordo quadro per la Ristrutturazione dell’Industria Europea degli Armamenti è stato firmato dai Ministri della Difesa nel luglio del 2000 a Farnborough. Gli Stati firmatari risultavano al momento della ratifica i principali esportatori di armi nel contesto europeo e sono: Regno Unito, Francia, Germania, Svezia, Italia e Spagna.

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Con la legge n.148 del 17 giugno del 2003, l’Italia ha dato esecuzione all’Accordo quadro, apportando modifiche alla legge n. 185/1990.

Sotto la spinta delle maggiori potenze industriali in campo militare, i governi di questi paesi si sono accordati per realizzare una struttura giuridica volta a rafforzare il mercato globale nel settore della difesa. Questa esigenza nasce dal progredire della tendenza ad una cooperazione transnazionale tra le industrie, che ha portato ad una interdipendenza tra le stesse e di conseguenza al bisogno di una regolamentazione più puntuale. Ristrutturare il settore militar-industriale quindi appare come l’obiettivo primario e nel fare questo l’Accordo, nella sua terza parte9, del controllo delle esportazioni di armamenti. Le novità introdotte dall’Accordo in questo ambito riguardano:

• L’introduzione della “licenza globale di progetto” che snellisce la procedura in caso di trasferimento di materiali di armamento tra gli stati membri e si

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sostituisce alle autorizzazioni individuali delle industrie e semplifica i certificati di uso finale.

• Un meccanismo decisionale preventivo basato sul consensus, in caso di esportazione a stati terzi.

L’Accordo si presenta come uno strumento plurilaterale particolarmente significativo: nonostante sia stato ratificato da solo sei stati, questi controllano il 90% delle industrie europee, risultando così di grande portata applicativa. Le semplificazioni procedurali ed il piano di ristrutturazione che propone, indubbiamente risultano essere efficaci al raggiungimento dell’obiettivo di rafforzamento ed armonizzazione, ma non per questo è rimasto indenne da critiche.

La creazione di una sorte di “free zone” dovuta all’introduzione delle licenze globali di progetto ha, da una parte, creato uno spazio economico comune, dall’altra subisce la critica di aver ridotto, se non quasi eliminato, controlli ritenuti necessari in ragione del tipo di bene destinato al trasferimento interstatale. Questa liberalizzazione degli scambi, unita al meccanismo di decisione preventivo che vede come protagonisti le industrie piuttosto che i Parlamenti, espone al rischio di trattare le armi

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come un qualsiasi bene di scambio, abbassando la soglia di controlli sia interni che esterni10.

La semplificazione della procedura non si limita ai paesi firmatari, è sufficiente che un’industria parte stipuli un accordo con un paese NATO perché si estendano anche a questi i contenuti dell’Accordo, abbassando ulteriormente i controlli. In conclusione, il timore è che questo strumento giuridico abbia sì creato un collegamento transnazionale, permettendo agli stati di cooperare tra loro, ma che nel cercare di raggiungere questo obiettivo siano stati trascurati aspetti tecnici necessari a far sì che l’aspetto economico non prevalga su quello della sicurezza.

L’industria militare è un elemento di grande peso nel bilancio economico di uno Stato e questo è un fatto da dover prendere in considerazione nel momento in cui si predispone una disciplina comune del settore: l’istinto egoistico statale di affermarsi sul mercato come potenza industriale dovrebbe trovare un bilanciamento in una regolamentazione più puntuale e meno esposta a deroghe ed elusioni.

(34)

Per questo motivo, nonostante l’Accordo quadro sia stato accolto come un atto innovativo, da un punto di vista di efficacia giuridica e di strategia politica non risulta del tutto esaustivo. Il passo successivo dovrebbe comportare una collaborazione ed una integrazione transnazionale superiore ed una maggiore partecipazione legislativa, sia a livello statale che a livello europeo.

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CAPITOLO III The Arms Trade Treaty

3.1 -Verso il trattato: le negoziazioni e la struttura

The Arms Trade Treaty (ATT), Trattato sul commercio delle armi, è il primo strumento giuridico a livello globale a stabilire linee guida comuni da applicare nello scambio di armi convenzionali.

Il Trattato multilaterale è entrato in vigore il 24 dicembre 2014, a seguito di un lungo iter di negoziati e la stesura di tre bozze del testo prima dell’approvazione definitiva.

Il commercio internazionale di armi è stato, fino all’entrata in vigore di questo Trattato, un campo lasciato privo di regolamentazione. Nonostante si tratti trasferimenti di beni peculiari e potenzialmente molto pericolosi, questo ambito è stato trattato come una branca dell’economia, la cui disciplina era lasciata ai protagonisti del mercato.

La globalizzazione e l’abbattimento di barriere commerciali hanno reso il trasferimento di armi da una parte del mondo all’altra molto,

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troppo semplice. Le industrie di armi si muovevano sul mercato in piena libertà, i controlli da parte degli Stati erano bassi e influenzati dalle parti interessate e soprattutto non vi erano controlli circa l’impiego e la destinazione delle armi una volta vendute. L’Oxfam, agenzia umanitaria internazionale, ha redatto delle statistiche in base alle quali dal 2000 al 2012, circa 2,2 bilioni di euro sono stati spesi per importare armi e munizioni dagli stati operanti sotto l’embargo di armi. In base al report dell’Oxfam, nel decennio preso in considerazione molti stati hanno continuato sistematicamente a violare l’embargo, tra cui:

Myanmar ($600 milioni tra 2000-2010), Iran ($574 milioni tra 2007-2010) and the Democratic Republic of the Congo ($124 milioni tra 2000-2002).11

Nel commento al report, il Capo dell’agenzia Anna Macdonalds ha dichiarato che il commercio internazionale di beni come banane, caffè e cacao, è regolato in modo molto più rigido rispetto a quello delle armi.

11 Dati rilevati dal sito ufficiale dell’agenzia Oxfam in base al report denominato

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L’Oxfam insieme ad Amnesty International e, su territorio italiano, l’Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo e dalla Rete Italiana per il Disarmo, hanno fatto pressione affinché venisse approvato un accordo multilaterale a livello globale che vincolasse gli stati ad una condotta controllata.

I gravi effetti della mancanza di una disciplina del commercio internazionale

di armi portarono nel 1995 alla proposizione di un

Codice di condotta da parte di Oscar Arias, ex presidente della

Costa Rica e di alcuni premi Nobel, con la partecipazione di alcune ONG. In seguito a questa prima proposta, le spinte verso una regolarizzazione arrivarono da parte della società civile, in particolare la sensibilizzazione venne portata avanti da Amnesty International, Oxfam e Istituto per il Disarmo.

Nel 2006 l’impatto maggiore arrivò da parte di una video petizione12 indirizzata a Kofi Annan, allora Segretario dell’ONU.

12 Dal sito ufficiale delle Nazioni Unite, “United Nations News” : “La petizione Million

Faces è una foto petizione proposta da parte di 160 stati che riconoscono il problema del commercio delle armi piccolo calibro ed hanno sottoscritto e supportato l’iniziativa” .

Julius Arile, un sopravvissuto alle violenze armate in Kenya, ha presentato la petizione al Segretario delle Nazioni Unite, illustrando i vari aspetti del problema che necessitano di essere affrontati.

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A seguito della petizione, nello stesso anno, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, approvò l’inizio dei lavori per l’ATT.

La risoluzione 61/89 fu approvata con 153 voti a favore e 24 astensioni, l’unico voto contrario fu quello degli Stati Uniti. In questa prima risoluzione, da ritenersi storica sia per l’argomento trattato che per il raggiungimento di voti a favore, si individuano per la prima volta gli obiettivi perseguiti dal Trattato.

In particolare, si riportano i seguenti punti della risoluzione13: • il controllo delle armi, il disarmo e la non proliferazione

sono riconosciuti come essenziali per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale,

• viene riaffermato il diritto all’auto-difesa degli stati stabilito dall’art.51 della Carta delle Nazioni Unite,

• viene riconosciuto e viene preso atto del fatto che gli stati possano intrattenere rapporti di import ed export nel commercio di armi, ma che qualsiasi tipo di flusso commerciale debba avere i requisiti della trasparenza e possa essere controllato.

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Questi tre punti in particolare appariranno nelle successive risoluzioni dell’Assemblea Generale; lo scopo del Trattato sul commercio delle armi è quello di mantenere e garantire la pace tra gli stati e disincentivare il commercio illegale. Attraverso questa regolamentazione tuttavia, l’Assemblea ha voluto rassicurare gli stati sul fatto che le iniziative commerciali legittime non saranno ostacolate, a condizione che vengano rispettate le condizioni imposte.

Nonostante le rassicurazioni proposte, gli Stati Uniti sono risultati l’unico stato a votare contro l’approvazione della risoluzione. Le motivazioni sono state molteplici: la “National Rifle Association” per i diritti delle lobbies americane, ritenne che la regolamentazione proposta avrebbe minato il primato americano nelle armi e soprattutto sarebbe stato in contrasto con il Secondo Emendamento della Costituzione Americana che garantisce il diritto di acquistare e possedere armi.

Gli Stati Uniti sono stati il 91esimo paese a firmare il Trattato, nonostante la forte opposizione della National Rifle Association,

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che ha considerato questo fatto come una minaccia al possesso di armi da fuoco individuale, così come garantita dalla Costituzione.

3.2 - Verso il Trattato: le negoziazioni e la struttura

L’Assemblea Generale, con la risoluzione 61/89 si rivolse inoltre al Segretario Generale delle Nazioni Unite affinché questo raccogliesse in un rapporto le opinioni dei vari stati circa la possibilità di realizzare un trattato vincolante multilaterale.

Il rapporto in questione venne redatto nel 2007 e contenne le opinioni14 di 100 stati in cui venne espresso il desiderio di

realizzare questo progetto e sottolineata la sua importanza.

Un Gruppo di Esperti Governativi (GGE) venne istituito dal Segretario Generale perché lavorasse al Trattato in modo da coinvolgere tutti gli stati e stabilisse la fattibilità di realizzazione. Si riunì in tre sessioni nel corso del 2008 sotto la guida dell’ambasciatore dell’Argentina, Roberto García Moritán.

Lo stesso GGE suggerì all’Assemblea Generale di istituire un gruppo di lavoro aperto, “Open ended group”, il quale si riunì due

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volte nel 2009 sempre sotto la guida dell’ambasciatore argentino, ma senza produrre alcuna raccomandazione.

Con la risoluzione 64/48 del 2 dicembre 2009, l’Assemblea decise di convocare una Conferenza sul Trattato sul commercio di armi che si riunì per quattro settimane successive nel 2012 allo scopo di elaborare un testo del trattato e dunque si stabilire le nuove regole da rispettare per poter operare nel mercato di armi convenzionali a livello internazionale, il tutto attraverso il meccanismo del consensus così da conferire al contenuto del trattato una forza maggiore.

Nel corso della 66esima sessione è stato stabilito dall’Assemblea la data della sessione finale del Comitato Preparatorio, che si sarebbe dovuta tenere a New York dal 13 al 17 febbraio 2012. La Conferenza Diplomatica avrebbe dovuto tenersi dal 2 al 27 luglio ma problemi concernenti la partecipazione della Santa Sede e della Palestina ritardarono l’inizio dei lavori di qualche giorno. Nel corso dei lavori della Conferenza venne prevista la nomina di due commissioni parallele incaricate di predisporre un testo riguardante il contenuto del Trattato, cercando di mediare tra le richieste avanzate da ciascuno stato. Il Presidente della Conferenza,

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ancora una volta l’ambasciatore argentino Moritán, presentò una prima proposta di testo del trattato, sulla quale però non si raggiunse un consenso.15

Dal 18 al 28 marzo 2013 venne convocata la Conferenza finale sul Trattato sul commercio delle armi, stabilendo come base di trattazione il testo presentato dal Presidente Moritán.

L’obiettivo principale di questa Conferenza fu quello di raggiungere una base di consenso quasi universale, in modo tale da raggiungere l’approvazione di un testo definitivo quanto prima. Nel corso delle precedenti negoziazioni gli stati avevano esposto i propri dubbi circa l’adozione di un trattato operante a livello globale e vincolante in un campo delicato come quello del commercio delle armi. In particolare, Russia, Cina, Corea e Stati Uniti, stati occupanti i primi posti nell’ambito della produzione ed esportazione di armi, erano risultati piuttosto restii a sottomettersi ad una regolamentazione puntuale.

La strategia adottata per la Conferenza Finale fu quella di ampliare il confronto per poter ottenere il massimo consenso possibile sul

15 Gli Stati chiesero più tempo per poter analizzare la bozza di trattato. in

particolare, gli Stati Uniti manifestarono con fermezza il proprio dissenso, allo scopo di minacciare la ratifica di un trattato molto temuto dalle lobbies statunitensi delle armi.

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contenuto del testo, analizzando tre diversi testi presentati dal Presidente ai delegati. Dibattiti formali e informali furono condotti intorno ad ogni punto del testo.

Nonostante l’intenso lavoro predisposto e svolto per l’approvazione di un testo unico, il 28 marzo 2013 la Repubblica Islamica dell’Iran, la Repubblica Popolare Democratica della Corea e la Repubblica Araba di Siria, manifestando il loro dissenso impedirono di adottare un testo definitivo.

La risoluzione 67/234 “A”, prevedeva che il Segretario Generale delle Nazioni Unite venisse informato sul numero di approvazioni ricevute dal testo presentato nella Conferenza Finale e, data l’ampio consenso raggiunto, venne approvato il testo del Trattato sul commercio delle armi da parte dell’Assemblea Generale, il 2 aprile 2013 con: 156 voti favorevoli, 3 contrari e 22 astensioni.16

Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon il 3 giugno 2013 ha aperto alla firma ed in base all’art.22 del Trattato, questo sarebbe entrato in vigore il 24 dicembre 2014, 90 giorni

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dopo il 24 settembre, quando sono state depositate le 50 ratifiche necessarie per conferirgli forza coattiva.

In base all’ultimo aggiornamento risalente al 23 maggio 2018, questa cartina riporta in giallo gli stati firmatari ed in verde gli stati che hanno ratificato l’ATT, per un totale di 95 ratifiche e 40

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sottoscrizioni.17

Aggiornato al 20 agosto 2018 i dati registrati sono i seguenti: 130 sottoscrizioni di cui 97 ratifiche.18

Il Trattato sul commercio delle armi è strutturato in un preambolo, un elenco dei principi ispiratori del Trattato ed a seguire, 28 articoli.

Il contenuto dell’ATT non è coercitivo in ogni suo aspetto; il Trattato appare come un testo dal contenuto misto, dato da parti vincolanti per gli stati-parte e da articoli di natura differente, che consistono piuttosto in suggerimenti o incoraggiamenti rivolti agli stati nell’adempiere a ciò che viene prescritto.

Leggendo il testo del Trattato è possibile individuare le differenze tra gli articoli che lo compongono e la loro distinta natura, ma risulta evidente la presenza soprattutto di raccomandazioni, introdotte da espressioni come “gli stati dovrebbero”, “sarebbe

17 Tabella fornita da “armstreaty.org”, contenuta nel database dell’arms trade treaty

negotiation mapping database.

18 United Nations Treaty Collection, aggiornamento costante dello status del

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appropriato che”, “gli stati sono incoraggiati a” ovvero contenuti lasciati privi di una adeguata specificazione. 19

L’idea che traspare dal tipo di struttura prescelta nel redigere il testo è che si voglia riconoscere e preservare la diversità con cui ogni Stato amministra il commercio delle armi.

Nel preambolo è riaffermato il “diritto sovrano di ciascuno stato di regolare e controllare il commercio di armi convenzionali esclusivamente entro il suo territorio e secondo il proprio sistema legale o costituzionale”20.

Tra i principi ispiratori inoltre è più volte menzionata la responsabilità di ciascuno stato di predisporre sistemi di controllo interni ed è riconosciuta la giurisdizione statale come strumento di risoluzione delle controversie.

Un Trattato che predispone delle linee guida standardizzate per commerciare armi a livello internazionale deve rispettare la volontà di ciascuno stato di perseguire i propri interessi economici,

19 ‘shall’, ‘shall not’, ‘may’, and ‘encouraged’, as well as the presence or absence of

qualifying language, such as ‘where feasible’, ‘where appropriate’, or ‘pursuant to its national laws”

Small Arms Survey, P. Alpers y C. Twyford, Small Arms in the Pacific, Occasional Paper No. 8, Ginebra, 2003.

20 “ Reaffirming the sovereign right of any State to regulate and control conventional

arms exclusively within its territory, pursuant to its own legal or constitutional system”, The Arms Trade Treaty.

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regolando l’iter da perseguire ma mantenendo una indipendenza tale da non inibire eccessivamente la libertà dei soggetti nelle transazioni.

Per questo motivo, a chiusura dell’elenco dei Princìpi, il Trattato recita:

“The respect for the legitimate interests of States to acquire conventional arms to exercise their right to self-defence and for peacekeeping operations; and to produce, export, import and transfer conventional arms;”.21

Questo punto in particolare era già presente nella risoluzione dell’Assemblea Generale della Nazioni Unite 61/89 del 2006, con lo scopo di rassicurare gli stati sul fatto che il Trattato, all’epoca non ancora realizzato, non avrebbe ostacolato gli scambi legittimi di armi ma sarebbe stato uno strumento per disincentivare il commercio illegale.23

21 The Arms Trade Treaty, Trattato su commercio di armi. 23 Art.1, n.2 Trattato sul commercio di armi.

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3.2 - L’oggetto e l’obiettivo del Trattato

Il primo articolo del Trattato è rubricato “The object and the purpose”, “L’oggetto e l’obiettivo”, e riporta non solo ciò verso cui tende il Trattato ma fondamentalmente anche ciò da cui è nato: l’esigenza di regole che eliminino il commercio illegale di armi e che allo stesso tempo preservino la pace e la sicurezza globale.

Questi sono i punti di partenza del lungo iter che ha condotto alla stesura del testo del Trattato e vengono qui riportati in apertura per sottolineare come persistano a rappresentarne anche il punto di arrivo.

“Stabilire standard comuni internazionali più alti possibile per regolare o migliorare la regolamentazione del commercio internazionale di armi convenzionali”22

“Prevenire e debellare il commercio illecito di armi convenzionali e prevenire la loro diversione”23.

22 “The object of this Treaty is to: – Establish the highest possible common

international standards for regulating or improving the regulation of the

international trade in conventional arms; – Prevent and eradicate the illicit trade in conventional arms and prevent their diversion; “ dal Trattato sul commercio delle armi, art.1, n.1.

23 Con diversione di armi si intende il dirottamento delle stesse da situazioni lecite

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L’obiettivo finale di queste operazioni, sempre indicato nel primo articolo del Trattato, è quello di mantenere la sicurezza e la pace tra gli stati, prevenire la violazione dei diritti umani e creare una rete di commercio tra paesi basata sulla correttezza e sulla trasparenza, facendo sì che gli stati si autoresponsabilizzino e che vi sia fiducia tra loro e cooperazione.

Considerando il numero degli stati coinvolti e le immense dimensioni del mercato delle armi, legittimo e sommerso, possono risultare obiettivi vaghi e difficilmente realizzabili, ma attraverso la struttura generica, tipica dei princìpi fondamentali, è stato possibile farvi rientrare più aspetti della regolamentazione, tutti equamente necessari.

3.3 - L’ambito di applicazione del Trattato e UNROCA

Il secondo articolo del Trattato, rubricato in lingua inglese “Scope” ossia “campo, ambito di applicazione”, indica le tipologie di armi il cui scambio è disciplinato dal Trattato. Identificare l’ambito di applicazione del Trattato richiede l’analisi congiunta del presente

solitamente dovuto ad operazioni svolte senza controlli adeguati ed è una pratica propria del commercio illegale di armi.

(50)

articolo e due dei articoli successivi, art.3-4, i quali prescrivono gli adempimenti di cui sono onerati gli stati allorquando intendano dare avvio a determinate operazioni riguardanti le armi indicate dall’art.2. Questo riporta una lista di 7 punti più 1 di armi convenzionali a cui il Trattato si riferisce.

1. This Treaty shall apply to all conventional arms within the following categories: (a) Battle tanks;

(b) Armoured combat vehicles;

(c) Large-calibre artillery systems; (d) Combat aircraft;

(e) Attack helicopters;

(f) Warships;

(g) Missiles and missile launchers; and (h) Small arms and light weapons.

Sette più uno in quanto i primi sette punti dell’elenco riportato nell’articolo consistono nella categorizzazione predisposta dal Registro delle armi convenzionali delle Nazioni Unite.

Al momento della negoziazione per la stesura del Trattato è stato deciso di aderire alla classificazione del Registro; l’art.2 dell’ATT

(51)

non riporta le definizioni delle armi ma si limita a nominarle in un elenco, rinviando al contenuto del Registro per la specificazione di ognuna.24

Nel 1991 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha istituito l’UNROCA, ossia il Registro delle armi convenzionali delle Nazioni Unite. 25

L’Ufficio del Disarmo dell’ONU ritiene che la trasparenza sia un valore fondamentale nei rapporti tra gli stati; agire con trasparenza crea legami di reciproca fiducia e contribuisce alla creazione di reti di comunicazione e collaborazione diplomatica tra diversi paesi, tutte basi solide su cui dovrebbe poggiare il commercio di armi affinché possa svolgersi in modo legittimo. 26

Per queste ragioni attraverso l’UNROCA gli Stati possono fornire annualmente e volontariamente dei reports riguardanti transazioni di armi sul proprio territorio durante l’anno precedente.

24 Nel 2013 l’Assemblea Generale ha affermato che le definizioni che gli stati devono

adottare come parti delle loro liste di controllo nazionale “non possono essere meno inclusive delle descrizioni usate nel Registro di armi convenzionali delle Nazioni Unite al momento dell’entrata in vigore del Trattato”.

25 UNGA, Risoluzione 46/36 (6 dicembre 1991), General and complete disarmament. 26 UNODA, United Nations Office for Disarmament Affairs, “Transparency in

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L’istituzione del Registro ha portato alla redazione di una classificazione di armi convenzionali, suddivise in sette categorie, così da standardizzare i reports forniti dagli stati sull’import ed export delle suddette armi e monitorizzare la più vasta gamma di armi convenzionali circolanti sul mercato.

Le sette categorie definite dall’Assemblea Generale sono: I. ‘Battle tanks’ Carri armati da battaglia:

“Veicolo da combattimento blindato semovente cingolato o su ruota con alta mobilità su territorio accidentato e con un alto livello di protezione, pesante almeno 16.5 tonnellate da vuoto, con un’alta velocità di movimento della torretta principale armata con un cannone del calibro di almeno 75mm”

II. ‘Armoured combact vehicles’ Veicoli

da combattimento blindati:

“Veicolo semovente cingolato o su ruota, con corazzatura blindata e alta capacità di muoversi sul territorio accidentato, inoltre alternativamente o contemporaneamente: (a) designato ed equipaggiato al trasporto di squadre di quattro o più soldati di fanteria,

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(b) armato con un’arma dal calibro di almeno 12.5 mm integrata od organica o con un lanciamissili.”

III. ‘Large calibre artillery systems’ Sistemi d’artiglieria ad alto calibro:

“Un cannone, obice, pezzo d’artiglieria che combina le caratteristiche di un cannone e di un obice, mortaio o sistema lanciarazzi multiplo, capace di ingaggiare obiettivi sul terreno fornendo soprattutto fuoco

indiretto, dal calibro di 75 mm o superiore.”

IV. ‘Combat aircraft’ Velivoli da combattimento: “(a) Velivolo pilotato da equipaggio ad ala fissa o dotato di ala a geometria variabile progettato, equipaggiato o modificato per ingaggiare obiettivi con l’impiego di missili guidati, razzi non guidati, bombe, mitragliatrici, cannoni, o altre armi di distruzione. Incluse versioni di questi velivoli che eseguono specializzate missioni di guerra elettronica, soppressione delle difese aeree o di ricognizione;

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(b) Velivolo senza equipaggio ad ala fissa o dotato di ala a geometria variabile progettato, equipaggiato o modificato per ingaggiare obiettivi con l’impiego di missili guidati, razzi non guidati, bombe, mitragliatrici, cannoni, o altre armi di distruzione.

Il termine “velivolo da combattimento” non include velivoli di allenamento a meno che progettati,

equipaggiati o modificati come sopra descritto.” 27

V. ‘Attack helicopters’ Elicotteri d’attacco:

“(a) Velivolo a elica pilotato da equipaggio, progettato equipaggiato o modificato per ingaggiare obiettivi impiegando armi guidate o non guidate perforanti, aria superficie, aria-sottosuperficie o aria-aria e equipaggiato con un controllo del fuoco integrato e un sistema di puntamento per queste armi, incluse le versioni di questi velivoli che eseguono missioni specializzate di ricognizione o di guerra elettronica;

27 Nel corso della revisione del 2016, l’Assemblea Generale, in una sua

raccomandazione, ha previsto l’aggiornamento del punto 4 dell’UNROCA, aggiungendo la lettera b).

A partire da questo momento rientrano nella quarta categoria di armi convenzionali del Registro anche i veicoli aerei privi di equipaggio.

(55)

(b) Velivolo a elica non pilotato da equipaggio, progettato equipaggiato o modificato per ingaggiare obiettivi impiegando armi guidate o non guidate perforanti, aria-superficie, aria-sottosuperficie o ariaaria e equipaggiato con un

controllo del fuoco integrato e un sistema di puntamento per queste armi.”

VI. ‘Warships’ Navi da guerra:

Nave o sottomarino, armato e equipaggiato ad uso militare con un tonnellaggio standard di 500 tonnellate o superiore, e quelli con un tonnellaggio standard inferiore di 500 tonnellate, equipaggiati per lanciare missili ad una gittata di almeno 25 chilometri o siluri con gittata similare.

VII. ‘Missiles or missile systems’ Missili o sistemi missilistici:

“(a) Razzo guidato o non guidato, balistico o missile da crociera capace di trasportare la sua testata o arma di

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distruzione ad una gittata di almeno 25 chilometri e mezzi designati o modificati specificamente per lanciare questo tipo di missili o razzi, se non coperto dalle categorie da I a VI. Per gli obiettivi del

Registro, questa sottocategoria include veicoli a comando remoto con le caratteristiche di un missile come sopra definite ma non include missili terra-aria.

(b) Sistemi di difesa aerea portatili (MANPADS, Man- Portable Air-Defence Systems)”28

A partire dall’istituzione del Registro sono stati ricevuti reports da più di 170 stati. Si tratta, come ricordato, di dichiarazioni spontanee e volontarie, di conseguenza non si ha una costanza nella ricezione di informazioni. Nonostante ciò, circa 60 stati ogni anno inviano i propri reports e tra questi ritroviamo i maggiori esportatori di armi convenzionali a livello mondiale.29

In base alle statistiche riportate dall’ufficio Disarmo delle Nazioni Unite, la previsione di reports annuali, sebbene non siano

28 UNGA, Risoluzione 46/36 istitutiva del UNROCA del 6 dicembre 1991, “General

and complete disarmament, Transparency in armaments”, A/RES/46/36, allegato alla sez. L, c.2, lett. a.

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obbligatori, è in grado di censire circa il 90% delle armi sul mercato.

Questo risulta possibile grazie al meccanismo di revisione triennale del Registro che, per esempio, nel 2016 ha portato alla modifica del quarto punto introducendo i veicoli aerei privi di equipaggio, e permette di ampliare la capacità inclusiva della classificazione del Registro rimanendo al passo con lo sviluppo delle tecnologie.

Al momento dell’entrata in vigore del Trattato, l’ICRAC (International Committee for Robot Arms Control) manifestò la propria opposizione all’adesione all’UNROCA per identificare le armi interessate dal Trattato. Secondo il Comitato infatti, il rinvio esterno al Registro avrebbe reso la disciplina prevista dal Trattato statica e di conseguenza inevitabilmente destinata a divenire obsoleta in poco tempo.

L’ICRAC riporta degli esempi concreti di nuove tecnologie, impiegate dai militari e ritenute armi a tutti gli effetti, che non rientrano nel campo applicativo del Trattato a causa della staticità del testo e dei requisiti richiesti dal Registro.

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si tratta di una sorta di drone in miniatura, dotato della capacità di volare sopra un’area e, una volta individuato, di abbattersi su un obiettivo autodistruggendosi in un’esplosione;

The Liberator 3D-printable pistol:

progettata da uno studente universitario, consiste nel progetto di una pistola di plastica realizzabile con la stampante 3D e scaricabile direttamente da internet.30

3.4 - Small Arms e Light Weapons

Il Registro, come abbiamo ricordato, si occupa di sette diverse categorie di armi convenzionali, dunque resta da analizzare la cosiddetta “più uno”, ossia la categoria di “small arms”.

La definizione giuridica di “small arms” è data da due documenti, entrambi redatti in seno all’ONU:

International Tracing Instrument (ITI) del 200531 , che distingue

30 ICRAC, Working paper 1, M. Bolton, W. Zwijnenburg, 2013.

31 “(a) ‘Piccole armi’ (Small arms) sono, parlando in generale, armi progettate per

l’uso individuale. Includono, inter alia, rivoltelle (revolvers) e pistole automatiche, fucili e carabine, mitragliatrici semi-automatiche, fucili d’assalto e mitragliatrici leggere.” (b) ‘Armi leggere’ (Light weapons) sono, parlando in generale, armi progettate per uso

di due o tre persone che agiscono in gruppo, sebbene alcune possano essere trasportate ed utilizzate da persone singole. Includono, inter alia, mitragliatrici pesanti, lanciagranate a mano o montati sottocanna, cannoni antiaerei portatili, cannoni anticarro portatili, fucili senza rinculo, sistemi lanciarazzi e lanciamissili portatili anticarro, sistemi lanciamissili portatili antiaerei, e mortai di calibro inferiore a 100 mm.”

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“small arms” da “light weapons”; Firearms Protocol del 2001.

Lo stesso rinvio esterno operante nei confronti dell’UNROCA è presente nei confronti delle “small arms” per volere

dell’Assemblea Generale. Quest’ultima infatti ha affermato che le definizioni adottate dagli stati non potranno coprire una gamma inferiore di armi rispetto a quella prevista dai più rilevanti documenti delle Nazioni Unite presenti al momento dell’entrata in vigore dell’ATT. La definizione più ampia e dettagliata, nonché l’unica ad operare la distinzione tra “small arms” e “light weapons” è quella presente nell’International Tracing Instrument.

In conclusione, il Trattato sul commercio delle armi all’art.2 riporta in modo schematico l’elenco di armi a cui si riferisce, circoscrivendo a queste il suo ambito di applicazione. Attraverso rinvii esterni è possibile risalire alle definizioni delle armi elencate dal Trattato, così che in definitiva i documenti di riferimento per individuare il campo applicativo del Trattato sono: Il Registro delle armi convenzionali delle Nazioni Unite, 1991 L’International Tracing Instrument, 2005.

(60)

La scelta di adottare il meccanismo del rinvio esterno, presenta indubbiamente il vantaggio di non cristallizzare le definizioni e di permettere l’aggiornamento delle stesse in corrispondenza all’emergere di nuove tecnologie e nuove armi. Allo stesso modo però presenta il rischio che non vi sia una perfetta coordinazione tra l’aggiornamento ad esempio dell’UNROCA, che avviene ogni tre anni, le definizioni adottate dagli stati nella regolamentazione interna del territorio e la lista presente all’art.2 dell’ATT.

Non vi è ancora una soluzione che possa escludere l’insorgere di questo rischio, sta agli organi sovrannazionali ed alle nazioni stesse ricorrere a collaborazioni e comunicazioni trasparenti che portino ad una gestione coordinata.

3.5 - Le attività non disciplinate dal Trattato: l’eccezione all’art.2

Il terzo punto dell’art.2 afferma che il Trattato non dovrà essere applicato nei confronti di uno Stato-parte, quando il trasferimento delle armi elencate dall’articolo avvenga da parte o per suo conto (“on behalf of”), per uso dello Stato stesso e le armi restino sotto la sua proprietà.

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