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Il 5 C

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Academic year: 2021

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Il Castello di Benabbio |

Conclusioni

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CAPITOLO 5

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C

ONCLUSIONI

lavoro illustrato in questo elaborato non ha la pretesa di innovare o rivoluzionare il sistema di schedatura, rilievo ed elaborazione delle informazioni ricavate da una cantiere di scavo stratigrafico. Vuole porsi piuttosto come punto di riflessione analiti‐ ca delle potenzialità offerte all’archeologia dai sistemi di archiviazione dei dati a base in‐ formatica, sulla scia di tutte le realtà, accademiche e non, proprie delle discipline scientifi‐ che. Vent’anni anni fa il professor Riccardo Francovich introduceva il primo volume di Ar‐ cheologia e Calcolatori dicendo (provocatoriamente): «l’incontro della ricerca archeologica italiana con la computer science si rivela […] un con‐ nubio drammatico; provare improvvisamente ad asservire alle esigenze della nostra discipli‐ na gli algoritmi, le applicazioni e le strategie sviluppate nell’informatica pura rappresenta di fatto un’impresa faticosissima; […] ha colto quasi di sorpresa un ambiente scientifico ancora intento a perfezionare la sua metodologia di ricerca, a focalizzare meglio i suoi obiettivi ed appena uscito dalla grande stagione evolutiva degli anni settanta‐primi ottanta.»165 Oggi la situazione è drasticamente cambiata, e Francovich ‐ da buon precursore ‐ lo capì ben prima degli altri, correggendo il tiro della sua analisi appena nove anni dopo166:

l’informatica non è più sentita come un supplemento, più o meno utile, alla ricerca sul campo, ma come mezzo ineluttabile e indispensabile per una corretta gestione del dato in tute le sue forme. Certo, contrariamente a quanto accaduto negli Stati Uniti ed in Inghilter‐ ra, dove l’archeologia ha disposto di esperienze di avanguardia nel campo dei sistemi di 165 (FRANCOVICH, R., 1990, p.3) 166 (FRANCOVICH, R., 1999, p.15)

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Un altro esempio: Badia Pozzeveri

123 informazione geografica167, le applicazioni GIS non hanno ancora goduto di una generaliz‐ zata diffusione nell’archeologia italiana. Basta entrare in Internet e collegarsi ad una delle principali arterie archeologiche (Arge, Romarch, ArcNet ecc.), per constatare immediata‐ mente lo sviluppo e la crescita del fenomeno GIS all’estero: esistono gruppi di discussione, pagine sull’articolazione di progetti specifici, banche dati bibliografiche consultabili. La ra‐ gione del ritardo italiano è forse da individuare nella relativa novità dello studio dei pae‐ saggi storici ed in generale della dimensione territoriale e geografica della ricerca archeo‐ logica rispetto ad altre tradizioni. Più probabilmente lo sviluppo di sistemi GIS, richieden‐ do una forte assimilazione delle basi informatiche, trova nel nostro paese un grande osta‐ colo nella mancanza di una massiccia diffusione nelle strutture di ricerca del calcolatore come strumento cumulativo di lavoro interdisciplinare. Tuttavia la rivoluzione digitale, che caratterizza ormai sempre di più la nostra società, ci offre sempre nuove forme di comunicazione, gestione e condivisione dell’informazione. Il progresso tecnologico, il suo allargamento ad una sempre più ampia fascia di pubblico, l’annullamento del rapporto spaziotempo prodotto dalle reti telematiche e dalla nascita del villaggio globale, hanno costretto anche le scienze umanistiche a confrontarsi con i computer offrendo un quadro assai completo e, talvolta, anche troppo ottimistico. L’archeologia non è rimasta estranea a tali dinamiche ed ha intrapreso attivamente per‐ corsi talvolta anche originali, con esiti diversificati tra nazioni ed anche all’interno di ogni singolo paese. Nell’esperienza italiana l’area dell’archeologia medievale si è proposta come un terreno di sperimentazione avanzata e proprio per questo motivo la creazione di nuovi protocolli ha trovato terreno fertile su cui svilupparsi.

Le schede fin qui prodotte, lungi dal potersi considerare definitive, hanno comunque comportato un netto miglioramento nella gestione dei registri e della documentazione di scavo, nonché un sensibile incremento in termini di economia del tempo passato a compi‐ lare e riempire gli archivi e soprattutto ad elaborare ed estrarre i risultati e le compara‐ zioni. Parimenti anche le piattaforme GIS, che hanno il grande pregio di appoggiarsi a strutture informatiche profondamente collaudate e multidisciplinari, si sono configurate come una base indispensabile non soltanto per la creazione di mappe multiscalari (dallo scavo al territorio), ma anche per la gestione del dato correlato agli archivi relazionali. Vo‐ lendo azzardare una metafora, potremmo visualizzare l’interscambio di informazioni tra i vari protocolli come una tela di ragno, in cui ogni nodo conduce, in un modo o nell’altro, verso qualsiasi punto della rete. Non solo, ma le moderne applicazioni, possono anche con‐ sentire di creare una sovrapposizione pressoché infinita di piani informativi, in modo da 167 (JOHNSON, M., 1999, pp.98‐99)

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gestire simultaneamente sia diverse cronologie di uno stesso contesto, che orizzonti ar‐ cheologici sparsi sul territorio. Un risultato che potrebbe permettere di riunire in un unico progetto informatico tutte le attività archeologiche di un territorio o di un’epoca storica, andando a creare una sovrastruttura dalle enormi potenzialità epistemologiche. Come già detto l’obiettivo principale, che, ci si auspica, avrà una scadenza piuttosto rav‐ vicinata, è quello di riunire in un’unica banca dati tutti gli archivi gestionali, sia alfanume‐ rici, che geografici; certo, il lavoro è lungo ed impegnativo e prevedrebbe, soprattutto, una partecipazione collettiva di un gruppo di ricerca dalle pari capacità informatiche (se non pratiche, quantomeno teoriche), ma, anche laddove ciò non fosse possibile, gioca a favore la possibilità di applicare ciascun protocollo a cantieri di scavo (Benabbio, Badia Pozzeve‐ ri, ecc.) praticamente continuativi per tutto l’anno. Allo stesso modo sarebbe auspicabile una diffusione, tanto proficua, quanto più larga possibile; tale processo, già innescato dalla collaborazione internazionale con la Ohio State University, produrrebbe un duplice risulta‐ to: da un lato fungerebbe da banco di prova e di test su fronti di ricerca spesso supplemen‐ tari e troppe poche volte compatibili, dall’altra porterebbe al superamento di quelle “gelo‐ sie” antidivulgative che, bisogna ammetterlo, caratterizzano da sempre l’archeologia ita‐ liana (sia universitaria, che professionale), impedendo la diffusione di un metodo di inda‐ gine e di un linguaggio comune. *** Nel concludere quest’opera vorrei ringraziare chi ha supportato la redazione e la diffu‐ sione del materiale sin qui prodotto. Un ringraziamento particolare va ad Antonio Forna‐ ciari, senza la cui guida non avrei potuto neppure iniziare il mio percorso. A mio padre, Ce‐ sare Coschino, va tutta la mia gratitudine, per tutto. Al professor Gino Fornaciari la rico‐ noscenza per avermi insegnato quello che so. Con Alessandro Cariboni, Alan Farnocchia, Maurizio Sparavelli, Letizia Cavallini, Silvia Testi e Giuseppe Vercellotti ho un debito di pa‐ zienza e di stima, per ogni loro contributo. A Gisella va tutto il resto.

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