• Non ci sono risultati.

Il punto sul concordato preventivo

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "Il punto sul concordato preventivo"

Copied!
16
0
0

Testo completo

(1)

1

Struttura di formazione decentrata della Corte di Cassazione

Il punto sul concordato preventivo

Corte di Cassazione Roma, 4 maggio 2021, ore 14,30

Aula Virtuale Teams

REPORT

a cura della dott.ssa Giorgia Vendra, tirocinante presso la Corte di cassazione

Il 4 maggio 2021, sull’aula virtuale Teams, si è tenuto un incontro di studio, organizzato dalla Struttura di formazione decentrata della Scuola Superiore della Magistratura presso la Corte di Cassazione, con il patrocinio dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, dal titolo «Il punto sul concordato preventivo».

L’incontro, coordinato da Antonio Didone, già Presidente di sezione della S.C., ha visto la partecipazione dei consiglieri della S.C. Aldo Angelo Dolmetta e Francesco Terrusi, del sostituto procuratore generale presso la S.C. Giovanni Battista Nardecchia, del magistrato di tribunale addetto all’Ufficio del Massimario e del Ruolo Giuseppe Fichera, della Presidente di sezione del tribunale di Bergamo Laura De Simone e del professore ordinario presso l’Università del Molise Massimo Fabiani.

I temi indicati nel corso della discussione sono stati quattro: 1) il concordato preventivo misto; 2) la prededuzione del professionista; 3) la transazione fiscale; 4) il conflitto di interessi nel concordato preventivo.

Di seguito si riportano in sintesi gli interventi dei relatori.

A.DIDONE – Il filo conduttore che lega le questioni oggetto di questa tavola rotonda è un fenomeno assai noto in giurisprudenza è cioè l’applicazione del principio dell’efficacia anticipata delle leggi, con riferimento in particolare al d.lgs. 12 gennaio 2019 n. 14 (di seguito il CCII), destinato ad entrare in vigore il prossimo primo settembre.

(2)

2

È interessante notare come non solo la Corte di Cassazione fa uso di questa metodica studiata nel diritto tedesco anche se soltanto la Suprema Corte ha fino ad oggi richiamato nelle proprie pronunce il CCII ben 86 volte.

Anche la Corte Costituzionale ha richiamato due volte lo stesso codice in tema di sovraindebitamento e di eliminazione del divieto di falcidia IVA, proprio a conforto della soluzione che andava ad applicare.

La tendenza ad applicare il metodo dell’anticipazione dell’efficacia delle leggi non ancora in vigore non è però una questione nuova: all’inaugurazione dell’anno giurisprudenziale 2009, il primo presidente aveva già manifestato questa tendenza, basti pensare che già da un decennio si applicava la Carta di Nizza non ancora entrata in vigore.

Ora, per anticipare il primo tema di discussione di oggi, è noto che, sul concordato preventivo c.d.

misto, la Corte di Cassazione con l’unica pronuncia pubblicata, nel 2020 ha affermato che per distinguere il concordato in continuità dal concordato meramente liquidatorio è necessario applicare il criterio qualitativo (art. 186 bis l.fall.).

Al contrario la giurisprudenza di merito ha applicato e continua ad applicare il criterio quantitativo, secondo cui il concordato in continuità si caratterizza per il fatto che le risorse volte al soddisfacimento dei creditori provengono dalla liquidità dell’impresa. Per supportare questa argomentazione, parte della giurisprudenza invoca l’art. 84 CCII; e si tratta, come si vede, di una applicazione anticipata del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza non ancora entrato in vigore.

Per quanto attiene alla prededucibilità del credito del professionista che assista il debitore nella formulazione della proposta di concordato, secondo tema di trattazione del presente convegno, la Prima sezione della Corte di Cassazione ha cominciato a decidere sul tema già con pronunce del 2013.

Tuttavia, di recente, la S.C. ha inteso adottare un criterio diverso e ciò ha portato, nell’aprile scorso, a rimettere la questione del contrasto alle Sezioni Unite.

Nell’ordinanza di rimessione si legge che la giurisprudenza più recente mostra punti di contatto con la disciplina dell’art. 6 del CCII, il quale prevede la prededuzione dei crediti professionali nei limiti del 75% e a condizione che la procedura sia aperta ai sensi dell’art. 47 dello stesso codice.

Anche in questo caso, è evidente l’anticipazione degli effetti delle leggi di riforma.

Sul terzo tema oggetto di trattazione assume rilievo la recentissima pronuncia delle Sezioni Unite relativa alla transazione fiscale la quale, in sede di regolamento preventivo di giurisdizione, ha affermato che nel caso di transazione fiscale la giurisdizione appartiene al giudice ordinario e, nello specifico, al giudice fallimentare.

Questa sentenza richiama un principio affermato da una sentenza precedente delle stesse Sezioni Unite nel 2020, la quale aveva precisato che il CCII è un testo in generale non applicabile alle

(3)

3

procedure avviate prima della sua entrata in vigore ma la disciplina in esso contenuta può essere ammessa solo nel caso in cui sia ravvisabile un segmento di continuità tra il regime precedente e quello futuro.

Infine, sull’ultimo tema che sarà affrontato oggi, sappiamo che nel 2017 nel corso dei lavori della prima commissione ministeriale Rordorf, si osservò che nel concordato preventivo non vi era una norma analoga all’art 127 l.fall. in tema di conflitto di interessi nel concordato fallimentare.

Tuttavia, da tale presa d’atto, nei lavori della commissione si pervenne a inserire un criterio di legge delega che prevedesse la disciplina del conflitto di interessi anche nell’ipotesi del concordato preventivo.

Sappiamo che la sentenza delle Sezioni Unite sul conflitto di interessi venne deliberata nella camera di consiglio del dicembre 2017 ma già ad ottobre dello stesso anno la legge delega per la riforma della legge fallimentare (legge 19 ottobre 2017, n. 155) prevedeva la disciplina del conflitto di interessi;

l’art. 109 CCII la cui formulazione risale, appunto, al Natale del 2017, prevede ampie ipotesi di conflitti di interessi nel concordato preventivo, ipotesi analoghe a quelle menzionate dalle Sezioni Unite con riferimento al concordato fallimentare.

1° TEMA – IL CONCORDATO MISTO

M. FABIANI – Il Presidente Didone ricordava la tendenza interpretativa di molti giudici ad applicare in via anticipata il codice della crisi, ma questo non è il caso della sentenza della Suprema Corte n.

734 del 2020 la quale, appunto, ne prescinde.

Nella pronuncia appena menzionata che appare semplice e lineare, i giudici di legittimità intervengono per la prima volta direttamente assumendo che non esiste nella realtà un concordato preventivo c.d. misto poiché ritengono che l’art. 186 bis l.fall., laddove preveda che nel piano di continuità ci possa essere dismissione dei beni dell’impresa, assorbe anche una attività di liquidazione. La Corte è pur consapevole del fatto che, in una ipotesi così formulata, possano venire ad esistenza casi di minima o apparente continuità volti semplicemente ad aggirare l’ostacolo del soddisfacimento minimo dei creditori.

Se si esamina la fattispecie concreta oggetto della pronuncia in esame, si nota che il caso non viene già dalla proposta di concordato di un debitore che aveva celato una grande liquidazione, bensì il caso opposto in cui il debitore aveva qualificato la proposta come concordato liquidatorio e il tribunale l’aveva riqualificato come concordato in continuità ex art. 186 bis l.fall., dichiarandolo inammissibile proprio per effetto della mancata attestazione di cui al secondo comma, lett. b) dello stesso articolo.

(4)

4

In questo caso, quindi, la S.C. non ha considerato le disposizioni del CCII che invece, in perfetta aderenza al criterio della legge delega, sposa il criterio della prevalenza quantitativa.

Alcune grandi questioni ruotano attorno al tema della continuità.

Una prima questione è relativa alla esatta collocazione del termine “continuità” rispetto ad un ulteriore lemma. Invero, se lo si affianca al termine “azienda”, siamo abbastanza sicuri che l’art. 186 bis l.fall. fa riferimento alla continuità, tuttavia, se lo si affianca ai lemmi “debitore” o “impresa”, non si può più essere così sicuri.

Ancora, un ulteriore dubbio è quello relativo alla natura della continuità: essa è riferita al piano o alla proposta? Nella legge fallimentare la continuità va associata al piano, ma il discorso è diverso se la guardiamo dal punto di vista del CCII.

Come si è anticipato, l’art 84 CCII ha influenzato notevolmente le pronunce dei giudici di merito. In aderenza al dettato della legge delega, l’art 84 stabilisce un criterio di prevalenza quantitativa.

Tuttavia, si tratta di un tema delicato che determina una importante contaminazione, se si considera il fatto di dover valorizzare la forza lavoro la quale può avere un costo.

Sul punto, alcuni commentatori hanno affermato che la necessità di coniugare il concordato con continuità con il solo mantenimento della forza lavoro può determinare un peggiore soddisfacimento dei creditori, in quanto questi subirebbero il costo determinato dalla necessità di sostenere, durante il concordato, il costo del lavoro con un certo numero di dipendenti.

L. DE SIMONE – Per poter parlare della visuale dei giudici di merito sul concordato misto, è necessario prendere le mosse dall’arresto reso nell’ordinanza n. 734 del 2020 della Prima sezione civile della S.C., ove si afferma il principio secondo cui “il concordato preventivo in cui alla liquidazione atomistica di una parte dei beni dell’impresa si accompagni una componente di qualsiasi consistenza di prosecuzione dell’attività aziendale rimane regolato nella sua interezza, salvi i casi di abuso, dalla disciplina speciale prevista dall’art. 186 bis legge fall.”

Se nell’intenzione della Corte questo principio semplifica il lavoro dell’interprete, non può dirsi che la stessa sia confermata nella realtà fattuale caratterizzata da numerose fattispecie in cui la continuità è modesta.

Viene da chiedersi se può negarsi che il giudice possa scegliere tra concordato liquidatorio o concordato in continuità sulla base della fattispecie concreta oggetto della decisione.

Se si analizza in maniera più minuziosa l’art. 186 bis l.fall., è facile notare come, nel contesto di tale articolo, la componente liquidatoria di cui al primo comma ha valenza marginale in quanto confinata nell’inciso di chiusura e descritta come mera possibilità.

(5)

5

Orbene, va valorizzato il secondo comma che enuclea un principio imperniato sui costi e ricavi della continuazione dell’attività. Invero, se la continuità non fosse cruciale e non rivestisse una dimensione essenziale, questa previsione non avrebbe senso.

La lettera b) del secondo comma dell’art. 186 bis l.fall. esige rispondenza dell’attività al soddisfacimento dei creditori il che costituisce criterio espresso in ipotesi normate ed è la componente che, insieme alla regolazione della crisi, integra la causa concreta della proposta di concordato.

Come si è già detto più volte, la soluzione adottata dai giudici di merito è quella in linea all’art. 84 comma 3 CCII che, in esecuzione della legge delega, si avvale del criterio della prevalenza valorizzando la componente quantitativa.

A detta di chi parla, questa soluzione non contrasta con la disciplina dell’art. 186 bis l.fall. perché porta all’applicazione di un criterio certo che consente di attribuire benefici protetti dalla norma.

M. FABIANI – In conclusione, due sembrano essere le esigenze imminenti in tema di concordato c.d. misto:

1) valorizzare la continuità dal punto di vista del mercato;

2) evitare facili elusioni da parte del proponente.

Si possono allora individuare alcuni possibili antidoti ai problemi summenzionati:

 la proposta di soddisfacimento dei creditori deve rivelarsi una proposta specifica e non un mero risultato da raggiungere;

 maggiore specificazione delle tempistiche del piano;

 funzionalizzazione del miglior soddisfacimento dei creditori ma permanenza della continuità al termine del piano.

2° TEMA – PREDEDUZIONE DEL CREDITO DEL PROFESSIONISTA

G. B. NARDECCHIA- L’ordinanza interlocutoria della Prima sezione civile n. 10885 del 2021 di rimessione alle Sezioni Unite pone al centro una questione apparentemente semplice, ovvero se spetti al professionista che ha assistito il debitore nella elaborazione della proposta di concordato la prededuzione del proprio credito nel caso di mancata ammissione alla procedura.

Cass. n. 639 del 2021 ha posto la questione tra l’utilità in astratto dell’attività prestata e l’utilità funzionale.

Le decisioni della S. C. nel 2021, che hanno poi portato alla rimessione alle Sezioni Unite, allargano il campo di azione della questione: invero, negando la prededuzione non tanto sulla base di assenza

(6)

6

di utilità bensì sulla negazione di unicità della procedura, vengono in rilievo questioni che riguardano tutta la sistematica del concordato preventivo.

L’ordinanza interlocutoria pone l’accento sugli otto principi alla base della rimessione i quali, appunto, riguardano tutta la procedura del concordato preventivo.

Ne è un esempio l’identità fra la strumentalità dell’art. 67, comma 3, lett. g) l.fall. e la funzionalità dell’art 111 l.fall., di talché negandosi la funzionalità potrebbe aversi l’effetto, a dir poco distorto, di separare le sorti della prededuzione da quelle dell’esenzione, ovvero di dover totalmente ridisegnare il concetto dell’esenzione di cui all’art. 67, comma 3, lett. g), l.fall..

Il concetto, che in qualche modo è sicuramente alla base di quella che sarà la decisione delle Sezioni Unite e legato all’unicità della procedura, è quello collegato alla consecuzione perché è chiaro che il concetto di apertura o meno della procedura determina delle conseguenze a cascata sui rapporti tra la prima fase e quelle successive, siano esse fallimento o altre procedure.

La pronuncia n. 639 del 2021 ha negato la prededuzione impostandola su un solco nuovo e diverso.

Sul tema della sussistenza dei crediti dei professionisti sorti dopo la domanda, l’orientamento della S. C. è rimasto fermo ponendo, come fondamento del riconoscimento della prededuzione, non solo il criterio funzionale ma anche quello della espressa previsione di legge, ritenendosi che i crediti sorti relativamente ad attività di professionisti indissolubilmente legati alla predisposizione del piano oppure alla attestazione, siano atti di ordinaria amministrazione ove non vi sia abuso.

Anche la prededuzione espressamente prevista dalla legge è passibile di trascinarsi nella successiva procedura sempre e soltanto in forza del meccanismo della consecuzione di procedure.

Invero, se si nega che la prima fase del concordato preventivo sia una procedura e si afferma che sia semplicemente una fase di osservazione, possono sorgere dubbi sul fatto che anche prededuzioni diverse da quelle dei crediti dei professionisti possano poi giungere a conclusione positiva in caso di mancata ammissione e in caso di successivo fallimento.

Da quanto suesposto, ove si neghi la funzionalità della prestazione e la si agganci alla ammissione e, ove si neghi la natura di atti legalmente compiuti per quelli che derivano da attività prestata dai professionisti che siano inscindibilmente collegati alla prestazione necessaria prevista dalla legge, si arriva a negare la prededuzione anche ai crediti di quei professionisti che abbiano reso una attestazione negativa, perché non suscettibile di essere adeguatamente supportata da dati oggettivi.

A.A. DOLMETTA – La natura dei crediti del professionista per l’attività svolta prima e in funzione della procedura costituisce una questione attuale molto dibattuta.

Molti commentatori hanno sostenuto che è necessario rivolgersi a professionisti di qualità per alzare il livello delle domande di concordato e rendere effettivamente utilizzabile questo strumento, tuttavia

(7)

7

il rischio è che le casse del debitore rimangano, per effetto dell’attività del professionista, sostanzialmente vuote.

Chi parla si domanda se sia veramente la professionalità a svuotare le casse già esigue del debitore.

Sul punto, sarebbe opportuno che le Sezioni Unite adottassero una soluzione di compromesso tra la migliore professionalità e la salvaguardia delle casse del debitore.

Attualmente il discorso viene posto tra utilità in astratto e utilità in concreto, funzionalità in astratto e funzionalità in concreto, negandosi sempre, nell’orientamento tradizionale, l’utilità ex post.

Ci si chiede se non sia il caso di affidarsi, nel caso di ammissione o non ammissione della domanda di concordato, all’utilità ex ante, cioè del prevedibile.

La sentenza n. 639 del 2021 della S.C. aveva di fronte a sé un caso di concordato liquidatorio, in cui la domanda di concordato non era stata ammessa perché non era stata raggiunta la soglia del 20% del soddisfacimento dei creditori chirografari.

Ebbene, di fronte ad una fattispecie di tal tipo, sarebbe stato opportuno chiedersi se, tramite una previsione ex ante, si sarebbe raggiunta la soglia del 20%.

Nel caso in cui fosse stato ipotizzabile, con la diligenza professionale media, che la soglia non sarebbe stata raggiunta, il credito non avrebbe potuto godere della prededuzione.

Nell’orientamento tradizionale della S.C. ci sono state aperture forti; un esempio è Cass. n. 17596 del 2019 in cui si è riconosciuta la prededuzione al professionista che ha assistito il debitore a preparare l’istanza di autofallimento.

L’ordinanza di rimessione alle S.U. immagina espone una serie variegata di ipotesi:

1. prestazione sovrabbondante o superflua: se la prestazione è tale, non c’è prededuzione del credito del professionista. Tuttavia, sul punto non si rinviene alcun caso;

2. abuso del concordato, anche in tal caso non vi sono pronunce;

3. atto in frode. Su questo criterio è intervenuta la pronuncia n. 13596 del 2020 la quale ha affermato che, in caso di atto in frode, il professionista non gode della prededuzione se c’è una effettiva e specifica partecipatio fraudis;

4. eccezione di inadempimento: l’inadempimento può essere parziale e può non comportare una eliminazione totale del corrispettivo ma solo parziale.

Chi parla ritiene che sarebbe utile per il professionista attenersi alle tabelle redatte dai tribunali, le quali dettino criteri guida di non ammissione di domande di concordato che prevedano compensi eccessivi.

(8)

8

F. TERRUSI – L’ordinanza di rimessione n. 10885 del 2021 devolve alle Sezioni Unite una tematica che, come si è detto, impatta in maniera rilevante dal punto di vista sistematico; tuttavia, è bene che rimanga chiaro il tema centrale dell’ordinanza in questione.

L’ordinanza fa infatti riferimento ad una delle tre ipotesi di prededuzione che l’ordinamento contempla: occasionalità, funzionalità e per disposizione espressa di legge.

L’ipotesi che più ha creato delle problematiche interpretative è quella legata alla funzionalità.

Invero, l’ordinanza interlocutoria si è concentrata sulla prededuzione per funzionalità, allargando il discorso alla luce dell’orientamento consolidato.

Il concetto di funzionalità è legato al concetto di scopo o di risultato e anche al concetto espresso nella legge fallimentare con l’espressione “strumentale”.

La difficoltà di individuare il discrimine tra funzionalità e utilità si è posta fin dal 2013, anno in cui ci sono state due pronunce nello stesso giorno e dello stesso collegio (Cass. nn. 8533 e 8534 del 2013).

La pronuncia n. 8533 del 2013 è da considerare la prima vera pronuncia con cui è stata affermata la mancanza di restrizioni per il riconoscimento della prededuzione di cui all’art. 111 l. fall. In tal caso, la Cassazione ha ritenuto che questa norma di portata generale prevedesse la prededucibilità per tutti i crediti sorti in funzione di procedure concorsuali a prescindere dall’esito.

La sentenza n. 8534 del 2013, pur dando atto della stessa soluzione in diritto, porta la Cassazione a ritenere che possa essere riconosciuta la collocazione in prededuzione del credito del professionista nella misura in cui “le prestazioni si pongano in rapporto di adeguatezza funzionale con le necessità risanatorie dell’impresa e siano state in concreto utili per i creditori”.

La stessa camera di consiglio che nel 2013 dà luogo alla prima pronuncia con cui viene affermata la mancanza di restrizioni per il riconoscimento della prededuzione funzionale, partorisce una decisione che, fermo il principio generale, dà luogo all’introduzione del concetto di verifica della concreta attività posta in essere dal professionista.

Se da un lato è ovvio che nell’art. 111 l.fall. non si fa alcun riferimento all’utilità (che presupporrebbe una verifica di risultato logicamente non compatibile con la mancata ammissione della domanda di concordato), al tempo stesso l’individuazione di un margine di valutazione del risultato della prestazione viene considerata coessenziale al fatto che l’espressione “funzionalizzazione” utilizzata dal legislatore da valutare ex ante non sembra poter prescindere da un qualche ulteriore elemento contenutistico, che consenta di marginalizzare gli effetti perversi di prededuzioni a cascata che amplino a dismisura l’ammontare dei crediti da soddisfare fuori concorso.

3° TEMA - TRANSAZIONE FISCALE

(9)

9

G. FICHERA – La sentenza della Corte di Cassazione n. 8504 del 2021 è figlia di un rivolgimento normativo che si è venuto a verificare lo scorso anno.

Il 20 novembre 2020 entra in vigore il d.lgs. n. 147 del 2020 che corregge alcune norme del Codice della crisi e soprattutto interviene sull’art. 48, comma 5, in tema di concordato e accordi di ristrutturazione dei debiti coattivi a carico della Agenzia delle entrate e degli enti previdenziali. Tale norma, infatti, prevede che il tribunale, quando la mancata adesione o il mancato voto da parte dell’Agenzia è decisivo, possa omologare il concordato preventivo o l’accordo di ristrutturazione purché ne valuti il miglior soddisfacimento per i creditori rispetto alla alternativa liquidatoria.

In sede di conversione del d.l. n. 125 del 2020 convertito dalla legge n. 159 del 2020, entrato in vigore il 4 dicembre 2020, l’art. 48 comma 5, CCII è stato inserito nella legge fallimentare interpolando gli artt. 180 e 182 bis.

L’ordinanza delle S.U. della S.C. n. 8504 del 2021 trattava un regolamento preventivo di giurisdizione in cui, a fronte di un accordo di ristrutturazione dei debiti proposto nel 2018 da un gruppo di società, l’Agenzia delle entrate aveva manifestato il proprio diniego espresso rifiutando di aderire all’accordo, impedendo quindi la possibilità di omologa da parte del Tribunale.

Il debitore propone allora ricorso in commissione tributaria per accertare la illegittimità del diniego espresso dalla Agenzia delle entrate, forte di precedenti di merito e di legittimità sul punto.

In pendenza del giudizio innanzi alla commissione tributaria provinciale, l’Agenzia delle Entrate propone regolamento preventivo di giurisdizione sostenendo che sia il giudice ordinario ad avere giurisdizione sul diniego della Agenzia.

Il Procuratore Generale, nella requisitoria scritta sul regolamento preventivo di giurisdizione, invocando i precedenti della S.C. e facendo una puntuale ricostruzione di tutta la vicenda, aveva concluso per la giurisdizione del giudice tributario. In tale requisitoria viene invocato un argomento principe della sentenza delle Sezioni Unite n. 12476 del 2020, per cui solo dove vi sia continuità normativa tra la vecchia legge fallimentare e il codice della crisi, quest’ultimo può essere invocato come criterio ermeneutico.

Proprio sulla base di tale argomentazione, il P.G. ritiene che non vi sia, nel caso in esame, una continuità normativa.

L S.U. della Corte di Cassazione, in sede di regolamento preventivo di giurisdizione, dichiarano invece la giurisdizione del giudice ordinario, partendo dall’assunto che la disciplina applicabile era quella precedente alla novella del 2020 della legge fallimentare, in quanto la richiesta di adesione alla transazione fiscale era stata formulata nel luglio 2018.

Tuttavia, le Sezioni Unite, ritenendo sussistente una continuità tra la disciplina precedente e la disciplina introdotta con il codice della crisi, affermano la possibilità di applicare la disciplina

(10)

10

sopravvenuta che determina un trasferimento della giurisdizione dal giudice tributario al giudice fallimentare.

Pertanto, lo stesso tribunale, in sede di omologa dell’accordo di ristrutturazione o del concordato preventivo, può valutare la legittimità della mancata adesione della Agenzia delle entrate.

Tuttavia, risulta arduo accettare che ci sia continuità normativa, laddove risulta che lo stesso legislatore in sede di conversione del d.l. n. 125 del 2020, ha sentito il bisogno di novellare la legge fallimentare, anticipando appunto l’applicazione delle norme del codice della crisi.

Ancora, le Sezioni Unite hanno soggiunto che il giudice fallimentare, in forza della norma introdotta dal d.l. n. 125 del 2020 e poi dall’art. 48, comma 5, CCII, può sindacare non solo la valutazione di convenienza o meno rispetto alla alternativa liquidatoria della scelta dell’Agenzia, ma anche qualsivoglia vizio di legittimità, ivi compresa la violazione di legge.

Ciò lascia qualche perplessità rispetto all’ordinanza n. 25632 del 2016 delle S.U., sul regolamento preventivo di giurisdizione con riferimento alla transazione sui ruoli, la quale ha invece affermato con numerosi argomenti la giurisdizione del giudice tributario.

G. B. NARDECCHIA – Partendo dalla disciplina transitoria, le Sezioni Unite hanno sostenuto che si tratta di norme processuali che si applicano alle procedure pendenti alla data del 4 dicembre 2020.

Un primo problema che si pone è dunque quello di capire quando è possibile applicare il cram down anche per le procedure pendenti al 4 dicembre 2020.

Chi parla ritiene che, in assenza totale di indicazioni, si debba far riferimento alla valutazione del tribunale il quale, in sede di omologa, deve valutare il diniego o la mancata adesione dell’Agenzia.

Il tema della valutazione riservata al tribunale è assai delicato, perché non bisogna dimenticare che la nuova normativa è anche intervenuta sull’art. 182 ter l.fall. attraverso alcune rilevanti modifiche.

Nel quarto comma dell’articolo succitato è stata inserita la specificazione che l’attestazione dei professionisti per i crediti tributari, ha ad oggetto anche la convenienza del trattamento proposto rispetto alla liquidazione giudiziale.

La versione precedente prevedeva solo un riferimento all’attestazione dell’art. 182 bis, comma 1, l.fall., in quanto l’attestazione di convenienza era prevista esclusivamente con riferimento alla Agenzia delle Entrate.

Ciò detto, è possibile che si verifichino casi in cui il tribunale è chiamato a valutare la convenienza, in assenza di una attestazione specifica.

L’obbligatorietà del transazione fiscale è stata ribadita e presuppone che, per valutare e procedere al cram down, sia necessario un deposito espresso della domanda.

(11)

11

Non ci sono dubbi sul fatto che la transazione possa riguardare solo debiti per i quali vi sia certezza sull’an e sul quantum e non possa avere ad oggetto i crediti contenziosi.

Non bisogna dimenticare che l’ulteriore elemento per l’applicazione è che il voto sia determinante per le maggioranze. Quale disciplina dovrà applicarsi in tal caso? Sul punto, non si hanno ancora certezze.

Il tema della mancanza di voto aveva diviso gli interpreti sino alla decisione delle Sezioni Unite del 2021, perché molti ritenevano che il cram down potesse applicarsi esclusivamente in caso di silenzio da parte della Agenzia delle Entrate; altri, al contrario, sostenevano che si sarebbe dovuto procedere ad una interpretazione estensiva e quindi all’applicazione della norma anche in caso di voto contrario.

Con la pronuncia delle Sezioni Unite la questione sembra risolta, perché se si ritenesse che il debitore non possa far valere il diniego davanti al giudice ordinario, non essendoci giurisdizione del giudice tributario, si troverebbe privo di tutela.

Pertanto, sembra doversi ritenere che il cram down è applicabile sia in caso di silenzio che in caso di diniego espresso.

L. DE SIMONE – Nell’intento di offrire l’angolo visuale dei giudici di merito, si offrono alcune problematiche delle prime pronunce di merito intervenute sul nuovo scenario determinato dalla modifica dell’art. 180 l. fall. e dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 5806 del 2021.

1) Decreto Trib. Teramo 19 aprile 2021

Tale decreto allarga l’applicabilità del voto sostitutivo a quello dell’Amministrazione Finanziaria in seno al concordato fallimentare. Questa valutazione è risolta positivamente osservando che l’intervento del legislatore ha natura ordinaria di portata sostanziale e carattere anticipatorio del codice della crisi, perché teso a portare a compimento un graduale processo di semplificazione della transazione fiscale contributiva tanto nel concordato preventivo che negli accordi di ristrutturazione.

In questa pronuncia si afferma altresì che la nuova previsione dell’art 180 l.fall. consente di superare il voto espresso negativo. Il superamento è possibile perché in questo modo si andrebbe ad attuare una tutela effettiva del debitore in un sistema in cui la giurisdizione è radicata in capo al giudice ordinario.

È la prima pronuncia edita che offre una interpretazione estensiva dell’art 180 l.fall.

Nell’applicare l’istituto anche al concordato fallimentare, non vengono percepite ostative le circostanze del meccanismo del silenzio assenso e della mancanza di classazione obbligatoria in quanto ritroviamo queste stesse due situazioni negli accordi di composizione della crisi nel

(12)

12

sovraindebitamento, ove pure è presente la norma sul voto dell’Amministrazione finanziaria (art. 12 comma 3 quater della l. n. 3 del 2012).

Ancor meno ostativa è la mancanza nel concordato fallimentare della relazione giurata dell’attestatore perché verrebbe in supplenza l’affidabilità maggiore della relazione disposta dal tribunale ai sensi dell’art. 124 terzo comma l.fall.

2) Decreto Trib. Napoli 9 aprile 2021

Qui il tribunale si pone il problema del ruolo dell’autorità giudiziaria chiamata a svolgere un giudizio di convenienza della proposta concordataria per il creditore pubblico che non ha aderito.

In questo caso il tribunale indaga sul rischio di alterare il ruolo imparziale di tutti i soggetti coinvolti che dovrebbe permanere per tutta la procedura concordataria del tribunale.

Non trascura però di valutare anche la convenienza per l’Inps e per i creditori nel complesso.

La valutazione, dunque, non riguarda la posizione del singolo creditore ma sposta il suo baricentro sull’intera platea dei creditori.

Questa impostazione non è del tutto condivisibile. Invero, ad avviso di chi parla, il cram down è stato sempre parcellizzato/individualizzato e in presenza dell’inerzia erariale o in caso di opposizione, il tribunale deve valutare la cifra della soddisfazione: se questa è superiore alle alternative praticabili, allora il concordato è omologabile, viceversa non sarà omologabile.

Ciò che conta è l’interesse concreto del creditore pubblico non l’interesse di tutti i creditori.

Questa pronuncia consente di affrontare il tema del giudizio di convenienza a cui è chiamato il tribunale.

Innanzitutto i crediti a cui si riferisce il giudizio di convenienza devono essere stati ammessi al voto e quindi essere chirografari o privilegiati.

Per i crediti privilegiati degradati prevale la tesi che si debbano raggruppare in classe unica, quanto al tema della classe unica o pluralità di classi, entrambe le soluzioni possono essere considerate ammissibili salvo poi procedere a una valutazione unitaria per il computo delle maggioranze ove necessario.

Altro aspetto riguarda l’essenzialità della adesione erariale per il raggiungimento delle maggioranze. Le adesioni non sono decisive solo quando tutti gli altri creditori aderenti rappresentano da soli il 60%.

Il giudizio di convenienza è reso dal tribunale quando si accerti, anche sulla base dell’attestazione, l’assoluto vantaggio per il creditore pubblico del pagamento parziale proposto rispetto all’alternativa fallimentare.

(13)

13

Molto importante è che gli attestatori si rifacciano ai principi di attestazione ridisegnati dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti nel dicembre del 2020.

4° TEMA- CONFLITTO DI INTERESSI

G. FICHERA – La questione del conflitto di interessi nel concordato preventivo non è mai approdata in Cassazione.

Al contrario, come è noto, il tema è stato sviscerato dalle Sezioni Unite nel 2018 con riguardo al concordato fallimentare.

Il codice del commercio del 1882 non prevedeva alcuna norma sul conflitto di interessi nel concordato fallimentare e non vi era alcun divieto di voto per i creditori.

Nel corso del secolo scorso si comincia a parlare di creditori esclusi dal voto con la legge sul concordato preventivo del 1903 e con la legge di riforma del concordato fallimentare del 1930 che introduce, appunto, il divieto di voto per i creditori che siano parenti o affini del fallito fino al quarto grado.

L’espressione “conflitto di interessi” viene introdotta per la prima volta nella legge fallimentare con il decreto legislativo n. 5 del 2006, il quale prevede varie ipotesi di conflitto di interessi.

Tuttavia, non vi è alcuna norma generale sul conflitto di interessi.

Da qui il dubbio se le cause di esclusione dal voto nel concordato fallimentare siano solo quelle tipiche previste dalla legge fallimentare o se, invece, esista un principio generale che possa applicarsi in tutte le votazioni che avvengono in sede fallimentare.

Le due opposte opinioni hanno trovato in Cass. n. 3274 del 2011 l’affermazione secondo cui, nel concordato fallimentare l’astensione dal voto del creditore in conflitto di interessi avviene solo nei casi previsti dalla legge.

Nel 2018 il tema arriva alle Sezioni Unite a seguito di una ordinanza di rimessione della Prima sezione civile, che ritenne la questione di massima di particolare importanza.

Invero, nel giudizio di primo grado avevano votato società controllate dalla società proponente il concordato, provocando la mancata omologazione da parte del tribunale.

La Corte d’Appello riforma la pronuncia del Tribunale, tenendo conto del fatto che la legge fallimentare non prevedeva che il proponente non potesse partecipare al voto.

La questione arriva alle Sezioni Unite che decide con la sentenza n. 12436 del 2018. La Suprema Corte ragiona sul fatto che vi è, nella adunanza dei creditori, l’interesse comune al miglior soddisfacimento di tutti. Quando un votante si trova in una posizione in cui il suo interesse contrasta con quello comune degli altri creditori deve astenersi dal partecipare alla votazione.

(14)

14

Il tema diventa più delicato quando il proponente del concordato è egli stesso creditore o società controllata dal creditore proponente.

Con il d.l. n. 83 del 2015, nel concordato preventivo è stata introdotta la possibilità di proporre proposte concorrenti.

Nel caso di creditori in conflitto di interessi perché proponenti proposte di concordato concorrenti, il d.l. n. 83 del 2015, novellando la legge fallimentare, ha previsto espressamente che il creditore proponente può partecipare alla votazione solo se inserito in apposita classe.

Questa soluzione, secondo le Sezioni Unite, non era però applicabile al concordato fallimentare poiché la disciplina del concordato preventivo, in quanto disciplina settoriale, non può estendersi anche al concordato fallimentare.

Pertanto, il creditore in conflitto di interessi perché proponente il concordato, in mancanza di espressa disciplina nella legge fallimentare vigente, deve sottrarsi al voto e il relativo credito non viene computato nelle maggioranze richieste.

M. FABIANI - Il tema del conflitto di interessi nel concordato preventivo comincia a farsi strada quando si apre la possibilità anche a terzi di proporre il concordato.

Difatti, fino a quando il concordato fallimentare poteva essere presentato solo dal fallito e il concordato preventivo solo dal debitore, le ipotesi di conflitto di interessi avevano valore quasi para familiare.

A partire dal 2015 l’art. 163 l.fall. ha consentito ai terzi di formulare proposte concorrenti. Tuttavia, tale possibilità non ha avuto grande esito nella pratica perché nella giurisprudenza di merito vi è stata una sorta di chiusura ideologica motivata da una sorta di sgradevole ingerenza che l’intervento del terzo rappresenta.

Oggi moltissimi soggetti intervengono nei concordati in modo diversificato (dall’assuntore al finanziatore). Queste forme di intervento molto spesso nella pratica sono accompagnate da una serie di operazione di acquisizione di crediti per cercare di favorire le operazioni; lo stesso soggetto, infatti, con entità diverse tende ad acquisire il controllo dei crediti e a favorirne le operazioni.

Tra i temi delicati da valutare nella prospettiva del CCII sicuramente rientra quello dell’individuazione delle ipotesi di conflitto di interessi, tema per il quale chi parla suggerisce di adottare un approccio cauto. È necessario tempo e progressione per analizzare le fattispecie in cui applicare il divieto del voto del soggetto in conflitto di interessi.

Un altro tema è quello relativo alla neutralizzazione dal voto: ciò significa non considerare il voto né il quoziente del credito ai fini del conteggio delle maggioranze.

(15)

15

Tema molto particolare è se il conflitto di interessi valga rispetto a quel soggetto per il quale si ha un interesse particolare o valga anche nei confronti di altri. Si pensi al caso in cui ci sia proposta di concordato da parte del debitore, una o più proposte concorrenti e, altresì, una proposta di un terzo come assuntore. Ebbene, se un creditore che si presenta come proponente ha acquistato anche altri crediti non può votare la propria proposta, ma vi è conflitto di interessi anche nei confronti delle proposte degli altri creditori? Il tribunale di Genova, su un caso avente ad oggetto un concordato fallimentare, ha riconosciuto il conflitto di interessi nei confronti di tutte le proposte.

F. TERRUSI – Sul tema in esame, l’attenzione si sposta sulle dinamiche del CCII.

Il tentativo di ostacolare il percorso di riconoscimento del conflitto di interessi, come elemento centrale delle procedure concordatarie, ha continuato ad essere prospettato anche dopo l’intervento delle Sezioni Unite.

Il CCII mette in luce alcuni punti distinguendo la disciplina del conflitto di interessi in generale dalla posizione del creditore proponente il concordato, il quale deve essere inserito in una determinata classe per poter esercitare il diritto di voto.

Nonostante il riconoscimento del conflitto di interessi nel concordato preventivo, nella pratica si sono svalutate le posizioni espresse e dalle Sezioni Unite e dal CCII attraverso una serie di considerazioni di ordine comparativo volte a sostenere che la mancata disciplina delle ipotesi specifiche di conflitto di interessi non sarebbe interpretabile come lacuna dell’ordinamento.

Dopo l’intervento delle Sezioni Unite e della legge delega, ci si è focalizzati sulla giusta (secondo il parere di chi parla) sottolineatura che tra i creditori chiamati a votare possono porsi relazioni varie non necessariamente sintomatiche dell’esistenza di un vero e proprio conflitto, come ad esempio relazioni di indifferenza (quando le diverse soddisfazioni dei creditori non interferiscono tra loro);

relazioni di strumentalità (quando la soddisfazione di un creditore rende possibile la soddisfazione di un altro) o relazioni di incompatibilità.

Orbene, se la regola generale applicabile al conflitto di interessi fosse sempre quella di astensione dal voto, la conseguenza sarebbe l’appiattimento di tutti i conflitti puramente intersoggettivi.

Pertanto, si ipotizza che si possa in qualche modo, nonostante il tenore letterale dell’art. 109 CCII, tramite una correlazione con l’art. 2373 c.c., arrivare ad una riduzione teleologica del precetto contenuto nella norma del CCII.

Un’interpretazione puramente letterale della norma creerebbe conseguenze ingiustificatamente larghe nello spettro di applicazione a tutti i casi in cui il creditore sia portatore di interessi non necessariamente incompatibili con quelli degli altri, determinando una sterilizzazione non imposta dalla effettiva situazione sostanziale.

(16)

16

La giurisprudenza si dovrà confrontare necessariamente con questa obiezione anche se la stessa, a parere di chi parla, non risulta fondata. Ciò perché, anche dando per scontato che la premessa sia esatta, la conclusione sarebbe comunque in contrasto con la univoca disciplina dettata dal legislatore, la quale risente di una lettura che non può essere aperta a tentativi di correzione sul piano della volontà legislativa.

Negli ultimi anni, si va profilando una generalizzata tendenza verso interpretazioni che svalutano l’interpretazione letterale anche in presenza di testi univoci, tendenza che però deve essere messa a confronto con la chiara posizione delle Corti Supreme: la Corte Costituzionale ha, ad esempio, affermato che l’interpretazione adeguatrice resta affidata al limite dell’univoco tenore delle espressioni.

Anche la Corte di Cassazione, con una sentenza in materia di arbitrato, ha enunciato che il criterio dell’art. 12 delle preleggi impone sempre di attribuire alle leggi il senso fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la loro connessione.

Chi parla non crede che sia possibile arrivare a interpretazioni correttive del testo del CCII, nel senso di antergare allo stesso disposizioni del codice civile che riguardano questioni del tutto diverse.

Riferimenti

Documenti correlati

11 Ibidem, p. La décentralisation n'est pas due seulement à la recher- che du profit courant, mais aussi à cles raisons technologiques, du reste indipén- dentes de celui-ci.

In “The Boat” (1968), MacLeod’s first published short story, the first person narrator, recalling his and his family’s past, is a young academic, whose dead father was a

Lasciando da parte gli enti pubblici e le altre peculiari categorie di soggetti esclusi dal fallimento (ad esempio i soggetti sottoposti alla liquidazione coatta amministrativa

“…il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione,

Patient instructions: remedial actions following ketone testing proposed by international expert consensus reports and recommended by EMA for all SGLT2i: the STICH (STop

The detection of typical disease symptoms the following year after pollination only on a few plants (three out of 16 for the wet pollination treatment) may indicate

Erzurum Regional Training and Research Hospital, Department of Internal Medicine, Erzurum, Turkey; 2 Erzurum Regional Training and Research Hospital, Department of

L’utilizzo del concordato preventivo ha risentito, come le altre procedure, della congiuntura economica; tuttavia l’andamento è stato anche influenzato dagli interventi normativi