Capitolo I
IL PUBBLICO MINISTERO E LA SUA INDIPENDENZA
Come indicato nell'introduzione, il lavoro intende incentrarsi sul tema dell'obbligatorietà dell'azione penale e sulle scelte di legislative che possono risultare utili per preservare e rendere maggiormente effettivo questo principio. Per cominciare la trattazione dell'argomento in esame è parso utile affrontare preliminarmente il tema del Pubblico Ministero, ossia il soggetto che, nel nostro ordinamento, ha il compito di esercitare l'azione penale in modo da comprendere anche come il principio dell'obbligatorietà incida nella definizione di tale figura.
1 Evoluzione storica della figura del Pubblico Ministero
Per comprendere meglio la figura del Pubblico Ministero è opportuno fare una ricostruzione della sua evoluzione storica. Se rivolgiamo l'attenzione all'antichità possiamo facilmente osservare che nella Grecia Classica non erano presenti figure analoghe, in quanto l'accusa spettava ad ogni cittadino in considerazione del suo diritto a partecipare attivamente alla gestione delle cose comuni e ad intervenire in difesa delle stesse. A Sparta ogni cittadino esercitava l'azione penale nell'interesse comune e in caso di delitti contro le libertà politiche il compito di procedere spettava ai magistrati detti Efori; anche ad Atene ogni cittadino poteva svolgere il ruolo di accusatore prestando giuramento di non abbandonare l'accusa fino alla sentenza definitiva, erano presenti magistrati come gli Arconti (che potevano esercitare la funzione di accusa se la vittima non aveva parenti) e i Tesmoteti (che si limitavano a denunciare i reati davanti al senato o all'assemblea del popolo); tuttavia tutti questi magistrati ricoprivano il ruolo dell'accusa solo in via sussidiaria ed eventuale.
Analoghe osservazioni possono essere fatte per la Roma repubblicana dove inizialmente i magistrati supremi ricoprivano il ruolo di accusa e di giudice allo stesso tempo - anche se parte della dottrina fa notare che nei procedimenti davanti ai comizi i magistrati svolgevano solo il ruolo dell'accusa ed era l'assemblea a giudicare.1
L'origine della magistratura requirente va quindi cercata piuttosto in periodi più recenti in particolare pare interessante fare una valutazione del periodo comunale, i vari statuti dell'epoca in materia di procedura penale risentirono dell'influenza longobarda e di quella del diritto canonico: si alternavano i caratteri dell'accusa privata e dell'inquisizione senza una chiara separazione delle funzioni. A partire dal XIII secolo le cose cambiarono in quanto la rinuncia all'accusa o la morte del privato non comportavano più l'estinzione dell'azione penale che veniva proseguita dal fisco e quindi si iniziarono ad istituire varie magistrature con il compito di scoprire, perseguire e punire gli autori dei reati (in particolare possono essere ricordati l'Avogadria del
Comune a Venezia, i Procuratores fiscali in Piemonte ed i Conservatori delle leggi a Firenze).
In ogni caso appare azzardato individuare una continuità tra i magistrati comunali e l'odierno Pubblico Ministero; per trovare un antenato della nostra magistratura requirente è meglio rivolgere lo sguardo alla Francia dell'Ancien
Regime. Infatti si parla per la prima volta di accusatore del re in un'ordinanza
di Filippo il Bello nel 1302 (e da essa si può agevolmente desumere che si tratta di una figura preesistente), questo magistrato era un ufficiale che svolgeva le proprie funzioni nell'interesse della corona2 e, per quanto
riguarda gli aspetti penalistici dei suoi compiti, l'ordinanza di Blois (1498) stabilì per la prima volta, ratificando in realtà una prassi precedente, che aveva bisogno dell'autorizzazione del giudice per poter esercitare l'azione penale.3
1 Cfr B. Santalucia, voce Processo penale (diritto romano), in Enciclopedia del Diritto, XXXVI, Milano, 1987, pp. 300 sgg.
2 Fondamentale nella nascita i questa figura è stata quindi la separazione tra il re e la corona in quanto il procuratore del re curava gli interessi di quest'ultima.
Nei prossimi paragrafi si procederà con l'analisi dell'evoluzione del Pubblico Ministero attraverso quattro periodi: l'epoca monarchico-liberale, il fascismo, il passaggio alla Repubblica e il periodo di Mani Pulite.
1.1 Il periodo monarchico-liberale
Per comprendere il ruolo che la magistratura in generale aveva nel Regno d'Italia è necessario cominciare dall'articolo 68 dello Statuto Albertino che affermava in modo chiaro che la giustizia emana dal re ed è amministrata dai giudici in suo nome; al riguardo possiamo constatare che questa formula è ripresa dalle Costituzioni francesi del 1790, 1814 e 1830 nelle quali essa era funzionale a superare il sistema, di derivazione medievale, in cui la giustizia era amministrata dal re ma anche dai feudatari. Pare quindi condivisibile la posizione di chi ritiene che la previsione statutaria vada letta nella direzione per cui la giustizia è l'emanazione dello stato sovrano ed è quindi unica su tutto il territorio.4 In questo contesto va collocata la riflessione circa la natura
del Pubblico Ministero: esso era una figura caratterizzata da unità e indivisibilità ed era definito come il rappresentante dell'esecutivo presso l'autorità giudiziaria e quindi posto sotto la direzione del ministro della giustizia; inoltre la carriera di questi magistrati era parallela e distinta rispetto a quella dei giudici (erano però previsti passaggi dall'una all'altra). Da questi aspetti può essere facilmente desumibile il carattere strettamente gerarchico degli uffici del Pubblico Ministero. In sostanza quindi veniva disegnato un sistema in cui il ministro della giustizia era posto al vertice della piramide con la possibilità di svolgere una penetrante attività di direttiva, di controllo e disciplinare nei confronti di ogni procuratore per garantire che la loro azione risulti unificata in capo a lui. Per quanto riguarda gli aspetti funzionali
l'ordonance criminelle del 1539 che permise al procuratore di scegliere, dopo
l'interrogatorio dell'accusato, tra l'archiviazione e l'apertura formale del procedimento, e l'ordonance del 1670, che stabiliva il dovere di esercitare l'azione penale per determinati reati (quelli punibili con pena di morte ed altre pene afflittive) senza aspettare l'iniziativa della parte civile.
4 Così F. Racioppi - I. Brunelli, Commento allo Statuto del Regno, III, Torino,1909, p. 426.
spettava al Pubblico Ministero il compito di: vegliare sull'osservanza delle leggi, garantire la pronta e regolare amministrazione della giustizia, far eseguire le condanne e dirigere e sorvegliare la polizia giudiziaria. Vi erano inoltre altre due funzioni in capo al Pubblico Ministero che risultano essere le più importanti: l'esercizio dell'azione penale e la promozione dell'azione disciplinare.
Per quanto riguarda l'esercizio dell'azione penale, questa era sicuramente l'aspetto che maggiormente caratterizzava il Pubblico Ministero ed era definita come “la facoltà di procedere in giudizio contro l'autore di un reato
affinché sia condannato ad una pena”.5 Passando all'analisi delle
caratteristiche dell'azione penale possiamo subito evidenziare che ad essa veniva pacificamente riconosciuto l'attributo della pubblicità e già allora si caratterizzava per essere obbligatoria (anche se il Pubblico Ministero disponeva di limitati mezzi istruttori e il potere di archiviare le notizie di reato infondate spettava al giudice). Tuttavia si sviluppò al riguardo un ricco dibattito dottrinale che cercheremo di ripercorrere brevemente. Per quanto riguarda il carattere della pubblicità vi erano interpretazioni diverse su come intendere questa previsione (contenuta nell'articolo 2 del cpp del 1865): per alcuni (la dottrina maggioritaria) la pubblicità consisteva nell'attribuzione allo stato della competenza di proporre l'azione per restaurare l'ordine pubblico violato e per farlo, nel concreto, delegava l'esercizio di questa funzione a dei funzionari pubblici;6 altri (tesi decisamente minoritaria) sostenevano che
l'azione penale non era esercitata nell'interesse di nessuno e che la società non traeva nessun giovamento dalla condanna, di conseguenza l'azione penale era da ritenersi un atto di giustizia e quindi era considerabile pubblica solo nei termini in cui era esercitata da pubblici ufficiali.7
Per quanto riguarda invece il carattere dell'obbligatorietà dell'azione penale, anche se in un certo senso possiamo considerarlo immanente
5 Così F. Benevolo, Azione penale in Digesto Italiano, IV, 2, Torino, 1926, p. 912. 6 F. Salluto, Commenti al codice di procedura penale per il Regno d'Italia, Torino,
1877, pp. 60 sgg.
nell'ordinamento giuridico italiano, in realtà esso fu enunciato solo nella Costituzione del 1948 e fu al centro di un dibattito acceso in dottrina nel periodo precedente all'avvento del fascismo. I sostenitori dell'obbligatorietà per suffragare la loro tesi partivano dal dato normativo del cpp del 1865 che prevedeva che “ogni reato dà luogo ad un'azione penale” (art 1 comma 1), che l'azione penale “è esercitata d'ufficio in tutti i casi nei quali l'istanza della
parte danneggiata od offesa non è necessaria a promuoverla” (articolo 2
comma 3) e che “il procuratore del re è tenuto nel distretto del tribunale
presso cui esercita le funzioni di promuovere e proseguire le azioni penali derivanti da crimini o delitti colle norme prescritte nel presente codice” (art
42). Da questi articoli veniva fatto discendere il principio di legalità8 dal quale
derivava che, in presenza di un reato, il Pubblico Ministero era tenuto ad intraprendere un'azione penale; inoltre escludere il principio di obbligatorietà avrebbe contrastato con lo spirito di uguaglianza di tutti i “regnicoli” davanti alla legge stabilito nello Statuto Albertino (art 24), in quanto avrebbe comportato il riconoscimento legale di privilegi e avrebbe diminuito l'efficacia intimidatrice della norma penale. D'altra parte chi9 sosteneva la natura
discrezionale dell'azione penale partiva da due differenti argomentazioni: seguendo la prima si constatava che il capo ufficio, esercitando il suo potere di direzione e controllo, poteva, in virtù dell'assetto gerarchico, ordinare al Pubblico Ministero di non procedere o di ritardare l'esercizio dell'azione penale (lo stesso poteva fare il Ministro della Giustizia se riteneva ingiusta o inopportuna l'azione penale); inoltre si sosteneva che non potendo qualificare l'azione penale come attività giurisdizionale (tantomeno come attività legislativa) essa andava necessariamente qualificata come un'attività amministrativa attraverso la quale lo Stato provvedeva agli interessi della collettività. In questa prospettiva collocando l'azione penale tra i diritti soggettivi pubblici si finiva per escludere l'obbligatorietà, in quanto sarebbe
8 Cfr. G. Bartolotto, voce Pubblico Ministero (materia penale) in Digesto Italiano, XV, 2, Torino, 1906. Cfr. F. Saluto, Commenti op.cit.
9 Cfr. M. Pescatore, Sposizione compendiosa della procedura civile e criminale, I, parte II, Torino, 1864. Cfr F. Alimena, Se l'azione penale possa concepirsi come
una contraddizione parlare di diritto soggettivo obbligatorio. Pare più corretta la posizione di chi considerava l'azione penale obbligatoria, sia per il robusto ancoraggio al dato normativo, sia perché l'eventuale rifiuto del PM di adeguarsi alle direttive non comportava la nullità dell'atto compiuto in quanto il magistrato traeva la sua legittimazione dalla legge di conseguenza pare maggiormente corretto considerare l'azione penale come una funzione di giustizia e non amministrativa.
Per concludere l'esame delle funzioni del Pubblico Ministero può essere interessante soffermarci sul suo potere di promuovere azioni disciplinari verso i giudici. Infatti il Ministro della Giustizia poteva ordinare ai Pubblici Ministeri di dare avvio a un procedimento presso la Corte di Disciplina; ne emerge che il PM, oltre ad essere esplicitamente qualificato come il rappresentante dell'esecutivo, era quindi anche uno strumento di controllo che il potere politico poteva usare nei confronti di quello giudiziario (specialmente considerando che il Governo poteva esercitare una fortissima influenza sulle Corti di Disciplina).
1.2 Il Fascismo
Con queste premesse in merito ai mezzi di controllo accordati al potere politico sulle istituzioni giudiziarie, è facile comprendere il motivo per cui con l'avvento del Fascismo, almeno inizialmente, non ci si discostò troppo da quanto previsto nel periodo precedente. Ci si limitò infatti a qualche modifica volta a rendere la magistratura maggiormente compatibile con i tratti autoritari del regime. In particolare il guardasigilli Oviglio, esponente dell'ala legalitaria del PNF, riuscì a preservare la magistratura da gran parte della riforma di riorganizzazione degli uffici della pubblica amministrazione, infatti i magistrati vennero equiparati agli altri pubblici impiegati solo nel 1925, ma nonostante ciò dal punto di vista istituzionale gli organi giudiziari riuscirono a rimanere separati dall'organizzazione del partito e dal governo.10 In sostanza
10 L. Paladin, voce Fascismo (dir. cost.) in Enciclopedia del diritto, XVI, Milano, 1967, p. 900. L'autore arrivò addirittura ad usare quest'aspetto per sostenere che
si può cercare di spiegare l'inazione del regime verso la magistratura -persino la riforma del 1941 dell'ordinamento giudiziario non stravolse l'impianto preesistente - con due elementi. Da un lato venne istituito il Tribunale Speciale dello Stato attraverso cui veniva attuata gran parte della politica repressiva del regime – sarebbe tuttavia ingenuo sostenere che il regime rinunciò a riformare la magistratura in modo conforme allo stato totalitario e che decise di aggirare problema di eventuali resistenze dell'ordine giudiziario istituendo questo tribunale speciale, soprattutto se consideriamo il carattere sussidiario di quest'ultimo - ; dall'altro evidentemente le direttive sviluppate nello stato liberale e ribadite da Oviglio per il controllo del potere giudiziario erano compatibili con le esigenze che si poneva il regime e con i risultati che intendeva raggiungere. Quanto detto però non deve trarre in inganno: infatti la fascistizzazione della magistratura era un obiettivo che il regime cercò senza dubbio di perseguire; semplicemente si scelse una strada diversa rispetto ad un approccio diretto. In particolare si optò per una sollecitazione dell'iscrizione dei magistrati al PNF, legando la possibilità di far carriera all'adesione al fascismo,11 e per un
indottrinamento ideologico delle nuove reclute tramite appositi corsi di preparazione politica.
Venendo nello specifico al Pubblico Ministero, possiamo anche qui constatare che dal punto di vista istituzionale le modifiche furono minime. L'unica novità apportata dal decreto Oviglio rispetto all'assetto precedente fu quella, meramente formale, di eliminare la definizione del Pubblico Ministero come rappresentante dell'esecutivo, per il semplice fatto che si voleva affermare che l'unico rappresentante dello stato in questo ambito fosse il Ministro di Grazia e Giustizia e non il Pubblico Ministero, che rimaneva dipendente dal potere esecutivo ed assoggettato alla direzione e controllo di questo. Più interessanti furono le modifiche dal punto di vista processuale che portarono al rafforzamento del ruolo del Pubblico Ministero, ora classificato come una parte sui generis dal Ministro Rocco, e alla
tecnicamente il fascismo non poteva essere considerato un regime totalitario. 11 Vedi circolare 2344 del 3 novembre 1934 del ministro De Francisci.
subordinazione degli interessi dei privati a quello pubblico. In sostanza ora l'operato della magistratura requirente era soggetto solo al controllo gerarchico; a dimostrazione di ciò il giudice istruttore non poteva più esercitare alcun controllo sulle richieste di archiviazione per le notizie di reato ritenute infondate dal Pubblico Ministero. In sostanza il Pubblico Ministero emerge come una figura con poteri poco conciliabili con la natura di parte, sebbene sui generis, che si adattavano maggiormente ad un accusatore-giudice, in particolare per gli aspetti inerenti ai poteri coercitivi e di acquisizione probatoria.
Per confermare la sostanziale natura di subordinazione dell'intero sistema penale al regime può essere utile fare qualche considerazione sul diritto penale del lavoro, settore in cui si verificò uno spontaneo adeguamento dell'ordine giudiziario alle leggi fasciste diventando uno strumento di realizzazione della politica giudiziaria (e in questo caso anche della politica sociale) del Fascismo, in particolare rispetto alla normativa inerente al divieto di sciopero. Per comprendere le finalità di questa legislazione è necessario premettere che nel periodo 1924-1925 le organizzazioni sindacali di classe avevano dato vita ad una serie di scioperi.12 La risposta del regime fu quella
di affermare la sostanziale estraneità di questo strumento all'ideologia fascista. Questo orientamento si concretizzò nel rdl 15 novembre 1925 che aveva tra i suoi pilastri il “divieto dell'autodifesa e sanzioni penali in caso di
violazioni” in quanto ora sarebbe stato compito della magistratura del lavoro
dirimere i conflitti tra classi.13 Queste norme avevano il chiaro obiettivo di
ridurre all'impotenza le organizzazioni sindacali non assoggettate al regime (rafforzando al contempo il sindacato fascista) e trovarono nella magistratura un fedele interprete di questo orientamento, specialmente a livello di Corte di
12 In particolare vanno segnalati gli scioperi del 1925 dei metalmeccanici di Brescia che si allargarono ad altre zone dell'Italia settentrionale, in particolare a Milano e Torino.
13 Se poi si considera che le decisioni della magistratura del lavoro dovevano essere orientate a tutelare “il superiore interesse della produzione” si può capire come l'indipendenza di questi giudici fosse ulteriormente ridotta, specialmente considerato che, come denunciò il deputato comunista Repossi, tale interesse operò esclusivamente nell'interesse della parte padronale.
Cassazione (ciò avenne molto meno da parte dei giudici di merito). Questo atteggiamento non può che apparire come un consenso attivo nei confronti del nuovo regime, in gran parte derivante dalla provenienza del ceto giudiziario dalla classe media che aderì convintamente al progetto restauratore e reazionario del corporativismo. Il risultato, in continuità con gli atteggiamenti restrittivi dell'epoca liberale nei confronti del fenomeno dello sciopero, fu che la magistratura si trovò ad attuare la politica del regime volta a rendere inefficace questo strumento di lotta e a ridurre all'impotenza le organizzazioni sindacali.
Nel complesso emerge l'immagine di una magistratura completamente priva di indipendenza e ciò è particolarmente vero per i Pubblici Ministeri che continuarono a essere subordinati anche formalmente al Governo. Inoltre non è possibile individuare nella magistratura atteggiamenti di opposizione o resistenza legalitaria al regime.14 Pur constatando che la magistratura
durante il ventennio non emanò molte sentenze veramente inique sulla base di pressioni politiche, ciò avvenne anche perché l'istituzione del tribunale speciale la sottrasse “alla più pericolosa prova del fuoco”.15 Possiamo quindi
affermare che la magistratura rinunciò ben presto ad assumere il ruolo di baluardo della tradizione liberale per adeguarsi perfettamente alle direttive del regime, come affermò intervenendo alla Camera il ministro Rocco nel 1929: “Pertanto affermo che è ci fatti che la Magistratura italiana ha
dimostrato di essere aderente allo spirito del Fascismo. Qualche eccezione isolata e subito repressa non può che confermare questa regola” .16
1.3 La Repubblica
14 Contra D. R. Peretti Griva, Esperienze di un magistrato, Torino, Einaudi, 1956, pp. 22-23. Sostenne che i magistrati avevano comunque la possibilità di svolgere il proprio compito da una posizione abbastanza indipendente e che solo una minoranza appartenente agli alti gradi si chinò completamente al regime.
15 A. C. Jemolo, La magistratura: constatazioni e proposte in AA.VV., Per l'ordine
giudiziario, Milano, 1946, p. 29.
16 In realtà le parole di Rocco sono viziate da un palese intento propagandistico specialmente se si considera che lui stesso, appena un anno prima, emano ben due circolari per invitare la magistratura ad una più sollecita repressione delle offese al capo dello stato e dei reati di indole sovversiva.
Con la caduta del regime e con la liberazione del Paese si iniziò immediatamente il tentativo di “defascistizzare” lo stato; in particolare per quello che ci interessa possiamo partire dal motto “epurare la magistratura” che apparve sulla stampa del periodo.17 Per attuare il progetto si fece ricorso
allo strumento della dispensa dal servizio e fu subito chiarito che, per quanto concerne la magistratura, non era possibile invocare nessun tipo di garanzia di inamovibilità: si stabilì di colpire “chi avesse partecipato attivamente alla
vita politica del fascismo”, chi con manifestazioni “ripetute di apologia del fascismo o di faziosità fascista si fosse dimostrato indegno di servire lo stato”
e chi avesse “collaborato con il governo repubblicano dopo l'8 settembre”.18
La procedura consisteva in un articolato giudizio di fronte a commissioni ministeriali e nel possibile ricorso di fronte alla commissione centrale (con l'Alto Commissariato in veste di Pubblico Ministero); circa 400 magistrati furono sottoposti a procedimento di epurazione su un numero complessivo di circa 1000 casi esaminati. In verità l'atteggiamento non fu di severa repressione in quanto si scelse di applicare le norme restrittivamente (ad esempio l'apologia di fascismo era scusata se non era stata ripetuta) e potevano essere riconosciute varie attenuanti (come nel caso in cui l'attività alle dipendenze della Rsi si fosse svolta in un clima di incertezza e di pericolo). Nell'opera di defascistizzazione - cominciata con il governo De Gasperi e terminata con l'amnistia di Togliatti - possiamo infine cogliere una fase ascendente ed una discendente. Infatti già nel novembre 1945 si optò per una strada di pacificazione nazionale e, con l'affievolirsi della spinta di cambiamento della Resistenza, il processo di epurazione divenne notevolmente più blando.19
Per quanto riguarda la magistratura in questo periodo, oltre al processo di epurazione, va sottolineato l'intervento del Ministro Togliatti che, con la Legge delle Guarentigie, pur senza introdurre interventi rivoluzionari, cancellò gli
17 In L'intransigente. Settimanale politico, 12 maggio 1945. 18 Vedi d.lgt 159 del 1944.
aspetti dell'ordinamento del 1941 che risultavano maggiormente in linea con il vecchio stato totalitario. Questi cambiamenti toccarono anche il Pubblico Ministero in quanto gli furono estese le garanzie sull'inamovibilità, fino a quel momento riservate ai giudici, e veniva ridimensionata l'influenza del guardasigilli che, nonostante permanesse la sua alta sorveglianza su tutti gli uffici giudiziari, ora nei confronti della magistratura requirente conservava solamente un potere di vigilanza e veniva privato di quello di direzione.
Queste furono le condizioni in cui si arrivò alla discussione in Assemblea Costituente. In quella sede si optò per mantenere le linee fondamentali delle istituzioni giudiziarie preesistenti nonostante i principi della Costituzione fossero profondamente diversi da quelli dell'ordinamento precedente. Tale decisione fu in gran parte frutto del fatto che il dibattito sui principi costituzionali e quello sulla parte organizzativa si svolsero separatamente,20
tuttavia il testo del Titolo IV presentò comunque importanti punti di rottura in particolare ci furono innovazioni volte alla tutela dell'indipendenza del giudice. Per quanto riguarda il Pubblico Ministero sarebbe lecito immaginare che l'esperienza precedente avesse reso pacifica la scelta di rendere tale figura indipendente dall'esecutivo; tuttavia non fu così. Infatti si sviluppò un acceso dibattito tra due linee di pensiero contrapposte (già citate nei paragrafi precedenti): la prima, propugnata da Calamandrei, consisteva nel principio che il Pubblico Ministero dovesse godere di tutte le garanzie dei magistrati mentre la seconda, che aveva in Leone il massimo sostenitore, intendeva mantenere in vita l'impostazione per cui il Pubblico Ministero è organo del potere esecutivo; sebbene fosse evidente la volontà di tutte le forze politiche di svoltare rispetto alla situazione precedente alla fine si optò per la mediazione contenuta nel comma 4 dell'articolo 107 della Costituzione, in questo modo, pur emergendo la volontà della maggioranza di avere un Pubblico Ministero indipendente dal Governo, si è dato vita ad un norma piuttosto ambigua per la quale si lascia intendere che la magistratura requirente deve godere di garanzie simili a quelle tipiche dei giudici, ma allo
20 A. Pizzorusso, L'organizzazione della giustizia in Italia, Torino, Einaudi, 1982, pp. 35-38.
stesso tempo si sceglie di non indicarle. Dal dibattito emerge comunque chiaramente un Pubblico Ministero indipendente, collocato nell'ordine giudiziario, che può disporre della polizia giudiziaria e con l'obbligo di esercitare l'azione penale:21 non vi può essere dubbio che questa figura si
pone in netta rottura con la situazione precedente.
1.4 Mani Pulite e lo scontro tra politica e potere magistratura requirente
Nella storia del nostro paese si è cercato più volte, in particolare durante la cosiddetta Seconda Repubblica, di colpire più o meno velatamente l'indipendenza della magistratura, tramite le proposta di svariate riforme. In particolare molti hanno cercato di modificare pesantemente la natura dei pubblici ministeri emersa dall'Assemblea Costituente. Per spiegare questa tendenza sembra utile affrontare i fatti avvenuti in un periodo chiave della storia giudiziaria del nostro paese: Tangentopoli. Per prima cosa è necessario ricostruire le possibili posizioni della magistratura nei confronti del potere politico effettuata dal sociologo Alessando Pizzorno.22 La prima di
queste impostazioni che viene individuata è la collusione di ceto, propria dei magistrati tradizionali che tendono ad adottare determinate interpretazioni delle fattispecie da giudicare, in modo da conservare l'ordine civile e politico, in ragione della loro appartenenza di ceto che gli impedisce di vedere alternative. Viene poi individuata la collusione d'affari: il giudice è influenzato dal suo ambiente sociale o talvolta dall'appartenenza a circoli e associazioni. La terza situazione è l'influenza ideologica, che si realizza quando il modo di trattare i casi viene influenzato dalle posizioni politiche del giudice. Esiste poi l'atteggiamento che porta ricoprire una funzione di supplenza, in questo caso il consociativismo e l'assenza di alternanza del sistema politico spingono il
21 Da ricordare anche l'articolo 108 della Costituzione che stabilisce l'indipendenza dei pubblici ministeri presso le giurisdizioni speciali, dal quale si può trarre sostegno ulteriore per la tesi a sostegno di tutta la magistratura requirente in quanto sarebbe illogico non concederla anche ai Pubblici Ministeri pubblici ministeri presso la magistratura ordinaria.
22 A. Pizzorno, La corruzione politica in Italia in Della Porta Lo scambio occulto, Il Mulino, 1992, pp. 62-66.
giudice a supplire all'assenza della “punizione politica”. L'ultimo orientamento che la magistratura può assumere nei confronti della politica è l'imparzialità istituzionale, essa è la posizione fisiologica prevista dalla legge e è da considerarsi una componente presente in ogni giudice in misura più o meno prevalente.
Autori come Pizzorno e Guarnieri individuano fino agli anni '60 una linea essenzialmente governista della magistratura (ossia la magistratura sceglie la non interferenza di fatto nei confronti dell'esecutivo), indicando nel 1959 (con l'istituzione del Consiglio Superiore della Magistratura) lo spartiacque dopo il quale comincia un processo di emancipazione dell'azione giudiziaria che porta la magistratura agli atteggiamenti dell'influenza ideologica e della funzione di supplenza e concedendole una capacità d'azione nei confronti del potere politico fino a quel momento sconosciuta.
Questo mutamento dell'atteggiamento della magistratura si verificò in modo ancora più marcato con l'avvento di Tangentopoli. Il complesso di indagini e procedimenti penali che viene denominato “Mani Pulite” fu ciò che permise alla Procura di Milano di scoprire il sistema di corruzione che, tramite la pratica delle tangenti, permetteva la realizzazione di un costante flusso di denaro nelle casse di vari partiti proveniente dalle imprese fornitrici delle pubbliche amministrazioni. Oltre ai prevedibili effetti sul piano giudiziario e su quello politico se ne verificò un altro praticamente inedito: l'enorme visibilità dell'apparato giudiziario e in particolare della magistratura requirente, che si vide per la prima volta concedere un grande consenso dall'opinione pubblica,23 che iniziò a vederla come “il potere dei senza potere”, fatto in
netta rottura con gli anni precedenti in cui invece una consistente parte del Paese percepiva la magistratura come un'entità ostile e schierata in difesa dei potenti - basti pensare che nel 1973 il Procuratore Generale della Cassazione durante il discorso di inaugurazione dell'anno giudiziario qualificò
23 Fatto particolarmente sorprendente considerando che solo pochi anni prima al referendum sulla responsabilità civile dei giudici vinse il si con l'80% dei consensi e che negli anni di piombo molte vicende giudiziarie furono al centro di fortissimi contrasti dovute alle difficoltà della magistratura ad approcciarsi al fenomeno della lotta di classe.
gli infortuni sul lavoro come fatalità.
In questo contesto sembra facilmente prevedibile lo svilupparsi di una situazione di conflitto tra magistratura e potere politico, specialmente nei periodi di latitanza di quest'ultimo. Per comprendere le radici e le evoluzioni di questo contrasto bisogna risalire alla fonte di legittimazione di queste due autorità: da un lato il potere giudiziario trae la sua legittimazione dalla legge e dalla Costituzione mentre il potere politico si fonda sull'investitura popolare. Il potere politico quindi può tendere a considerare la sua fonte di legittimazione come un'investitura totale e spesso ciò lo porta a sviluppare un'insofferenza verso i controlli giudiziari.24 Lo sviluppo del contrasto porta la politica ad
attaccare il potere giudiziario proprio contestando la legittimazione del giudice, instillando il dubbio che le azioni della magistratura siano causate da spirito politico e a questo punto il magistrato, tacciato di politicizzazione e ormai privato della sua sua legittimazione derivante dalla soggezione alla legge, non potrà difendersi rivendicando consensi per legittimarsi. Da qui nascono le accuse di supplenza e partigianeria politica nei confronti dei pubblici ministeri.25
A questo punto occorre qualificare meglio il concetto di politicizzazione della magistratura in modo da dimostrare che si tratta di un mero luogo comune. Possiamo individuare tre accezioni di tale concetto. La prima senza alcun dubbio è quella di chi sostiene la presunta frequentazione dei luoghi della politica da parte dei magistrati, ma si tratta di un argomento privo di fondamento in quanto i passaggi dalla magistratura alla politica nel nostro paese sono veramente esigui26 e notevolmente inferiori rispetto al periodo
monarchico e al regime fascista. Una seconda concezione della
24 Cfr. P. Borgia – M. Cassano, Il giudice e il principe. Magistratura e potere politico in
Italia, Roma, Donzelli Editore, 1997.
25 In realtà prima di Mani Pulite simili accuse furono mosse alla Corte Costituzionale quando essa adeguò leggi ereditate dal precedente regime ai principi costituzionali, espandendo i diritti della difesa nel processo penale e cancellando alcune norme in materia di famiglia, e i pretori di Genova che scopriranno il primo scandalo dei petroli.
26 Se prendiamo i dati della XIV legislatura i magistrati in Parlamento, e quindi in aspettativa, erano 13, nella XV erano 7 e nella XVI erano 12. In tutti i casi equamente divisi tra maggioranza ed opposizione. Ancora più esigui sono i numeri dei magistrati negli organi degli enti locali o nella dirigenza dei partiti.
politicizzazione trova la sua ragione nel cosiddetto correntismo ossia nell'organizzazione di articolazioni interne alla magistratura che hanno trovato in una parte politica e in una parte di società i propri valori di riferimento;27 ma per smentire chi individua in questo un elemento di
fiancheggiamento rispetto al potere politico basti citare il caso di Magistratura Democratica, la corrente progressista e di sinistra, che nella sua storia fu tra i più accaniti difensori dell'autonomia della magistratura ed ha avuto molte più occasioni di scontro che di collaborazione con le forze politiche di sinistra. L'ultima concezione di politicizzazione è quella di chi sostiene che tale concetto vada ricercato nei comportamenti e non nelle appartenenze, facendo riferimento in particolare all'attivismo mediatico di molti magistrati. Tale ultimo rilievo appare più fondato degli altri ma bisogna subito notare che non si tratta di una prassi recente28 e che, anche se spesso sarebbe
opportuno un maggior riserbo ed equilibrio da parte dell'ordine giudiziario, è del tutto velleitario sostenere che i magistrati debbano essere ridotti al silenzio sulle questioni inerenti i loro compiti. Si può affermare che la politicizzazione della magistratura è un mito e che piuttosto è corretto parlare di pluralismo, ossia “legittima presenza di diverse posizioni politico culturali
nella magistratura”.29
Come è evidente il Pubblico Ministero non subì alcuna riforma in questo periodo. Tuttavia illustrare il conflitto che da allora si sviluppò tra i due poteri è utile per comprendere le ragioni che portarono, negli anni successivi, a sviluppare una politica di riforme volte sostanzialmente a limitare l'indipendenza della magistratura requirente.
2 Lo statuto del Pubblico Ministero italiano
27 L. Violante, Magistrati, Torino, Einaudi, 2009, p. 184.
28 In particole negli anni '70 organi di stampa come “Il Giornale” e “Il Borghese” ospitavano quotidianamente interventi di magistrati.
29 G. Borrè, Le scelte di Magistratura Democratica in N. Rossi (a cura di), Giudici e
democrazia. La magistratura progressista nel mutamento istituzionale, Milano,
Attualmente nel nostro ordinamento la figura che rappresenta, nel procedimento penale, l'interesse generale dello stato alla repressione dei reati è il Pubblico Ministero.30 Le funzioni dell'organo della magistratura
requirente sono elencate nella legge dell'ordinamento giudiziario (art 73) e nel codice di procedura penale (art 50): 1) “veglia alla osservanza delle leggi,
alla pronta e regolare amministrazione della giustizia, alla tutela dei diritti dello stato, delle persone giuridiche e degli incapaci” (ord. giud.) 2) “promuove la repressione dei reati” (ord. giud.) 3 ) “fa eseguire i giudicati e ogni altro provvedimento del giudice, nei casi stabiliti dalla legge” (ord. giud.)
4) “esercita l'azione penale” (cpp).
Ai nostri scopi interessa l'ultima previsione, tanto più che nel nostro ordinamento è stabilito il principio del monopolio dell'azione penale in capo al Pubblico Ministero. In realtà questo principio non è presente nella nostra carta fondamentale e ciò è frutto di una precisa scelta dei Costituenti; infatti la formulazione iniziale dell'art 101 prevedeva esplicitamente che “L'azione
penale è pubblica...” ma fu approvato un emendamento soppressivo di
questa disposizione in quanto, nelle intenzioni del proponente, era preferibile non impedire al legislatore di introdurre, eventualmente, anche un'azione penale sussidiaria del privato per “non respingere del tutto dall'ambito del
processo penale quelle che sono le istanze, i desideri, i legittimi interessi e i diritti dei soggetti privati del rapporto giuridico penale” .31 A sostegno della
scelta di introdurre questo monopolio è stata sottolineata la natura statualistica che sta alla base della norma penale e l'interesse pubblico necessario all'attivazione del processo penale, alcuni da queste considerazioni traggono la conclusione che il monopolio dell'azione penale sia un corollario dell'articolo 112 e la Corte Costituzionale stessa con la sentenza 154/1963 si è mostrata sensibile a questa impostazione sostenendo che “il sistema italiano (…) non ammette -salvo tassative
30 Nelle indagini preliminari e nei giudizi di primo grado le funzioni del Pubblico Ministero sono svolte dall'ufficio unitario della “procura della repubblica presso il tribunale”. Nei giudizi d'appello è presente una procura generale presso la Corte d'Appello ed infine esiste una una procura generale presso la Corte di Cassazione. 31 Così G. Leone seduta antimeridiana dell'Assemblea Costituente, 27 novembre 1947.
eccezioni- che altri organi si sostituiscano al Pubblico Ministero nel promovimento dell'azione penale”. Ma tale lettura non appare corretta
sopratutto considerando le decisioni prese in sede di Assemblea Costituente, sembra infatti preferibile propendere per l'impostazione che dall'articolo 112 trae solo un limite negativo escludendo che si possa sottrarre al Pubblico Ministero l'esercizio dell'azione penale in ordine ad alcuni reati ammettendo però, astrattamente, che siano configurabili azioni penali sussidiarie di natura privata, queste farebbero parte degli istituti di democrazia diretta, che traggono giustificazione dal principio di sovranità popolare, e sarebbero una forma di partecipazione diretta del popolo all'amministrazione della giustizia. Tuttavia a livello di legge ordinaria (art 405 cpp) ad oggi è previsto il monopolio dell'azione penale, salvo la deroga prevista per i reati di competenza del giudice di pace, e questo rende ancora più fondamentale il tema del principio costituzionale dell'obbligatorietà che vige nell'azione penale esercitata dal Pubblico Ministero, l'unica attualmente prevista nel nostro ordinamento. Questa scelta sembra derivare dalla volontà del legislatore di non correre il rischio che l'azione penale venga strumentalizzata, aprendo la strada a vendette, ad azioni temerarie o calunniose, permettendo che il sistema giudiziario venga ulteriormente intasato dall'aumento del tasso di litigiosità. Dall'attuale assetto deriva che la magistratura requirente è l'ingresso obbligato per la domanda di giurisdizione penale; dal suo operare dipendono quindi aspetti fondamentali come l'eguaglianza e la razionalità dell'accesso alla giustizia penale.
In questo paragrafo si cercherà di analizzare la figura del Pubblico Ministero a cominciare dal suo inquadramento nella magistratura e da un confronto con le caratteristiche della magistratura giudicante, per poi terminare con una breve analisi dei rapporti tra Pubblico Ministero e Polizia Giudiziaria che ha importanti ricadute sul tema del reperimento della notitia criminis e quindi sull'esercizio dell'azione penale. Per comprendere l'importanza e la difficoltà del definire la natura della figura in esame pare utile citare Piero Calamandrei: “fra tutti gli uffici giudiziari, il più arduo mi sembra quello del
pubblico accusatore: il quale, come sostenitore dell'accusa, dovrebb'essere parziale a pari di un avvocato; e, come custode della legge, dovrebb'essere imparziale al pari di un giudice” .32
2.1 L'inquadramento del Pubblico Ministero nella Magistratura
Per parlare della collocazione del Pubblico Ministero nella nostra Costituzione è necessario prima fare una premessa sul concetto di divisione dei poteri. Infatti questo aspetto influenza moltissimo la natura della magistratura requirente. Nei sistemi totalitari, che accettano tale divisione solo a fini meramente burocratici, il Pubblico Ministero è diretta espressione del potere politico mentre nei sistemi garantisti la separazione dei poteri dello Stato comporta che questi si controllino reciprocamente e anche il PM fa parte a pieno titolo di questo meccanismo. Possiamo quindi individuare approssimativamente tre configurazioni per la figura in esame, sebbene occorra premettere che il principio di separazione dei poteri non implica necessariamente l'adozione di un determinato modulo organizzativo. Il Pubblico ministero può essere individuato come un rappresentante della
società; questa impostazione nasce dal periodo iniziale della Rivoluzione
Francese in cui si istituì l'accusatore pubblico e inoltre è presente in molti ordinamenti degli Stati Uniti d'America. Può inoltre ricoprire il ruolo di
rappresentante dell'esecutivo; in questo modo il PM diventa sostanzialmente
un funzionario la cui carriera dipende dall'esecutivo, si tratta dell'impostazione accolta da nella Francia del Consolato e dell'impero oltreché nell'Italia del periodo monarchico-liberale e fascista.33 Infine può
caratterizzarsi come rappresentante della legge, si tendendo ad eliminare la dipendenza del PM e ad evitare quindi il controllo del potere esecutivo e del potere legislativo per vincolare la magistratura requirente esclusivamente alla legge; è l'impostazione tipica dei Paesi che si sono liberati di un'esperienza
32 P. Calamandrei, Elogio dei giudici scritto da un avvocato, Firenze, Le Monnier, 1954 p. 56.
dittatoriale come Italia, Brasile e Portogallo.34
Il nostro ordinamento accoglie quindi l'ultimo modello e sin dall'Assemblea Costituente si è realizzata una tendenza a considerare il Pubblico Ministero come un magistrato caratterizzato da garanzie di indipendenza simili a quelle dei giudici. In realtà questa non fu assolutamente una decisione pacifica ma anzi essa è stata al centro di un acceso dibattito in seno all'Assemblea Costituente. Si confrontarono infatti coloro che, propugnando una forte rottura con il passato, intendevano affrancare completamente il Pubblico Ministero dall'esecutivo (posizione riconducibile a Calamandrei) e coloro che invece intendevano mantenerlo subordinato ad esso (posizione riconducibile a Leone): il risultato di questo dibattito fu una mediazione dalla quale nacque l'articolo 107 della Costituzione che, se da un lato colloca indubbiamente il Pubblico Ministero all'interno della magistratura stabilendo la sola divisione per funzioni tra quella requirente e quella giudicante,35 dall'altro demanda al
legislatore ordinario il compito di individuare le garanzie di cui può godere il PM.
Dal quadro costituzionale emerge quindi senza ombra di dubbio l'appartenenza del Pubblico Ministero all'ordine giudiziario ed accoglie la sola separazione funzionale tra le componenti della magistratura. Questo aspetto è stato anzi enfatizzato dalla legge ordinaria che ha limitato sotto vari aspetti le possibilità di passaggio da una funzione all'altra (divieto di passaggio funzionale all'interno dello stesso distretto, possibilità di chiedere il passaggio per non più di quattro volte durante la propria carriera e solo dopo aver svolto almeno cinque anni di servizio continuativo nella funzione esercitata...). Per valutare l'opportunità della previsione della separazione funzionale dobbiamo spostare la nostra analisi sul piano del processo penale e delle garanzie che devono caratterizzarlo, secondo l'articolo 111 della Costituzione. Infatti
34 Altra caratteristica che sembra comune agli ordinamenti che hanno scelto questa impostazione è il forte contrasto ideologico che li pervade.
35 Naturalmente l'appartenenza del Pubblico Ministero alla magistratura è confermata anche da altre disposizioni costituzionali come l'articolo 106 che stabilisce un unico sistema di reclutamento per tutti i magistrati e l'articolo 104 che stabilisce che giudici e PM appartengono al medesimo ordine autonomo e indipendente con un organo unitario di autogoverno: il CSM.
sembrerebbe lecito domandarsi se il principio dell'unicità delle carriere, che permea il sistema ordinamentale, sia compatibile i caratteri di imparzialità e terzietà della giurisdizione. Se non è possibile pretendere la completa equiparazione tra le parti (per ottenere la quale il Pubblico Ministero non dovrebbe essere un ufficio pubblico) paiono quantomeno opportune le, già ricordate previsioni, che tendono, tramite restrizioni ai passaggi funzionali, ad evitare la commistione dei ruoli di giudice ed accusatore in capo alla stessa persona. Dopo queste considerazioni sembra che si possa individuare nella decisa separazione dei ruoli, e non tanto delle carriere, la risposta alle esigenze di terzietà del giudice. In questo contesto la vicinanza, sul piano burocratico, delle due componenti della magistratura non dovrebbe compromettere la necessaria terzietà del giudice ma esprimerebbe semplicemente la condivisione di una positiva alterità nei confronti delle linee di politica criminale del potere esecutivo, rispetto alle quali fanno da argine rispetto al processo la soggezione del giudice rispetto alla legge e l'obbligatorietà dell'azione penale a cui è sottoposto il Pubblico Ministero. Per concludere possiamo affermare che la collocazione del Pubblico Ministero all'interno della magistratura trova numerosi riferimenti nella nostra Costituzione che vanno a definire un sistema in cui tutti i magistrati appartengono a un unico ordine autonomo e indipendente (art 104, 2 co., Cost) con un reclutamento unitario (art 106 Cost), dove è riconosciuto a tutto l'ordine giudiziario la garanzia dell'inamovibilità (art 107, 1° co., Cost). In questo contesto però va considerata la già citata previsione dell'art 107 Cost. Comma 4 che rinvia al legislatore ordinario le garanzie del Pubblico Ministero. Per comprendere adeguatamente la reale portata di questa norma dobbiamo per prima cosa esaminare la posizione di chi36 pensa che tale
articolo sia il giusto appiglio per inserire forme di controllo politico sull'azione penale, sia pure intervenendo esclusivamente sui margini di discrezionalità connaturati al potere di esercizio e alle modalità di esercizio. In quest'ottica il quarto comma dell'articolo 107 va inteso come una norma speciale rispetto
36 Cfr. O. Dominioni, Per un collegamento fra ministero della giustizia e pubblico
alle previsioni generali del Titolo IV che rinvia al legislatore ordinario l'estensione delle garanzie costituzionali al Pubblico Ministero: egli è un magistrato a tutti gli effetti fino a quando lo stabilisce la legge sull'ordinamento giudiziario.37 In questa tesi si sostiene quindi che il tema
dell'indipendenza organizzativa della magistratura requirente - ossia la struttura interna degli uffici del PM - subisca una decostituzionalizzazione che impedisce di estendere ad essa le norme costituzionali che regolano in generale l'indipendenza per gli altri magistrati abbassando al livello di legislazione ordinaria le garanzie attribuite ai Pubblici Ministeri, aprendo tra l'altro alla possibilità di introdurre a Costituzione invariata la separazione delle carriere. Questa impostazione trova consensi anche in altra dottrina38
che vede nell'articolo 107 comma 4 una deroga al comma precedente del medesimo articolo che impone la distinzione solo funzionale tra i magistrati e di conseguenza anche all'indipendenza interna dei Pubblici Ministeri. Tali posizioni però non trovano riscontri e in particolare si può notare che (come ammettono anche i sostenitori della tesi del controllo politico sulla magistratura requirente)39 da un lato la legge ordinaria ha costantemente
attuato una progressiva equiparazione tra le garanzie di giudici e pubblici ministeri, dall'altro la previsione di questo comma dell'art 107 Cost appare isolata nel sistema costituzionale e rivolta solo al problema dell'indipendenza organizzativa del Pubblico Ministero, quindi non sembra in grado di autorizzare il legislatore ordinario ad adottare soluzioni limitative dell'indipendenza del PM danneggiando le garanzie poste a sua tutela.40
Quindi al Pubblico Ministero devono essere riconosciute tutte le garanzie che
37 N. Zanon, Pubblico Ministero e Costituzione, Padova, CEDAM, 1996, p. 5.
38 Cfr. M. Scapparone, voce Pubblico ministero (dir. proc. pen.), in Enciclopedia del
Diritto, vol XXXVII, Milano, 1988.
39 O. Dominioni, Per un collegamento fra ministero della giustizia e pubblico ministero
op.cit, p. 75.
40 G. Neppi Modona Art 112 in G. Branca - A. Pizzorusso (a cura di) Commentario
della Costituzione, Bologna, Zanichelli, 1987, p. 69. Per una lettura sistematica delle
disposizioni costituzionali su questa materia L. Daga, voce Pubblico Ministero (diritto
costituzionale) in Enciclopedia del diritto in Enciclopedia Giuridica Treccani, XXV,
1991, p. 2. Contra A. Pizzorusso Per un collegamento tra organi costituzionali
politici e pubblico ministero in G. Conso (a cura di), Pubblico ministero e accusa penale: problemi e prospettive di riforma, Zanichelli, 1979, p. 32.
la Costituzione riconosce genericamente ai magistrati, inoltre l'art 107 stabilisce che la legge sull'Ordinamento Giudiziario deve assicurargli delle garanzie senza indicare quali.
2.2 Le peculiarità della magistratura requirente
Come sostenuto nel precedente paragrafo si è verificato un progressivo avvicinamento tra le garanzie riconosciute al Pubblico Ministero e quelle della magistratura giudicante; tuttavia sarebbe fuorviante ritenere che tra le due funzioni non ci siano differenze. Nella prefazione a questo paragrafo è già stato citato il pensiero di Calamandrei circa la figura del Pubblico Ministero e la natura ibrida di questa figura che si trova a metà strada tra il giudice e l'avvocato. La conseguenza più immediata è la già citata separazione funzionale che caratterizza l'ordine giudiziario.
Passando ora ad esaminare più nello specifico le peculiarità della magistratura requirente emerge immediatamente un elemento controverso: la gerarchia. Questo principio risulta particolarmente importante tra quelli che reggono l'ordinamento delle pubbliche amministrazioni e ha lo scopo di coordinare e indirizzare l'azione dei singoli uffici per ottenere lo svolgimento concorde ed armonico di una determinata attività; il principio in questione persegue le sue finalità tramite il vincolo gerarchico, il quale comporta che uno o più uffici si pongano come superiori rispetto ad altri e che di conseguenza ogni impulso e direttiva scenda dai vertici verso la base in un sistema di collegamento per il quale sembrano impossibili deviazioni ad opera dei singoli uffici.41
Appare subito evidente come i Costituenti posero molta attenzione nel garantire l'indipendenza esterna del Pubblico Ministero ma non esclusero a priori la possibilità di instaurare rapporti di dipendenza gerarchica all'interno. A questo proposito è intervenuta in maniera molto chiara anche la Corte Costituzionale che con la sentenza n.52/1976 ha esplicitamente dichiarato
che “a differenza delle garanzie di indipendenza previste dall'art 101 Cost. a
presidio del singolo giudice, quelle che riguardano il Pubblico Ministero si riferiscono all'ufficio unitariamente inteso e non ai singoli componenti di esso”, anche la Corte di Cassazione ha avuto modo di esprimersi sul tema,
nella sentenza del 5 luglio 1979, sostenendo che la frase “le garanzie
costituzionali di indipendenza che riguardano il pubblico ministero si riferiscono all'ufficio unitariamente inteso, e non ai singoli componenti”
significa che “l'azione individuale del rappresentante del pubblico ministero
esprime in ogni caso l'azione impersonale dell'ufficio, ma non già che il singolo magistrato non possa agire senza la delega del capo”. Dalla
giurisprudenza costituzionale e ordinaria emerge quindi indubbiamente che non ci sono aprioristicamente problemi di incostituzionalità per l'organizzazione gerarchica della magistratura requirente e che l'azione penale non richiede la stabilità della persona che la esercita (il potere di avocazione quindi “attua solo la legittima sostituzione di un organo del
pubblico ministero ad un altro organo dello stesso ufficio”, sent cost 87/1976)
ma il Pubblico Ministero, anche se non gli si può attribuire la natura di organo giurisdizionale, rimane comunque un magistrato appartenente all'ordine giudiziario che, in ossequio all'obbligatorietà dell'esercizio dell'azione penale, non può ricevere ordini da altri. Per quanto riguarda i rapporti tra uffici diversi se da un lato si può escludere la presenza di un rapporto gerarchico tra il Procuratore Generale presso la Corte d'Appello e i magistrati delle procure del distretto (non può quindi dare ordini ma solo esercitare il potere di avocazione o di autosostituzione) non è possibile rinvenire un indirizzo unitario della Corte Costituzionale o della Corte di Cassazione, anzi i loro interventi sembrano piuttosto dettati dalla specificità dei singoli casi. Risulta infine importante sottolineare che in dottrina la compatibilità dell'assetto gerarchico del Pubblico Ministero con i principi costituzionali è stata utilizzata sia da chi vuole sostenere che il comma 3 dell'articolo 107 Cost. impedisce il rapporto di gerarchia tra diversi uffici - ma non quella interna ai singoli uffici
caratterizzati dalla tradizionale subordinazione dei PM al capo dell'ufficio42 -,
sia da chi ritiene incongruente prevedere l'indipendenza del PM dal potere politico e contemporaneamente il mantenere un'organizzazione adeguata ad un ordinamento dove l'esecutivo è ai vertici dell'ufficio del Pubblico Ministero, arrivando a sostenere che la lettura in combinato disposto l'art 107 cost e l'art 97 Cost faccia emergere un insanabile contrasto tra la struttura gerarchica degli uffici ed i principi di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione.43
2.3 I rapporti con il Ministro della Giustizia
Un'ulteriore considerazione da svolgere è quella circa i rapporti tra la magistratura requirente ed il Ministro della Giustizia. Appare necessario evidenziare che con il passaggio alla Repubblica si scelse di attuare una rottura netta con la fase precedente, dove il Pubblico Ministero era espressione dell'esecutivo, ridimensionando fortemente il ruolo del Ministro della Giustizia, che ha perso il suo potere di indirizzo nei confronti dei magistrati requirenti; al momento infatti svolge un ruolo limitato all'organizzazione e funzionamento dei servizi della giustizia e ad un generico potere di sorveglianza esplicabile tramite la facoltà di promuovere azioni disciplinari nei confronti dei singoli magistrati. Il ruolo del Ministro della Giustizia viene definito nell'articolo 110 della Costituzione, tale previsione non era presente nei “Progetti sul potere giudiziario” presentati da Calamandrei, Leone e Patricolo posti alla base del lavoro della Commissione dei 75. Era presente infatti solo una semplice norma di chiusura della disciplina del CSM finalizzata a evitare che l'istituzione di questo organo portasse alla soppressione del Ministero; tuttavia questa previsione ha invece svolto un ruolo incisivo. Se esaminiamo i lavori preparatori possiamo notare che nella
42 Cfr. E. Spagna Musso, Problemi costituzionali del pubblico ministero, in Rivista
Italiana di Diritto e Procedura Penale, 1963.
43 M. Nobili, Accusa e burocrazia. Profilo storico-costituzionale, in Conso Pubblico
ministero e accusa penale: problemi e prospettive di riforma, Zanichelli, 1979, pp.
relazione l'unico riferimento al mantenimento del dicastero è la titolarità dell'azione disciplinare in capo al Ministro della Giustizia, anche se in realtà il progetto Ruini prevedeva anche di affidargli la vicepresidenza del CSM. Su questo punto si sviluppò un notevole dibattito che vide contrapporsi al progetto sia chi preferiva affidare la vicepresidenza al Presidente della Cassazione, sostenendo che il titolare dell'azione disciplinare non può essere a capo dell'organo giudicante, sia chi, come Leone, sosteneva che la presenza del Ministro avrebbe provocato “un'azione di inframmettenza
politica senza il corrispettivo di una sua responsabilità nei confronti del Parlamento”. Ci fu anche una proposta di mediazione avanzata da Togliatti
che propose una doppia vicepresidenza del CSM da affidare al Ministro e al Primo Presidente della Cassazione. Alla fine prevalse la linea di Leone, motivata dall'idea che la presenza del Ministro sarebbe stata difficilmente conciliabile con l'indipendenza e autonomia della magistratura, proposta appoggiata da Conti, Bozzi, Nobile, Fabbri e Calamandrei, il quale, facendo riferimento anche alla sua esperienza professionale, sostenne che l'ingerenza della politica su nomina, trasferimento e avanzamento dei magistrati avrebbe compromesso il buon andamento della giustizia. Il dibattito finì con la proposta di Targetti e Colitto che chiesero di prevedere espressamente la sopravvivenza del Ministro della Giustizia,44 al termine
delle complesse operazioni di voto si arrivò a conferirgli la competenza su organizzazione e funzionamento della giustizia. Nell'attuale assetto risulta quindi scomparsa la dipendenza gerarchica degli uffici del Pubblico Ministero dal Ministro della Giustizia, ma non si elimina del tutto il rapporto di soggezione in quanto permane il controllo amministrativo-disciplinare che è presupposto dell'esercizio dell'azione disciplinare, tale potere di sorveglianza va inteso come un controllo estrinseco sull'attività del PM che però non
44 Anche su questo punto il dibattito fu acceso basti pensare all'intervento di Leone che dichiarò “Cosa accadrà di questo Ministro della Giustizia? Nessuna preoccupazione
se dovesse sparire: non sarebbe poi la fine del mondo, perché si tratta di denominazioni; ed il problema consisterebbe nel conferire ad un nuovo o ad un altro ente questo settore dell'Amministrazione Statale”.
consente alcuna reale ingerenza nelle attività della magistratura requirente.45
Possiamo notare che la Corte Costituzionale ha rifiutato interpretazioni restrittive delle funzioni affidate al Ministro dall'articolo 110, sostenendo che al Ministro della Giustizia spettano sia le funzioni relative “all'organizzazione
degli uffici nella loro efficienza numerica, con l'assegnazione dei magistrati in base alle piante organiche” sia quelle che riguardano “il funzionamento dei medesimi in relazione all'attività e al comportamento dei magistrati che vi sono addetti” .46
Per concludere bisogna notare che si è più volte tentato di andare oltre la mera separazione funzionale in favore della più radicale divisione delle carriere, in quanto alcuni ritengono che nell'assetto attuale i Pubblici Ministeri abbiano presso i giudici un'eccessiva credibilità in nome della comune appartenenza alla magistratura ordinaria e che ciò comporti una lesione del principio della parità delle armi tra accusa e difesa.47 Tuttavia pare
condivisibile l'opinione di chi ritiene che una simile misura comprometterebbe irrimediabilmente l'indipendenza e l'autonomia del Pubblico Ministero assoggettandolo nuovamente al potere esecutivo.48 Infatti, anche se i
sostenitori della separazione delle carriere negano questa eventualità, sembra ovvio che, passando ad una figura di PM amministratore, che la subordinazione sarebbe una conseguenza naturale in quanto nel nostro sistema costituzionale non esiste un potere intermedio tra l'amministrazione e la giurisdizione; di conseguenza se il PM esce da quest'ultima entra nella prima trasformandosi in un ufficio sotto la direzione del Governo. Inoltre se facciamo una comparazione con gli altri Stati possiamo facilmente constatare che negli ordinamenti in cui il Pubblico Ministero non è inserito nella magistratura ordinaria si trova irrimediabilmente alle dipendenze del Governo
45 N. Zanon, Pubblico Ministero e Costituzione op.cit, pp. 211-214. 46 Corte Cost., sentenza n.168/1963.
47 Particolarmente interessanti sono le prese di posizione al riguardo da parte dell'avvocatura e in particolare di Aiga, OUA e UCPI, le quali sostenendo queste tesi appoggiano fortemente i progetti di separazione delle funzioni e, tra le righe, si spingono sostanzialmente ad auspicare una separazione delle carriere.
2.4 Il rapporto con la polizia giudiziaria
Un ulteriore aspetto peculiare da affrontare per quello che riguarda la definizione della figura del Pubblico Ministero nel nostro ordinamento, concerne il suo rapporto con la polizia giudiziaria. Si tratta di un argomento fondamentale visto che è il canale principale di accesso alle notitiae criminis per il Pubblico Ministero e di conseguenza influisce in maniera decisiva sull'esercizio dell'azione penale.
L'art 109 Cost conferisce al Pubblico Ministero la direzione della polizia giudiziaria in quanto aspetto strumentalmente necessario all'espletamento efficace e effettivo dell'azione giudiziaria. Senza questa previsione l'azione dell'autorità giudiziaria dipenderebbe, in gran parte, dall'agire di un ipotetico organo deputato a dirigere la polizia giudiziaria, instaurando così una sostanziale dipendenza della magistratura requirente verso questo eventuale soggetto (verosimilmente di carattere politico). In sede di Assemblea Costituente vi furono vari interventi49 volti a creare un corpo di polizia alle
esclusive dipendenze della magistratura. Per chiarire le ragioni che portarono i Costituenti ad accantonare il fallimentare modello di polizia soggetta all'esecutivo, che aveva caratterizzato il regime, in favore di un modello dove la polizia giudiziaria dipenda dalla sola magistratura può essere utile riprendere l'intervento dell'Onorevole Antonio Romano: “quando si devono
servire due padroni si finisce per servire poco diligentemente quello dal quale meno si dipende”.50 Il risultato di questo dibattito fu il rifiuto di porre la
polizia giudiziaria alle esclusive dipendenze del Pubblico Ministero, ma fu approvato anche un ordine del giorno che chiedeva la creazione di un corpo di polizia alle dirette dipendenze dell'autorità giudiziaria; il risultato fu quindi un testo normativo che mette la p.g. nella disponibilità dell'autorità giudiziaria ma allo stesso tempo lascia aperta la scelta della soluzione da attuare concreto (la stessa categoria di polizia giudiziaria non riceve dal testo costituzionale contorni definiti).
49 In questo senso si espressero gli onorevoli Reginaldo Monticelli e Antonio Romano. 50 Seduta pomeridiana dell'Assemblea Costituente 11 novembre 1947.
Tra i vari modelli possibili il Codice di Procedura Penale del 1988 scelse un sistema caratterizzato dal fatto che le funzioni di polizia giudiziaria vengono ricoperte da un soggetto che risponde al Pubblico Ministero in base a un rapporto funzionale ma rimane legato al potere esecutivo per gli aspetti inerenti alla nomina, alla carriera e alle sanzioni disciplinari. La polizia giudiziaria si divide in tre strutture caratterizzate da un diverso grado di dipendenza funzionale dal Pubblico Ministero: 1) le sezioni di polizia
giudiziaria, queste sono costituite presso gli uffici del Pubblico Ministero e
svolgono esclusivamente i compiti di polizia giudiziaria; sono la struttura dove il grado di dipendenza funzionale è massimo in quanto il singolo magistrato dispone direttamente del personale della sezione 2) i servizi di polizia
giudiziaria: sono costituiti presso i corpi di appartenenza e svolgono in via
prioritaria e continuativa le funzioni di polizia giudiziaria; sono caratterizzati da un minor grado di dipendenza funzionale dovuto al fatto che il magistrato che dirige le indagini non dà un incarico personalmente ad un ufficiale della polizia giudiziaria, ma lo conferisce impersonalmente all'ufficio 3) altri uffici di
polizia giudiziaria: in questo caso la dipendenza funzionale è minima.
Riguardo al rapporto tra PM e p.g., possiamo anche constatare che la scelta operata è quella di un sistema che cerca di creare un collegamento tra i due soggetti ma, allo stesso tempo, non si può non notare che il magistrato titolare delle indagini ha un potere disciplinare di scarsa incidenza e ciò spinge a concentrarsi sulle norme che disegnano il ruolo assunto dai due soggetti nell'ambito delle indagini preliminari.
La direzione della fase delle indagini preliminari spetta esclusivamente al Pubblico Ministero ed il grado di centralità della polizia giudiziaria in gran parte dipende dalle sue decisioni. Questa impostazione trova giustificazione nella paura che in caso contrario la magistratura non avrebbe avuto i mezzi per essere realmente indipendente. Nel complesso possiamo dire che la polizia giudiziaria svolge un'attività di informazione (ossia l'obbligo di informare e di informarsi), un'attività di assicurazione (che può assumere carattere personale, con l'arresto e il fermo, oppure carattere reale, con il
sequestro) e infine un'attività di investigazione che ai nostri fini è quella maggiormente interessante, poiché la legge 128/2001 ha permesso alla polizia giudiziaria di svolgere attività di propria iniziativa anche dopo la comunicazione della notizia di reato, incidendo sui rapporti tra quest'ultima e la magistratura requirente. Bisogna inoltre accennare alle recenti tendenze evolutive del processo penale che sono volte a configurare una polizia giudiziaria che vede rafforzato il suo ruolo tramite una sua progressiva separazione dalla magistratura requirente.
Per concludere si deve sottolineare l'intima connessione tra la polizia giudiziaria e l'obbligatorietà dell'azione penale. Infatti questo principio potrebbe essere facilmente eluso da un'inadeguata organizzazione della p.g. in quanto essa è la principale fonte di cognizione delle notitiae criminis e quindi chi controlla la polizia giudiziaria può condizionare, a sua discrezione, l'azione penale sotto i profili dell'iniziativa, dello svolgimento e dell'effettività. Questa tendenza risulta ben evidente nei provvedimenti che nel 2009 il Ministro della Giustizia Angelino Alfano cercò di promuovere. Le intenzioni del Governo erano quelle di trasformare il Pubblico Ministero in un avvocato dell'accusa e per raggiungere l'obiettivo uno dei campi di intervento fu il rapporto tra magistratura requirente e polizia giudiziaria. In particolare il tentativo si concretizzò con una serie di proposte di modifica del cpp; nello specifico degli articoli 55, 56, 326, 330 e 348 volti ad escludere il Pubblico Ministero dalla ricerca della notitia criminis e distaccare da esso i servizi di polizia giudiziaria.51 Esaminando le singole modifiche possiamo constatare
che la modifica all'articolo 330 limitava il ruolo del Pubblico Ministero a quello di recettore delle notizie di reato, impedendogli di effettuare indagini di propria iniziativa, e la nuova formulazione dell'articolo 55 avrebbe eliminato la possibilità per i PM di sollecitare l'iniziativa della polizia giudiziaria; in questo modo, secondo quanto sostenuto dal CSM, si sarebbe aperto un
vulnus nell'obbligatorietà dell'azione penale in quanto essa sarebbe stata
subordinata alla preliminare attività dalla polizia giudiziaria che non ha i
51 V. Pacileo, Pubblico Ministero. Ruolo e funzioni nel processo penale e civile, UTET Giuridica, 2011, pp. XV-XXII.