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Storia della Fotografia

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Academic year: 2022

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Storia della Fotografia

A.A. 2017/18

prof.ssa Tiziana Serena ---

Lez. n. 18 (1/06/18)

(2)

Nuovi documenti

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(5)

D. Arbus, Giovane uomo con bigodini, 1966

(6)

D. Arbus, Gemelle identiche, 1967

(7)

Friedlander, Autoritratto, 1960 ca; New York

(8)

Winogrand, Central Park, NY, 1967; Hollywood Boulevard,

(9)
(10)

T. Papageorge, Central Park, NY,

1967

(11)

La fotografia insicura di sé

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WALKER EVANS AND ROBERT FRANK:

AN ESSAY ON INFLUENCE BY TOD PAPAGEORGE, 1981

http://ericetheridge.com/Papageorge_on_Evans_and_Frank.pdf

1958, Robert Delpire, Paris.

1959 Grove Press con introduzione Jack Kerouac

(14)

Robert Frank, Butte, Montana, 1956

(15)

Robert Frank, Parade, 1955

(16)

Jasper Jones, Flags, 1954

(17)

Robert Frank, Chicago, 1956

(18)

La fotografia sicura di sé

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(20)

E. Steichen con il plastico della mostra, 1954

(21)

Coda per entrare all'esposizione “The Family of Man” , Government Pavilion, Johannesburg, Union of South Africa (1958).

(22)

“Epoca”, 1959 (in occasione della mostra italiana)

(23)

Esposizione permanente a Luxenburgo

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La fotografia e le teorie

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Le verifiche 1969-1972

Nel 1970 ho cominciato a fare delle foto che hanno per tema la fotografia stessa, una specie di analisi dell’operazione fotografica per individuarne gli elementi costitutivi e il loro valore in sé. Per esempio, che cosa è la superficie sensibile? Che cosa significa usare il teleobiettivo o un grandangolo? Perché un certo formato? Perché ingrandire? Che legame corre tra una foto e la sua didascalia? ecc. Sono i temi, in fondo, di ogni manuale di fotografia, ma visti dalla parte opposta, cioè da vent’anni di pratica, mentre i manuali sono fatti, e letti, di solito, per il debutto

….Oggi la fotografia con i suoi derivati, televisione e cinema, è dappertutto in ogni momento. Gli occhi, questo magico punto di incontro fra noi e il mondo, non si trovano più a fare i conti con questo mondo, con la realtà, con la natura: vediamo sempre più con gli occhi degli altri.

…..Potrebbe anche essere un vantaggio; migliaia di occhi invece di due, ma non è così semplice. Di queste migliaia di occhi, pochi, pochissimi, seguono un’operazione mentale autonoma, una propria ricerca, una propria visione. Anche inconsapevolmente, le migliaia di occhi sono collegate a pochi cervelli, a precisi interessi, a un solo potere. Così, inconsapevolmente, anche i nostri occhi, anziché trasmetterci informazioni genuine, magari povere, scarne, ma autentiche, ci investono con infinite informazioni visive, doppiamente stordenti, perché spesso la loro falsità si cela sotto una sorta di splendore. Si finisce col rinunciare alla propria visione che ci pare così povera rispetto a quella

elaborata da migliaia di specialisti della comunicazione visiva; e a poco a poco il mondo non è più cielo, terra, fuoco, acqua: è carta stampata, fantasmi evocati da macchine sempre più perfette e suadenti.

So bene che la realtà è più complessa e più ambigua. .

(26)

Ugo Mulas, Le verifiche [1969-72]

Fine delle verifiche Per Marcel Duchamp

La serie delle verifiche, ad un certo momento, l’ho considerata finita, chiusa, e ho deciso di chiuderla là dove aveva avuto inizio. Ho fatto, in un certo senso, come un incisore che biffa la lastra a tiratura ultimata: il vetro, che ha una importanza decisiva per la mia composizione, dà infatti

precise caratteristiche fisiche e visive al pezzo, e, una volta spezzato, è la stessa operazione a non poter essere ripetibile. Il risultato del mio gesto è stata un’immagine nuova, diversa rispetto a quella di partenza. E questa rottura radicale con ciò che precede mi ha portato a riflettere sul significato intrinseco dell’Omaggio a Niepce, mi ha portato a pensare a Duchamp; e non solo per la

circostanza estrinseca che nella produzione di Duchamp c’è un’opera che è un grande vetro

spezzato. Mi sono reso conto, cioè, dell’influenza,

inconscia forse, di un atteggiamento di Duchamp,

del suo non fare, che ha tanto significato nell’arte

più recente, e senza del quale questa parte del

mio lavoro non sarebbe nata. Perciò la fotografia

è dedicata alla sua presenza.

(27)

Ugo Mulas, Le verifiche (1970) 12. La didascalia . A Man Ray

E' Man Ray che indica un riquadro architettonico che simula una cornice su una parete.

La foto non dice nulla, in se stessa, o dice troppe cose. Ho scattato mentre Man Ray pronunciava una battuta; indicando quello spazio vuoto e inquadrato, il pittore dice:" ça, c'est mon dernier tableau". L'immagine non rivela nulla del genere, perchè la foto è

stata suggerita, non dalla situazione visiva, Man Ray che compie un gesto o si pone in

un certo atteggiamento, quanto dalla sua battuta: io ho fotografato, cioè, una frase. Ma

questo non si puo' vedere se non introducendo nella foto la frase, cioè collocandovi

dentro la sua didascalia. La cosa, del resto, è confermata da Man Ray stesso, che non

indica un quadro, ma pronuncia una frase che è il suo quadro: la frase è sia l'opera di

Man Ray che la mia fotografia.

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