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L'Indice dei libri del mese - A.09 (1992) n.08, settembre

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(1)

Pier Paolo Portinaro

Giinther Anders: L 'uomo antiquato

David Grossman

Dossier I ^ libro della grammatica interiore

Sedici pagine di dizionari

I

recensito da Cesare Segre

MENSILE D'INFORMAZIONE - SPED. IN ABB. POST. gr. 111/70% ISSN 0393-3903

Il Libro del Mese

Rapporto sullo sviluppo umano

recensito da Guglielmo Ragozzino

Oriente e occidente:

cifre e ideologie

articoli di Domenico Losurdo, Nanni Salio,

Chiara Saraceno, Angelo Turco

Sergio Quinzio

La Città disfatta di

Testori e Doninelli

Giuseppe Sergi

Guglielmo Teli di Bergier

Joseph Connors

(2)

RECENSORE

AUTORE

TITOLO

Il Libro del Mese

1

4

Guglielmo Ragozzino Undp Rapporto sullo sviluppo umano

5 Chiara Saraceno AA.VV. Secondo rapporto sulla povertà in Italia

1

6

Angelo Turco René Dumont Democrazia per l'Africa

Nanni Salio AA.VV. Cambiare rotta. Una prospettiva globale del mondo

economico industriale sullo sviluppo e l'ambiente Antonio Cianciullo Atti contro natura. La salvezza dell'ambiente e i suoi

falsi profeti

Peter Bunyard, Edward Goldsmith (a cura di) L'ipotesi Gaia. La Terra come organismo vivente: provocazione, teoria scientifica, nuovo paradigma?

7 Domenico Losurdo Serge Latouche L'occidentalizzazione del mondo. Saggio sul

significa-to, la portata e i limiti dell'uniformazione planeteria

Narratori italiani

8 Stefano Verdino Beatrice Solinas Donghi La bella fuga e altri racconti

II fantasma del villino

9 Camilla Salvago Raggi Prima del fuoco

Sergio Quinzio Giovanni Testori Gli Angeli dello Sterminio

Luca Doninelli La revoca

10 Franco Fortini Matilde Manzoni Journal

Anna Baggiani Marta Morazzoni Casa materna

11

Linguistica

m

Tullio Telmon Ernesto Ferrerò Dizionario storico dei gerghi italiani.

Dal Quattrocento a oggi

Premio Italo Calvino

m

Bando 1992

12 C'è superfluo e superfluo, di Cesare Cases

1 Letterature straniere

m

Carlo Lauro Louis-Ferdinand Celine Lettere dall'esilio 1947-1949

Morte a credito

14 Cesare Segre David Grossman Il libro della grammatica interiore

15 Guido Carboni Richard Ford Sportswriter

16 Dario Puccini Alvaro Mutis Un bel morir

17 Marco Macciantelli Sarah Kirsch Calore di neve (Poesie 1973-1989)

Teatro e Cinema

m

18 Maurizio Taddei Nicola Savarese Teatro e spettacolo fra Oriente e Occidente

19 Gianni Rondolino Jean Renoir La mia vita, i miei film

21

Inserto Schede

RECENSORE

AUTORE

TITOLO

Provocare

Antoine Compagnon, Proust tra

due secoli. In bilico fra XIX e XX

seco-lo, la Rechercheb anche un archivio di

oggetti smarriti che, attraverso la

scrit-tura, acquistano nuovi e

sorprenden-ti significasorprenden-ti. Traduzione di Francesca

Malvani con la collaborazione di di

Pierfranco Minsenti. Einaudi

Paper-back, pp. XXIV-329, L. 42.000.

Massimo Donà, Sull'Assoluto.

He-gel contra: Agostino, Kant, Adorno. I

luoghi più ardui e epocali della

rifles-sione hegeliana, in una rivisitazione

originale e libera da ogni pensiero alla

moda, cosi come da ogni

sclerotizza-ta tradizione accademica. Prefazione

di Emanuele Severino. Einaudi

Pa-perback, pp. X-166, L. 30.000.

Luciano Gallino, L'incerta

allean-za. Modelli di relazione tra scienze

umane e scienze della natura. Una

proposta di dialogo fra scienze

uma-ne e naturali, come modello teorico,

ma soprattutto come orientamento

per le decisioni politiche,

economi-che, tecnologiche e ambientali.

Einau-di Paperback, pp. XII-332, L. 36.000.

Gian Carlo Ferretti, L'editore

torini. Bompiani, Einaudi, Mor

(3)

Storia e Società

37 Giuseppe Sergi Jean-Francois Bergier Guglielmo Teli. L'esperienza e il mito

della libertà di un popolo

Mario Gallina Michael Angold L'impero bizantino (1025-1204). Una storia politica

Joseph Connors Manfredo Tafuri Ricerca del Rinascimento. Principi, città, architetti

39

Intervista

:. _

Manfredo Tafuri risponde a Gian Paolo Consoli

41 Francesco Remotti Claude Meillassoux Antropologia della schiavitù

Filippo Gentiloni Agostino Giovagnoli La cultura democristiana

42 Domenico Scarpa Albertina Vittoria Togliatti e gli intellettuali. Storia dell'Istituto Gramsci negli anni cinquanta e sessanta

43

L* autore risponde

I distinguo dannosi, di Nicola Tranfaglia

44 Bruno Bongiovanni James Burnham La rivoluzione manageriale

Pier Paolo Portinaro Giinther Anders L'uomo è antiquato. Sulla distruzione della vita nel-l'epoca della terza rivoluzione industriale

Economia

Giangiacomo Nardozzi Tommaso Padoa-Schioppa La moneta e il sistema dei pagamenti

45 John K. Galbraith Breve storia dell'euforia finanziaria: ; rischi economici delle grandi speculazioni

Charles P. Kindleberger Euforia e panico. Storia delle crisi finanziarie

Filosofia e Scienze

46 Ugo Perone Mario Ruggenini I fenomeni e le parole. La verità finita

dell'ermeneutica Marco Maria Olivetti Analogia del soggetto

Claudio de' Sperati Myron W. Krueger Realtà artificiale

47 Roberto Cordeschi Roger Penrose La mente nuova dell'imperatore. La mente, i

compu-ter, le leggi della fisica

Salute

49 G. Bignami, G. Traversa AA.VV. Rapporto sullo stato dei diritti dei cittadini nel Servizio Sanitario Nazionale

Angelo Di Carlo Marion Milner La follia rimossa delle persone sane. Quarantaquattro an-ni di esplorazione nella psicoanalisi

• Liber

51 Scrivere dopo Auschwitz: in Francia, di Jean-Pierre Salgas 52 Scrivere dopo Auschwitz: in Italia, di Alberto Cavaglion 54 Corpi estranei. Strategie sociali e pratiche sportive, di Gunter Gebauer

55

Lettere

RECENSORE

AUTORE

TITOLO

e pensare,

Jiirgen Osterhammel, Storia della

Cina moderna (secoli

XVIII-XX).

Un

quarto dell'umanità, l'esotismo di una

civiltà lontana, uno snodo della

poli-tica mondiale nel racconto serrato di

un grande sinologo. Traduzione e

cura di Andrea Michler. Biblioteca

di cultura storica, pp. XXII-682,

L. 85.000.

Vincenzo Farinetta, Archeologia e

pittura a Roma tra Quattrocento e

Cinquecento. Il caso di Jacopo

Ri-panda. La scoperta del mondo

clas-sico attraverso la carriera di un

pitto-re, Jacopo Ripanda. L'abbandono del

microcosmo dell'artigiano per

l'uni-verso dell'artista. Saggi, pp. XVI-246,

con 129 illustrazioni f. t., L. 60.000.

Sally Price, Iprimitivi traditi.

L'ar-te dei «selvaggi» e la presunzione

occidentale. Questo libro «ci

solleci-ta a rivedere i nostri abituali metri di

interpretazione e di lettura».

Prefazio-ne di Federico Zeri. TraduzioPrefazio-ne di

Augusto Roca De Amicis. Einaudi

Contemporanea, pp. XVI-204,

L. 20.000.

(4)

riNDICF

• • D E I L I B R I D E L M E S EH

SETTEMBRE 1992 - N. 8. PAG. 4

Il Libro del Mese

Riusciranno i nostri amici capitalisti...?

di Guglielmo Ragozzino

UNDP, Rapporto sullo sviluppo

umano 1. Come si definisce, come si misura, Rosenberg & Sellier, Torino 1992, ed. orig. 1990, trad. dall'ingle-se di Claudio Di Giorgio, pp. 166, Lit 45.000.

UNDP, Rapporto sullo sviluppo umano 2. Per una riforma della spesa sociale, Rosenberg & Sellier, Torino 1992, ed. orig. 1991, trad. dall'inglese di Claudio Di Giorgio, Anna Nadotti e Jaime Rehren, pp. 210, Lit 48.000.

Il senso principale dei Rapporti sullo sviluppo umano, in via di pub-blicazione dall'editore Rosenberg & Sellier, sta tutto nella prima frase del primo volume: "Questo rapporto si occupa della gente". Chi scrive i rap-porti è un'agenzia delle Nazioni Uni-te, l'Undp (United Nations Develop-ment Programme) che ha pubblicato in primavera il suo terzo rapporto (1992) annuale; un volume che arri-verà in libreria, tradotto in italiano, in autunno. In questa sede cerchere-mo di riferire di tutti e tre i rapporti — i due pubblicati e quello atteso — e delle novità che presentano rispet-to agli annuari correnti. I rapporti sullo sviluppo abituali (tipici quelli della Banca Mondiale) trascurano proprio la gente. Parlano piuttosto di cose; quanto petrolio e grano e car-bone e oro, quante automobili, tele-foni, acciaio; e i dollari e le poche (o troppe) calorie e l'energia e la forza lavoro; e, ancora, chi esporta e dove; e i debiti e con chi. Quando si è final-mente stabilito il livello del reddito di un paese comincia il tempo dei confronti; se l'insieme sia cresciuto e di quanto, rispetto a un anno prima, se un paese cresca più in fretta o me-no in fretta del paese confinante. E così via.

Ogni Rapporto sullo sviluppo uma-no si occupa invece delle persone. Si pone per esempio il quesito se le per-sone protagoniste siano uomini o donne, descrivendo, forse per la pri-ma volta la sostanziale differenza, lo scarto nello sviluppo umano tra i due sessi (verrebbe voglia di dire: tra le due popolazioni che consistono sullo stesso territorio) nei vari paesi del mondo. Anche la Banca Mondiale, per prendere di nuovo a modello il rapporto sullo sviluppo più conside-rato, ha da qualche anno tavole sulla parte femminile della popolazione; ma sembrano utilissimi approfondi-menti sui temi della demografia, di cui le donne sono ormai individuate, da una Banca Mondiale ridipinta di fresco, come uno dei principali in-put. Le donne come una risorsa, che è utile, anzi indispensabile studiare e conoscere a fondo. Diverso è invece l'atteggiamento dei compilatori dei Rapporti sullo sviluppo umano; così essi già nel primo rapporto provano a calcolare il loro indice di sviluppo umano o Isu separatamente per uo-mini e donne, applicando gli stessi parametri. Risulta che in una ventina di paesi la condizione delle donne è migliore di quella degli uomini. Poi si accorgono, nel corso della prepara-zione del secondo rapporto, che l'ap-plicazione pura e semplice dei para-metri su cui si costruisce l'Isu ai due sessi, separatamente, appiattisce le discriminazioni nei confronti delle donne che invece persistono in molti paesi, anche a massima industrializ-zazione. Allora, per quaranta paesi di cui esistono i dati, viene ricalcola-to l'indice tenendo conricalcola-to anche dello stato di fatto di svantaggio delle don-ne a partire dai salari e dalla scolari-tà. L'indice di sviluppo umano di

tutte le latitudini si abbassa di molti percento e alcuni paesi che erano ca-pofila, come il Giappone, vengono relegati a metà classifica e al primo posto sale la Finlandia seguita dalla Svezia, dalla Danimarca e dalla Fran-cia. L'Italia finisce in coda tra i paesi ricchi.

Quella dello sviluppo umano che

appare nei rapporti è dunque una scienza in divenire. Da un rapporto all'altro non vi è soltanto un aggior-namento dei dati, o il completamen-to dell'informazione con nuove tavo-le; vi è anche un affinamento dei pa-rametri adottati per ricercare i dati stessi e una critica di quanto pubbli-cato nel rapporto precedente, un ten-tativo di rispondere alle domande su-scitate da quello. E il fatto di non es-sere una scienza stabilizzata e defini-ta, rende quella dello sviluppo umano ancora più interessante: un percorso nel quale ciascuno può fare delle scoperte; può perfino interagi-re, dato Io spazio lasciato dall'Undp alle organizzazioni non governative (Ong) sollevando dubbi e questioni

con gli estensori dei rapporti (un con-sulente è Amartya Sen, un altro è Lord Meghnad Desai), nella convin-zione che qualche idea giusta passi dalla discussione pubblica al nuovo testo e di qui all'Agenzia sullo svilup-po e svilup-poi all'Assemblea dell'Onu e poi... e poi...

La novità base nel calcolo dello

sviluppo umano e che è posta al cen-tro del primo rapporto consiste nel-l'integrare il tradizionale calcolo del solito prodotto nazionale lordo (Pnl) prò capite con altri due valori, legati alla qualità della vita: la speranza di vita alla nascita e l'alfabetizzazione. Il primo dei rapporti (Lo sviluppo umano / come si definisce, come si mi-sura, pubblicato in originale nel 1990 e in Italia nell'aprile 1992, ha il com-pito di introdurre il nuovo modo di ricalcolare i paesi e il futuro del mon-do, offrendo qualche giudizio sulle politiche. Da questa correzione risul-ta un indice che scorre tra un massi-mo di " 1 " e un minimassi-mo di " 0 " . L'in-dice di sviluppo umano o Isu si co-struisce facendo la media di tre

indi-catori di privazione: alfabetizzazio-ne, speranza di vita alla nascita e Pnl. L'alfabetizzazione va dal 100 (pre-sunto) dei paesi dell'Europa occiden-tale al 12 per cento della Somalia. La speranza di vita va da un massimo di 78 anni in Giappone a un minimo di 42 anni in Etiopia. A questi indicato-ri si aggiunge il Pnl prò capite

indica-to in forma logaritmica per accorcia-re la scala delle diffeaccorcia-renze. Il Pnl, in dollari, va da un massimo che corri-sponde alia soglia della povertà uffi-ciale media in nove dei paesi più ric-chi, nell'anno 1987, pari a 4.861 dol-lari e i 220 doldol-lari del Pnl prò capite dello Zaire. Ogni paese "si colloca nel punto appropriato di ogni scala e si calcola la media delle tre scale, ot-tenendo così il suo indice medio di privazione umana. Sottraendolo da 1 si ha l'indice di sviluppo umano". I valori massimi sono dei paesi più ric-chi che hanno anche gente dalla vita più lunga e un'alfabetizzazione — più immaginata che reale — del 100 per cento. L'ordine non rimane però lo stesso del Pnl puro e semplice

nep-pure tra i paesi industrializzati e vi sono paesi come gli Stati Uniti che perdono il loro primato; tanto nel campo della scolarità che in quello della speranza di vita sono nettamen-te sopravvanzati da altri: così in nettamen-testa si piazza il Giappone, nel primo rap-porto.

Ma le questioni vere non riguarda-no i primi posti, l'alta classifica. Quello che più conta è che la classifi-ca dei paesi fatta tramite l'Isu rivolu-ziona quella tradirivolu-zionale fatta sulla base del Pnl prò capite e utilizzata normalmente nel centro e nel fondo, dove si collocano i quattro quinti del genere umano. Costruendo i due tracciati, uno con i dati relativi al Pnl dei vari paesi e l'altro con l'Isu degli stessi paesi, a partire dai più poveri, risultano due curve abbastanza di-verse; l'Isu, che va da 0 a 1, ha un an-damento che assomiglia a quello del-la diagonale di un quadrato, mentre la curva del Pnl, che va dai 200 dolla-ri o poco più dello Zaire agli oltre 20.000 degli Usa, sale lentamente, quasi in orizzontale (da un paese del quarto mondo all'altro vi sono poche differenze nel Pnl prò capite), fino a quota 2.000 dollari, poi curva verso l'alto e poi si impenna salendo quasi in verticale. Le due curve, che ricor-dano insieme una D stampatello mol-to inclinata, sono talmente impor-tanti che sono assunte come simbolo della possibilità dell'Isu di smuovere la politica tradizionale. Già nella rap-presentazione grafica vi è l'assunto di una diversa scelta nelle priorità e quindi di una politica diversa; può essere assai più importante, per risa-lire la classifica (e non si tratta di una classifica secondaria, ma di qualità della vita), migliorare gli standard di igiene e di scolarità, piuttosto che in-vestire in attività industriali per l'e-sportazione. Non solo, ma vi è anche implicito il suggerimento di puntare verso una serie di scelte, come l'ac-qua potabile o la vaccinazione infan-tile, o l'alimentazione di base — pro-getti dunque autocentrati, controlla-bili —, piuttosto che forzare un in-gresso nel sistema del commercio internazionale e farsi eterodirigere. C'è un confronto esemplare tra Sri Lanka e Brasile che il Brasile perde nettamente, nonostante il suo Pnl più che quadruplo, proprio per l'in-capacità di generare dal Pnl qualità della vita minima: speranza di vita, riducendo la mortalità infantile, e al-fabetizzazione. E il primo rapporto si conclude con una serie di impegni, di veri e propri appuntamenti per l'anno duemila e un elenco delle scommesse che si possono, si debbo-no vincere.

Anche il secondo rapporto Per una riforma della spesa sociale ha un logo significativo. Si tratta di una serie di quadrati, uno incastrato nell'altro. Il maggiore dei quadrati è il solito Pnl di un determinato paese che come or-mai sappiamo, da buoni cultori dello sviluppo umano, è un dato fallace; il secondo quadrato, inscritto nel pri-mo, è il "coefficente di spesa pubbli-ca": quanta percentuale di Pnl è rap-presentata dalla spesa pubblica? Nel-la spesa pubblica vi è Nel-la sanità, Nel-la co-struzione delle ferrovie, il pagamento dei funzionari, le pensio-ni, e anche l'esercito. Che parte di spesa pubblica è destinata ai servizi sociali; qual è il "coefficente di allo-cazione sociale"? C'è poi un ultimo quadrato, piccolissimo, che rappre-senta il "coefficente di priorità so-ciale", ed equivale alla percentuale

(5)

riNDjCF

• • D E I L I B R I D E L M E S EB H

SETTEMBRE 1992 - N. 8, PAG. 5

Il Libro del Mese

<

di spesa sociale destinata ai problemi umani prioritari. E piccolissimo ma decisivo, perché da lì passa lo svilup-po umano. Per vincere la promessa del duemila, in termini di acqua po-tabile, di nutrizione infantile, di al-fabetizzazione crescente, occorre au-mentare la percentuale di Pnl dedica-ta ai problemi umani prioridedica-tari; in al-tre parole, dare spazio al quadratino, allargarne l'area. Con il secondo rap-porto si entra dunque nei vivo della lotta. Lo si può immaginare come un elenco di cose da fare, dentro e fuori i paesi arretrati. Per citarne solo una: vi è la descrizione del "dividendo di pace": il vantaggio che i paesi meno privilegiati ricaverebbero riducendo drasticamente le spese militari.

Vi è poi un notevole corredo di in-formazioni relative a molti aspetti della vita sul globo, vita che si svolge perlopiù fuori dai paesi industrializ-zati e lontano dalle città. Si possono leggere gli straordinari progressi rea-lizzati in meno di vent'anni: speran-za di vita cresciuta di un terzo, cre-scita del tasso di alfabetizzazione dal 43 al 60 per cento nel Sud del mon-do; e poi il 20 per cento in più di calo-rie e poi le iscrizioni scolastiche delle donne, aumentate a velocità doppia di quelle degli uomini. E a fianco di questi risultati positivi, quelli defini-ti come le "perdite": i 12 anni di spe-ranza di vita in meno che il Sud ha ri-spetto al Nord, oppure i 900 milioni di analfabeti e i 100 milioni di bam-bini in età scolare, ma senza istruzio-ne; e poi la percentuale di alfabetiz-zazione delle donne pari ancora a so-lo due terzi di quella maschile e insie-me la mortalità da parto che nel Sud è 12 volte quella del Nord.

Basta girare un paio di pagine e ci si imbatte in un altro grafico che mo-stra i casi di 10 paesi che momo-strano una correlazione positiva (si fa per dire) tra tasso di crescita demografi-ca e minore alfabetizzazione femmi-nile. 5 paesi in cui l'alfabetizzazione femminile nel 1985 è inferiore al 20 per cento avranno tra 1988 e 2000 tassi annui di crescita demografica vicini o superiori al 3 per cento. Mentre altri 5 paesi di reddito non dissimile ma con tassi di alfabetizza-zione femminile prossimi all'80 per cento avranno tassi di crescita demo-grafica tra l'I e il 2 per cento.

Vi è poi un altro indice che carat-terizza il secondo rapporto. Si chia-ma Ilu e riguarda la libertà. Gli stu-diosi delle Nazioni Unite hanno la-mentato che l'Isu "Non include la li-bertà. Il problema è che è più facile parlare della libertà che misurarla". Così, continua il rapporto, "è stato fatto un primo tentativo di rispec-chiare uno degli aspetti più significa-tivi della vita umana: il risultato, per quanto imperfetto, indica almeno la direzione che si potrà intraprendere in futuro". E l'atto di nascita dell'Ilu (indice di libertà umana), del tutto sperimentale e che utilizza 40 indica-tori di misurazione della libertà ela-borati nella Guida mondiale ai diritti

umani da Charles Humana. Humana

indica, per contare la libertà, 6 forme di "Diritti di..." come quelli di viag-giare, associarsi pacificamente, inse-gnare e ricevere informazioni; 12 forme di "Libertà da..." come liber-tà da lavoro forzato, tortura, pena di morte, religione o ideologia di stato obbligatoria nelle scuole, censura po-litica della stampa, nella corrispon-denza; 10 forme di "Libertà di..." come libertà di stampa, sindacato, tribunali indipendenti, oppure oppo-sizione politica o uguaglianza politi-ca e legale per le donne o per le mino-ranze; ancora, 7 forme di "Diritto le-gale di..." avere un processo pubbli-co e rapido, presunzione di innocenza, protezione contro gli

abusi di polizia, e infine 5 forme di "Diritto personale di..." per esem-pio di decidere il numero dei figli, praticare ogni religione o l'omoses-sualità, contrarre matrimoni inter-razziali. Naturalmente viene propo-sta anche una primordiale classifica tra i paesi dei quali esistono dati sulla presenza e sulla mancanza delle liber-tà. Pochi sono classificabili e già que-sto è un elemento di riflessione, inol-tre la classifica si riferisce ad anni lontani: prima ancora del lontanissi-mo 1989. Ora tutto è cambiato in molti paesi, soprattutto in tema di

li-grande giornale (il "Corriere della Sera") ha per esempio fatto un titolo in prima pagina sul pericolo rappre-sentato dall'immigrazione, quando il rapporto insiste sui pericoli e sui co-sti umani delle barriere e delle limita-zioni che la rendono difficile. Sicco-me del terzo rapporto si dovrà discu-tere approfonditamente al momento della sua comparsa, qui ci limiteremo a solleticare qualche curiosità. Il logo con cui il terzo rapporto si presenta è facile da ricordare. E un calice con uno stelo esilissimo: indica la riparti-zione del redditto all'interno della

ma prudenziale in 500 miliardi di dollari. Cosa sono a confronto i 50 miliardi di trasferimenti dal Nord al Sud? E su questo vi sono ragionevoli proposte, conteggi sorprendenti, strategie di lungo periodo. Si vedrà.

Il Rapporto sullo sviluppo umano non reintroduce la lotta di classe. Il mondo, suggerisce il terzo rapporto, ha un modello politico ed economico prevalente per non dire unico. Im-possibile da scalzare, ma lasciato a se stesso, senza correttivi e regolazioni, è distruttivo. Riusciranno i nostri amici capitalisti a tirarci fuori dai

pa-Ma la povertà non è solo economica

dì Chiara Saraceno

C O M M I S S I O N E D'INDAGINE SULLA POVERTÀ E L'EMARGINAZIONE, Secortdo rapporto sulla po-vertà in Italia, Angeli, Milano 1992, pp. 169,

Lit 2 2 . 0 0 0 .

Questo secondo rapporto esce a distanza di ot-to anni da quello preparaot-to dalla prima Commis-sione d'indagine sulla povertà istituita presso la Presidenza del Consiglio. Il fatto che esso, a dif-ferenza del primo, sia pubblicato da una casa edi-trice e diffuso nel mercato librario, anziché rima-nere una sorta di samisdatz accessibile a pochi mi sembra una novità indubbiamente positiva. Non ve ne sono tuttavia molte altre. Si tratta di un insieme di saggi indipendenti che aggiornano, rispetto al primo rapporto, sia le stime sulla dif-fusione della povertà (capp. 1,2 e 3) che sulle

po-litiche nazionali e locali di assistenza sociale (capp. 5, 6 e 7). In più vi è uno studio, definito introduttivo, su alcuni casi di povertà estreme (cap. 4) e un altro sull'evoluzione della spesa so-ciale (cap. 7).

L'insieme dei dati è di indubbio interesse e uti-lità. Tuttavia essi rimangono entro i limiti che già il primo rapporto segnalava come propri: il ri-manere chiusi, allorché si tenta una quantifica-zione del fenomeno, entro una definiquantifica-zione di po-vertà economica, anche quando si sostiene giu-stamente (cfr. il cap. 1) che questa non esaurisce certamente il fenomeno della povertà e tantome-no quello dell'esclusione sociale, come fetantome-nome- fenome-no insieme relazionale e cumulativo-, il limitarsi ad una elencazione delle politiche e delle inizia-tive legislainizia-tive e delle loro logiche, senza adden-trarsi in un lavoro di valutazione di efficacia e prima ancora di costruzione di indici di efficacia. Si tratta di problemi ampiamente discussi non so-lo nella letteratura intemazionale, ma negli orga-nismi della Cee che operano in questo campo. Esiste, ad esempio, un osservatorio Cee sulle po-litiche di lotta all'esclusione sociale che pubblica annualmente un rapporto sulla base di rapporti nazionali opera di singoli esperti, in cui la

diffi-coltà sia di concettualizzazione che di compara-zione di dati disomogenei per qualità e quantità nei diversi paesi è evidente. Ci si potrebbe tutta-via aspettare che una c ammissione che non solo comprende competenze e appartenenze istituzio-nali così valide e diversificate, ma ha un saldo ra-dicamento istituzionale, producesse qualcosa di più e di meglio rispetto al lavoro di singoli.

Nel presentare il rapporto l'attuale presidente della Commissione, G. Sarpellon, ne imputa i li-miti al ritardo con cui i fondi stanziati con appo-sita legge per i lavori della Commissione sono stati resi disponibili, così da costringerne i com-ponenti^ ad affidarsi alle proprie risorse indivi-duali. E una spiegazione plausibile, che lascia in-tuire la tormentata vicenda di una commissione che ha conosciuto periodiche ibernazioni e al-trettanto periodici richiami in vita-, segnala an-che la sostanziale irrilevanza con cui questo pro-blema, che riguarda il 15 per cento della popola-zione italiana, con punte che toccano il 26,4 per cento nel Mezzogiorno (e i poveri del Mezzogior-no costituiscoMezzogior-no il 62,9 per cento di tutti i poveri del paese), contìnua ad essere tenuto dal discorso e dall'interesse politici, in primo luogo in quello stesso ministero, gli Affari sociali, in cui la Com-missione è radicata e che dovrebbe averlo tra i propri interessi principali. Tuttavia mi sembra anche una spiegazione solo parzialmente soddi-sfacente.

Parte del problema mi sembra stia nella stessa concettualizzazione della povertà e dell'emargi-nazione sociale e nel nesso che si ipotizza tra le due. Quali sono gli indicatori non economici sia del primo che del secondo fenomeno? Se l'emar-ginazione scaturisce da un processo cumulativo, come si studiano i percorsi che la producono, i meccanismi che la possono innescare e viceversa quelli che la possono disinnescare? Nei program-mi irrealizzati della Comprogram-missione non program-mi sem-bra che questi problemi siano presenti, né come problemi concettuali e di metodo, né come pro-grammi di ricerca.

bertà politiche. Le nuove libertà po-litiche diffuse in tanti paesi d'Euro-pa e di Asia centrale dopo la caduta del blocco sovietico renderanno più rapido il cammino dei paesi alla ricer-ca di sviluppo economico ed umano? Oppure il dilagare del modello capi-talistico, la mancanza di alternative di sistema arresterà il miglioramen-to?

Il terzo Rapporto sullo sviluppo umano, datato 1992, quello messo in circolazione nel mondo qualche setti-mana prima dell'Earth Summit di Rio e disponibile in italiano, nella collana di Rosenberg & Sellier in au-tunno, è stato molto discusso dalla stampa quotidiana anche in Italia, in modo talvolta opportunistico. Un

popolazione mondiale. L'83 per cen-to del Pnl mondiale (i dati son riferiti al 1989) va al quinto della popolazio-ne che sta sopra, popolazio-nel calice; I' 1,4 per cento è quanto ha il quinto della po-polazione che sta in fondo allo stelo. Il rapporto è 59 a 1. E la questione imbarazzante è che trent'anni fa, al-l'inizio degli anni sessanta, il rappor-to era 30 a 1. Gli anni ottanta, il "de-bito" (dei paesi in via di sviluppo), non sono passati invano. E fin qui si parla di paesi, non della gente, per-ché se si guardasse alla gente, al con-fronto tra il quinto più ricco e il quin-to più povero, il rapporquin-to sarebbe tri-plicato. Il protezionismo del Nord provoca un impoverimento feroce del Sud, di cui viene indicata una

sti-sticci, a consentire uno sviluppo so-stenibile, nel senso che possa conti-nuare anche per le prossime genera-zioni? I dubbi sono piuttosto forti. Il terzo rapporto vuole offrire un'alter-nativa riformista; vorrebbe che lo sviluppo, umano e sostenibile, conti-nuasse, anche dopo l'inizio del pros-simo millennio. Così le basi riformi-ste non possono che partire dalla cri-tica più radicale e intransigente di tutte le istituzioni internazionali, Fondo monetario internazionale e Banca Mondiale in primo luogo, puntelli di un ordine che non consen-te lo sviluppo sosconsen-tenibile, tanto me-no quello umame-no e probabilmente neppure lo sviluppo tout court.

m

AM1CIIS (INIMICUS) H0STIS p. VHI-314, L. 34.000 Rosario BATTAGLIA MERCANTI E IMPRENDITORI IN UNA CITTÀ MARITTIMA p. 197, L. 25.000 Giulio CAMARDA CONVENZIONE "SALVAGE 1989" E AMBIENTE MARINO p. XVI-364, L. 42.000 Cario ESPOSITO DIRITTO COSTITUZIONALE VIVENTE p. LXHI-394, L. 50.000 Wally FESTINI CUCCO Loca CIPOLLONE SUICIDIO E COMPLESSITÀ p. XIII-222, L. 20.000 F. GARRÌ- N. MASTROPASQUA M. RISTUCCIA - A. ROZERA RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA IN TEMA DI RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA E CONTABILE p. Xl-934, L. 110.000 Pietro ICHINO STRATEGIE DI COMUNICAZIONE E STATUTO DEI LAVORATORI p. X-302, L. 38.000 Michele LEONI Marco MARCHETTI Ginseppe FATICANTE L'IMPUTABILITÀ DEL TOSSICODIPENDENTE p. XVH-4M, L. 45.000 Gaetano NANULA LA LOTTA ALLA MAFIA p. XH-366, L. 38.000

Loca G. RADICATI DI BR0Z0L0 LA GIURISDIZIONE

ESECUTIVA E CAUTELARE NEI CONFRONTI DEGLI STATI STRANIERI p. XI-376, L. 42.000 REPERTORIO GENERALE ANNUALE DI LEGISLAZIONE, BIBLIOGRAFIA, GIURISPRUDENZA a Cora di Angelo Jannuzzi

Anno 1991, tre tomi di p. XXTV-5026, L. 380.000 Rodolfo SACCO CHE COS'È IL DIRITTO COMPARATO p. XXI-302, L. 30.000 Michele VACCA LA POLITICA COMUNITARIA DELL'AMBIENTE E LA SUA ATTUAZIONE NEGLI STATI MEMBRI p. XVI-408, L. 48.000 Jeffrey G. WILLIAMSON INEGUAGLIANZA, POVERTÀ E STORIA p. X-160, L. 22.000 Ferdinando ZUCCOTTI * "FUROR HAERETICORUM" p. XV-564, L. 70.000

GUHitÈ ENTORE > MUNO

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D E I L I B R I D E L M E S E L

SETTEMBRE 1992 - N. 8, PAG. 6

Utopismo e catastrofe in Africa

di Angelo Turco

RENÉ DUMONT, Democrazia per

l'A-frica, Elèuthera, Milano 1992, ed. orig. 1991, trad. dal francese di Ste-fano Vivianl, pp. 333, Lit 30.000.

Un tempo, certo, un libro come questo sarebbe stato definito "ideo-logico" e probabilmente relegato tra gli esercizi di stile di una militanza terzomondista imprigionata nella monotonia dei suoi modelli. Pure, qui si dipana il filo di una coerenza intellettuale che a partire dalle piane deltaiche d'Indocina corre per ses-santanni tra i cinque continenti ed accompagna, in specie, un'Africa te-nera e dannata dalla falsa partenza della decolonizzazione all'approdo illusorio della democrazia formale. Sicché, oggi che analisi e ricette han-no rinunciato ai simulacri della neu-tralità e dell'oggettività, è solo possi-bile rilevare che in questa scintillante interpretazione di se stesso, Dumont non si fida delle evidenze, dei fatti-che-parlano-da-soli, e intride la ten-sione argomentativa — sempre alta in questo "uomo di terreno" — di concitazione verbale, autoritarismo assertivo, intento pedagogico.

Segnalo appena all'editore i dubbi

che possono venire da una traduzio-ne otraduzio-nesta che però, abbandonata a se stessa, non sempre riesce a trasmet-tere il carico gergale franco-africano di certi termini ("libanese", "diu-la") o il contenuto performativo alta-mente raffinato di taluni altri (dieri o dior, ad esempio, in due grandi lin-gue veicolari senegalesi). Per parte mia, non voglio sottovalutare la cir-costanza in cui e da cui l'opera è na-ta: una serie di conferenze, agli inizi del 1990, nelle capitali e scuole e uni-versità di un'Africa francofona in piena ebollizione. Ho avuto modo di assistere a un incontro con Dumont, in altra occasione a Dakar, e so bene qual è il groviglio di assonanze, pul-sioni, aspettative che può formarsi e rimbalzare in una sala ad alto tasso di partecipazione. E però neppure pos-so mortificare l'idea che forse elabo-rare utopie senza recintarle in Re-pubbliche, ma nella consapevolezza della complessità del mondo, equiva-le a produrre ipertesti dove equiva-le strate-gie della dimostrazione e quelle della persuasione si tengono l'una con l'al-tra e dove, perciò, logica e retorica danno corpo a inedite nicchie ecolo-giche.

Il fatto è, insomma, che l'amico dell'Africa, il quale per l'appunto si dichiara ed è prima di tutto un Gran-de Utopista, non parla "soltanto" di democrazia; e neppure — lo fanno in molti, ormai — di democrazia vitale. Egli va oltre, svela i suoi piani ed osa la perorazione, ardita ma insistente-mente laica, per una democrazia feli-ce.

Il ragionamento dumontiano ripo-sa su un presupposto "banale" e si struttura attorno a quattro grandi poli di riflessione: disuguaglianza so-ciale, demografia galoppante, banca-rotta ambientale, ordine economico mondiale. Occorre intanto che tutti, popoli neri e quanti nel mondo ab-biano responsabilità politiche, si im-pegnino a sbarazzare al più presto l'Africa dalle sue tirannie diffuse. Inutile dire che qui si sono svolti eventi decisivi in questi ultimi due anni, in un contesto incardinato su alcuni punti forti: il vertice sulla

francofonia di La Baule; i nuovi sce-nari politici in Sudafrica; la dissolu-zione del socialismo reale. Alcune partite si sono giocate con successo; molte sono tuttora in corso, con esiti quanto mai incerti: e mentre brezze di pace spirano nelle terre australi, altrove, dal Corno orientale alla Li-beria e allo Zaire, aleggia una tene-bra conradiana. Ma insomma, il qua-dro è in movimento e il dispotismo africano sembra avere il fiato corto, anche se è estremamente difficile

di-re quanto lunga e sanguinosa sarà la sua agonia.

Segnato questo punto all'attivo della visione profetica e, diciamo pu-re, della parola incitatrice di Du-mont, s'affacciano le linee capaci di assicurare la transizione da una de-mocrazia che rischia d'essere solo esibita ad una democrazia vissuta. Il primo fronte d'attacco, s'è detto, è quello delle disuguaglianze: che in Àfrica, vai bene sottolinearlo, signi-ficano prima d'ogni altra cosa dispa-rità umana di fronte all'aspirazione a campare la propria esistenza. Il red-dito è 'solo uno dei misuratori del-l'ineguaglianza, e neppure tra i più espressivi; altre articolazioni vanno prese in carico: razziali, territoriali (città/campagna), sessuali. Alla di-scriminazione della donna riserva particolare vigilanza Ch. Paquet, che ha collaborato con Dumont alla ste-sura del libro.

L'emancipazione femminile, del resto, è un valore in sé — il richiamo all'altra metà del cielo è esplicito — ma consentirebbe pure di affrontare

dall'interno, grazie ad una maternità consapevole, il nodo demografico. L'Africa subsahariana, 500 milioni di persone, ha moltiplicato i propri figli per cinque in novant'anni; pur senza voler dare troppo credito a proiezioni meccaniche che indicano un raddoppio nei prossimi vent'anni, resta da osservare che si tratta del-l'unico macro-areale, sulla scena mondiale, dove la velocità di crescita della popolazione non accenna ad at-tenuarsi. Così, la produzione di

ri-sorse arranca senza speranza dietro una progressione drammatica dei bi-sogni elementari, cibo innanzitutto. La risposta più immediata in un am-bito di tradizioni agrarie estensive è la messa a coltura di nuove terre: ciò che comporta, in dominio tropicale asciutto, dislocazione agricola in zo-ne di instabilità pluviometrica o ad-dirittura nomadiche; in dominio tro-picale umido, attacco alle formazioni forestali; ovunque, rendimenti de-crescenti per l'uso forzoso di suoli difficili, in precedenza accuratamen-te evitati, e per la riduzione dei pe-riodi di riposo che, soli, garantivano la ricostituzione della fertilità. Tutto ciò aggrava il peso di una degradazio-ne ambientale che trae alimento dalla vulnerabilità erosiva dei suoli, a sua volta stimolata dalla diffusione delle pratiche monocolturali e dalla defo-restazione di tipo speculativo. Ma, ancora, per quanto affannosi e destanti, gli sforzi produttivi sono va-nificati da un ordine economico in-ternazionale che non solo continua a gestire a profitto dei più forti i

termi-ni di scambio ma introduce, attraver-so meccanismi puramente finanziari e grazie all'azione di istituzioni come il Fondo Monetario e la Banca Mon-diale, elementi di tensione se non di vera e propria prevaricazione.

Uscire da questa trappola, se da un lato comporta un investimento sulla moralità dei paesi ricchi, chiamati a maggior generosità e rispetto per l'A-frica, dall'altro esige un deciso saito di qualità nella loro lungimiranza po-litica, giacché in un mondo

intollera-bile (così titola Dumont un suo pre-cedente libro, pubblicato in Italia an-cora da Elèuthera) non è più possibi-le illudersi sulla capacità di sopravvi-venza della cittadella opulenta e dissipatrice. Del resto, è imperativo agire sulle genti nere perché assuma-no una nuova coscienza di sé, dei propri diritti, delle proprie capacità. Destinatari privilegati di una rinno-vata attenzione "liberatoria", che passa attraverso l'educazione e la cu-ra della salute, sono le donne e i con-tadini. E se alle prime occorre dare autonomia e responsabilità, ai secon-di occorre dare tecniche dolci (rivo-luzione foraggera, integrazione agri-coltura/allevamento, idraulica mino-re, finalmente, contro le grandi di-ghe e i mega-impianti) e quel minimo di protezione che li garantisca dalle aggressioni e dalle lusinghe del mer-cato internazionale.

Suggerirei di lasciare a Dumont l'onere e il piacere di coltivare utopie e il lusso, anche, di non soffermarsi troppo su ciò che la ricerca scientifi-ca si mette progressivamente in

gra-do di dire — sulla desertificazione, ad esempio — o di non dire — sul-l'effetto serra, ad esempio. Conviene considerare, piuttosto, il suo perso-nale punto d'arrivo come il trampoli-no per una rinvigorita partenza della riflessione africanistica degli anni novanta. La lezione dumontiana va acquisita, io credo, in un suo signifi-cato nucleare, denso e ambivalente. Un primo versante può essere letto in positivo: le cose africane, pur compo-ste da elementi eterogenei, vanno ri-condotte a una dimensione unitaria, beninteso non monolitica ma, piut-tosto, olistica; la scena africana, per-corsa da tragedie bibliche e frustata da una natura severa, è nondimeno una costruzione della storia che gli uomini, dunque, possono sperare di modificare, scomporre, riedificare; la pretesa "alterità" africana è stata ed è un potente veicolo di mistifica-zioni: i problemi dell'Africa sono i nostri problemi — del Nord, come si dice, e primariamente dell'Europa — e se l'economia è troppo miope per accorgersene occorre mobilitare la responsabilità della politica.

Recepirei viceversa il secondo ver-sante in una luce critica, come stimo-lo a rafforzare le architetture cogniti-ve per renderle meno esposte alla de-riva delle mode e ai contrasti delle passioni. Mi parrebbe allora utile evitare, in primo luogo, di affidare le proprie tesi a un'esemplificazione di-sinvolta e, insomma, di fare di tutta l'erba un fascio: associare nella stig-matizzazione delle tirannie un Hou-phouét-Boigny a uomini come Eya-déma e Mobutu rischia di svuotare la credibilità complessiva di chi pure la-vora e patisce per l'Africa. Dal suo canto, la lotta all'alterità mistificatri-ce va condotta a fondo e, come ha mostrato A. Kabou in un libro da non dimenticare, deve chiamare in causa attitudini e comportamenti di tutte le genti nere, non solo di ditta-tori sanguinari, burocrazie predatri-ci, chierici traditori. Appare urgen-te, poi, misurarsi con una territoriali-tà che non tollera più ruoli residuali. Sarebbe alquanto/difficile capire l'A-frica senza passare attraverso la do-mesticazione della natura e gli insie-mi*toerenti di artefatti spazialmente distribuiti. Ma il processo di territo-rializzazione, che assorbe risorse in-gentissime, non solo cambia la mate-rialità dei paesaggi ed attiva reticoli funzionali; esso disegna altresì ara-beschi simbolici e quasi sempre sal-da, in Africa postcoloniale, pratiche di legittimazione politica, imprese di mediazione sociale, percorsi di auto-affermazione nazionale. È singolare, a questo riguardo, come ciò che di Yamoussoukro ha afferrato un V.S. Naipaul fin da prima che la troppo famosa basilica di Notre-Dame-de-la-Paix fosse costruita, tuttora sfug-ga a Dumont. Maggior rigore esige la stessa messa a fuoco della transcalari-tà, sia spaziale che temporale: locale e globale sono luoghi, concetti inter-dipendenti che tuttavia non vanno confusi; la liberazione della donna, nel modo in cui l'intendono Dumont e Paquet, si dispiega su tempi e con ritmi ben poco compatibili con un pacchetto di realizzazioni che con-templi la riforma dell'educazione o quella agraria.

Ma dopotutto sto solo evocando, attraverso le multiple sfaccettature che l'Africa richiede, il problema unico — e, a mio parere, centrale or-mai — del rapporto tra il progetto e le condizioni delia sua esecuzione. Le riflessioni che su questo terreno van-no svolgendo osservatori di forma-zione diversa (penso, in Francia, ai recenti interventi di R. Pourtier, M. Gaud o J.-F. Bayart) possono turbare la quiete che in un loro paradossale modo le grandi visioni producono. Esse però spingono verso ancoraggi empirico-analitici forti, senza i quali, temo, alla dignificazione dell'Africa non resta che alimentare la festa infi-nita delle buone speranze.

Gaia scienza ecologica

di Nanni Salio

STEPHAN S C H M I D H E I N Y - B U S I N E S S C O U N C I L FOR S U S T A I N A B L E D E V E L O P M E N T , Cambiare

rotta. Una prospettiva globale del mondo econo-mico industriale sullo sviluppo e l'ambiente, Il Mulino, Bologna 1992, ed. orig. 1992, trad. dall'inglese di A A . V V . , pp. 410, Lit 40.000. ANTONIO CIANCIULLO, Atti contro natura. La

salvezza dell'ambiente e i suoi falsi profeti, Fel-trinelli, Milano 1992, pp. 191, Lit 27.000. L'ipotesi Gaia. La Terra come organismo viven-te: provocazione, teoria scientifica, nuovo para-digma?, a cura di Peter Bunyard e Edward Goldsmith, Red, Como 1992, ed. orig. 1988, trad. dall'inglese di Carla Sborgi, pp. 374, Lit 48.000.

La sfida raccolta e rilanciata dal Consiglio del-le Imprese per lo Sviluppo Sostenibidel-le (Bcsd se-condo l'acronimo inglese) è chiara e ambiziosa: constatato che l'attuale progresso "è semplice-mente non sostenibile", gli estensori del rapporto dichiarano che "come imprenditori noi siamo fa-vorevoli al concetto di sviluppo sostenibile, cioè a soddisfare i bisogni del presente senza compro-mettere il benessere delle generazioni future" e che "lo sviluppo sostenibile richiede la produzio-ne crescente di beni e servizi per soddisfare i biso-gni crescenti di un numero di persone che cresce rapidamente". Frutto dell'incrocio di personaggi e progetti diversi (da Maurice Strong al rapporto Bruntland) questo lavoro fa propri molti dei sug-gerimenti e delle critiche che provengono dal mondo eco-eco (ecologisti-economisti). Si accet-ta il principio "chi inquina paga", la necessità di giungere a una diversa misurazione del progresso "che consideri indicatori di qualità oltre che di quantità", le critiche mosse al famigerato Pnl e la conseguente proposta di "intemalizzazione"

delle diseconomie esteme mediante una contabi-lità di "valutazione a costo pieno" che tenga conto dei danni ambientali, e così via. Siamo in presenza di un rovesciamento di posizioni e di cultura rispetto a quanto descritto da Carla Ra-vaioli ne II pianeta degli economisti.

Ciò non toglie tuttavia che il punto di vista prevalente rimanga quello di un "antropocentri-smo debole", poco attento al valore intrinseco della natura. Il concetto di sviluppo sostenibile è infatti presentato in termini esclusivamente utili-taristici, perché "conviene", come dimostra am-piamente l'edo-efficienza applicata al risparmio energetico, e si sostiene apertamente e ripetuta-mente che "la pietra angolare dello sviluppo so-stenibile è un sistema di mercati competitivi aperti, nei quali i prezzi devono riflettere i costi delle risorse ambientali". Questa fiducia di prin-cipio nelle virtù del libero mercato è tuttavia temperata dall'onesto riconoscimento delle di-storsioni e delle palesi ingiustizie dell'attuale struttura del commercio mondiale che penalizza i paesi poveri di oltre 600 miliardi di dollari al-l'anno, secondo le stime della Banca Mondiale, proprio a causa delle barriere e delle misure pro-tezionistiche dei paesi ricchi.

Di stile assai diverso, agile, accattivante, graf-fante, ben documentato e ispirato a una visione ecocentrica, o di "biocentrismo debole", è il li-bro di Antonio Cianciullo, giornalista assai at-tento ai problemi ambientali. Con una sottile e amara ironia di fondo, vengono prese in esame le molteplici posizioni riduttive e improprie del-l'ecologia che la subordinano di volta in volta a interessi economici, politici o religiosi. In parti-colare sono analizzati in modo preciso ed

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SETTEMBRE 1992 - N. 8, PAG. 7

Ancora conquistadores

di Domenico Losurdo

SERGE LATOUCHE,

L'occidentalizza-zione del mondo. Saggio sul significa-to, la portata e i limiti dell'uniforma-zione planetaria, Bollati Boringhieri, Torino 1992, ed. orig. 1989, trad. dal francese di Alfredo Salsano, pp. 159, Lit 20.000.

Nel corso della guerra del Golfo, i proclami che annunciavano solenne-mente l'instaurazione del "Nuovo Ordine Internazionale", coi pieni poteri assunti dal "governo mondia-le", si sono alternati e intrecciati ad accorati appelli a schierarsi senza esi-tazioni "a fianco dell'Europa e del-l'Occidente" (così, ad esempio in un manifesto, firmato in Italia, da per-sonalità e intellettuali come Randol-fo Pacciardi, Salvatore Valitutti, Do-menico Fisichella ecc.). E il pathos dell'Occidente che si erge a interpre-te privilegiato o unico dell'universa-lità e della Civiltà è il tratto caratteri-stico non solo della belle epoque colo-nialista ma della storia dell'Europa (e degli Usa) nel suo complesso: è que-sto il punto di partenza di un libro, pubblicato prima della crociata anti-irakena, ma la cui lettura risulta tan-to più stimolante in un momentan-to in cui il trionfo militare e politico del-l'Occidente sembra aver prodotto un'ebbrezza, anzi una vera e propria ubriacatura etnocentrica che mal sopporta voci critiche o autocritiche.

L'analisi di Latouche è impietosa. La marcia trionfale dell'Occidente è scandita dal genocidio e dall'etnoci-dio: "Le società tradizionali allergi-che ai valori dei bianchi sono pura-mente e semplicepura-mente eliminate mediante sterminio o deperimento 'naturale'". Le tecniche consolatorie tradizionalmente messe in atto per garantire ai vincitori la buona co-scienza vengono efficacemente smontate dal libro che stiamo esami-nando. Nonostante le sue pretese universalistiche, l'Occidente non ha affatto superato l'etnocentrismo e spesso dimentica che i suoi "rituali di violenza e di sterminio... sono al-meno altrettanto ignobili che quelli dei 'selvaggi', dal momento che le torture e i genocidi attuali superano per la barbarie la festa cannibalica degli indiani tupinamba o i sacrifici umani degli aztechi, e persino gli au-todafé degli eretici del passato". La barbarie dei paesi e dei popoli messi a ferro e fuoco è l'argomento costan-te a cui si sono richiamati i conqui-statori che si ergono oggi a campioni della lotta contro il "dispotismo" co-me ieri, ai tempi di Colombo, contro l"'antropofagia". Ma leggiamo La-touche: "All'origine delle carnefici-ne deliranti del Terzo Mondo che spaventano i focolari e ci conferma-no nella persuasione della barbarie dell'Altro, si trovano le frustrazioni create dall'Occidente.

Gli esempi sono innumerevoli: la pacifica Cambogia precipitata in un genocidio inaudito in seguito all'in-tervento americano, l'Iran privato della sua rivoluzione borghese di Mossadegh da un intervento anglo-americano, fino al terrorismo cieco dei rapimenti, atti di pirateria, prese di ostaggi, provocato dall'incubo del Medio Oriente". Sì, il fondamentali-smo islamico, che è il nome nuovo che oggi si ama dare alla barbarie, è anche la risposta alia prepotenza del-l'Occidente. E agli esempi addotti dal libro altri se ne potrebbero ag-giungere, desumendoli dagli avveni-menti successivi: chi ha armato e gonfiato Saddam Hussein poi stiliz-zato a incarnazione suprema della Barbarie e del Male? E Io smembra-mento e i massacri che insanguinano la ex Jugoslavia sono veramente pen-sabili senza la rivalità di quelle gran-di potenze che ora si apprestano a

in-tervenire in nome al tempo stesso del Nuovo Ordine Internazionale e del-l'Occidente?

La molla dell'insaziabile espansio-ne di quest'ultimo è da individuare soprattutto nel suo "dinamismo cul-turale". Rinviare alle caratteristiche economiche e politiche dell'imperia-lismo sembra inadeguato o fuorvian-te a Latouche, il quale pure riconosce che "l'orgia sanguinaria dei conqui-stadores, X'auri sacra fames degli av-venturieri, fenomeni mai veramente

scomparsi, [sono] ancora presenti nella rapacità delle imprese transna-zionali, nella violenza dei mercenari o negli abusi degli esperti". Ma non sarebbe questo l'essenziale. Non solo viene respinta la spiegazione cara alla linea di pensiero che da Marx condu-ce a Lenin, ma il marxismo è conside-rato corresponsabile del processo di deculturazione del Terzo Mondo. In tale quadro viene collocata anche la vicenda storica dell'Unione Sovieti-ca: "Qui lo sradicamento è stato pia-nificato. La deculturazione program-mata per tutti i piani quinquennali. L'Occidente non ha colonizzato né saccheggiato, né distrutto le creden-ze, le consuetudini, i costumi, le ope-re. Che importa! I sovietici saranno i loro propri conquistadores. Le chiese e i conventi saranno rasi al suolo, i villaggi bruciati, le popolazioni de-portate, i contadini, cioè il popolo, sterminati e sostituiti da uomini nuo-vi senza radici, senza legami con il suolo, il paesaggio, la natura, \'am-biente".

Allora l'autore-guida nella

denun-cia dell'Occidente come inesorabile "macchina tecno-economica" è Hei-degger, ripetutamente citato: la cosa ben si comprende se si riflette sul fat-to che le parole chiave, da me già evi-denziate col corsivo, sono "sradica-mento", "credenze", "consuetudi-ni", "costumi", "radici", "suolo". Una volta messi in ombra i suoi con-tenuti economici e politici, il secola-re processo di espansione delle gran-di potenze europee finisce con l'ap-parire come l'espressione di una im-personale e planetaria volontà di dominio che, assieme alla natura e al-l'ambiente (altre due parole chiave della denuncia di Latouche), travol-ge, appiattisce e omologa le culture e i popoli che incontra nel suo

cammi-no, e tutto ciò in nome di una "prete-sa di univer"prete-salità" così onnivora da sfociare nell'etnocidio e nel genoci-dio. E "l'avanzata del deserto": a questo punto, risulta obbligato l'in-contro col filosofo di Messkirch. Sin-golare destino il suo: dopo aver pro-ceduto negli anni trenta ad una cele-brazione esaltata dell'Occidente e dell'"uomo occidentale", in con-trapposizione agii "ottentotti" o ai "negri", dopo aver spiegato o giusti-ficato, nel periodo immediatamente successivo al crollo della Germania, il suo incontro col Terzo Reich col suo senso di "responsabilità occiden-tale", oggi Heidegger assurge a filo-sofo della differenza e quindi a criti-co implacabile dell'eurocentrismo!

Ma di questo paradosso non è re-sponsabile Latouche, il quale intanto non è affatto isolato e per di più sti-mola ad approfondire un capitolo cruciale della storia del nostro tem-po. La parabola di Heidegger prende le mosse dallo smascheramento del-l'ideologia dell'Intesa che ha giustifi-cato e celebrato la prima guerra

mon-diale come una crociata mirante al trionfo della causa universale della democrazia e della pace, previa liqui-dazione del covo dei nuovi barbari, ovvero dei "discendenti degli Unni e dei Vandali", individuato e denun-ciato nella Germania. In modo abba-stanza trasparente, l'interventismo democratico dell'Intesa si rivela il continuatore e l'erede dell'interven-tismo civilizzatore, cioè dell'ideolo-gia che ha accompagnato e promosso l'espansione coloniale dell'Occiden-te. E tale ideologia della guerra che oggi celebra i suoi trionfi. Basti pen-sare a due recenti interviste di Pop-per che, in nome di quella che defini-sce la Pax civilitatis, chiama a nuove guerre contro i barbari, esprimendo

persino il rammarico che le ex colo-nie siano state private "troppo in fretta e troppo semplicisticamente" della tutela dell'Occidente, col risul-tato, nella migliore delle ipotesi, di "abbandonare a se stesso un asilo in-fantile".

Latouche si era ben reso conto del-l'emergere di tendenze di questo ge-nere già qualche anno fa, e nel suo li-bro osserva come "molti nostalgici del colonialismo", rallegrandosi del-le difficoltà e degli insuccessi dei paesi del Terzo Mondo, "denuncia-no l'abbando"denuncia-no del suo fardello da parte dell'uomo bianco e vedono in essi la giustificazione dell'ordine co-loniale, ovvero la necessità, nell'inte-resse stesso dei poveri indigeni, di un ritorno in forze". Data la contiguità tra interventismo democratico e in-terventismo civilizzatore e data al-tresì la permanente vitalità di tale ideologia, si comprende che la de-nuncia dell'occidentalizzazione del mondo faccia riferimento ad autori tedeschi che, anche se hanno fatto loro stessi ricorso al pathos

dell'Oc-cidente e della sua funzione civilizza-trice per quanto riguarda il rapporto del loro paese, celebrato come "cen-tro" e "cuore" dell'Europa, con l'Est europeo e i popoli coloniali, per un altro verso sono stati costante-mente impegnati nella polemica con-tro l'interventismo democratico del-l'Intesa e dei nemici della Germania. In tale contesto non può non svolge-re un ruolo privilegiato la filosofia di Heidegger il quale, sia pure con ac-centi via via diversi, nel corso della sua tormentata evoluzione, deco-struisce l'ideologia universalistica in quanto sinonimo di omologazione e massificazione, o, peggio, in quanto strumento di guerra e di dominio a li-vello planetario e persino nel rappor-to tra uomo e natura.

Ma per sfuggire all'infausta ideo-logia dell'interventismo democratico e civilizzatore che tanti massacri ha provocato e continua a provocare, bisogna abbandonare al suo destino il Terzo Mondo, e con esso, la cate-goria di universalità? Il libro che stia-mo esaminando sembra talvolta in-cline a tale soluzione. Che però è illu-soria: sia pure scandita da disugua-glianze mostruose e crescenti, l'unificazione dei mondo è in larga parte già avvenuta, anche a livello economico, e i paesi colonizzati e pauperizzati dall'Occidente possono sperare di uscire dal tunnel in cui so-no stati cacciati solo attraverso una modifica a loro favore dei termini di scambio. D'altro canto, nonostante, il "monopolio" occidentale e soprat-tutto statunitense del "mercato del-l'informazione", giustamente messo in evidenza da Latouche, emerge sempre più chiaramente il ruolo che il prezzo del petrolio e il controllo delle fonti energetiche hanno giocato nella guerra del Golfo. Il dramma è che, nell'attuale quadro internazio-nale, non sembra esserci spazio per quella modifica dei rapporti di scam-bio e di potere che sola potrebbe metter fine alla morte per inedia di milioni di persone.

Sul piano più strettamente filoso-fico, ci si può chiedere se è corretto leggere, sulla scia di Heidegger, in chiave tout court universalistica, l'i-deologia che ha accompagnato e ac-compagna 1"'occidentalizzazione del mondo". In realtà, il suo tratto sa-liente è la configurazione dell'Altro come il barbaro, il sotto-uomo o il non-uomo, il rifiuto quindi della con-cezione universale dell'uomo. E al di qua di tale concezione universale del-l'uomo resta anche chi si ostina a par-lare del Terzo Mondo come di un "asilo infantile". Non amava Ki-pling definire i popoli coloniali "me-tà diavoli e me"me-tà bambini"? Certo, il disconoscimento dell'Altro può an-che fare appello a presunti valori uni-versali, ma in che cosa può consistere la loro critica se non nella chiarifica-zione del carattere arbitrario del pro-cedimento che trasfigura in termini di universalità un contenuto partico-lare e spesso vizioso? Non è possibile mettere in discussione un'ideologia pseudo-universalistica senza far ri-corso ad una meta-universalità, cioè ad un'universalità più ricca e più ve-ra nella misuve-ra in cui è capace di rico-noscere e rispettare le differenze. In questo senso la critica dell'occidenta-lizzazione del mondo non può fare a meno delle categorie (i diritti del-l'uomo in quanto tale, inteso cioè nella sua universalità), alla cui co-struzione l'Occidente ha dato un contributo decisivo. Ed è questo, in ultima analisi, il punto di vista dello stesso Latouche, anche se non si può non condividere con lui la preoccu-pazione che tale riconoscimento fini-sca col rafforzare la falsa coscienza di paesi che pure si sono macchiati di genocidio e etnocidio e che tuttora sono ben lontani dal voler mettere in discussione nei fatti, sul piano cultu-rale, politico e militare, il loro tradi-zionale atteggiamento di arroganza etnocentrica.

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brato tre diversi ordini di problemi. Il primo è quello delle "guerre in nome dell'ambiente", di cui la guerra del Golfo costituisce l'esempio più drammatico, occultato dai media e affrontato in modo inacjeguato dagli stessi movimenti verdi. Il secondo è il conflitto con le ' 'teocrazie verdi "sul problema della "bomba demografica", sintetiz-zabile nell'affermazione che "chi si oppone a una politica di controllo demografico si assume gravissime responsabilità per le sofferenze in atto e per quelle che verranno". Infine, nel capitolo conclusivo, l'autore discute, parafrasando un fa-moso testo di Umberto Eco, il conflitto tra "eco-terroristi e integrati", di grande rilevanza per le future prospettive politiche dei movimenti ecolo-gisti. Sgombrato il campo dalla "caricatura che dell'ecologia profonda viene presentata in Ita-lia", Cianciullo applica in modo originale la classica distinzione tra libertà negative (libertà da) e libertà positive (libertà di) per mettere in evidenza come ['"approccio precauzionale" (che Jonas chiama "principio responsabilità ") richie-da oggi di riconoscere esplicitamente, sulla scorta tra l'altro di una saggezza millenaria patrimonio di tutte le culture, che "nella natura esìstono più cose utili di quante appaiono" e di conseguenza dobbiamo astenerci da scelte che stanno avendo effetti devastanti irreversibili, sino al punto dì far saltare il sistema immunitario dell'intero piane-ta.

Ma l'ecologia è una "strana scienza", tanto che in margine alla Conferenza di Rio appena conclusa si è svolta un 'aspra querelle tra scien-ziati, destinata a proseguire in altre sedi. Per ten-tare di chiarire i termini della questione è di gran-de utilità, per la chiarezza, l'ampiezza e la pro-fondità di vedute che lo contraddistinguono, il

contributo di Edward Goldsmìth nel volume da lui stesso curato che raccoglie gli atti di un conve-gno sull'"ipotesi Gaia" formulata da fames Lq-velock all'inizio degli anni sessanta. Intervenen-do su Alcune implicazioni per l'ecologia

teore-tica di tale ipotesi, Goldsmith traccia una breve analisi storico-critica dell'ecologia che sintetizza col termine di "perversione ". Negli ultimi qua-rantanni "l'ecologia... è stata pervertita... nel-l'interesse di renderla accettabile «//'establish-ment scientifico, ai politici e agli industriali che la finanziano". E di conseguenza è stato abban-donato il paradigma "olistico" dell'ecologia dei sistemi per una concezione riduzionista e mecca-nicista della natura. Questa è la ragione della scarsa considerazione per la tesi di Gaia da parte dei moderni ecologi. Eppure proprio questa ipo-tesi offre oggi non solo una base filosofica, ma molteplici spunti scientifici per meglio compren-dere l'organizzazione gerarchica, il mutualismo, la stabilità e l'evoluzione della natura.

Altri autori discutono le implicazioni filosofi-che, epistemologifilosofi-che, cosmologifilosofi-che, sociologi-che dell'ipotesi di Gaia, nonché i meccanismi scientifici dei processi di autoregolazione e di in-terazione omeostatica. In particolare, Jacques Grinevald ricostruisce la storia dell'idea di bio-sfera e Lynn Margulis quella della formulazione dell'ipotesi di Gaia da parte di Lovelock, nata dall'osservazione dell'anomalia della composi-zione dell'atmosfera terrestre rispetto a quella de-gli altri pianeti del nostro sistema solare. Proprio questa osservazione cqstituisce, tra l'altro, la ba-se per una delle argomentazioni prudenziali a so-stegno della necessità di porre fine alla trasforma-zione della compositrasforma-zione chimica dell'atmosfera attualmente in atto attraverso la crescita soprat-tutto dei gas di serra.

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