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CAPITOLO I : EVOLUZIONE STORICA

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CAPITOLO I : EVOLUZIONE STORICA

1. Il ricorso straordinario come "giustizia ritenuta"

Il ricorso straordinario al Re trova le sue origini nel sistema di amministrazione della giustizia proprio dello Stato monarchico, nascendo come prerogativa esclusiva del sovrano: tale strumento rappresentava una forma di tutela estrema, fornita al cittadino con la finalità di ottenere la grazia. Il Re, in quell'epoca, aveva la piena disponibilità dell'attività degli organi amministrativi e si era riservato il potere di decidere in suprema istanza su tutti gli atti emanati sia dal potere giudiziario che da quello amministrativo di cui si lamentava l'illegittimità: spettava quindi a lui stesso la decisione in unico grado delle controversie sorte tra i cittadini e l'Amministrazione.

La prima fonte normativa che disciplinava questa prerogativa regia si rinviene nel Regno di Sardegna con le Costituzioni piemontesi del 1723 e del 1729 che recitavano: "Le suppliche, che riguarderanno meramente materie graziose, o che saranno miste di Giustizia e di Grazia, dovranno riferirsi a Noi, per aversi le Nostre determinazioni"1.

Dalla lettura di tale disposizione sembrerebbe emergere che il Re era l’unico soggetto destinatario delle suppliche con cui i cittadini

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chiedevano di ricevere la grazia e che il potere decisorio spettava solo ed esclusivamente al sovrano.

In realtà fino al 1749,nel Regno di Sardegna, il Re era affiancato da un Consiglio dei memoriali, cui era attribuito anche il compito di

esaminare gli esposti, le suppliche e le rimostranze che potevano essere presentati al sovrano contro i provvedimenti sia giudiziari che amministrativi, allo scopo di ottenere riparazione ai torti subiti. Tale disciplina era stata introdotta dalle Costituzioni generali di Vittorio Amedeo II, che rappresentavano un nuovo codice revisionato delle Costituzioni generali pubblicate dallo stesso sovrano nel 1723. L'istituzione del Consiglio dei memoriali viene già considerato da alcuni autori2 come l'avvento di una maggior garanzia per la

fondatezza del parere consultivo "in quanto promanava da un organo apposito che assicurava unità di indirizzo nelle proposte di soluzione".

Tuttavia è necessario sottolineare che nessun organo poteva influire, direttamente o indirettamente, sulla decisione finale in quanto questa spettava solo ed esclusivamente al Re. Questi rappresentava il "titolare e il supremo moderatore delle funzioni pubbliche e agiva anche come correttore dei provvedimenti degli organi dipendenti"3: il monarca

aveva la potestà di rivedere e modificare le decisioni e quindi non era

2 SIRO NAI, Il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, Giuffrè editore, Milano, 1957, pagina 55.

3 SIRO NAI, Il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, Giuffrè editore, Milano, 1957, pagina 54.

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sottoposto ad un dovere di accoglimento dei pareri che, in sede del ricorso straordinario, venivano rilasciati dal Consiglio dei memoriali.

Tale situazione rimase costante fino a che Carlo Emanuele III, con le Regie Patenti del 30 aprile 1749, sostituì al parere del Consiglio dei memoriali, quello del Consiglio di Stato. Tale organo venne importato dalla Francia, che lo istituì durante l’ancien règime, dove

rappresentava un collegio costituito dai più stretti confidenti del sovrano, detti consiglieri, ai quali questi si rivolgeva in modo confidenziale sulle questioni più importanti dello Stato.

Il ruolo del Consiglio, all’interno del ricorso straordinario al Re del nostro ordinamento, emergeva dall'art. 3 (libro II, cap. II delle “Leggi e Costituzioni” raccolte, coordinate e sanzionate il 7 aprile del 1770), il quale stabiliva che il cittadino aveva il diritto di pretendere la decisione della sua istanza avanzata col ricorso al Re, mentre il sovrano poteva decidere soltanto dopo aver udito il Consiglio di Stato.

Con l'istituzione del Consiglio di Stato, la volontà sovrana veniva, seppur minimamente, contenuta dalle previsioni di legge, almeno per quanto concerneva l'obbligo di decidere e di sentire previamente il parere del citato organo. Il parere del nuovo organo, sebbene rappresentasse un passaggio obbligatorio per poter arrivare

legittimamente alla decisione del Re, non era tuttavia vincolante: il sovrano poteva liberamente disattenderlo e dare alla decisione finale

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un contenuto difforme rispetto a quanto gli era stato precedentemente consigliato.

La Rivoluzione francese apportò anche in Italia il principio secondo cui, in molti casi, sarebbe stato maggiormente decoroso per l'autorità amministrativa riparare direttamente il torto subìto da un cittadino senza aspettare, bensì prevenendo le decisioni dei Tribunali4. Il ricorso

straordinario cominciò ad acquisire lo scopo di assicurare la giustizia nell'amministrazione, pur rimanendo in vita come ultimo rimedio esperibile dal cittadino leso: questo carattere del ricorso straordinario "spiega perchè, per lungo tempo, l'istituto non fu soggetto a termini"5.

Nessuna innovazione venne apportata con la restaurazione in quanto, caduto l'impero napoleonico, Vittorio Emanuele I, una volta reitegrato, si limitò a richiamare in vigore l'antico regime in toto con l'editto del 21 maggio 1814. Dopo la restaurazione cominciò l'opera unificatrice della legislazione del Regno volto alla generale applicazione di norme comuni: il Regno era costituito dall'unione di più Regioni, ognuna delle quali aveva proprie magistrature e leggi particolari pur sottostando alla sovranità dell'assolutismo Sabaudo. In tale ottica unificatrice il sovrano cominciò a decidere i ricorsi straordinari considerando non più le diverse legislazioni locali, ma soltanto la

4 MANTELLINI, I conflitti d’attribuzioni fra le autorità giudiziarie e amministrative in Italia, Firenze 1871, vol. II, pag. 100.

5 SIRO NAI, Il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, Giuffrè editore, Milano, 1957, pagina 59.

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legge unitaria. La competenza consultiva del Consiglio di Stato rimase sempre immutata e ciò viene confermato dagli artt. 20, 23 e 29

dell'editto di re Carlo Alberto del 18 agosto 1831, con il quale fu ricostituito il Consiglio di Stato in tre sezioni consultive cui furono affidati gli affari amministrativi, le quali deliberavano in assemblea generale sugli affari più importanti (art. 13). Al Consiglio era aggregata una Commissione di referendari, presieduta dal Gran cancelliere o dal Guardasigilli, incaricato di esaminare i ricorsi, quindi anche il gravame straordinario, su materie giuridiche su cui il

Consiglio stesso doveva deliberare (art. 29). Il risultato della

votazione non assumeva comunque la forma di una decisione, bensì quella di una deliberazione consultiva.

Nella legislazione piemontese fino al 1859 non si faceva alcuna particolare distinzione tra il ricorso al Re in via gerarchica e il ricorso al re in via straordinaria. La distinzione, così come oggi è

generalmente concepita, “tra il ricorso gerarchico che involge un apprezzamento ed una cognizione di merito, ed il ricorso che si fonda sulla legittimità del provvedimento e che si dice straordinario”6 venne

elaborata dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato 7.

6 TIEPOLO, La giustizia amministrativa e il decentramento, in Giustizia Amministrativa, 1892, IV, pag. 91

7 Il parere del 7 aprile 1861 (in manuale degli amm., 1862, 37) che formò la base della successiva giurisprudenza, e che contiene il principio della distinzione, affermava “che non può dubitare essersi in questa disposizione (art. 12 n. 4) specialmente contemplati i reclami al Re per una decisione contro i

provvedimenti dei Ministri, quando siano del carattere e nei casi quivi accennati, poiché sui reclami contro quelli dell'autorità inferiore governativa spetta ai

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Un aspetto rilevante che caratterizzava il ricorso già da questa sua prima fase era la sua gratuità: tale qualità comportava il fatto che il cittadino, rivolgendosi al sovrano, non doveva sostenere alcun tipo di spesa per ottenere la risposta definitiva che decideva sulla legittimità dell'atto amministrativo impugnato. Questa caratteristica, che si giustificava per il fatto che non era necessario il patrocinio di

difensore tecnico, è rimasta una costante fino all'entrata in vigore della legge 111/2011 (finanziaria 2012, IV governo Berlusconi), che all’art. 37, comma 6, ha viceversa introdotto un contributo di euro 600, con lo scopo evidente di scoraggiare il ricorso a questo rimedio

giurisdizionale da parte dei cittadini lesi nei propri interessi legittimi. L'art. 1, c. 25 lett. A) n. 3 della Legge 24.12.2012 n. 228 ha

ulteriormente aumentato la misura del contributo dovuto ad € 650,00. (circolare n. 9/2013 Min. Interno). La previsione di un contributo mirava e mira ancora a disincentivare l’esperimento del ricorso straordinario per ottenere la tutela contro un atto o un provvedimento della pubblica amministrazione, lesivo di una situazione giuridica soggettiva, incoraggiando viceversa il cittadino a ottenere lo stesso risultato rivolgendosi ai giudici amministrativi attraverso l’ordinario ricorso giurisdizionale.

La libertà di forme era un altro aspetto che contraddistingueva il ricorso al Re e che lo ha reso sempre più vantaggioso e preferibile

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rispetto all’esperimento dell’ordinario ricorso giurisdizionale al giudice amministrativo. In primo luogo, come abbiamo ricordato in tema di gratuità del ricorso extra ordinem, non era necessario il patrocinio di un difensore tecnico e dunque veniva data la possibilità alle parti di stare in giudizio personalmente. Una ulteriore prova della libertà di forme, specifica del ricorso straordinario, era la mancata previsione di termini entro cui il cittadino poteva esperire il rimedio in esame: chi si sentiva leso da un atto o da un provvedimento della pubblica amministrazione poteva rivolgersi al Re in qualsiasi momento, senza essere sottoposto ad alcun termine perentorio o decadenziale che avrebbe fatto perdere al cittadino la possibilità di ottenere la propria tutela.

L'assoluta mancanza di contraddittorio era effettivamente una grave lacuna che, tuttavia, era giustificata già dalle Costituzioni piemontesi del 1723 e 1729 che inquadravano il ricorso straordinario come una richiesta di grazia che il cittadino rivolgeva al proprio sovrano: una volta presentata la richiesta la cognizione e la decisione spettavano solo ed esclusivamente al Re. La situazione restò di fatto immutata anche con l’introduzione del Consiglio del Re e con la previsione dell’obbligatorietà del parere che il nuovo organo doveva fornire prima della decisione finale. Pur introducendo tali novità, le Regie Patenti del 1749 non apportarono alcuna modifica in tema di

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contraddittorio in quanto, se da una parte prevedevano che anche il Consiglio del Re prendesse cognizione del ricorso, per poi rilasciare il proprio parere in merito, non avevano dotato di vincolatività l’attività consultiva del nuovo organo. Il contraddittorio quindi rimaneva inattuato dato che il Re decideva autonomamente e senza possibilità di replica né per il cittadino che aveva proposto il ricorso, né per il Consiglio del Re che aveva fornito un parere che il sovrano poteva legittimamente disattendere.

Con la locuzione "giustizia ritenuta" si intende dunque far riferimento alla natura originaria propria del ricorso straordinario al Re: questi deteneva un vero e proprio monopolio decisorio sulle materie di grazia e, nonostante l'introdotta obbligatorietà del parere del Consiglio di Stato, del diritto del cittadino a ricevere quantomeno la risposta del monarca una volta presentato il ricorso, continuava ad avere una discrezionalità piena in relazione al contenuto della decisione finale.

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2. Da giustizia ritenuta a giustizia delegata: dalla

legge 30 ottobre 1859, n. 3707 all’unificazione

italiana

La l. 3707/1859 sul riordino del Consiglio di Stato, che venne istituito da Carlo Alberto con l’Editto del 1831, fu la prima norma a prevedere chiaramente, all'art. 15, il ricorso straordinario al Re8. Tale articolo

prevedeva che tale rimedio era ammesso contro i vizi di legittimità degli atti governativi di carattere amministrativo e definitivi, con l'obbligo di audizione della competente sezione del Consiglio di Stato e la facoltà del Governo di un secondo avviso dell'intero Consiglio, conformandosi a quanto previsto precedentemente per il Consiglio del Re dalle Regie Patenti del 1749. Questa legge, come gli altri interventi normativi preunitari, si fondava su un’interpretazione particolarmente rigorosa del principio della separazione dei poteri che portava a non ammettere che l’amministrazione fosse portata davanti agli organi giurisdizionali9. La tutela dei cittadini veniva pertanto garantita con il

sistema del contenzioso amministrativo che fu introdotto in Italia a seguito delle conquiste napoleoniche, seguendo il modello francese. Tale sistema prevedeva la devoluzione delle controversie con

l’amministrazione ai Tribunali del contenzioso amministrativo, organi

8 SIRO NAI, Il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, Giuffrè editore, Milano, 1957, pagina 60.

9 FRANCO SCOCA, Giustizia amministrativa, Giappichelli Editore, Torino, 2013, pagina 4.

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collegiali di natura amministrativa inseriti, pur avendo qualche garanzia di indipendenza, nell’organizzazione del Potere esecutivo. Dopo la riforma, apportata dalla l.3707/1859, i Tribunali menzionati erano: il Consiglio di Governo in primo grado, con sede presso ogni Governatorato, e il Consiglio di Stato o la Corte dei conti nelle materie di contabilità pubblica, in secondo grado. Proprio questa novità apportata dalla legge in esame, rappresentata dalla devoluzione delle controversie con l’amministrazione ai Tribunali del contenzioso amministrativo, segnò il vero e proprio passaggio del ricorso

straordinario “nell’area della giustizia, non più ritenuta ma delegata”10

Dopo l’unificazione italiana, raggiunta nel 1861 grazie all’espansione del Regno di Sardegna, rimasero transitoriamente in vigore i sistemi di tutela degli Stati preunitari comportando il dibattito parlamentare sul mantenimento o sull’abolizione del sistema di derivazione francese, che era stato ripreso da molti Stati preunitari dopo la Restaurazione del 1815 ma non da tutti. L’alternativa al sistema di tutela del

contenzioso amministrativo era rappresentato da un modello che si era sviluppato nell’Europa continentale e che portò come risultato il diffondersi della tesi del c.d. costituzionalismo liberale: tra gli elementi principali di tale orientamento spiccava l’abolizione del contenzioso amministrativo e il deferimento delle controversie

10 C. VOLPE, Il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, in www.giustizia-amministrativa.it.

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amministrative al giudice ordinario. Il dibattito venne bruscamente interrotto dal clima di tensione che preannunciava la terza guerra di indipendenza contro l’impero austro-ungarico: il Parlamento concesse pieni poteri all’Esecutivo che, utilizzando fedelmente i testi di

discussione dianzi al Parlamento, approvò la legge 20 marzo 1865, n.2248.11

11 FRANCO SCOCA, Giustizia amministrativa, Giappichelli Editore, Torino, 2013, pagina 4.

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3. Abolizione del contenzioso amministrativo: l.

2248/1865

L’Esecutivo, approvando la legge 2248/1865, apportò un

cambiamento radicale al sistema previgente: l’art. 2 dell’All. E si occupava del contenzioso amministrativo e stabiliva che tutte le cause per contravvenzioni e tutte le cause nelle quali si facesse questione di un diritto civile o politico venissero deferite al giudice ordinario. Ciò comportava che qualsiasi diritto soggettivo, vantato dal cittadino nei confronti dell’amministrazione, acquisisse la tutela giurisdizionale e non dovesse più limitarsi ad ottenere solo quella prevista in sede di contenzioso amministrativo: la cognizione del giudice ordinario era estesa a qualsiasi controversia sui diritti soggettivi. Una delle conseguenze pratiche apportate dal nuovo dettato normativo fu il superamento della stringente interpretazione del principio della separazione dei poteri12: adesso l’amministrazione poteva essere

convenuta dinanzi al giudice, anche se le azioni esperibili nei suoi confronti e, di conseguenza, i poteri di decisione del giudice rimanevano fortemente limitati. L’art. 4 della legge impediva al giudice di annullare, revocare o modificare i regolamenti e i

provvedimenti amministrativi ma gli permetteva, se li avesse ritenuti illegittimi, di disapplicarli e quindi di non tenerne conto

12 FRANCO SCOCA, Giustizia amministrativa, Giappichelli Editore, Torino, 2013, pagina 5.

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nell’assunzione della decisione. L’amministrazione, a sua volta, aveva l’obbligo di conformarsi alla decisione del giudice sebbene l’eventuale violazione di tale imposizione non era in alcun modo sanzionato.

L’art. 2, facendo riferimento a tutti i diritti soggettivi, lasciava numerose controversie con l’amministrazione fuori dall’ambito della giurisdizione. L’All.D della legge, che si occupava del Consiglio di Stato, prevedeva che i casi non rientranti nell’ambito applicativo dell’art.2 potessero trovare tutela grazie all’esperimento del ricorso straordinario al Re, che divenne quindi un mezzo di tutela sempre più utilizzato per le materie non comprese nel suddetto articolo.

Gli interessi legittimi potevano dunque trovare tutela attraverso due modalità diverse: da una parte si poteva esperire il ricorso gerarchico in via amministrativa, dall’altra si poteva presentare il ricorso

straordinario al Re. Tali rimedi erano dominati dal principio di

alternatività il quale sanciva che una volta che il cittadino attivava una delle due soluzioni perdeva la possibilità di esperire l’altra.

Il ricorso straordinario al Re veniva disciplinato all’ art. 9 della legge e dall’art. 20 del Regio decreto 1 giugno 1865, n.2323 che

confermavano la molto discussa legge del 1859, disponendo che il Consiglio di Stato doveva essere sentito in adunanza generale, sui ricorsi straordinari, con obbligo di udire il Consiglio dei Ministri quando non volesse uniformarsi al citato parere, facendone menzione

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nel decreto reale. Con questa modifica "si volle introdurresenz'altro la più alta garanzia del parere della adunanza generale, stabilendo, pel caso che l'avviso tecnico-giuridico del più qualificato Consesso venisse dosatteso, di far assumere la responsabilità a tutti

indistintamente i ministrie non solo al Ministro proponente"13. Questa

conferma ricevuta con la suddetta legge metteva in evidenza che fra tutti gli istituti contenuti nella citata legge del 1859, molti dei quali furono animatamente criticati dai parlamentari nonchè dalla dottrina del tempo, il ricorso straordinario fu ritenuto necessario e rispondente a un'esigenza sociale tanto che la sua disiplina fu migliorata.

L’aspetto che più di ogni altro creò tuttavia molti dibattiti

parlamentari, subito dopo la riforma, fu il suo carattere parziale14: la

tutela giurisdizionale era garantita solo ai diritti soggettivi e venivano pertanto esclusi dall’ambito della giurisdizione numerosi e rilevanti controversie con l’amministrazione. Sorse fin da subito un vero e proprio bisogno di estendere la tutela giurisdizionale e, nonostante l'istituto del ricorso straordinario non venne più sostanzialmente ritoccato nella legislazione susseguitasi fra il 1865 e il 1907, tale esigenza condusse alla successiva e fondamentale riforma del 1889.

13 SIRO NAI, Il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, Giuffrè editore, Milano, 1957, pagina 62.

14 FRANCO SCOCA, Giustizia amministrativa, Giappichelli Editore, Torino, 2013, pagina 6.

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4. Istituzione della IV Sezione del Consiglio di Stato:

dalla legge Crispi del 1889 alla legge n. 62/1907.

Il Governo presieduto da Francesco Crispi varò la legge 31 marzo 1889, n. 5992, nota come Legge Crispi, che istituì la quarta Sezione del Consiglio di Stato, che andò ad affiancare le altre tre già esistenti. Questa Sezione, denominata “per la giustizia amministrativa”, era chiamata a decidere i ricorsi per incompetenza, per eccesso di potere o per violazione della legge contro atti e provvedimenti di una autorità amministrativa o di un corpo amministrativo deliberante aventi ad oggetto un interesse individuale o di enti morali giuridici, quando gli stessi non rientrassero nella competenza dell’autorità giudiziaria, né fossero compresi nelle materie spettanti alla giurisdizione ed alle attribuzioni contenziose di corpi o collegi speciali (art. 3). L’ambito di cognizione del nuovo organo giudicante si ricavava in negativo: la quarta sezione si occupava delle controversie non rientranti nella competenza del giudice ordinario.

La legge del 1889 prevedeva delle novità rispetto alla legge

2248/1865: all’art 3 veniva stabilito che il giudizio davanti alla Quarta Sezione del Consiglio di Stato si instaurava mediante un ricorso di impugnazione di atti o provvedimenti per farne valere i vizi di legittimità quali l’incompetenza, eccesso di potere e violazione di

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legge, per tutelare interessi individuali diversi dai diritti soggettivi. La legge Crispi peraltro fissava i motivi che potevano essere oggetto del ricorso, cioè la causa petendi del giudizio e prevedeva che nel caso in cui fossero rinvenute cause invalidanti, esse provocavano

l’annullabilità dell’atto: il collegio giudicante quindi, dopo aver rilevato una causa invalidante dell’atto o del provvedimento dell’Amministrazione poteva annullarlo, su richiesta del titolare dell’interesse diverso dai diritti soggettivi che aveva chiesto tutela.

Oltre all’annullabilità la nuova legge riconosceva un potere ulteriore alla Quarta Sezione: qualora il giudice avesse ritenuto illegittimo l’atto o il provvedimento poteva annullarlo. Venne introdotto così un fondamentale potere decisorio che fino ad allora non era stato previsto neanche dalla precedente legge del 1865.

In alcuni casi, oltre al sindacato di legittimità, era previsto anche il sindacato di merito che permetteva di verificare l’adempimento dell’obbligo dell’Amministrazione di conformarsi al giudicato prevedendo finalmente una sanzione per le sempre più frequenti inadempienze della P.A. La Legge Crispi segnò il passaggio

fondamentale da un sistema monistico, cioè in cui la risoluzione delle controversie era affidato solo ed esclusivamente al giudice ordinario, ad un sistema dualistico dove la Quarta Sezione si occupava delle situazioni giuridiche soggettive diverse dai diritti soggettivi.

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I cambiamenti che la legge n. 5992/1889 aveva apportato, generarono nella dottrina molti dubbi sulla necessità della sopravvivenza del ricorso straordinario al Re: mentre prima della riforma aveva un ruolo fondamentale dato che rappresentava, oltre al ricorso gerarchico in via amministrativa, l’unica modalità di tutela delle situazioni giuridiche non rientranti tra i diritti soggettivi di competenza del giudice ordinario, adesso il sistema era diventato dualistico. Il ricorso straordinario al Re era peraltro un rimedio alternativo dato che se il cittadino sceglieva di rivolgersi alla Quarta sezione per chiedere tutela del suo interesse legittimo leso, perdeva la possibilità di presentare ricorso straordinario al Re e viceversa. La mancata abolizione del ricorso straordinario, nonostante l'introduzione di nuovi mezzi contenziosi, se inizialmente dovette sembrare prudente, non

conoscendosi il modo di funzionamento della guarentigia giuridica, cominciò successivamente ad essere considerato dalla dottrina come una anomalia del sistema15. Questo cambiamento di opinione è

testimoniato dalle proposte del Governo presieduto dall'On. Di Rudinì che, il 6 maggio 1897, presentò al Senato un disegno di legge

intitolato "modificazione alla legge organica sul Consiglio di Stato" che, fra le altre cose, proponeva di abolire il ricorso straordinario16. I

motivi che portarono il Governo a proporre l'abolizione del ricorso

15 MANFREDI BOSCO, Natura e fondamento del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, Giuffrè Editore, Milano 1959, pag. 14. 16 Senato del Regno, legislazione XX, I Sess., 1897, doc. 20.

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straordinario al Re emergono sia dalla relazione dell'On. Di Rudinì, sia da quella dell'Ufficio Centrale del Senato17. Nella sua relazione il

Ministro diceva: "L'innovazione più importante che con l'articolo in discorso si apporta alla vigente legge consiste nell'omettere la

disposizione corrispondente al n. 4 dell'attuale art. 12 (della legge del 1889), il che implica l'abolizione del ricorso straordinario al Re. Mi sono indotto a proporre questa riforma nell'interesse di un più armonico e razionale ordinamento della nostra giurisdizione amministrativa"18.

E' evidente che il motivo per cui Di Rudinì aveva proposto

l'abolizione del ricorso straordinario risiedeva nel fatto che, ormai, esso rappresentava una duplicazione della tutela che viceversa la legge Crispi aveva garantito grazie all'istituzione della IV sezione del Consiglio di Stato. A difesa del ricorso straordinario si usava dire19 che

era più semplice nelle forme e più economico rispetto al rimedio introdotto dalla legge Crispi. Tuttavia questi argomenti, a detta di Di Rudinì20, erano facilmente confutabili. Quanto alla semplicità

l'Onorevole stesso osservava: "Che sovente essa significa mancanza di garanzia"21 e che, sebbene la notifica ai controinteressati sia stata

introdotta dalla giurisprudenza, mancava nel ricorso straordinario quel

17 Relatore Saredo 18 Atti parlamentari

19 MANFREDI BOSCO, Natura e fondamento del ricorso straordinario al presidente della Repubblica, Giuffrè Editore, Milano 1959, pag. 15. 20 Relazione al disegno di legge del 4 maggio 1987, Atti parlamentari. 21 Relazione al disegno di legge del 4 maggio 1987, Atti parlamentari.

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completo contraddittorio delle parti e quell'insieme di norme poste a tutela dello svolgimento del procedimento contenzioso.

Relativamente al minor costo del ricorso, nella citata relazione

osservava che la maggiore onerosità del ricorso giurisdizionale poteva essere eliminata con le proposte del medesimo disegno di legge, rendendo facoltativo il ministero del difensore tecnico. Anche l'Ufficio Centrale del Senato apparì favorevole allabolizione del ricorso

straordinario al capo dello Stato. Saredo, nella sua relazione, affermava: "Essere innegabile che dal punto di vista del diritto amministrativo l'eliminazione del ricorso straordinario dal sistema delle difese giurisdizionali è ormai divenuta una necessità logica"22.

Le difficoltà politiche del momento non permisero al Governo Di Rudinì di ottenere l'approvazione del disegno di legge che infatti fu esaminato soltanto dal Senato.

Le perplessità dottrinali furono ben espresse da Vittorio Emanuele Orlando che, nel 1901, scriveva: "L'istituto del ricorso straordinario al re ha perduto ogni sua ragion d'essere. Si volle conservarlo: la pratica tende a farlo cadere in desuetudine, ricorrendovi sempre più

raramente. Ma non si può dire soltanto inutile: esso è ingombrante e perciò dannoso... Certo, l'istituto del ricorso straordinario al re è destinato a sparire dal nostro diritto vigente: ma la lentezza propria

22 Senato del Regno, Legislazione XX, I Sess., 1897-98, Doc. n. 20 A, tornata 4 maggio 1897, pag. 5

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dell'attuazione di tali riforme potrà far sì che quell'abolizione non avvenga, probabilmente, in epoca molto prossima”23.

L'opera di Di Rudinì fu ripresa con diversià di vedute dal ministero Giolitti che, dopo diversi tentativi falliti presentò nel 1906 un disegno di legge sul "riordinamento degli istituti per la giustizia

amministrativa" che fu approvato con la legge del 7 marzo 1907 n. 62. Questo disegno di legge aveva una visione opposta rispetto a quello di Di Rudinì, infatti non propose l'abolizione del ricorso straordinario, ma si limitò ad eliminare alcune "complicanze e difficoltà"24 dovute

alla mancata prefissione di un termine ed a stabilire l'obbligo della notifica del ricorso. La legge 7 marzo 1907, n.62, poi trasfusa nel Testo Unico approvato con Regio decreto 17 agosto 1907, n. 638, si occupò del coordinamento della struttura e della disciplina del Consiglio di Stato, il quale venne dotato di una quinta sezione. La V sezione si occupava delle controversie di legittimità e di merito, mentra alla IV venne lasciata la competenza generale di legittimità ed entrambe le sezioni furono dichiarate espressamente giurisdizionali. L'istituto del ricorso straordinario subì delle notevoli modifiche: in primo luogo venne stabilito un termine di 180 giorni (oggi ridotti a 120) entro quale il cittadino poteva presentare il ricorso straordinario

23 ORLANDO, La giustizia amministrativa, in Trattato Orlando, Volume III, Milano 1901, pag. 710.

24 Id. Legislatura XXII, I Sess., 1904-1906, Doc.n. 385, pag. 3 della relazione Giolitti.

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al Re; in secondo luogo venne garantito un minimo di contraddittorio tra le parti prevedendo che, entro il suddetto termine, il ricorrente doveva notificare il ricorso sia all’autorità che aveva emanato l’atto o il provvedimento, sia a chi avesse avuto un interesse diretto. I

controinteressati avevano invece la possibilità di opporsi, come previsto dall’art. 26 comma 3 del testo unico, entro 15 giorni dall’avvenuta notifica per ottenere la trasposizione in sede giurisdizionale del ricorso.

Le novità apportate dalla legge accentuarono il parallelismo del ricorso straordinario con quello giurisdizionale ma furono oggetto di molte critiche e di scarsi consensi nella discussione parlamentere che ne seguì, sia al Senato che alla Camera. Al Senato si faceva notare che già la legge del 1889, che aveva conservato il ricorso straordinario all'art. 12, n.4, risultava "contro il sistema vigente"25. Allo stesso modo

il Senatore Luigi Rossi affermò che l'istituto del ricorso straordinario, a cui si ricorreva come ultima ratio per riparare alle ingiustizie

irreparabili coi rimedi ordinari, dopo l'istituzione della sezione

giurisdizionale del Consiglio di Stato, non aveva più "titolo alla vita" e che "il meglio che si possa fare è di abolirlo"26. Alla Camera dei

Deputati l'onorevole Grippo osservò "che il ricorso straordinario in via amministrativa può avere anche un valore, se non è accompagnato da

25 Senatore Cavasola, Senato del Regno, cit. resoconti, pag. 4999. 26 Ibid. tornata del 1° febbraio 1907, pag. 4939.

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un termine, perchè può servire come valvola di sicurezza

amministrativa per riparare alla mancanza del ricorso ordinario; ma quando al ricorso straordinario ponete il freno del termine, e stabilite che non sia più ammesso dopo 180 giorni, allora avete semplicemente una duplicazione del ricorso ordinario, con spostamento di

giurisdizioni e con un termine più allungato"27. Inoltre, l'onorevole

Riccio pose in rilievo che con le nuove norme procedurali il rimedio straordinario del ricorso al Re si sarebbe trasformato, riducendosi ad un ricorso al Consiglio di Stato, senza tutte le garanzie del

contraddittorio28. Giolitti, a difesa del ricorso straordinario, rispose

alle critiche subite dicendo: " Questa soppressione, a mio avviso, non sarebbe una cosa buona. Il ricorso straordinario al Re costituisce una giustizia gratuita, giacchè essa non costa che il foglio di carta per ricorrere al Governo"29.

La disciplina stabilita nella legge del 1907 venne sostanzialmente confermata dal regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054, con cui si approvava il testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato, nonchè dal Regolamento per l'esecuzione del detto testo unico30.

27 Camera dei Deputati, Legislazione XXII, I Sess. Disc. Tornata del 1 marzo 1907, vol. 233, pag 12492.

28 Camera dei Deputati, Legislazione XXII, I Sess. Disc. Tornata del 1 marzo 1907, vol. 233, pag. 12487 e seguenti.

29 Camera dei Deputati, Legislazione XXII, I Sess. Discussioni, 1° marzo 1907, pagina 12492

30 MANFREDI BOSCO, Natura e fondamento del ricorso straordinario al presidente della Repubblica, Giuffrè Editore, Milano 1959, pagine 17-18.

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Il ricorso straordinario al Re veniva disciplinato agli artt. 16, n. 4, e 34. Il primo sanciva che il voto del Consiglio di Stato era richiesto in tutti i casi di ricorsi al Re; il secondo invece poneva l’accento sul principio di alternatività, cioè sul fatto che la presentazione del ricorso straordinario al Re escludeva definitivamente la possibilità per il ricorrente di instaurare il procedimento giudiziario. Il regolamento di esecuzione del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato del 1924 venne approvato con il regio decreto 21 aprile 1942, n. 444 che dedica al ricorso straordinario gli artt. 54, 60 e 61.

L’art. 54 stabiliva che, nei casi in cui la decisione dovesse essere adottata mediante decreto reale, previo parere obbligatorio del Consiglio di Stato, doveva essere sentito il Consiglio dei Ministri, ogni qual volta il Ministro che aveva fatto richiesta del parere non intendesse uniformarvisi. Da tale articolo emerge ancora una volta l’obbligatorietà del parere del Consiglio di Stato e la sua non

vincolatività, visto che il Ministro competente, una volta richiesto il parere, poteva discostarsene grazie ad una delibera del Consiglio dei Ministri.

L’art. 60 sanciva il termine di 180 giorni per ricorrere in via straordinaria al Re, decorrenti dalla notificazione dell’atto o del provvedimento amministrativo.

(24)

ricorso doveva essere notificato sia all’autorità che ha emanato l’atto o il provvedimento impugnato, sia a chi ha un interesse diretto e in ultimo luogo, assieme alla prova dell’eseguita notificazione, al Ministero competente. L’introduzione di queste previsioni era volta a garantire un minimo di contraddittorio che fino a quel momento era sempre stato trascurato.

Il rimedio in esame era diventato un vero e proprio ricorso amministrativo tanto che sia la fase istruttoria, sia l’iniziativa del procedimento di decisione, sia la decisione stessa erano deferite al ministro competente. La garanzia della decisione presa dal ministro competente non era più rappresentata dalla firma che apponeva il Re, bensì dal parere obbligatorio che veniva fornito da parte del Consiglio di Stato ma che non era vincolante, dato che poteva essere disatteso attraverso una delibera del Consiglio dei Ministri.

L'accennato parallelismo fra i due ricorsi spinse la giurisprudenza a definire, sotto la diretta influenza della legge del 1907, il ricorso straordinario come vero e proprio rimedio giurisdizionale31. Il più

significativo al riguardo è il parere del Consiglio di Stato in Adunanza generale del 1° aprile 1909 numero 24332.

Con la legge 31 marzo 1889 n. 5992, che introduceva la IV sezione

31 MANFREDI BOSCO, Natura e fondamento del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, Giuffrè Editore, Milano 1959, pagina 18. 32 In Riv. Amm. 1909, 475.

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del Consiglio di Stato, che accordava ai cittadini il rimedio

giurisdizionale nei confronti degli atti amministrativi lesivi di interessi legittimi, lasciando in vita il ricorso straordinario al re, fece sorgere il problema dei rapporti tra due ricorsi che avevano gli stessi caratteri33.

Tale problema fu risolto dal testo unico sul Consiglio di Stato, il quale prevedeva, all'art. 34, comma 2, il principio dell'alternatività: una volta che il cittadino presentava, contro l'atto o provvedimento amministrativo illegittimo, il ricorso al Consiglio di Stato, perdeva la possibilità di proporre il ricorso straordinario. L'alternatività dei due ricorsi venne tuttavia attenuata nel breve periodo di tempo in cui la giurisprudenza attribuì al così detto silenzio dell'amministrazione in sede di ricorso straordinario, l'accezione di rifiuto34, con la

conseguenza di restituire all'interessato, trascorsi i sessanta giorni dalla diffida, il diritto di ricorrere al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, con la sola limitazione del divieto di proporre motivi diversi da quelli già dedotti col ricorso straordinario35. Tale

giurisprudenza, che spostava l'alternatività dalla proponibilità alla decisione, presupponeva la natura amministrativa sia del

procedimento che dell'attività di decisione del ricorso straordinario e si risolveva nella riapertura dei termini per ricorrere al Consiglio di

33 GUICCIARDI, La giustizia amministrativa, 1957, pag. 132. 34 C.S. Sez. V, 13 maggio 1948 in Foro Amm. 1948, I, 2, 284.

35 MANFREDI BOSCO, Natura e fondamento del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, Giuffrè Editore, Milano 1959, pagina 20.

(26)

Stato in sede giurisdizionale, quando il potere di ricorrere a questo organo si era già consumato.

La successiva giurisprudenza del Consiglio di Stato ha mutato indirizzo, affermando che il silenzio dell'Amministrazione sulla diffida per ottenere l'inoltro del ricorso straordinario al Consiglio di Stato in sede consultiva non ha valore di rifiuto a decidere36. Con tale

giurisprudenza il principio di alternatività riacquisì il suo classico significato. Secondo un Autore37, il fondamento giuridico

dell'alternatività sembra piuttosto doversi rintracciare nella parità sostanziale dei due ricorsi, pur non potendosi riconoscere una loro totale identificazione.

Il parallelismo fra il ricorso giurisdizionale e quello straordinario è stato affermato dalla giurisprudenza in relazione a vari aspetti che caratterizzano i due ricorsi, confrontando elementi di affinità.

In primo luogo è opportuno soffermarsi sulla ammissibilità:

la legge istitutiva della IV sezione del Consiglio di Stato dispone che il ricorso giurisdizionale non è più ammesso quando contro il

provvedimento definitivo sia stato presentato ricorso al Re. La legge tuttavia nulla dispone per il caso inverso, cioè sull'ammissibilità del

36 C.S. Sez. VI, 15 maggio 1957 n. 303 in Foro Amm. 1957, I, 3, 337;id. Sez. V, 8 marzo 1958 n. 80 in Il Consiglio di Stato 1958, V, 283.

37 BORSI, Appunti di Diritto amministrativo per uso degli studenti della R. Università di Bologna, anno accademico 1939-40, Bologna, G.U.F., 1940, pag. 88.

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ricorso al Re quando sia stato presentato ricorso al Consiglio di Stato. Nel silenzio della legge, dottrina e giurisprudenza ritenevano

generalmente che il ricorso straordinario fosse ammissibile con la sola conseguenza che la sua presentazione rendeva improcedibile il ricorso già presentato al Consiglio di Stato38. In particolare la giurisprudenza

ritenne ammissibile il ricorso in via straordinaria:

• quando le Sezioni giurisdizionali avessero deciso alcune questioni e ne avessero lasciato impregiudicate altre ed il ricorso straordinario fosse stato proposto soltanto per queste ultime39.

• quando il ricorso giurisdizionale fosse stato respinto per vizi di forma e di procedura, senza che si fosse pregiudicata la sostanza della controversia40.

• quando il ricorrente alle Sezioni giurisdizionali vi avesse rinunciato41.

Tuttavia, dopo la legge 31 marzo 1907 n. 62, il Consiglio di Stato cambiò giurisprudenza, ritenendo che quella legge, avendo prefissato un termine perentorio per la sua proponibilità e disciplinato con la

38 TOVAJERA, Alcune osservazioni sul ricorso straordinario. Nota in La legge, 1912, III; in senso contrario Cammeo, Commentario, pag. 635.

39 Adunanza generale 30 novembre 1900, Manuale 1901, 392.

40 Adunanza generale 21 novembre 1895, Giur. it. 1896, III, 76; 26 giugno 1902, Manuale 1902, 316; 25 aprile 1906, Manuale 1906, 218; 30 giugno 1906, Manuale 1906, 218.

41 Adunanza generale 16 marzo 1899, Riv. Amm., 1899, 342; 25 aprile 1906, Manuale 1906, 218.

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stessa forma del processo contenzioso l'obbligo della notificazione per le eventuali controdeduzioni, avesse "radicalmente mutata l'intrinseca indole e il carattere del ricorso straordinario"42. In questa nuova veste,

il ricorso straordinario venne riconosciuto come normale rimedio giuridico parallelo a quello giurisdizionale, per cui non era più possibile accogliere eccezioni al principio assoluto

dell'inammissibilità di due procedimenti diversi per la stessa controversia43. Il nuovo indirizzo giurisprudenziale negava la

proponibilità del ricorso in via straordinaria:

• quando il ricorrente in via straordinaria abbia precedentemente presentato ricorso al Consiglio di Statoin sede giurisdizionale, ma abbia poi rinunciato a quest'ultimo ricorso44;

• quando il ricorrente in via straordinaria abbia

precedentemente presentato ricorso in sede giurisdizionale al Consiglio di Stato, ma questo lo abbia dichiarato

inammissibile o irricevibile per viizi di forma o di procedura45;

42 RANELLETTI, Le guarentigie della giustizia nella pubblica amministrazione, Giuffrè Editore, 1934, pagina 270.

43 RAGNISCO, I ricorsi amministrativi, Società Editrice del Foro Italiano, Roma 1937, pagine 338 e seguenti.

44 Adunanza generale 13 gennaio 1910, Manuale, 1910, 77; 10 marzo 1925, 9 febbraio 1927; 22 settembre 1933, 7 dicembre 1933; 14 marzo 1938 n. 194 e 17 marzo 1938 n. 65 in Relaz. C.S., 1936-1940, vol. II, pag. 488, n. 89.

45 Adunanza generale 17 giugno 1909, Manuale 1909, 274; 10 marzo 1910, Manuale 1910, 175; 11 aprile 1912, Manuale 1912, 197; 27 febbraio 1919, Manuale 1919, 141; 14 febbraio 1924, 22 marzo 1927, 31 gennaio 1928, 27 marzo 1930, 21 maggio 1931, 1 dicembre 1932, 15 gennaio 1942 n. 10, in Relaz. C.S., 1941-46, vol. II, pag. 362.

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• quando il ricorrente in via straordinaria abbia precedentemente presentato ricorso in via giurisdizionale al Consiglio di Stato, ma questo lo abbia dichiarato estinto per perenzione46;

• quando si ricorra in via straordinaria contro un atto diverso da quello impugnato in sede giurisdizionale, ma presentato dall'Amministrazione nel corso del giudizio presso il Consiglio di Stato senza che dinanzi a questo il ricorrente abbia

presentato un motivo aggiunto per sostenere l'illegalità dell'atto47;

• quando il ricorso straordinario sia prodotto avverso un provvedimento amministrativo già impugnato in sede

giurisdizionale innanzi G.P.A. Anche se questa (con decisione passata in giudicato e quinndi non più impugnabile davanti al Consiglio di Stato) abbia dichiarata l'irricevibilità del gravame per sopravvenuta decadenza48.

La giurisprudenza ha viceversa ritenuto ammissibile il ricorso in via straordinaria:

• quando la legge dichiara esplicitamente ammissibile il ricorso al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale contro un

46 Adunanza generale 15 luglio 1932. 47 Adunanza generale 20 giugno 1929.

48 Adunanza generale 6 luglio 1950 n. 237 in Relaz. C.S. 1947-50, vol. III pagina 54.

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determinato atto amministrativo, ma taccia in ordine al ricorso in via straordinaria49;

• nelle materie nelle quali esiste la competenza esclusiva del Consiglio di Stato50.

In secondo luogo è opportuno soffermare l'attenzione su un altro elemento di affinità tra il ricorso giurisdizionale e quello straordinario: la sospensione del provvedimento impugnato.

La regola generale da applicare si ricava dall'articolo 39 del testo unico sul Consiglio di Stato che dispone: "I ricorsi in via contenziosa non hanno effetto sospensivo"; tuttavia ammette che l'esecuzione dell'atto o del provvedimento possa essere sospesa in presenza di gravi ragioni, con decreto motivato della sezione, su istanza del ricorrente. Il fondamentale parere emesso al riguardo dal Consiglio di Stato in Adunanza generale il 24 settembre 193651 opera una netta distinzione

tra la sospensione in via amministrativa e la sospensione in via

giurisdizionale. In tale sede il Consiglio di Stato stabiliva che l'organo competente a disporre la sospensione non poteva sicuramente essere il Ministro competente, essendo i suoi poteri in materia di ricorso straordinario circoscritti all'istruzione del ricorso, bensì il Capo dello

49 Adunanza generale, pareri 11 luglio 1907, in Foro it. 1907, III, 57; 17 febbraio 1910, in Rivista di diritto pubblico 1910, II, 508.

50 Adunanza generale 1 giugno 1950, n. 194 in Relaz. C.S. 1947-1950, vol. III pagina 50.

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Stato al quale è diretto il ricorso principale. Il Ministero può sempre sospendere, se ne ha la competenza, l'atto impugnato in via

straordinaria, ma in questo caso è evidente che "il Ministero non agisce in virtù dei poteri istruttori che gli spettano nella procedura del ricorso straordinario, nè decide sulla domanda incidentale di

sospensione, ma esercita un potere proprio ed in quanto, come organo dell'amministrazione attiva, ne abbia la competenza". Da questo parere, che opera un'estensione analogica dell'art. 39 del testo unico sul Consiglio di Stato, emerge che la decisione del Capo dello Stato ha natura sostanzialmente giurisdizionale52.

Altro elemento da esaminare continuando il parallelismo tra ricorso straordinario e ricorso giurisdizionale è il contraddittorio.

Prima della legge del 1907 non era prescritta la notificazione del ricorso in via straordinaria nè all'autorità che aveva emesso il provvedimento impugnato, nè a coloro che avevano interesse ad opporsi al ricorso stesso. Nella prassi tuttavia il Ministero che raccoglieva la documentazione curava sempre la notifica del ricorso alle parti controinteressate, ma anche nel caso in cui non l'avesse fatto, il ricorso non diventava inammissibile53.

La legge 7 marzo 1907 n. 62, per dotare il ricorso straordinario di

52 MANFREDI BOSCO, Natura e fondamento del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, Giuffrè Editore, Milano 1959, pagina 31. 53 RAGNISCO ROSSANO, I ricorsi amministrativi, Società Editrice del Foro

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maggiori garanzie giuridiche, stabilì che " i ricorsi devono essere notificati all'autoritàche abbia emesso il provvedimento ed a chi vi abbia interesse diretto". Sulla stessa linea di pensiero è il Regolamento del 26 giugno 1924 n. 1054, che all'articolo 37 stabilisce che " nel termine suddetto (di 180 giorni) il ricorso deve essere notificato tanto all'autorità dalla quale è emanato l'atto o provvedimento impugnato, quanto a chi vi abbia interesse diretto, nei modi e con le norme prescritte per i ricorsi contenziosi, e deve altresì essere presentato, con la prova della seguita notificazione, al Ministero competente". Agli interessati, che avevano la possibilità di chiedere la trasposizione del ricorso in via giurisdizionale davanti al Consiglio di Stato, veniva assegnato un termine di 60 giorni dalla notificazione del ricorso, per presentare le proprie deduzioni al Ministero che si occupava

dell'istruttoria. Queste previsioni vennero confermate anche dal regolamento approvato con Regio Decreto il 21 aprile 1942, n. 444 e quindi non vennero apportate modifiche a riguardo.

La giurisprudenza ha applicato in modo sempre più rigoroso le norme sul contraddittorio relative al ricorso straordinario: in un primo tempo54 affermò che l'obbligo della notificazione di un ricorso

straordinario doveva intendersi soddisfatto quando risultasse in modo indubbio che l'Amministrazione, contro cui si ricorreva, avesse avuto ufficialmente, e nei termini, comunicazione del ricorso stesso.

(33)

Successivamente invece la giurisprudenza ritenne che la mancata notifica del ricorso all'autorità che aveva emesso il provvedimento impugnato, comportava l'inammissibilità del ricorso straordinario, anche se la medesima autorità avesse avuto conoscenza del ricorso ed avesse presentato in termini le proprie deduzioni55.

Allo stesso modo stabilì che la mancata notifica del ricorso ai controinteressati comportava l'inammissibilità del ricorso56; qualora

però il ricorrente avesse notificato il ricorso ad una parte soltanto dei controinteressati, il Ministero competente disponeva l'integrazione della notifica da parte del ricorrente e se questi non lo facesse entro il termine assegnatogli, il ricorso straordinario doveva essere dichiarato inammissibile. Il principio del contraddittorio, anche se è previsto in modo meno completo rispetto a quello previsto in sede

giurisdizionale, ha comportato un ulteriore avvicinamento tra ricorso straordinario e giurisdizionale.

L'altro punto di affinità è rappresentato dall'istruttoria: affinchè il giudice possa decidere una controversia deve necessariamente determinare ed accertare ai quali essa si riferisce. Nel processo amministrativo, l'acquisizione dei fatti processuali, in linea di

principio è rimessa alle parti ma il giudice ovviamente ha il potere di

55 Adunanza generale 15 giugno 1950, n.206, in Consiglio di Stato, 1950, I, 278; id., 27 settembre 1956, n.314; ibid. 1957, I, 246; id., 8 novembre 1956

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supplire ed integrare l'insufficiente attività probatoria per ottenere determinati mezzi istruttori. Nel ricorso straordinario, l'istruttoria è svolta dal Ministro competente per materia, ma una volta trasmessi il ricorso con gli atti e documenti relativi al Consiglio di Stato, per il parere obblibatorio, quest'organo "dispone a sua volta di poteri istruttori, nell'esercizio dei quali può chiedere in visione tutti gli atti che ritenga necessari per la decisione"57. Il procedimento, dal punto di

vista dell'acquisizione del materiale di giudizo, non si discosta sostanzialmente da quanto previsto per il pprocesso amministrativo: ricorrenti, resistenti e controinteressati possono esibire tutti i

documenti che reputino necessari per la decisione. Il ricorso

straordinario spicca per la maggior libertà di forme che si manifesta anche nell'ambito dell'istruttoria del ricorso dato che il ricorrente può perfino omettere il deposito del documento impugnato. Il Ministro competente ha il compito di raccogliere il materiale necessario per il giudizio: se però questo materiale non è ritenuto sufficiente, il

Consiglio di Stato può richiedere al Ministero le notizie e i documenti che reputi necessari. L'organo che in sostanza definisce l'istruttoria, chiudendone l'iter, è il Consiglio di Stato58.

Altra particolarità del ricorso straordinario va colta nella nel fatto che

57 GUICCIARDI, La giustizia amministrativa, CEDAM, 1957, cit., pagina 141 e parere dell'Adunanza generale 16 febbraio 1939, n. 33.

58 MANFREDI BOSCO, Natura e fondamento del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, Giuffrè Editore, Milano 1959, pagina 38.

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solo l'Amministrazione conosce l'intera documentazione, il ricorrente e il controricorrente infatti non hanno legale conoscenza se non della documentazione da loro stessi fornita. Questo elemento rappresenta un'attenuazione del diritto di difesa e comporta una situazione di disuguaglianza tra le parti che non può essere funzionale alla esigenza di giustizia come ha fatto notare una parte della dottrina dell'epoca59.

C'è da riconoscere tuttavia che, per quanto riguarda il ricorso

straordinario, la disuguaglianza è atteuata dall'intervento di un organo super partes: il Consiglio di Stato interviene sia nella fase di

integrazione dell'istruttoria, sia in quella di formazione del contenuto della decisione mediante il parere obbligatorio.

Altro aspetto da evidenziare è l'immutabilità della decisione presa al termine del ricorso straordinario. Il ricorso straordinario è definito decisivo, nel senso che il suo risultato, sia esso di accoglimento o di rigetto, non può essere ulteriormente mutato e l'invalidità del

provvedimento che con esso si era impugnato rimane definitivamente stabilita60. L'autorità che viene adita per decidere il ricorso

straordinario ha poteri e competenza esclusivamente in ordine a questo, sicchè, emanato il decreto di accoglimento o di rigetto, cessa ogni sua attribuzione rispetto al caso deciso61. Il fatto che il decreto

59 BENVENUTI, L'istruzione nel processo amministrativo, 1953, pagine 121 e seguenti; Piras, Oggetto del ricorso amministrativo e istruzione probatoria, 1957, pag. 63.

60 GUICCIARDI, La giustizia amministrativa, CEDAM, 1957, pagina 158. 61 Consiglio di Stato, Sez. IV, 3 febbraio 1949.

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che decide sul ricorso straordinario non è impugnabile e non è revocabile da parte del Capo dello Stato, rappresenta una grave deviazione dai principi che governano gli atti amministrativi. Questo aspetto, secondo Acquarone62, non era sufficiente a dimostrare la

natura di atto sostanzialmente giurisdizionale al decreto decisorio, e l'Autore faceva riferimento alla distinzione della dottrina

processualistica fra cosa giudicata in senso sostanziale e cosa

giudicata in senso formale63. Nel diritto processuale civile si distingue

infatti l'efficacia della sentenza in quanto decisione obbligatoria della controversia (cosa giudicata in senso sostanziale) dalla immutabilità di essa nei futuri giudizi (cosa giudicata in senso formale).

Nella prima accezione la cosa giudicata dipende esclusivamente dalla norma strumentale che contempla quella sentenza come fatto

risolutivo della controversia e perciò generatore dell'obbligo per le parti di considerare la decisione come regolamento non più

controvertibile dei rapporti formanti oggetto della contestazione e di comportarsi nel modo che la decisione stessa ha stabilito64. Nella

seconda accezione, invece, la cosa giudicata funziona come causa preclusiva di un'ulteriore decisione sulla stessa controversia da parte

62 Inadempimento di decisione su ricorso straordinario ed esperibilità del ricorso previsto dall'art. 27 n. 4 T.U. Sul Consiglio di Stato, in Foro It., 1955, p. IV, pag. 83.

63 CHIOVENDA, Principi di diritto processuale civile, 3° edizione, 1923, pag. 906-916; CARNELUTTI, Lezioni di diritto processuale civile, 1926, vol. IV, n. 384. 64 MANFREDI BOSCO, Natura e fondamento del ricorso straordinario al

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dello stesso o di altro giudice, dove l'immutabilità non è un effetto proprio della sentenza, nè un carattere logicamente necessario della sentenza medesima, ma esprime piuttosto la situazione del secondo giudice rispetto alla decisione.

Da questa distinzione tuttavia non deriva quanto sostenuto da Acquarone, cioè che "soltanto il concetto di cosa giudicata in senso sostanziale potrebbe essere assunto come discriminatore tra le sentenze e gli atti amministrativi"65. Tale concetto appartiene infatti

alla giurisdizione ordinaria, dove gli interessi che si fronteggiano nelle controversie sono due, e quindi non è così facilmente applicare tale distinzione per dare un carattere differente al decreto del Capo dello Stato rispetto alle sentenze emanate dalla giurisdizione ordinaria.

65 MANFREDI BOSCO, Natura e fondamento del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, Giuffrè Editore, Milano 1959, pag. 42.

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5. L’entrata in vigore della Costituzione

La Carta costituzionale, entrata in vigore il 1° gennaio 1948, pur contenendo disposizioni riguardanti la giustizia amministrativa e principi sulla magistratura e sulla tutela giurisdizionale, non conteneva alcun riferimento espresso al ricorso straordinario né agli altri ricorsi amministrativi.

Nella Parte prima, tra i diritti dei cittadini, viene solennemente riconosciuta a tutti la possibilità di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi all’art. 24 Cost., nonché il diritto inviolabile alla difesa in ogni stato e grado del processo: il ricorso straordinario tuttavia rappresenta un rimedio alternativo rispetto alla tutela giurisdizionale alla luce del dettato dell’art. 34, commi 2 e 3, del d. P.R. n. 1054 del 1924 che sancisce il principio di alternatività. Il ricorso straordinario fu oggetto di molti dubbi e perplessità dopo l’entrata in vigore della Costituzione, sia della dottrina che della giurisprudenza: in particolare Bachelet66 sosteneva che appariva

ragionevole avanzare il dubbio che il ricorso straordinario, già in certo modo disarmonico rispetto al nostro sistema di giustizia

amministrativa, potesse essere non compatibile con le norme e

66 18 V. BACHELET, Ricorso straordinario al Capo dello Stato e garanzia giurisdizionale, in Riv. trim. dir. pubb., Giuffrè Editore, Milano 1959, pagine 795-796. Nello stesso senso si veda G. GUGLIELMI, L’obbligo

dell’Amministrazione di conformarsi al giudicato, in Rassegna dell’Avvocatura dello Stato, 1953, p. 7 e ss; CIARDULLI, Il ricorso straordinario al Capo dello Stato e la nuova Costituzione in Rassegna dell’Avvocatura dello Stato, 1953, p. 30 e ss. 19

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soprattutto con il sistema della Costituzione vigente. Altra parte della dottrina faceva invece notare che il mancato riferimento espresso all’interno della Carta costituzionale al ricorso straordinario al

Presidente della Repubblica non doveva comportare la sua esclusione dai rimedi volti a tutelare le situazioni giuridiche soggettive dei cittadini che venivano lese dall’amministrazione.

Tali lacune fecero sorgere la questione della sopravvivenza, o meno, dell'antico istituto del ricorso straordinario al Capo dello Stato. L'Agrò67, che per primo ha posto la questione, adombrava la tesi

dell'incompatibilità del ricorso sulla base di due argomenti: il primo, tratto dal carattere di esclusività delle norme contenute nella

Costituzione in ordine alle competenze del Presidente della Repubblica (art. 87 Cost.); il secondo, fondato sul principio della sottoposizione di tutti gli atti amministrativi alla tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi (art. 113 Cost.).

Il carattere dell'esclusività delle norme costituzionali attributive di poteri al Capo dello Stato avrebbe comportato l'impossibilità di riconoscergli altre competenze al di fuori di quelle espressamente previste dalla Costituzione o da altre leggi costituzionali.

L'altro principio della tutela giurisdizionale contro tutti gli atti

67 AGRO', Osservazioni sull'ammissibilità attuale del ricorso straordinario al Capo dello Stato, in Rassegna mensile dell'Avvocatura dello Stato, 1948, fasc. 10, pag. 1 e seguenti.

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amministrativi lesivi di diritti o interessi legittimi avrebbe comportato l'impugnabilità giurisdizionale del decreto presidenziale di decisione del ricorso straordinario.

La dottrina successiva, in armonia con la prassi, che registrava numerosi casi di decisioni presidenziali in materia68, si dichiarò

favorevole all'ammissibilità del ricorso straordinario al Capo dello Stato69 anche dopo l'entrata in vigore della Costituzione.

In particolare Sandulli, premettendo che l'art. 87 della Costituzione non ha altra funzione se non quella di garantire a livello costituzionale alcune delle competenze presidenziali, sosteneva che "in mancanza di altre norme, le competenze di natura amministrativa già spettanti al Re siano da considerare trasferite al Presidente della Repubblica"70.

Secondo questa interpretazione l'art. 87 non deve essere considerato come un elenco chiuso delle prerogative che la Costituzione riconosce e garantisce al Presidente della Repubblica, infatti tale impostazione

68 Cfr. Relazione del Consiglio di Stato 1947-1950, vol. III, pag. 37 e seguenti Avvocatura Generale dello Stato: Il contenzioso dello Stato negli anni 1942-1950, vol. II, pag

69 PERGOLESI, Diritto Costituzionale, UPEB, 1948, pag. 85; ZANOBINI, Corso di Diritto Amministrativo 2, Milano 1948, pag. 77 sgg.; LESSONA, Ricorso straordinario amministrativo e azione giudiziaria delle controversie di lavoro presso enti pubblici economici, in Riv. Amm. 1949, 530; MARCHI, Il Capo dello Stato in Comm. Sistematico della Costituzione italiana II, 1950, pag. 119; ALESSI, Corso diritto Amministrativo, Milano, 1950, II, 119; RAGGI, Giustizia Amministrativa, L.U.P.A., Genova 1950, 173; VITTA, Diritto Amministrativo, T.T.E.T., Torino 1950, II, 393; SIRO NAI, Il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica nell'ordinamento amministrativo vigente, Giuffrè Editore, 1955, pag. 50 e seguenti; SALEMI, La Giustizia Amministrativa, CEDAM, Padova, 1958, 47.

70 SANDULLI, Sull'ammissibilità del Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica in Scritti giuridici, in onore di Antonio Scialoja, Bologna 1953, pag. 401.

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escluderebbe tutte le altre funzioni del Capo dello Stato, tra cui il ricorso straordinario, non contenute nel suddetto articolo; deve essere bensì considerato come un articolo che dota di garanzia costituzionale alcune prerogative del Presidente della Repubblica ma che non

comporta l'esclusione di quelle in esso non comprese.

Per quanto riguarda invece l'art. 113 Cost., che accorda la tutela giurisdizionale dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi dianzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa contro gli atti della pubblica amminstrazione, rimaneva "uno scoglio da

superare"71.Il Sandulli superava l'obiezione, affermando da una parte,

che il ricorso straordinario al Capo dello Stato è "un mezzo extra iuris ordinem, sprovvisto delle caratteristiche proprie del rimedio assistito da guarantigie giuridiche" e dall'altra che l'art. 113 della Costituzione "non riguarda tutti gli atti amministrativi, ma soltanto quelli che abbiano leso un diritto o un interesse legittimo"72 mentre "il contenuto

della decisione di un ricorso straordinario contro atti lesivi di interessi legittimi, la quale non soddisfi alle richieste del ricorrente, non potrà mai ledere essa stessa un interesse legittimo, in quanto nessun interesse legittimo il ricorrente può vantare in ordine alla sostanza della decisione del ricorso"73. L'art. 113 della Costituzione veniva

71 MANFREDI BOSCO, Natura e fondamento del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, Giuffrè Editore, Milano 1959, pagina 3. 72 SANDULLI, Sull'ammissibilità del Ricorso straordinario al Presidente della

Repubblica in Scritti giuridici, in onore di Antonio Scialoja, Bologna 1953, pag. 402.

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considerato da Sandulli come non applicabile al decreto presidenziale che decide il ricorso perchè la norma non sarebbe destinata "a

proteggere le situazioni alla cui tutela in via giuridica si sia rinunziato, o in relazione alle quali si sia decaduti dal potere di avvalersi dei mezzi di garanzia giuridica"74.

Di contraria opinione erano altri autori tra cui il Nigro, che partendo dal fatto che il decreto presidenziale con cui il ricorso straordinario viene deciso ha natura di atto amministrativo, ammette però che "per il parallelismo al ricorso giurisdizionale, il ricorso straordinario si presenta come una anomalia del sistema, anomalia tanto più grave dopo l'entrata in vigore della nuova Costituzione"75. Secondo il citato

Autore sussiste un vero e proprio dilemma: o si ritiene che la pronuncia sul ricorso straordinario abbia natura giurisdizionale, ammettendo necessariamente che contro di essa si possa ricorrere in Cassazione per violazione di legge ai sensi dell'art. 111 Cost., oppure si ritiene che abbia natura amministrativa, il che implicherebbe però di ammettere la ricorribilità contro di essa agli organi di giurisdizione amministrativa ai sensi dell'art. 113 Cost.. L'Autore conclude affermando che, non potendosi ammettere la natura giurisdizionale della pronuncia che decide il ricorso straordinario, il decreto

Repubblica in Scritti giuridici, in onore di Antonio Scialoja, Bologna 1953, pag. 402.

74 SANDULLI, Sull'ammissibilità del Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica in Scritti giuridici, in onore di Antonio Scialoja, Bologna 1953, pag. 401.

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presidenziale non può essere sottratta al regime costituzionale degli atti amministrativi.

E’ da notare che l’art. 113 Cost., accostando i diritti soggettivi e gli interessi legittimi di cui è titolare un cittadino sul piano della tutela giurisdizionale, fa emergere il carattere sostanziale e non soltanto processuale della situazione giuridica soggettiva nota come interesse legittimo. Il riconoscimento dell’interesse legittimo come situazione giuridica soggettiva che trova tutela nel processo, sancisce

definitivamente il suo carattere di processo di diritto soggettivo e di processo di parti che il procedimento amministrativo aveva già da tempo acquisito, ma solo a livello sostanziale.

(44)

CAPITOLO II: NATURA GIURIDICA DEL

RICORSO STRAORDINARIO

1.Problemi di costituzionalità

La nuova Carta costituzionale presentava molte lacune che, come sopra accennato, suscitarono molte incertezze sia sulla vera e propria sopravvivenza dell’istituto in esame, dato che non era contenuto alcun riferimento espresso in Costituzione, sia sulla compatibilità del ricorso straordinario con i nuovi principi dettati dalla Costituzione.

Il principio di alternatività tra ricorso giurisdizionale e ricorso

straordinario, sancito dal secondo e terzo comma dell’art. 34 del DPR 1054/1924, fu uno dei principi che suscitò più dibattiti: l'origine delle discussioni può essere rinvenuto nella posizione di una parte della dottrina che metteva in dubbio la compatibilità del principio di alternatività con lo stesso art. 113 della Costituzione, che a sua volta sanciva l’irrinunciabilità della tutela76. A tale opinione si

contrapponeva altra parte della dottrina che metteva in evidenza un altro importante aspetto: il cittadino, scegliendo di chiedere tutela della propria situazione giuridica soggettiva attraverso il ricorso

76 M. CONTI, Ancora sull’inammissibilità del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, Rassegna dell’Avvocatura dello Stato, 1962, p. 10

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straordinario al Presidente della Repubblica, non rinunciava alla propria tutela bensì optava per un rimedio alternativo rispetto a quello garantito di fronte al giudice amministrativo77.

Altro aspetto dell'alternatività che faceva vacillare la costituzionalità dell’istituto era rappresentata da una conseguenza applicativa dell'art. 34 del DPR 1054/1924: una volta decisa la controversia attraverso l'esperimento del ricorso straordinario, la decisione non sarebbe potuta essere oggetto di impugnazione e quindi di un nuovo giudizio

destinato ad incidere sul suo contenuto.

Questo dubbio però veniva facilmente risolto per il fatto che la decisione del ricorso straordinario consisteva a tutti gli effetti in un atto amministrativo e, in quanto tale, non poteva sottrarsi

dall’applicazione dell’art. 113, comma 2, della Costituzione che sancisce che, contro gli atti della pubblica amministrazione, la tutela giurisdizionale non può essere limitata o esclusa per certe categorie di atti o relativa solo a certi mezzi di impugnazione.

Concludendo, tale parte della dottrina faceva emergere che, pur ammettendosi che la presentazione del ricorso straordinario al Capo dello Stato implicasse automaticamente la rinuncia all’azione

giurisdizionale, ciò non avrebbe comportato la non impugnabilità del decreto presidenziale attraverso la successiva tutela giurisdizionale.

77V. BACHELET, Ricorso straordinario al Capo deloo Stato e garanzia giurisdizionale, Giuffrè Editore, Milano 1959, cit., n. 8.

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Altra dottrina78 inquadrava il ricorso straordinario al Presidente della

Repubblica come un rimedio extra iuris ordinem, con caratteristiche divergenti da quelle del ricorso giurisdizionale e pertanto non sottoponibile al dettato dello stesso art. 113 della Costituzione. Tale ricostruzione faceva emergere la libertà di scelta che doveva essere riconosciuta al cittadino leso dalla pubblica amministrazione: il principio di alternatività doveva essere interpretato come un mezzo per fornire al privato due modalità di tutela, una giurisdizionale e una straordinaria, tra le quali scegliere liberamente ma senza possibilità di cumularle.

Per quanto concerne la giurisprudenza il Consiglio di Stato, all’indomani dell’entrata in vigore della Costituzione, attribuiva al ricorso straordinario la natura di rimedio amministrativo e come tale veniva sottoposto alla disciplina e alle limitazioni sui ricorsi di cui all’art. 11 del r.d.l., n. 1928, del 5 dicembre 1938 in materia di violazioni delle leggi valutarie79. Secondo l’art. 11 del Regio Decreto

suddetto i provvedimenti emanati per accertare le violazioni in materia

78 A. M. SANDULLI, Sull’ammissibilità del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, cit., p. 402. In senso contrario si veda CIARDULLI, Il ricorso straordinario al Capo dello Stato e la nuova Costituzione., op. cit., p. 40 e ss. L’Autore evidenzia come la ricostruzione del Sandulli non tenga conto dell’interesse dei controinteressati alla conservazione dell’atto impugnato che non può certo definirsi nei loro confronti degradato ad interesse semplice.

79 Consiglio di Stato, Ad. Gen., 26 agosto 1950, n. 290 in Relazione del Consiglio di Stato, 1947-50, III, p. 45.

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valutaria e di scambi con l’estero, nonché per l’applicazione delle relative sanzioni non era ammesso alcun ricorso, né in sede

amministrativa, né in sede giurisdizionale. Questa interpretazione del Consiglio di Stato comportava il fatto che né il ricorso straordinario né quello giurisdizionale potevano essere esperiti per tutelare una propria situazione giuridica soggettiva quando questa fosse stata lesa dai provvedimenti elencati: questa visione creava un forte attrito con l’art. 113 della Costituzione dato che sanciva l’impossibilità di escludere la tutela giurisdizionale del cittadino leso rispetto ad atti della pubblica amministrazione.

L’anno successivo lo stesso Consiglio di Stato, esaminando

nuovamente e più approfonditamente la questione, affermava che “le disposizioni legislative, che sottraggono a qualsiasi gravame

determinati atti amministrativi, sono abrogate dall’art. 113 della Costituzione; pertanto è ammissibile contro tali atti non soltanto il ricorso giurisdizionale, ma anche il ricorso straordinario al Capo dello Stato”80.

Questo parere del Consiglio di Stato affermava dunque

l’equiparazione tra i due ricorsi, “in considerazione del disposto di cui all’art. 113 della Costituzione, per il quale nessun atto della Pubblica amministrazione può essere escluso dalla tutela giurisdizionale”81. Un

80 Ad. Gen., 19 febbraio 1951, n. 94 in Cons. Stato, 1956, I, p. 822

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