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Academic year: 2021

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Il presente lavoro prende le mosse dalla nozione filosofico-scientifica di “complessità epistemica” e da come essa sia stata “incorporata” nel diritto dell’ambiente contemporaneo, materia già di per sé

“interdisciplinare” in quanto si pone al confine tra diritto, scienza, etica ed economia. Esso costituisce lo “scenario” entro cui si manifesta a livello sia nazionale, sia internazionale l’esigenza di revisionare l’idea di sviluppo, di crescita illimitata e di progresso attraverso un riorientamento degli obiettivi e delle strategie politico-economiche degli ultimi quarant’anni. Un elemento basilare di tale “branca”

giuridica è rappresentato dal principio di precauzione (espressamente riconosciuto come “obbligante”

dalla Comunità internazionale a partire dalla Dichiarazione di Rio de Janeiro del 1992), che prevede un generalizzato “dovere di agire” a tutela dell’ambiente anche qualora non vi sia certezza assoluta del rischio di un danno grave e irreparabile. Sorgono pertanto diverse responsabilità in capo sia ai decisori politici, sia al mondo scientifico ed economico in ordine ai possibili rischi che una determinata “collettività” potrebbe correre accettando o meno le possibili conseguenze riconducibili ad essi. Per tale ragione affiorano progressivamente a livello giuridico-sostanziale anche costruzioni non “settorializzate” dell’ambiente naturale, nonché una concezione “forte” di sostenibilità ambientale (e di “modernizzazione ecologica”) non limitata a un mero “aggiustamento tecnologico”, né ad una analisi economica su costi-benefici dell’azione cautelare a tutela dell’ambiente; a livello procedurale nuove “forme” e “spazi” di democrazia deliberativa “riflessiva” (ovvero non semplicemente “pragmatica”) in cui possono esercitarsi in modo più ampio diritti come quelli all’informazione, alla partecipazione e all’accesso oltre le preferenze individuali dei singoli soggetti, ma verso una percezione “ecologica” (interrelazioni tra le parti e il tutto, ove il tutto non è peraltro la mera somma delle parti) e non solo “individualistica” o “comunitaria” del sé. Forme e spazi di una

“democrazia ecologica” che trovano inoltre ancora nello Stato, e in particolare in uno Stato né

“dirigista”, né “competitivo”, né asservito alle logiche della concorrenza, del mercato e della

“finanziarizzazione” il loro punto di partenza e allo stesso tempo il loro “sviluppo”. Esse dovrebbero e potrebbero allo stesso tempo trasformare in un “processo” continuo anche lo Stato stesso, entro

“sistemi deliberativi” (su scala “transnazionale”), incentrati su un’etica “antropo-decentrata”. Le esperienze del neocostituzionalismo andino (Ecuador e Bolivia in particolare) segnano infine il passaggio verso un nuovo paradigma “statualistico” fondato sul concetto di “plurinazionalità” in cui si armonizzano concezioni “occidentali” e “indigene” della “Natura”, incoraggiando ad arricchire in questo modo il quadro “sistemico” per una possibile “democrazia ecologica” transnazionale verso nuovi modi di concepire il diritto, l’economia, il benessere e la felicità, diversi dall’accumulazione materiale o semplicemente dal mero “piano di vita individuale”; in altri termini verso un nuovo

“senso comune” e un inedito “diritto” a un’ “alternativa” forma di vita individuale e collettiva.

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