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Giovanni Gullà, Roberto Palaia: Editoriale

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Editoriale 3

ANALISYS - 2/2016

EDITORIALE

Giovanni Gullà, Roberto Palaia

Che finanziamenti per la ricerca e quale ricerca per il Paese?

Le recenti discussioni sul finanziamento dell’ITT e sulla riconversione dell’ex area Expo di Milano han- no fatto emergere posizioni spesso anche contrastanti espresse da autorevoli esponenti del mondo della ricer- ca, ponendo al centro il tema del metodo di finanzia- mento della ricerca e della sua relazione con il mondo della decisione politica.

Il punto è, dovendo discutere di metodo, si deve dibattere solo di finanziamento dell’ITT o, forse, del finanziamento alla ricerca?

In Italia la cronica mancanza di fondi per la ricer- ca degli Enti di ricerca e delle università, accentuatasi nel corso degli anni fino a raggiungere gli attuali infi- mi livelli (l’1,2 per cento del PIL di finanziamenti in R&S ci colloca nel fondo della scala dei paesi OCSE), ha ormai determinato un cambiamento profondo del sistema di ricerca e rischia di produrre l’irreversibile desertificazione di numerose e, chi sa, strategiche te- matiche e discipline.

La contrazione progressiva dei fondi e la loro con- centrazione su temi di ricerca indirizzati spesso, qua- si sempre, su tematiche i cui risultati sono in buona parte acquisiti, e quindi prossime alle fasi di sviluppo, ha costretto a ridurre progressivamente le ricerche a tema libero o di esito non completamente prevedibile.

A questo stato di cose solo le comunità scientifiche più affermate hanno saputo adattarsi garantendo, all’in- terno di progetti di dimensioni enormi, spazi adeguati anche alle ricerche fondamentali. Questa situazione ha anche dato, purtroppo, più spazio alla formazione di lobby chiuse e rischia di consolidare definitivamente questo sistema poco virtuoso, di dubbia efficacia nel lungo periodo.

La Politica, in tutto questo, non riesce a svolgere

il necessario ruolo di costruttiva e propositiva media- zione tra le giuste aspettative di sviluppo e innovazio- ne delle Comunità, le risorse del Paese che devono soddisfare molteplici necessità, l’aspirazione di tutti i ricercatori di ogni Comunità scientifica di indagare in tutte le possibili direzioni per assicurare continuità all’avanzamento delle conoscenze, motore essenziale per il progresso ed il benessere sostenibile.

L’assenza di una Politica positiva, che molto saltua- riamente ed occasionalmente si fa percepire, ha stra- volto in questi ultimi anni l’organizzazione e la vita degli Enti, in particolare quelli interdisciplinari, la cui struttura si è deformata al fine di accentuare la capa- cità di rispondere alle sollecitazioni provenienti dai finanziatori esterni (Commissione Europea, Regioni, Industria ecc.), poco interessati alla conoscenza e mol- to orientati all’innovazione e allo sviluppo.

Gli Enti di ricerca, ovviamente indispensabili co- protagonisti delle fasi di innovazione e di sviluppo, per primi hanno subito questa distorsione che a seguire ha colpito le Università.

La questione del finanziamento si pone oggi in un quadro completamente diverso rispetto a quello di qualche decennio fa, quando, pure con non grandi di- sponibilità di risorse, il modello della ricerca italiana prevedeva tre grandi soggetti collettivi (Università, Industria, Enti di Ricerca) ai quali era demandato il compito di coprire, con differenti intensità e modalità, lo spettro di tutte le attività di R-S-I.

Sicuramente il contesto, qualche decennio fa, non era ottimale, ma il tempo non ha portato miglio- rie e oggi, con un quadro confuso che vede i finan- ziamenti alla ricerca spezzettati fra ministeri diversi (MIUR, Ministero della Salute, MEF, MISE, Ministe-

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ro dell’Ambiente, ecc.) per non parlare delle Regioni, è diventato urgente ridiscutere il modello generale di finanziamento alla ricerca italiana e quale deve essere la ricerca italiana.

Ha senso finanziare nel PNR le stesse tematiche di ricerca già finanziate da H2020? Ha senso in un Paese come l’Italia, flagellato da eventi di dissesto idrogeo- logico, lasciare che sia l’emergenza a dettare l’agenda delle ricerche sui rischi naturali orientando, ovvia- mente, gli studi sugli aspetti più contingenti? Il mondo politico, il governo, il parlamento desiderano un siste- ma nazionale di ricerca e nel caso quali dimensioni

esso deve prevedere, quanti ricercatori, quale carriera e con quali tempi, quali finanziamenti prevedere con continuità, come deciderne la collocazione (privilegia- re solo alcune tematiche, distribuire uniformemente, assicurare continuità a tutti gli ambiti rafforzando di volta in volta quelli al momento più “produttivi”), ero- gati con quali procedure?

Riaprire un dibattito dopo tanti anni tra coloro che svolgono questo lavoro e il mondo sociale e politico italiano è fra i compiti della nostra rivista.

Pensiamo sia giunto il momento di ridiscutere come si organizza e come si finanzia la ricerca in Italia.

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