Psicodinamica della relazione oggettuale con la divinità
Rocco Filipponeri Pergola15
Abstract
L‟idea di fondo è che l‟imago della divinità, la rappresentazione di questo particolare “oggetto” di relazione, a livello intrapsichico, sia espressione dei contenuti costituenti la matrice identitaria e quindi condensato delle relazioni oggettuali con le figure di accudimento primario, come anche di tutte quelle “infomazioni” trasmesse attraverso le generazioni, espressione del transculturale e del transpersonale. Anzalizzando il rapporto che intercorre nel profondo fra il soggetto e le sue rappresentazioni di Dio, si potrà notare, sotto il profilo clinico e in modo “laico”, come non possa esser sottovalutato il senso profondo di un Dio personale inteso come struttura psichica; pertanto, ignorando la trasformazione, l‟uso e la funzione delle rappresentazioni del divino nel corso del ciclo vitale, comporterebbe una sottrazione di informazione relative agli sviluppi psichici della persona, che invece, se considerati correttamente, sarebbero un valido aiuto nel processo sia analitico, che psicodiagnostico e psicoterapeutico.
Parole chiave: rappresentazione della divinità, vissuto religioso, matrice identitaria, psicoanalisi della religione, ciclo vitale
Psychodynamics of object relationship with the deity
Abstract
The basic idea is that the imago of the deity, the representation of this particular “object” of the report, on intrapsychic level, is an expression of content constituting the identity matrix
15 Rocco Filipponeri Pergola, Psicoterapeuta, Analista Individuale e di Gruppo (COIRAG), presidente dell‟Associazione di Psicoanalisi della Relazione Educativa (APRE), docente di Psicologia dello
and then condensed relations object with the primary caregivers, as well as all those “informations” transmitted through the generations, the expression of cross-cultural and transpersonal. Analyzing the relationship between the subject and deep in his representations of God, you will see, in the clinical profile and to “lay”, as it can not be underestimated the deep meaning of a personal God is understood as a psychic structure, so , ignoring the processing, use and function of the representations of the divine in the life cycle, would result in a subtraction of information about developments of psychic person, however, if properly considered, would be a great help in the process and analytical, which psychodiagnostic and psychotherapy.
Keywords: religious experience, matrix identity, psychoanalysis of religion, life cycle
Le rappresentazioni personali della divinità, a livello intrapsichico, possono essere considerate espressione dei contenuti costituenti la matrice identitaria e quindi condensato delle relazioni oggettuali con le figure di accudimento primario, come anche di tutte quelle “in-formazioni” trasmesse attraverso le generazioni, espressione del transculturale e del transpersonale (Pergola, 2011). Intendo proporre alcune considerazioni circa la formazione, l‟evoluzione e la funzione della rappresentazione di “Dio” a livello psicodinamico. Non mi riferirò chiaramente a Dio nel suo statuto ontologico e teologico, come le diverse religioni lo presentano, ma al “Dio” personale, privato, vivente nel mondo interno di ciascun individuo: inteso perciò come elemento oggettuale psichico, le cui caratteristiche rappresentazionali, nel bambino come nell‟adulto, influenzano anche il senso di sé e sono espressione, a loro volta, di quelle formazioni che configurano la personalità individuale, in cui pertanto possono essere condensati, oltre alle relazioni oggettuali, anche i contenuti trasmessi a livello transgenerazionale, che configurano la personalità individuale strutturandola fin da quando si è Io-feto nel grande utero del contesto socio-culturale in cui ci è generati (ibidem).
Muovendomi nell‟alveo della teoria psicoanalitica delle relazioni oggettuali, dopo un paragrafo circa l‟epigenesi della rappresentazione di Dio, rendo conto del suo processo di evoluzione dalla nascita fino all‟adolescenza; successivamente propongo delle ipotesi, clinicamente avvalorate, riguardo al suo uso per l‟economia psichica; termino con dei consigli per gli educatori e operatori della salute mentale, precisando che, ovviamente, il presente contributo ha il solo intento di contribuire all‟apertura di finestre di riflessione, punti di vista, dibattiti critici e non ha certo la pretesa di esaurire in poche righe l‟argomento.
1. Significato e formazione della rappresentazione di Dio.
La rappresentazione di Dio come “oggetto psichico” è da intendersi non come una riproduzione, più o meno fedele, di un personaggio così come proposto dalla società: ma la risultante, sempre dinamica e fluida, in equilibrio instabile, dell‟interazione del mondo intrapsichico individuale con la realtà esterna. Come condensato delle relazioni oggettuali primarie, tale rappresentazione si mostrerà profondamente intrecciata con ciascuno stadio evolutivo dall‟infanzia all‟adolescenza.
1.1. La rappresentazione di Dio costituita come uno speciale “oggetto transizionale”
La psicoanalisi ha dimostrato che ogni rappresentazione oggettuale si è costituita a partire dalle relazioni oggettuali primarie e quindi anzitutto dalla rappresentazione materna e poi da quella paterna. Dopo i primi sei-otto mesi, a determinate condizioni di cui in seguito, il bambino definisce uno spazio posto tra se stesso e la madre, tra l‟Io e il non-Io, nel quale il soggetto si accorge, per quanto confusamente all‟inizio, che esiste una realtà esteriore a lui, corrispondente al suo
bisogno: è lo “spazio transizionale”16, in cui l‟uomo scopre tutta l‟importanza degli oggetti della propria vita e trova un significato per se stesso; è qui che può essere collocato il sorgere della rappresentazione di Dio.
In questo senso “ l ‟ ”oggetto-Dio” può essere considerato come un particolare tipo di “oggetto transizionale”: tuttavia, rispetto agli altri oggetti transizionali basati su materiali concreti, «è creato a partire dal materiale rappresentazionale le cui fonti sono le rappresentazioni degli oggetti primari» (Rizzuto, 1979, p. 179). Inoltre, si badi bene, che gli autori a cui mi rifaccio (Winnicott, 1971; Rizzuto,
1979) nel considerare l‟”oggetto-Dio” similarmente ad un “oggetto transizionale”, non intendono certo affermare che Dio sia una specie di “orsetto di peluche” ingigantito, similmente al “padre innalzato” dell‟illusione freudiana; piuttosto, con tale espressione, ci si riferisce solo al processo psichico attraverso cui una certa rappresentazione di Dio si è formata e viene usata dal soggetto, seguendo un processo analogo a quello della formazione degli oggetti transizionali dell‟infanzia. Il primo assunto è quindi che la rappresentazione di Dio, “creata” dal bambino per dare consistenza al Dio invisibile proposto dagli adulti, viene modellata secondo le stesse leggi psichiche che regolano la trasformazione delle rappresentazioni degli oggetti primari.
Per quanto esposto, indipendentemente dal tipo di “Dio” che la religione della famiglia e la cultura offrono all‟individuo in crescita, il processo psicodinamico della formazione della propria personale rappresentazione divina come strumento psichico per concepire un Dio esistente, «farà del Dio personale di ciascuno una 16 Gli oggetti transizionali sono importanti appunto perché attraverso di essi il bambino impara a gestire e tollerare il distacco: ad es. l‟”orsetto di peluche” o la “copertina” rendono presente la madre assente, permettendo la ricreazione di quel clima di fiducia, accoglienza e benessere legato alla presenza rispecchiante della madre. Se questo è possibile è perché l‟oggetto transizionale ha un profondo carattere simbolico: fa da ponte tra mondo interno e mondo esterno, tra la fantasia onnipotente di controllare ogni cosa e la disillusione connessa con la percezione realistica del sé e dell‟ambiente. «Non è l‟oggetto, naturalmente, che è transizionale: l‟oggetto rappresenta la transizione di un bambino da uno stato di essere fuso con la madre ad uno stato di essere in rapporto con la madre
realtà tanto particolare e idiosincratica quanto le commutazioni e permutazioni che il soggetto ha effettuato tra le sue rappresentazioni parentali, il Dio della sua confessione religiosa e se stesso» (Rizzuto, 1979, p. 216).
In questa prospettiva, rimane valida l‟intuizione freudiana secondo la quale le imago genitoriali e le corrispondenti rappresentazioni di sé, molte delle quali vengono rimosse quando si struttura in maniera stabile e consapevole tale rappresentazione, costituiscono il serbatoio essenziale di esperienze e memorie cui l‟individuo ricorrerà nel corso della sua vita. Tuttavia rispetto a Freud, valuteremo diversamente l‟importanza della funzione dell‟”oggetto-interno-Dio” per l‟economia psichica.
1.2. Epigenesi della rappresentazione di Dio dall’infanzia all’adolescenza
All‟inizio “Dio” non è immediatamente evidente ai sensi e nasce perciò dall‟esperienza individuale di altri oggetti: non solo del padre (come supponeva Freud) ma anche e primariamente della madre, e successivamente dei nonni, dei fratelli, dell‟unità familiare nel senso più ampio, della classe sociale a cui si appartiene, della religione e di altre particolari sottoculture organizzate. «Tutte queste esperienze contribuiscono a creare uno sfondo per la forma, l‟importanza, l‟uso potenziale, ed il significato che il bambino o l‟adulto possono attribuire alla loro rappresentazione di Dio» (Rizzuto, 1979, p. 322). Di seguito, in estrema sintesi, ripercorro le tappe di tale processo: tale esposizione è completata nel terzo paragrafo, in cui evidenzierò altri punti salienti nel contesto dei consigli per gli educatori.
1.2.1. Dalla nascita fino ai primi sei mesi
Il raggiungimento della speranza rappresenta il compito principale di questo periodo, fondamento delle tappe successive e di tutto lo sviluppo umano. Il senso di fiducia e di sicurezza hanno un doppio significato: uno riguarda il rapporto con
gli altri - aver fiducia in loro - e il secondo è rivolto al bambino - sentirsi degno di fiducia - (Erikson, 1963, pp. 231-234). Sarà essenziale che la personalità si strutturi secondo tali caratteristiche che vanno sotto il nome di “fiducia di base”, affinché si possa, successivamente, vivere un‟esperienza di “fede” religiosa.
La rappresentazione di Dio trarrà dalle esperienze del mondo interno ed esterno di questo periodo i caratteri della funzione di specchio. Il soggetto in futuro (cioè quando “nascerà” nella sua psiche la rappresentazione di Dio) vivrà l‟oggetto-Dio come ciò da cui si sente sostenuto, nutrito e accudito se ci saranno state determinate caratteristiche nella relazione oggettuale con la madre17. Diversamente, l‟insufficienza o inadeguatezza di certe cure primarie condurrà in seguito ad una rappresentazione di Dio che non permette di avere fede: se, ad esempio, il soggetto sente fame e avverte che nessuno si prende cura di lui, avrà una rappresentazione di un Dio da cui non si sente sostenuto.
Un altro aspetto importante di questo periodo riguarda il fatto che la strutturazione della personalità e il nucleo profondo dell‟identità umana, si costituiscono nel bisogno di riconoscimento attraverso il rispecchiamento. In uno sviluppo sano l‟Io, rivolgendosi al futuro particolare oggetto transizionale che è Dio, potrà dirgli: “Mi vedo nel tuo volto: mi crei nella tua immagine”. Diversamente il soggetto che ha sperimentato un oggetto materno per vari versi negativo in questa fase del “rispecchiamento”, in futuro potrà dire all‟oggetto transizionale Dio: “Non riesco a vedermi: tu non mi stai creando” (Rizzuto, 1979, p. 318).
17 Perciò è determinante che la madre abbia le seguenti caratteristiche: sia avvolgente, coerente, costante; sia in grado di fornire al neonato un appoggio esclusivo e totale per il soddisfacimento dei suoi molteplici bisogni; sappia far sperimentare al neonato una profonda sensazione di essere accolto, riconosciuto e amato incondizionatamente; abbia la capacità di mettersi al posto del bambino e di sapere di quali cure ha bisogno, per evitare al bambino l‟enorme angoscia tipica di questo stadio; possegga una buona capacità di rêverie (Bion, 1963, p. 52): una capacità cioè di accogliere e di contenere le sensazioni angoscianti del bambino, per poi restituirgliele bonificate, riparate, più sopportabili.
1.2.2. Dal 6°al 24° mese
Il compito di sviluppo, in questa seconda fase, è costituito da un‟autonomia, possibile solo a certe condizioni: il bambino può essere solo, solo in presenza della madre (Winnicott, 1965, pp. 29-39); può, cioè, sperimentare e conoscere il mondo solo in una situazione protetta affettivamente, sviluppando autocontrollo, senza perdere autostima, solo “sotto lo sguardo” di una madre affettivamente presente. È in questo periodo che ha inizio il processo relativo agli oggetti transizionali18. Qui, ad esempio, affonda le sue radici il sentimento religioso, ad esempio, di chi sente che la propria vita si dispiega “sotto lo sguardo protettivo di Dio”.
Man mano che si consolida il senso di sé come essere unico e separato, sorge il bisogno di scoprirsi oggetto di valore, desiderabile e degno di ammirazione per un altro. Il bambino necessita che gli si dimostri e gli venga detto che è meraviglioso, qualcosa da ammirare. In ciò credo sia poi ravvisabile anche la successiva esperienza delle braccia paterne di Dio che accolgono e giustificano, di un Assoluto che ci vuole così come siamo.
1.2.3. Dai 3 ai 5 anni
Nell‟arco di questi anni si svolge il ben noto processo chiamato “complesso edipico” (Freud, 1912-1913). In questi anni il bambino si pone coscientemente la domanda sulle proprie origini, con la dolorosa considerazione delle motivazioni dei genitori: “Mi hanno voluto davvero? O sono stato un incidente? Gli sono di peso? Vogliono liberarsi di me? Gli do fastidio?”. Le religioni hanno risposto a queste domande, tra le più dolorose, indicando gli dei/Dio come un ulteriore co- creatore di ogni persona, sostenendo che l‟esistenza individuale non proviene solo dalla volontà dei propri genitori, giacché Dio/gli dei vogliono ciascuno in vita. 18 Il contatto visivo nel contesto della nutrizione è la prima indicazione di quella capacità esclusivamente umana che è la simbolizzazione. Nell‟esperienza misteriosa e incomunicabile del contatto visivo, due esseri umani rispondono l‟uno all‟altro superando i limiti del soddisfacimento del bisogno: attraverso gli occhi dell‟altro essi entrano nell‟area del gioco e dello spazio transizionale
Proponendo così l‟essere divino come Genitore/i esaltato/i e più potente/i, le religioni creano lo spazio per una varietà infinita di soluzioni, o di blocchi, anche nel campo religioso, del conflitto edipico: fatto evidente che l‟esistenza del fanciullo è il risultato dell‟azione dei genitori e di Dio (Rizzuto, 2002, p. 193).
La rappresentazione di Dio è costituita dall‟esaltazione desessualizzata dell‟imago genitoriale, che quindi, idealizzata, è trasformata in un “protettore divino”: l‟oggetto transizionale Dio è vissuto come meraviglioso, come l‟Onnipotente. Il soggetto si rivolge al suo oggetto transizionale Dio dicendogli: “Tu sei amore. Tu mi ami” e riterrà che “Dio è grande”, che “Dio è costruttore di miracoli” (Rizzuto, 1979, p. 318).
Ai fini del nostro discorso è rilevante anche, in tale periodo della vita, il rapporto fantasticato con un “compagno immaginario”. Le funzioni svolte da tale personaggio che popola la fantasia del soggetto, in dipendenza dai bisogni particolari del bambino, sono: capro espiatorio per i suoi impulsi negativi, proiezione personificata del comportamento cattivo del bambino, conferma e prolungamento del senso di controllo onnipotente da parte del bambino. Nelle fantasie sia con il compagno immaginario che con i mostri, il bambino, esercitando il controllo magico e quindi utilizzando il proprio potere, ottiene un arricchimento narcisistico; come sottolinea Bettelheim, i mostri (quali per esempio quelli delle fiabe) aiutano il bambino a conoscere, padroneggiare e dimenticare «il mostro che sente o teme di essere» (Bettelheim 1976, p. 120). Insieme a tali personaggi, e «nel contesto di intensi desideri, preoccupazioni, fantasie e timori anali, fallici e vaginali, arriva Dio» (Rizzuto, 1979, p. 299).
In definitiva, riguardo a questa fase, è importante ritenere che «nessun bambino del mondo occidentale, cresciuto in circostanze normali, completa il ciclo edipico senza elaborare una rappresentazione di Dio almeno rudimentale, che può utilizzare o non utilizzare per credervi. Il resto del processo vitale di sviluppo può lasciare tale rappresentazione intatta, mentre l‟individuo continua a rivedere le
rappresentazioni dei genitori e di sé nel corso del ciclo vitale» (Rizzuto, 1979, p. 310). Se tale rappresentazione non si evolve tenendo il passo con la modificata rappresentazione di sé, diventa asincrona, ridicola o irrilevante, oppure, al contrario, minacciosa o pericolosa. Questi saranno i casi dei soggetti a cui accennerò più avanti, annoverandovi anche – alla nota 7 – il caso dell‟ateismo di Freud.
1.2.4. Tra i 6 agli 11 anni
Per il fanciullo in questa fase aumenta l‟elaborazione delle credenze religiose; tutti i gruppi religiosi iniziano infatti a quest‟età l‟istruzione religiosa formale, offrendo al fanciullo la possibilità di sentire e riflettere consapevolmente su Dio e sul suo operato. L‟istruzione religiosa facilita gli spostamenti e le proiezioni dai genitori a Dio e viceversa, offrendo così al giovane catecumeno modi alternativi per gestire i tumulti emotivi della fase finale della crisi edipica.
Secondo Vergote (1967, pp. 295-297) è rilevante inoltre il fatto che permane, soprattutto nei maschi e fino ai 9 anni, la credenza magica nei segni e nei riti: si riscontra cioè un ritualismo magico-religioso, essendo i segni simbolici e, fra tutti, i sacramenti cristiano-cattolici, ottimi bersagli per la mentalità magica.
Il bambino a quest‟età concepisce Dio come il creatore di tutto ciò che popola l‟universo; inoltre il mondo assume un significato drammatico universale: Dio rappresenta la potenza del bene, in lotta con il demonio, suo antagonista. Da qui in poi il fanciullo dovrà confrontarsi non solo con i suoi genitori ma anche con l‟essere divino, che impone i suoi comandamenti e le sue richieste, ma offre anche consolazione e compagnia. Viceversa la percezione di tale oggetto come distruttivo, come “colui che non risparmia”, condurrà ad un rifiuto dello stesso: è come se l‟Io gli dicesse: “Non ho bisogno di te. Ho trovato protezione altrove”. 1.2.5. Nell‟adolescenza
Il compito evolutivo che la persona deve svolgere, secondo uno sviluppo ideale, in questo che è uno dei più cruciali periodi della sua vita, richiede una rielaborazione della relazione con le imago parentali internalizzate: anche la rappresentazione di Dio sarà rivista e trasformata, non solo come risultato della trasformazione delle imago parentali ma anche attraverso un processo di valutazione emotivo ed intellettivo che porta a decidere se Dio merita di ricevere la fede e l‟impegno di una relazione personale oppure di essere rifiutato.
L‟atteggiamento religioso dell‟adolescente s‟incentra sulla perfezione del soggetto, ponendo Dio al servizio dell‟attuazione del proprio Io-ideale. Le preoccupazioni morali degli adolescenti oltrepassano evidentemente i loro sentimenti di colpevolezza; l‟adolescente si qualifica addirittura per l‟insorgenza d‟un atteggiamento etico ben specifico, fortemente segnato dalla preoccupazione d‟attuare l‟ideale dell‟Io morale. In questo stadio la religione, inoltre, può apparire all‟adolescente, «l‟emblema supremo e il fondamento ultimo della dipendenza, per il semplice fatto che ogni autorità e tutta la morale vi si riferiscono» (Vergote, 1967, p. 302). La tendenza dell‟adolescente ad affermare la propria autonomia può assumere allora la forma ribelle d‟un ripudio d‟autorità e costituire così una componente dei dubbi religiosi.
Per l‟adolescente che crede, Dio è l‟essere puro e perfetto: ma la perfezione che egli scopre è soltanto in realtà il semplice riflesso dell‟immagine reale che inconsciamente si fa di se stesso. «L‟idealizzazione deriva dal narcisismo: si traspone sull‟altro la perfezione che si desidera per sé, così da riceverla di rimbalzo da un modello al quale ci si compiace di identificarsi, o da una comparte ideale con cui è possibile avviare un dialogo elevato […]. Dio diventa l‟Assoluto dell‟Io […] l‟amico perfetto e universale […] il Dio-Padre provvidente» (Vergote, 1967, pp. 302-303)19.
19 Tuttavia nel mondo contemporaneo si constata che gli adolescenti risentono pesantemente della presenza della figura materna e dell‟assenza della figura paterna. Ne consegue che il loro modo di
In genere la rappresentazione di Dio nella prima adolescenza si costituisce anche in base ad un‟imago genitoriale idealizzata. Dio è vissuto come “il creatore di tutte le cose”, come “colui che è amato e che ama”. Il Dio personale dell‟adolescente è soprattutto il padre provvidente che veglia su di lui nelle sue difficoltà materiali e morali. L‟adolescente si mostra particolarmente sensibile all‟amicizia di Dio, che risponde alla sofferenza della solitudine affettiva. Dio è visto come l‟essere puro e perfetto (Deconcy, 1964, p. 286). Pertanto il rapporto con l‟oggetto-Dio è stigmatizzabile, nella prima adolescenza, con l‟espressione: “Mi trovo in un universo sconfinato. Sono me stesso: ho un mio mondo interno”. Nell‟adolescenza avanzata: “Troverò uno spazio per me nel mondo. Troverò e darò amore” (Rizzuto, 1979, p. 319).
Nell‟adolescenza avanzata, Dio è “l‟essere meraviglioso, l‟Onnipotente, il costruttore di miracoli”. All‟adolescente che ha tale rappresentazione “non piace che permetta il male, il dolore e la sofferenza”. Per chi invece ha avuto un‟altra linea di sviluppo, Dio apparirà come ingiusto, come colui che permette il male. Questo tipo di adolescente dirà a tale oggetto-Dio: “Mi soffochi; non ho bisogno di te. Ho me stesso. Ho trovato l‟amore e mi basta; pensavo che tu fossi onnipotente. Ma hai sbagliato”.
1.3. La rappresentazione di Dio come un oggetto interno “vivente”.
Ciò che si può evincere da quanto esposto è il fatto che alla formazione della rappresentazione di Dio vi concorrono, in un‟interazione dinamica, le relazioni con gli oggetti primari, la situazione edipica e il genere sessuale a partire dalla quale la si vive, le caratteristiche personali dei genitori e le modalità rapportarsi con Dio rifletterà tutte le caratteristiche tipiche del registro materno, tra cui: la prevalenza del principio di piacere, la passività, l‟assenza di un sano spirito critico, la relazione fusionale e narcisistica che fatica a riconoscere l‟altro e la tendenza, tipicamente infantile, di sperimentare tutto senza scegliere nulla, per cui si passa indifferentemente da un oggetto d‟amore all‟altro, purché gratificante e funzionale alle proprie esigenze immediate.
dell‟interazione reale tra questi e il bambino, l‟esperienza di eventuali fratelli, l‟ambiente socio-culturale, ed anche circostanze specifiche ed individuali che possono accompagnare il momento in cui la rappresentazione si forma. In tal senso mi sembra condivisibile, per certi versi, quanto scriveva Jones nel suo Psicologia della religione: «La vita religiosa rappresenta una drammatizzazione a livello cosmico delle emozioni, delle paure e dei desideri che hanno origine dal rapporto del bambino con i suoi genitori» (1926, p. 71).
La rappresentazione di Dio, radicata com‟è nelle esperienze del bambino con i propri genitori e con se stesso, acquisisce man mano tutta la ricchezza di cui è dotata al vita20. Riguardo a ciò occorre considerare che la rappresentazione di Dio non sfugge alle normali vicissitudini di qualsiasi altro oggetto: cosicché, mescolati ai desideri, troviamo i sentimenti ambivalenti e al desiderio di intimità con Dio si unisce il desiderio di evitarlo; la ricerca di amore, approvazione e guida si alterna con chiassose e ribelli manifestazioni di rifiuto, di dubbio, di dipendenza e d‟indipendenza; l‟orgoglio di servire lealmente Dio è in contrasto con dubbi dolorosi sulla propria indegnità; vergogna, prostrazione, colpa, desiderio di nascondersi, oppure le loro controparti, sentimenti di orgoglio, di benessere, di bontà e di gioia per essere in presenza di Dio, sono tipici sentimenti religiosi che dipendono direttamente dallo scambio continuo fra l‟individuo e il suo Dio. Nei riguardi dell‟oggetto rappresentazionale Dio pertanto si possono rilevare sentimenti che vanno dall‟infantile vergogna narcisistica di essere ritenuti inadeguati, fino alla colpa nei confronti dell‟oggetto per essere stati ritenuti sconsiderati e sleali nei confronti di un oggetto buono, vale a dire sentimenti di preoccupazione per l‟oggetto.
20 In questo senso è da intendersi anche il titolo del testo più significativo della Rizzuto La nascita del
Dio vivente rispetto al quale l‟autrice così si esprime: «Una volta formatasi una rappresentazione di
Dio, ad essa vengono attribuite tutte le potenzialità psichiche di una persona vivente, della quale, tuttavia, si ha esperienza soltanto nell‟intimità dei propri processi consci ed inconsci» (Rizzuto, 1979, p. 141).
A questo punto è interessante far rilevare il fatto che, mentre gli altri oggetti transizionali sono sottoposti a progressiva decatessi e poi dimenticati o relegati nel limbo psichico, Dio viene investito da una catessi crescente durante gli anni pregenitali, e ancor più nell‟esperienza edipica. Inoltre va tenuto presente, al riguardo dell‟intero arco evolutivo, che il senso di Sé del bambino e dell‟adulto subisce l‟influsso dei tratti che caratterizzano la rappresentazione del Dio privato dell‟individuo. «A livello conscio, preconscio o inconscio, Dio, nostra creazione personale, proprio come un‟opera d‟arte, un dipinto, una melodia, riflettendo ciò che noi abbiamo fatto, influenzerà il nostro senso di sé […]. Questa nostra creatura può assumere tante forme quante sono le vicissitudini che possono presentarsi nella vita umana» (Rizzuto, 1979, p. 276). Tali affermazioni, frutto di annali osservazioni cliniche, vengono chiarite dalle considerazioni che seguono.
2. Evoluzione ed uso della rappresentazione di Dio
La rappresentazione di Dio ha un suo ruolo dinamico-strutturale nell‟economia psichica: sempre attenti a distinguere il piano teologico-spirituale, dalla trattazione della rappresentazione di Dio come oggetto-intrapsichico, rimane innegabile la sua funzione dinamica, da considerarsi quantomeno alla stregua del valore, ad esempio, che la psicoanalisi ha da sempre attribuito ai processi di simbolizzazione della produzione artistica e culturale.
2.1. Rapporto tra la rappresentazione di Dio e le figure genitoriali
Dalle risultanze cliniche e psicodiagnostiche (Rizzuto, 1979) ne è emerso che gli oggetti originariamente costituenti un punto di riferimento per la formazione della rappresentazione di Dio possono, attraverso manovre difensive, passare ad una qualsiasi delle seguenti posizioni in rapporto con l‟oggetto interno Dio:
- diretta continuità fra l‟uno e l‟altro, in modo tale che in caso di necessità l‟uno può sostituire l‟altro con angoscia minima;
- contrasto diretto fra l‟uno e l‟altro, per cui sono antagonistici oppure ai poli estremi della gamma delle rappresentazioni: Dio dà mentre i genitori frustrano, oppure i genitori sono idealizzati mentre Dio è considerato un oggetto da evitarsi;
- combinazione delle due situazioni precedenti, in cui alcuni aspetti di Dio sono in linea con i genitori, mentre altri sono in contrasto.
Ciò che desidererei mettere in evidenza in questo paragrafo è che Dio, in quanto rappresentazione oggettuale transizionale, viene usato dal bambino per modulare le inevitabili carenze dei genitori, anche se questa modulazione implica lo spostamento della rabbia21 e del terrore su tale rappresentazione, oppure la scoperta di un Dio che ha da offrire più amore e di qualità migliore rispetto ad un banale genitore edipico. Questo Dio può essere o non essere il Dio ufficiale della religione del bambino: ma rimane un compagno personale, che magari talvolta si sente dire che non esiste. Ciò appartiene alla sfera più privata dell‟esperienza 21 La Rizzuto, psicoanalista didatta di Boston, trae le sue osservazioni, oltre che dall‟osservazione dello sviluppo in individui sani, dal trattamento di molti casi di pazienti con serie psicopatologie. Tra gli altri riporta dei casi da lei seguiti presso un ospedale psichiatrico, mettendo a punto, come tecnica psicodiagnostica, il “disegno di Dio”: ritenendolo proiettivo del condensato di gran parte del mondo interno soggettivo.
Interessante per il nostro argomento è il caso (Rizzuto, 1979, pp. 172-201) di un soggetto fortemente depresso, il quale, dichiaratosi “agnostico o, forse, non credente”, disegna Dio come “se stesso allo specchio”. Ora, tralasciando pur importanti altri particolari, in estrema sintesi si può ritenere il fatto che quest‟uomo percepiva sua madre come in grado di percepire gli altri fratelli ma non lui, capace di calore ed entusiasmo, ma incapace di vedere in lui qualcosa a cui rispondere offrendo delle “onorificenze”. La sua condizione di bambino malaticcio in una famiglia di persone sane e affer mate danneggiò la sua autostima facendogli avvertire un più intenso bisogno di essere ammirato dalla madre. Non riuscì a farsi vedere da sua madre come egli stesso si vedeva; i suoi sforzi per trovare un equilibrio narcisistico e per sentirsi in contatto personale con sua madre fallirono: «Dio gli fu utile per combatterlo [tale rifiuto costituente la ferita narcisistica], rinnegarlo, non credergli. Tuttavia la rappresentazione di Dio che il soggetto aveva era anche benevola e misericordiosa, e non c‟era alcun rischio per lui ad esprimere la propria rabbia contro Dio: pur sostenendo che Dio non esisteva, egli inconsciamente contava sul fatto che Dio avrebbe tollerato senza vendicarsi i suoi strepiti e lamenti contro di lui. La sua paura di credere era cagionata dal “terrore di ripetere” la condizione di narcisismo indifeso, il sentimento di umiliazione, ed anche la paura di riconoscere il bisogno della madre e delle sue cure. «Il soggetto così ha prevalentemente usato la propria rappresentazione di Dio quale oggetto su cui spostare la rabbia narcisistica provata nei confronti della madre: negando a Dio l‟esistenza, il rispetto e il diritto di essere preso sul serio. Questo spostamento, direi, ha permesso [al soggetto] di avere un‟esperienza meno dolorosa con sua madre e di mantenere i loro rapporti abbastanza buoni fino alla morte di lei» (Rizzuto, 1979, p. 174).
umana, in cui viviamo inevitabilmente l‟esperienza di essere soli (Rizzuto, 1979, p. 316).
L‟oggetto transizionale Dio si presta, in tal senso, ad assumere una rappresentazione estremamente individualizzata e anche gli altri cosiddetti interventi di Dio nella realtà della nostra vita (le sue risposte alle nostre preghiere, le sue punizioni, le sue indicazioni di quel che dovremmo fare) dipendono da come interpretiamo eventi e realtà in base al nostro stato di armonia, conflitto o ambivalenza nei confronti del Dio che possediamo (Rizzuto, 1979, p. 141).
2.2. Rapporto tra la rappresentazione di Dio e il senso di sé
Se fin qui è apparso chiaro che il rapporto dell‟individuo con Dio subisce delle oscillazioni insieme con il suo rapporto con entrambi i genitori, venendo pesantemente investito delle loro caratteristiche, occorre aggiungere che l‟oggetto transizionale Dio, in quanto creazione del bambino, possiede delle altre caratteristiche rispondenti ai propri bisogni nel suo rapporto con i genitori e nel mantenimento di un senso del proprio valore e di sicurezza.
In termini strutturali, in base alla seconda topica psicoanalitica freudiana (Freud, 1922), si potrebbe affermare che la rappresentazione di Dio oscilla tra la funzione di bersaglio per desideri libidici ed aggressivi (Es) e quella di offrire un controllo regolativo superegoico. A metà troviamo le esperienze egosintoniche di amore e sostegno da parte dell‟oggetto, che rafforzano il sentimento di essere un credente buono e leale, o un peccatore perdonato, cosa che, a sua volta, incrementa i sentimenti di benessere.
Accade non di rado che tale oggetto può diventare talmente incompatibile con l‟equilibrio psichico da non poter funzionare naturalmente come oggetto transizionale: perciò, accanto ad altri aspetti di sé divenuti consciamente intollerabili, dovrà inconsciamente essere rimossa. In tal caso comunque sarà da notare che tale rappresentazione di Dio abbandonata «conserverà le caratteristiche
che possedeva quando fu riposta nella scatola dei giochi che si trova nello spazio transizionale. Così se l‟individuo avverte un improvviso bisogno di essa in un momento regressivo (una morte o un rito di passaggio, potrà essere usata temporaneamente e quindi riposta nella sua scatola, essendo troppo anacronistica per rispondere alle esigenze quotidiane della rappresentazione di sé ormai evoluta e trasformata» (Rizzuto, 1979, p. 313).
Come già evidenziato, durante lo sviluppo ogni individuo produce una rappresentazione di Dio idiosincratica ed altamente personalizzata, che trae origine dai suoi rapporti oggettuali, dalle sue rappresentazioni di sé in sviluppo, e dal sistema di convinzioni del suo ambiente; c‟è da sottolineare che, una volta creata, non è più possibile fare sparire questa complessa rappresentazione: si può soltanto rimuoverla, trasformarla, usarla. Infatti «Dio, come rappresentazione oggettuale transizionale […] vive il proprio ciclo vitale […]: a volte rimane compagno per tutta la vita, altre volte […] si sente dire che non esiste o che sarebbe un sollievo se non esistesse […]. Viene abbracciato, maltrattato […] abbandonato con noncuranza dove capita […]. E lì rimane, offrendo silenziosamente la rassicurazione della sua presenza quasi impercettibile» (Rizzuto, 1979, p. 314). Il suo uso come fede o il suo rifiuto dipenderanno dall‟esperienza di sé dell‟individuo e dal suo rapporto con uno degli aspetti
potenzialmente utilizzabili di tale sfaccettata e pluristratificata rappresentazione22. Nel rapporto complesso e polivalente con l‟oggetto interno Dio, per proteggere l‟individuo dall‟angoscia e dal dolore, entrano in funzione delle difese: se gli oggetti significativi di tutti i giorni rappresentano una fonte di dolore, Dio può essere adoperato, attraverso complesse modificazioni della sua rappresentazione, per offrire conforto e speranza; se gli oggetti invece offrono accettazione e sostegno, Dio può essere usato per spostare l‟ambivalenza ed i sentimenti di
22 Sull‟ateismo di Freud Rizzuto ritiene che il fondatore della psicoanalisi non poteva che non credere date le fasi del suo sviluppo fino all‟adolescenza. Tra gli elementi salienti: una madre capace di preoccuparsi solo dei suoi bisogni fisici e narcisisticamente appiccicosa; un padre incapace di insegnargli ad essere uomo; ricordi della bambinaia (figura positiva di accudimento primaria) non disponibili fino al periodo della sua autoanalisi nell‟età adulta e la cui scomparsa (perché cacciata con l‟accusa di aver rubato) lascia in lui un‟indelebile timore di perdita; rappresentazione materna in cui collegava paura della morte e Dio (per un episodio qui troppo lungo da riportare); fase di “latenza” in cui già era considerato adulto e sostegno per la famiglia, con nessuno a fargli da padre o da madre. Il giovane Sigismund - questo era il nome di Freud prima che lo cambiasse in Sigmund proprio quasi a porre uno „stacco‟ con la sua infanzia - aveva l‟unica possibilità di accettare di essere solo, privo di protezione, di modelli, profondamente deluso, consolato dalla stoica possibilità di essere sufficiente a se stesso. «La sua mancanza di fede e il suo tono di sfida erano la misura […] della sua capacità di sublimazione: trasformare la profonda sofferenza del bambino e dell‟adolescente in una scienza nuova che apriva orizzonti inesplorati della mente umana. Dio era stato sostituito dalla ragione di Freud; l‟uomo privo di protezione aveva creato la propria auto-protezione» (Rizzuto, 1998, p. 222). Interessante poi l‟analisi della sua passione di grande collezionista di antichità egizie, greche ed etrusco-romane. Freud, lo scienziato che chiedeva agli uomini di crescere e di affrontare il mondo da soli, senza la gruccia infantile di un “padre-Dio innalzato”, era egli stesso incapace di farcela: bisogna cioè supporre che egli sublimasse tale presenza in una collezione di oggetti transizionali, adeguati alla sua età, sotto forma di collezione di antichità. Essi offrivano ciò che Dio offre ai credenti: l‟assicurazione di una presenza costante e la gioia del contatto emozionale sublimato con il padre (e/o la madre) che si desidera. Il collezionismo di arte antica di Freud era perciò, secondo Rizzuto, un‟attività compulsiva, motivata da emozioni profonde irresistibili e non riconosciute, emozioni mitigabili solo con la presenza degli oggetti (sempre allo stesso posto e molti sulla sua scrivania) e con
rabbia23, oppure come bersaglio di desideri libidici disturbanti e proibiti. Questo uso della rappresentazione di Dio per regolare e modulare l‟amore oggettuale e le connesse rappresentazioni di sé ha inizio durante l‟infanzia, continuando per tutta la vita, per rivelare le sue potenzialità più importanti al momento della morte, quando l‟individuo deve confrontarsi con le proprie definitive rappresentazioni di sé nel momento della separazione definitiva dal mondo degli oggetti amati e odiati.
Numerose varianti sono possibili. Le difese possono distorcere le rappresentazioni, se queste diventano disturbanti; la rappresentazione può essere rimodellata attraverso l‟idealizzazione, la rimozione, la regressione ad una rappresentazione precedente, la deformazione di un tratto precedentemente ben 23 Altro caso, estremamente emblematico, di cui rende conto la Rizzuto (1979, 230-268) è quello di una donna, madre di quattro figli, con un‟esperienza molto negativa riguardo alle cure genitoriali, soprattutto da parte di sua madre, che disegna Dio come “il sole”, ma che considera come suo “nemico perché non pensa molto a me”. La sua convinzione è che Dio vuole che lei non sia più se stessa, ma un‟altra persona: un Dio che, afferma: “Mi considera una persona ormai persa, perché non cambierò le mie idee per le sue”; e ancora: “Voglio pensare che mi punisca, perché ha abbondanti ragioni per punirmi; mi punirebbe per il mio modo di sentire”. Il fatto è che la paziente si percepisce cattiva: questa è una manovra difensiva, come già evidenziato, giacché così può ritenere che non riesce ad avere l‟amore di sua madre e di Dio proprio perché cattiva, lasciando così adito alla speranza che preserva la bontà dell‟oggetto, cioè di conservare l‟imago idealizzata di una madre che avrebbe potuto amarla e che aveva amore da offrire; scindendo e condensando sull‟oggetto transizionale Dio l‟aspetto cattivo per il rifiuto frustrante. La paziente sceglie perciò di credere che sua madre abbia amore per lei (conservando così per l‟oggetto frustrante della vita reale una connotazione di figura idealizzata) e che Dio non ne abbia. Questo uso diretto della rappresentazione di Dio serve a offrire la speranza di accettazione e di amore. Tale soggetto vedeva “Dio come nemico”, sentendo che per essere gradita a Dio doveva “essere un‟altra persona”: sentiva che Dio la odiava, e che l‟eternità sarebbe stata una vita in totale assenza di amore in presenza di un Dio che è capace di amare. Lei stessa e il Dio che ha elaborato a partire dalla sua situazione con la madre ed i genitori sono nemici, persone incompatibili: soltanto la morte definitiva, ovvero l‟assenza di un aldilà, potrebbe risolvere il suo problema. Sarebbe interessante applicare una simile chiave interpretativa a molti soggetti che non credono in un‟esistenza ultraterrena (penso a tanti intellettuali, ad esempio, che difensivamente usano la “razionalizzazione”, la “svalutazione” e il diniego” per simili ragioni psicologiche). Il fatto poi di rappresentare Dio come un sole è dovuto al fatto che il sole non è una persona il cui rifiuto possa causare disperazione, in quanto tale è una cosa neutra, splende ciecamente su tutti, buoni e cattivi; inoltre i raggi del sole producono l‟esperienza quasi simbiotica che supera la sua cattiveria: infatti il sole da calore senza che nessuno glielo chieda; in tal senso il sole è una trasformazione del desiderio infantile di una madre buona in grado di sostenere e in tal senso è adattivo; invece la connotazione difensiva di tale rappresentazione è dovuta al fatto che é basata sul diniego e compensazione dell‟esperienza negativa primaria.
determinato, o semplicemente, può essere rielaborata e filtrata attraverso esperienze passate e recenti, fino a realizzare una rappresentazione nuova e più egosintonica. Tutte queste manovre servono a conservare l‟equilibrio fra gli oggetti significativi del presente e le loro esigenze, il senso di sé di quel momento particolare e le rappresentazioni oggettuali del passato, compresa quella di Dio. Analoghe manovre difensive vengono applicate alla rappresentazione di sé quando, per una ragione qualsiasi, è più facile produrre una nuova versione di se stessi che modificare la rappresentazione di Dio.
2.3. In sintesi
Si può affermare che se «almeno la metà del materiale di cui è costituita la rappresentazione di Dio deriva dagli oggetti primari che il bambino ha trovato nella sua vita, l‟altra metà deriva invece dalla capacità del bambino di creare un Dio sulla base dei propri bisogni» (Rizzuto, 1979, p. 274). In una simile prospettiva epigenetica, «la rappresentazione di Dio è più delle fondamenta sulle quali è stata costruita» (Rizzuto, 1979, p. 81). Essa infatti riassume in sé le funzioni dell‟imago genitoriale di consolazione e di aiuto, e anche di paura e di guida, ma non si esaurisce in essa.
Da quanto fin qui esposto, tra l‟altro, si può trarre la conclusione che il tipo di rappresentazione di Dio, che il bambino ha elaborato come risultato della propria esperienza con i genitori, influenzerà il suo rapporto con loro e con la sua percezione di sé. Questo non perché la rappresentazione di Dio possa esercitare una qualsiasi influenza di per sé, ma perché il bambino usa attivamente tale propria rappresentazione e le trasformazioni che ha operato su di essa come elemento per sostenere il suo rapporto reale e fantasticato con i genitori e per conservare un minimo senso di relazionalità e di speranza. A volte questo risultato viene raggiunto più facilmente attraverso un totale rifiuto di Dio (come in alcuni
dei casi segnalati nelle precedenti note) altre volte l‟intimità con Dio offre una soluzione migliore (come per gran parte dei credenti).
Il punto aperto alla riflessione riguarda al possibile valore di un certo tipo di vissuto religioso: non più considerabile, dal punto di vista psicoanalitico, come un precipitato pulsionale e un residuo patologico, ma una risorsa prospettica per la strutturazione e ristrutturazione della personalità24. Sta di fatto, per ora, che gli studi clinici nell‟ambito della teoria psicoanalitica delle relazioni oggettuali, hanno mostrato come la rappresentazione di Dio si origina e si trasforma dinamicamente nel corso di tutto l‟arco evolutivo a servizio della vita psichica, nell‟ambito della dialettica tra rappresentazioni oggettuali primarie e rappresentazione del sé e, a sua volta, può essere in grado di influire sulla stessa rappresentazione di sé.
3. Consigli psicopedagogici
Cercherò ora di indicare alcuni atteggiamenti emotivi e comportamenti che le varie figure educative occorre attuino per favorire un sano sviluppo del soggetto in età evolutiva. Tuttavia quanto segue non si può praticare come seguendo “norme da manuale” se l‟educatore stesso non trova un spazio per l‟elaborazione dei propri vissuti personali, giacché nella relazione educativa con l‟altro vengono riattivati e “portati dentro” nodi conflittuali irrisolti: è la questione del “contro- transfert” che va supervisionato.
24 Pur con le dovute cautele, si noti che alcuni autori considerano importante valorizzare la “componente salvatrice della religione”: intendendola come esperienza simbolica che contribuisce alla maturazione della personalità, capace di conferire un senso di autocomprensione e di sicurezza più invulnerabile, aprendo il soggetto a delle mete più vaste per la realizzazione di sé. «La religione fornisce un‟analogia più illuminante degli scopi e dei processi della psicoterapia, di quanto lo possa essere qualsiasi altra scienza o sistema educativo [anzi,…] una arte non trascurabile della teoria psicodinamica è implicita, se non scientificamente formulata, nei concetti religiosi» (Guntrip, 1961, p. 243).
3.1. Consigli per i genitori
Più volte ho ribadito che la formazione ed evoluzione della rappresentazione di Dio avvengono a partire dall‟esperienza concreta delle relazioni oggettuali primarie, oltre che dalla religiosità dei propri genitori e dall‟ambiente, essendoci un collegamento vitale tra l‟esperienza relazionale e quella simbolica.
3.1.1. L‟importanza della cura materna per lo sviluppo della fiducia di base Come ho cercato di mostrare la “fede in” (Winnicott, 1971), la fiducia di base (Erikson, 1963) fondamentale per tutta la vita psichica, si sviluppa attraverso una serie di basilari esperienze di rapporti umani soddisfacenti. Winnicott, invitato in un convegno a parlare sull‟evangelizzazione in famiglia, si soffermò quasi esclusivamente a parlare della cura preverbale del neonato, cominciando ad illustrare l‟importanza del “come” il bambino viene tenuto in braccio, trasmettendogli, da parte della figura di accudimento, un senso di accoglienza incondizionata con il suo stesso corpo, il suo sorriso, il suo sguardo. Si rammenti che questa esperienza consente quello “spazio di riposo” necessario per la “creazione-investimento” degli oggetti transizionali.
Pertanto il genitore dovrà essere in grado, quando nutre il bambino, si prende cura di lui, gioca, parla con lui, di vederlo come egli è, restituendogli se stesso, rispecchiandolo e rispondendo ai suoi bisogni e ai suoi gesti spontanei (Winnicott, 1965). Una persona che vive nella prima fase della vita l‟esperienza di un volto materno comprensivo e devoto che riflette, come uno specchio, l‟amore e la compiacenza per il bambino, ad es. attraverso il contatto visivo quando lo nutre, potrà credere di sé: “Io sono grande, meraviglioso, buono”. Ciò sortisce i seguenti due effetti.
1) Il rispecchiamento, essendo reciproco, è come tale un gioco esaltante per ambedue: in esso vi si ripete l‟illusione del potere di attirare lo sguardo dell‟altro su di sé, si vivifica e conferma nel bambino la sensazione di ritrovare se stesso nello sguardo empatico dell‟altro. «Questa esperienza del bambino è basilare per
la costruzione del senso del proprio valore e può fondare l‟esperienza beatificante di «essere avvolto dallo sguardo di Dio» (Stickler, 2003, p. 134).
2) La percezione di essere riconosciuto, benvoluto, da parte del bambino, offre la possibilità di fidarsi di qualcun altro: ciò che, a sua volta, porta all‟apertura di uno spazio transizionale per la capacità dell‟individuo di relazionarsi, di creare, di credere, per dare significato alla propria vita; così il bambino è disponibile per un‟esperienza religiosa quando il rapporto con i genitori è talmente liberante da permettergli un‟esperienza simbolica, quando cioè nella presenza materna egli intuisce un atteggiamento di amore non possessivo e non fissante.
Altra caratteristica che dovrà avere una madre “sufficientemente buona” (Winnicott, 1965, 1971) consiste in un‟adeguata capacità di rêverie (Bion, 1963, p. 52): una capacità cioè di accogliere e di contenere le sensazioni angoscianti del bambino, per poi restituirgliele bonificate, “metabolizzate”, rese pertanto più sopportabili.
I soggetti che subiscono una profonda e persistente frustrazione nel loro rapporto diadico con gli oggetti primari, non avendo la possibilità di rilassarsi minimamente, come dice Winnicott, dando per scontati i genitori così da poter fantasticare un po‟, devono esercitare una stretta vigilanza sui loro genitori, che li rifiutano o incutono terrore; di conseguenza non impararono mai da usare la fantasia per adattarsi alla realtà. Ciò li ha privati di un proprio spazio per giocare e per creare oggetti transizionali nella fantasia e nella realtà.
Alcuni giovani adulti «avvertono quanto le loro difficoltà sul piano religioso sono da ricollegarsi ad un‟esperienza di rapporto frustrante con i genitori o con altre persone significative» (Stickler, 2003, p. 160). Ciò sarebbe riconducibile ad un carente senso d‟autonomia personale collegato ad un‟insufficiente elaborazione dei processi d‟identificazione infantili ed adolescenziali con le figure parentali o loro sostituti.
3.1.2. L‟importanza del registro paterno
L‟eventuale disagio di adolescenti e giovani in particolare, anche a livello di esperienza religiosa, è sì l‟eco dei danni subiti nei primi anni di vita relativamente alle “insufficientemente buone” cure materne, ma è anche causato dal fallimento del primo processo di separazione-individuazione, con il non accesso o superamento del conflitto edipico per un‟insufficiente figura paterna, a cui consegue impossibilità di accedere anche al secondo processo d‟identificazione- separazione (Pergola, 2009).
L‟obiettivo di un educatore dovrà essere quindi anche quello di favorire, sia sul piano psicosociale che religioso, l‟accesso a tutti quei valori che costituiscono il registro paterno25. In tal senso Vergote ritiene che «Freud abbia perfettamente ragione di vedere prefigurata la religione del Padre nel complesso di Edipo. Il complesso di Edipo dà gli schemi affettivi e mentali ne quali possono prendere origine questi rapporti religiosi col Padre. E le forme patologiche della religione possono essere comprese solo alla luce di una patologia della formazione edipica» (Vergote, 1967, p. 377).
Il simbolo paterno ha virtù strutturante e sanante: “modello” e “promessa” della piena umanizzazione dell‟individuo-figlio, aiutandolo a superare la fase di difficoltà connessa con la rottura della simbiosi con la madre26 (Vergote, 1967, pp. 25 In un articolo sui pericoli della “materializzazione” nel vissuto religioso, Castellazzi (2001, pp. 64- 65) rileva che il prevalere del registro paterno favorisce: il riconoscimento del principio di realtà, per cui il soddisfacimento dei desideri e dei bisogni è condizionato e dilazionato; la razionalità; il superamento dell‟illusione di onnipotenza e quindi la coscienza del limite proprio ed altrui; la socialità e quindi la capacità di confronto; il riconoscimento della legge e quindi la trasmissione dell‟etica; il senso del dovere e della responsabilità; l‟accettazione non conflittuale dell‟autorità; l‟abbandono dell‟illusione di unicità e accesso al pluralismo; la tolleranza del diverso; la progettualità e l‟apertura al nuovo; la disponibilità al cambiamento.
26 Tutto questo processo è faticoso: lenta è infatti, per il bambino, l‟uscita da un registro fantasmatico fusionale con la madre per scoprire la relazione nella diade Io-non-Io. «Nel conflitto edipico, per tal fine, la figura paterna si rivela nella sua autentica funzione: egli è al tempo stesso l‟autore della legge che proibisce, il modello al quale il figlio può identificarsi, il mallevadore che promette la felicità futura […]. Il principio del reale spezza l‟unione affettiva instaurando il rapporto con gli altri, ove il Dio Infinitamente-Diverso può fare la sua apparizione. Il padre è l‟istanza che introduce il principio del
192-195). Se la rappresentazione di Dio assume i connotati del “Infinitamente- Diverso”, con la sua apparizione spezza l‟unione affettiva, la fusionalità mortifera con l‟oggetto materno, aprendo l‟individuo al rapporto con gli altri. In tale possibile rappresentazione di Dio sarebbe condensata quella “legge del Padre” che, interiorizzata, conduce il soggetto a riconoscere in lui il modello di un‟esistenza libera e orientata verso l‟avvenire, divenendo se stesso, come essere separato ed autonomo (Vergote, 1967, p. 193)27. Chiaramente questo è solo uno degli esiti possibili dell‟evoluzione di tale rappresentazione e, inoltre, nel qual caso, ne costituirebbe solo un aspetto insieme alla stratificazione degli altri elementi che la rendono plurisfaccettata.
3.2. Consigli per gli insegnanti
Ai docenti soprattutto della scuola elementare, media e del biennio delle superiori è affidato un compito importante dato il già evidenziato valore del loro influsso. «Le risposte, positive o negative, dell‟insegnante ai normali dubbi dell‟età a riguardo dell‟esistenza di Dio possono essere cruciali per la futura istituisce con i due poli della costellazione familiare, il piccolo essere umano in fieri si struttura e si umanizza progressivamente» (Vergote, 1967, p. 208).
27 Per spiegare meglio questa osservazione, mi pare interessante l‟ermeneutica della Dolto (1971) che rileva come in ognuno degli eventi narrati nei Vangeli riguardo alle resurrezioni, il morto vive in una condizione di blocco del suo sviluppo cagionato da una non elaborazione sana del complesso d‟Edipo, tale da inficiare il felice superamento della seconda separazione-individuazione (quella appunto della fase adolescenziale).
Cosicché il giovane della vedova di Nain viene chiamato dalla virile “voce del Padre”, nella persona di Gesù, alla vita del desiderio; ma ciò avviene solo dopo che il giovane viene “castrato” dal desiderio, regressivamente incestuoso, tra la madre e lui: ossia solo dopo essere stato sottratto a lei come bambino, cioè dalla morte, e restituitogli come giovane, eretto, risorto al suo desiderio verso le fanciulle sue coetanee, comunque svincolato dalla relazione d‟amore esclusiva con la madre. Ugualmente nell‟episodio della figlia di Giairo Gesù, come incarnazione della “Legge del Padre” viene a separare una figlia dal suo “padre divoratore”. In tutti e due i casi c‟è un adolescente imbrigliato dalle fissazioni affettive necrotizzanti di genitori per i quali il possesso del proprio figlio è divenuto co - esistenziale in modo talmente patologico, che non ne ammettono più lo status di soggetto autonomo. Così pure la Dolto (1971) ravvisa nel richiamo “Lasciate che i fanciulli vengano a me” la voce del Padre che intende staccare i figli dai propri genitori per farli accedere alla completa separazione- individuazione.
posizione religiosa dello studente. Problematiche di giustizia e ingiustizia, lealtà e rispetto sono di somma importanza durante la scuola superiore, perché contribuiscono alla percezione di un universo e di un Dio giusto o ingiusto.
Il ruolo dei fattori cognitivi inerenti l‟apprendimento, ad esempio, di contenuti catechetici, filosofici o teologici, è comunque secondario rispetto ai fattori che strutturano gli atteggiamenti pre-religiosi di base. Nessuno stimolo religioso o indottrinamento potrà ottenere esito positivo senza le premesse strutturali (affettive e relazionali) di cui ho scritto poco sopra. Cosicché un‟educazione religiosa particolarmente intensa in una personalità segnata dall‟angoscia, nevrotica, insicura, scissa, unilaterale, priva di un supporto affettivo e di un sentimento di fiducia, di un senso di accettazione incondizionata, rischia di divenire non un fattore di liberazione e di umanizzazione ma un fattore di ulteriore blocco dello sviluppo, un atto di violenza che asserve e castra invece di promuovere alla vita e alla capacità di amare. A volte l‟educazione in genere e soprattutto quella religiosa, guarda alla sfera pulsionale con sospetto e diffidenza e induce il bambino fin da piccolo alla repressione dell‟aggressività, della sessualità, alla lotta contro se stesso, esaltando l‟assoluto dominio di sé e un comportamento in conformità a certi imperativi sociali.
3.3. Consigli per gli educatori che trasmettono valori religiosi È importante tener presente almeno quattro considerazioni.
1) Dubbi massicci, profonde riflessioni e meditazioni, esercizi spirituali, colloqui con pastori e persone religiose e letture di testi possono produrre un‟impressionante manifestazione di turbamento religioso, per lo sforzo dell‟individuo di misurarsi con una rappresentazione di Dio discordante con quella elaborata inconsciamente e coscientemente secondo il processo evolutivo di cui ho fatto cenno. L‟adolescenza, ad esempio, con le sue profonde trasformazioni corporee, il suo ampliato campo intellettivo e l‟impellenza delle sue esigenze di
intimità emozionale e sessuale, mette alla prova l‟elasticità della rappresentazione di Dio al massimo grado.
2) Attraverso la proposta dei valori religiosi è possibile favorire, per il soggetto, un percorso di riconciliazione con se stesso e con l‟altro «attraverso una differenziazione progressiva in cui la persona impara a riconoscere le proprie attese, i propri desideri e sentimenti e le possibilità dell‟altro di soddisfarli. Accettando l‟altro con le sue qualità e i suoi limiti, egli ridimensiona le proprie attese nei suoi confronti e, contemporaneamente, esplora le proprie capacità di autonomia e di rapporto gratuito» (Stickler, 1991, p. 48). Ciò sarebbe implicito nel processo di riconciliazione proposto dalla tradizione giudaico-cristiana, per esempio: il termine tedesco “Versohung” (ridiventare figlio) riassumerebbe bene questo processo di cambiamento della struttura psichica, in vista dei suoi legami relazionali. D‟altro canto l‟atteggiamento di rinuncia delle proprie pretese egocentriche, per quanto legittime, porta ad accettare l‟altro per quello che è e non come lo si vorrebbe, diventando, a volte, in qualche modo padre e madre per il proprio genitore. È l‟esperienza di quell‟atteggiamento di benevolenza gratuita attuabile nel momento in cui si riesce a rinunciare a trovarlo nell‟altro, per poterlo vivere da se stessi.
3) In alcuni autori di una corrente psicoanalitica chiamata “psicologia del Sé”, c‟è l‟affermarsi di una concezione del narcisismo come potenzialità positiva: nella misura in cui evolve a partire dalle sue forme primarie si trasforma, a contatto con un ambiente facilitante dal punto di vista relazionale e culturale, nelle sue forme
superiori (Kohut, 1985, p. 128)28. In tal senso mi sembra interessante la considerazione di Stickler riguardo al fatto che una guida saggia dal punto di vista psicologico e religioso saprà guidare la persona nel suo cercare appoggio in “oggetti-sé” presenti nella realtà simbolica religiosa, tra quelli più adatti al soggetto tali che da permettergli di realizzare ripetute “interiorizzazioni trasmutanti”29. «Nella misura in cui dei legami empatici e pertanto soddisfacenti a livello umano e religioso ricostruiscono gradatamente la fiducia nella personalità, potranno allentarsi le difese psichiche ed emergere i contenuti rimossi: tutte le esperienze negative subite con le conseguenti identificazioni negative; i bisogni e desideri sani, sacrificati per compiacere l‟altro (spesso il genitore idealizzato) e sopravvivere; i sensi di ribellione e di odio repressi per anni e il conseguente 28 Kohut, in vent‟anni di studio, ha maturato la convinzione che occorreva opporre al mito di Edipo-re,
l’uomo colpevole, un anti-Edipo attraverso il mito di Ulisse, eroe sano e pieno di energie e di saggezza, l’homo psychologicus. Le risorse sane del narcisismo possono contribuire a superare le tendenze
primarie, attraverso le trasformazioni della libido narcisistica. Kohut teorizza il semicerchio della
salute mentale paradigma che si applica alla capacità di un eroe o di un santo che, nelle difficoltà della
vita propria ed altrui, non soccombe né a minacce esterne, né a conflittualità interiori, ma che, in possesso di un solido Sé, si spinge ad azioni e comportamenti efficaci ed esemplari, sì da essere soggetto all‟ammirazione e all‟emulazione (Kohut, 1985, pp. 37-43). Nelle varie sue opere Kohut esemplifica i suoi costrutti teorici sul narcisismo additando personalità di eroi, di martiri della storia umana passata o contemporanea, figure della letteratura mondiale o della religione, per esplicitare che «una serie di acquisizioni dell‟Io che, sebbene geneticamente e dinamicamente connesse con le pulsioni narcisistiche e pur ricevendo energia da esse, sono molto lontane dalle strutture narcisistiche preformate della personalità e devono quindi essere valutate non soltanto come trasformazioni del narcisismo ma ancora come acquisizioni dell‟Io e come atteggiamenti e risultati della personalità». Stimolata da queste e simili sottolineature di Kohut, la Stickler, al VII Convegno Nazionale della Società Italiana di Psicologia della Religione, ha proposto lo studio di una personalità religiosa, Teresa di Lisieux, in cui si attua una “trasformazione del narcisismo”, molto significativa, come dimostrano anche i trattati più recenti di alcuni psicanalisti francesi. Particolarmente significativa al riguardo è l‟opera di Bellet Maurice, Thérèse et l’illusion, Paris, Desclée Brouwer, 1998.
29 Per interiorizzazione trasmutante Kohut intende un processo psichico di mutamenti interni della personalità, progressivamente sempre più maturi, acquisiti lentamente nella relazione con persone emotivamente significative (oggetti-sé). La differenza tra l‟identificazione e il processo di interiorizzazione trasmutante sta nel fatto che in quest‟ultimo viene interiorizzato non tanto l‟altro, quanto l‟esperienza relazionale che provoca una trasformazione: il diventare come l‟altro, ossia la funzione dell‟oggetto-sé viene trasmutata in una funzione del sé. Kohut, per spiegare tale processo, usa l‟analogia con il processo di metabolizzazione dei cibi: abbiamo bisogno di mangiare, per esempio, carne, per avere delle proteine che poi, scomposte, vengono ricomposte per i nostri fini costituendo parti del nostro fisico. Così, per il nostro organismo psichico «abbiamo bisogno di altri per diventare
tormento autodistruttivo della colpevolezza, trascinato come un fardello pesante che opprime» (Stickler, 1999, p. 61). Particolare risalto pertanto andrà dato al ruolo di “modelli religiosi” per la loro attrattiva identificatoria soprattutto per persone con ferite narcisistiche: tali modelli possono servire effettivamente da simboli o “oggetti-sé”. Cosicché, man mano che la persona sperimenta, prolungatamente in rapporti empatici, «atteggiamenti contrari a quelli distruttivi che hanno generato le ferite, come accettazione e approvazione mediante il rispecchiamento, può avviare il rischio dell‟incontro progressivo con se stessa nei suoi lati di ombra e di luce» (Stickler, 1999, p. 61). Il tentativo è di mettere in luce il valore di un particolare tipo di vissuto religioso nello sviluppo della disponibilità alla gratificazione e gratitudine e quindi della capacità di amare.
4) Da ultimo, in relazione alla sopra rilevata importanza del registro paterno, non basterà proclamare Dio come Padre, ma occorrerà aiutare adolescenti giovani viverlo in quest‟ottica. Ciò che favorisce una sana maturazione anche religiosa «non è solo la gratificazione, rappresentata dal registro materno, ma anche una sana esperienza della frustrazione, rappresentata dal registro paterno. In concreto, occorre adottare una pastorale più problematica ed esigente, rinunciando alla moda dilagante di presentare la realtà in maniera euforizzante e semplificatoria, individuabile nel ricorso sfrenato di luoghi comuni e di slogans» (Castellazzi, 2001, p. 81).
3.4. Consigli per gli psicologi
Alla consulenza psicologica e al processo di terapia a indirizzo psicodinamico dedico le seguenti ultime considerazioni che, tuttavia, a ben intenderle, si possono rivelare utili per gli educatori in genere.
Lo psicologo e/o psicoterapeuta ad orientamento psicodinamico, come oggetto transferale e reale, occupa il locus parentis, posizione che favorisce nel paziente il risveglio di quelle emozioni forti che sono collegate alla sua rappresentazione di
Dio. La regressione del paziente verso momenti affettivi intensi dell‟infanzia, ora [nel setting terapeutico] sperimentati in modo nuovo nella situazione di transfert, innesca un processo di trasformazione delle rappresentazioni del sé e dell‟oggetto primario che, nel contesto della risoluzione del transfert, modificano anche la rappresentazione di Dio» (Rizzuto, 2001, p. 27). Ciò può avvenire appunto per l‟interazione del soggetto con un “oggetto buono” (l‟analista, ma anche l‟educatore capace) che ascolti il Sé, lo rifletta e lo comprenda: «Se il paziente accetta di entrare in una relazione in cui è rispettato come individuo, nasce in lui un profondo senso di sicurezza di sé, di responsabilità, che a sua volta condiziona la sua possibilità di relazionarsi ad un altro come oggetto […]. Se consideriamo il perdono come un evento relazionale, c‟è bisogno di un oggetto che si relazioni al Sé più interno, dove nessun essere umano ha accesso. Una rappresentazione di Dio come oggetto capace di perdono […] è in grado di concedere il perdono necessario a crimini e colpe segrete. Ma questo Dio che perdona non può essere rappresentato dal soggetto prima dell‟esperienza effettiva di essere stati ascoltati da una persona “sufficientemente buona” e di aver sperimentato in tale processo il bisogno interiore di essere perdonati dalle colpe personali» (Rizzuto, 2002, p. 263)30.
Ora, se la relazione transferale nell‟ambito psicoterapeutico, vissuta a livello affettivamente intenso, media i processi di trasformazione, tale prassi può darsi anche nelle relazioni con altri oggetti “sufficientemente buoni” nella vita (tra cui gli educatori, siano essi genitori, insegnanti, sacerdoti, suore, catechisti laici), oltre che nella situazione clinica, ed è per questo che ho ritenuto funzionali queste osservazioni nel contesto nel presente paragrafo.
30 Sarebbe da approfondire la posizione di Jones J. W. (1991), discutibile a parere di molti, che nel suo scritto intitolato Transfert e trascendenza, presenta le implicazioni per lo studio psicoanalitico della religione introdotte dai nuovi modelli relazionali del transfert. L‟assunto di partenza è che i cambiamenti psicodinamici di un paziente nel corso dell‟analisi siano in relazione con i cambiamenti della sua esperienza religiosa: ossia si ipotizza che alcuni vissuti religiosi determinino mutamenti psicologici, così come, viceversa, i mutamenti psicologici si riflettono in trasformazioni delle relazioni