to per non fare 1'"ammucchiata", di cui parla Chiaromonte?
La seconda e ultima osservazione si riferisce all'espressione che uso a proposito delle mafie italiane: per il mio interlocutore, "la mafia è cosa ben diversa dalle altre forme di de-linquenza organizzata nel Mezzo-giorno".
attive nell'Ottocento sia che hanno alcune caratteristiche fondanti (co-me il consenso sociale, i legami con la politica) simili a Cosa Nostra. Que-sto non significa che si tratti di asso-ciazioni in tutto simili ed equiparabi-li ma sono persuaso che anche per 'ndrangheta calabrese e camorra na-poletana non si può parlare
semplice-gliatti si potesse dare una lettura opposta: perché, dalla prospettiva di oggi, privilegiare il Togliatti
"liberale", il Togliatti che nel 1954, scrivendo a Donini, esorta a una vasta battaglia culturale in nome di un marxismo nutrito dalla linfa del pen-siero nazionale e contemporaneo, e non piutto-sto il Togliatti che irride Elio Vittorini e tiene in nessun conto le scienze umane, dalla sociologia alla psicoanalisi? La nave comunista, insomma, si è disincagliata dalle secche dell'ortodossia gra-zie o malgrado la guida del Migliore?
E proprio questa vocazione alla tattica che spiega la lunga incubazione dell'Istituto Gramsci e le occasioni perdute di cui si rammarica l'autri-ce; un primo convegno gramsciano progettato tra il '51 e il '52 salta perché troppo ambizioso; avrebbe dovuto infatti glorificare la linea del Pei pur presentandosi come iniziativa di ecumeni-smo culturale. Lo stesso accade con un convegno su Labriola. E così che la Fondazione si trasfor-ma, nel marzo 1954, in Istituto. Ma la prima uscita pubblica si avrà solo col convegno gram-sciano del '58, e perfino allora qualche studioso preferirà non intervenire per tema di strumenta-lizzazioni. Durante tutti quegli anni il Gramsci non riesce a staccarsi dalla formula della scuola di partito: sia pure, sotto la direzione di Natta, un 'ottima scuola divisa in quattro settori (storia, arti lettere filosofia, economia, scienze) e che di riforma della scuola si occupa attivamente: in special modo con la rivista omonima che nasce proprio allora, novembre 1955, direttori Lucio Lombardo Radice e Mario Spinella. E proprio il pragmatismo, per paradosso, a difettare a un par-tito realistico come il Pei. Il peccato capitale è la profonda ignoranza dell'economia, a cominciare dai dirigenti. Ma soprattutto, ciò che accomuna l'Istituto e la Commissione culturale è una man-canza di concretezza che rende assai facile, a let-tura conclusa, confondere, tanto sono vaghi, i programmi culturali, poniamo, del '52 con quel-li di dieci anni dopo. Ed è un peccato che
l'autri-ce non abbia riportato in appendil'autri-ce gli interventi di Calvino ed altri alla riunione della Commis-sione culturale del 24 luglio 1956. Calvino af-fronta alla radice il problema: i giovani, afferma, preferiscono organizzarsi fuori degli organismi di partito, adagiati nella ripetizione di parole d'or-dine e preoccupati solo di troncare e sopire e re-staurare l'ortodossia, mentre intomo scoppiano le rivolte di Poznan e Budapest e la destalinizza-zione. In questione è l'utilità stessa degli organi-smi culturali, e Calvino chiede appunto le dimis-sioni di Carlo Salinari e Mario Alicata. Così, scrive l'autrice, "nella vita dell'Istituto vi fu co-me una divaricazione: da un lato gli approfondi-menti storici sui tempi lunghi e sui grandi temi della storia contemporanea..., e assieme a questi la riflessione teorica e filosofica; dall'altro lato, un'attività più connessa a necessità politiche e a esigenze di chiarimento del Pei". Questa sintesi spiega un po' tutto, e dà conto dei pregi e dei di-fetti dellibro. Essi hanno la stessa origine, cioè la
sua esaustività documentaria e il crisma di "sto-ria ufficiale", priva però di quell'odore di eresia che aleggiava intomo a Paolo Spriano. E del re-sto, fonti che avrebbero potuto vivacizzare il rac-conto (Spriano, Bocca, Nello Ajello) sono ado-perate solo in nota per chiarire retroscena cui il libro dovrebbe dare più che un accenno. Come microstoria di un ecosistema politico chiuso il li-bro va benissimo: ma quando si ripensa a quegli anni, ci si accorge che esso non restituisce il ferro, il fuoco e il brullo grigiore dell'Italia di Sceiba e di Missiroli, la fisionomia degli interlocutori e dei nemici di quel Pei.
Togliatti e gli intellettuali non infrange dun-que, per difetto di sintesi, la barriera del libro per addetti ai lavori. D'altra parte quando si parla di politica e cultura ci sì accorge che le sintesi si tro-vano sempre nei libri di saggisti (Dieci inverni di Fortini, Politica e cultura di Bobbio, Passione e ideologia di Pasolini, Una pietra sopra di Calvi-no) che giungono sempre a conclusioni, implicite o esplicite, assai amare per il lavoro culturale svolto nelle strutture di partito.
mente al mondo politico e istituzio-nale, non è un canale di mobilità sociale importante, non gode di dif-fuso consenso in certi strati della po-polazione. Sono questi elementi a fa-re delle associazioni mafiose nemici terribili e tutt'affatto diversi dalla comune delinquenza organizzata, con la quale pure hanno rapporti e a volte alleanze.
Chiaromonte fa altre due osserva-zioni che vale la pena ricordare. La prima è una critica dell' ' ' ammucchia-ta" che, a suo dire, ci sarebbe nel-l'antologia tra mafia, massoneria e servizi segreti.
Ma anche qui trasecolo: ho ripor-tato nei mio libro alcuni documenti che si riferiscono al caso Sindona do-ve è evidente, e non negata da nessu-no, la presenza della mafia siciliana e l'ho fatto perché quell'affare mi sem-bra esemplare AéNintreccio oggettivo che si è creato in Italia negli anni set-tanta e otset-tanta tra associazioni ma-fiose, pezzi del partito cattolico e di altri partiti, massoneria e servizi se-greti. Avrei dovuto non tenerne
con-Qui mi sembra che Chiaromonte non tenga in nessun conto i progressi degli studi storici in corso sulla ca-morra napoletana e sulla 'ndrangheta calabrese (penso ai lavori di Marcella Marmo e di Enzo Ciconte, tra gli al-tri) che dimostrano sia il fatto che l'una e l'altra associazione sono già
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mente di delinquenza organizzata. Mi resterebbero molte cose da di-re ma mi fermo qui sperando di avedi-re occasione di discutere in maniera di-stesa con Chiaromonte il merito dei problemi che lui da politico, io da studioso stiamo affrontando da tem-po.
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