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Capitolo IV. Il grande teatro del pensiero creativo: Inscriptiones vel tituli theatri amplissimi..., (1565) di Samuel von Quiccheberg.

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Capitolo IV.

Il grande teatro del pensiero creativo: Inscriptiones vel tituli theatri amplissimi..., (1565) di Samuel von Quiccheberg.

(2)

Introduzione.

La concezione del museo-teatro come microcosmo del mondo.

È noto come la scoperta del Nuovo Mondo, i sempre più frequenti scambi commerciali con i paesi asiatici, la crescita delle attività economiche delle città, la diffusione del mercato artistico, siano stati tra le cause primarie delle profonde modifiche subite dal panorama culturale dell’età moderna. Di fronte alla caotica massa delle informazioni e delle conoscenze, gli intellettuali dell’epoca proposero molteplici innovativi modelli di pensiero e di classificazione, mirando a porre ordine nella congerie confusa del sapere. Gran parte di essi, però, era in realtà solo una rielaborazione dell’ordine architettonico tradizionale del sapere.

Tra questi modelli intellettuali “ri”- elaborati nella prima età moderna è opportuno citare, tra gli altri l’arte della memoria, la dottrina dei loci communes nel campo della dialettica e della retorica ed il cosiddetto “metodo” ramista nel campo della pedagogia. Tutti questi sistemi, soprattutto l’ultimo, miravano al raggiungimento di una chiave universale di accesso al sapere, ossia ad una “via breve” per la conoscenza universale. Di pari passo con questi movimenti teorici e metodologici, si verificarono lo sviluppo e l’affermazione del fenomeno del collezionismo eclettico1. Sovrani, principi, “virtuosi”, uomini di scienza, intellettuali e anche qualche ricco borghese si dedicarono a raccogliere e collezionare produzioni artistiche, reperti naturalistici ed oggetti inusitati e “meraviglie” in genere. Questo fenomeno comportò la nascita di spazi architettonici specifici adibiti alla loro collocazione ed esposizione, che si svilupparono poi nel corso dei secoli fino a divenire i moderni musei, mentre quasi contestualmente si vennero elaborando le teorie relative all’organizzazione e all’esposizione degli oggetti raccolti. Ritengo sia possibile evidenziare anche in questo caso una delle tensioni intellettuali dell’epoca, cioè il problema della classificazione e dell’acquisizione del sapere proiettato negli spazi fisici.

Le Inscriptiones vel tituli theatri amplissimi..., un trattato redatto da Samuel von Quiccheberg (1529-1567), medico e bibliografo della corte di Monaco, pubblicato nel 1565, può esser considerato il primo testo teorico nella storia dei musei (fig. 1)2. Il testo,

1

Sulla bibliografia del collezionismo enciclopedico dell’epoca si veda n.14 del primo capitolo.

2

Samuel von Quiccheberg, Inscriptiones vel tituli theatri amplisimi, complectentis rerum

universitatis singulas materias et imagines eximias, ut idem recte quoque dici posit:

Promptuarium artificiosarum miraculosarumque rerum, ac omnis, rari thesauri et pretiosae supellectis, structurae atque picturae, quae hic simul in theatro conquiri consuluntur, ut eorum frequenti inspectione tractationeque singularis aliqua rerum cognitio et prudentia

admiranda,cito,facile ac tuto comparari possit, Ex officina Adami Berg typographi, München,

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scritto sotto la forte influenza della cultura italiana del collezionismo e della mnemotecnica, è assai interessante per la nostra indagine. Il titolo stesso suggerisce eloquentemente il fertile sfondo culturale-intellettuale in cui va collocata questa prima teorizzazione museologica:

“Le iscrizioni oppure i titoli dell’amplissimo teatro, che contiene le singole materie e le eccellenti immagini delle cose dell’universo, cosicché si possa dire quel titolo anche rettamente: prontuario delle cose artificiali e meravigliose, di ogni raro tesoro e preziosa suppellettile, di strutture e di pitture, che vengono esaminati e raccolti insieme qui nel teatro, affinché, attraverso la loro ripetuta ispezione e il loro studio, si possa procurare in modo rapido, facile e sicuro qualche conoscenza delle singole cose e l’ammirevole saggezza.”

Si tratta dunque di un progetto di museo enciclopedico in forma di teatro, in cui si trovano oggetti e immagini dell’universo, la cui osservazione rende possibile l’acquisizione di conoscenze mirabili in modo “rapido, facile e sicuro” (cito, facile ac

tuto). Qui si trovano quasi tutti gli argomenti che abbiamo trattato nei capitoli

precedenti, cioè il tema della cognizione visiva, la classificazione della scienza e lo stretto rapporto tra gli spazi architettonici e le rappresentazioni del sapere.

Notevole interesse presenta, dal nostro punto di vista, il fatto che Quiccheberg abbia scelto la forma architettonica dell’anfiteatro come spazio per esibire gli oggetti raccolti. È da notare che il concetto di teatro assunse una grande importanza tra gli intellettuali cinque-seicenteschi, che provarono a redigere grandi compendi dello scibile. Ad esempio, Ulisse Aldrovandi chiamava la sua ingente collezione naturalistica “teatro della natura”3 e Girolamo Porro ha paragonato l’orto botanico di Padova, munito di sale per le raccolte naturalistiche e botteghe officinali, ad un “piccolo Theatro”, in cui venivano messe in scena “tutte le meraviglie della Natura”4. Nel mondo letterario vengono pubblicate numerose opere nei cui titoli compare il termine “teatro” come ad esempio: Teodor Zwinger, Theatrum vitae humanae (Basel, 1565), Abraham Ortelius,

Theatrum orbis terrarum (Anversa, 1570), Jean Bodin, Universae naturae theatrum

(Francoforte, 1597), Caspar Bauhin, Theatrum Anatomicum (Francoforte, 1605)5. Tutti

3

Cfr. S. Tugnoli Pattaro, Metodo e sistema delle scienze nel pensiero di Ulisse Aldrovandi, Clueb, Bologna, 1981, p. 21, n.9.

4

Girolamo Porro, L’Horto dei semplici di Padova, Venezia, 1591, p. 5r.

5

Sulla bibliografia delle opere cinquecentesche nei cui titoli compare il termine “teatro” si vedano R. Bernheimer, “Theatrum Mundi”, Art Bulletin 38 (1956), pp. 225-247, in particolare p. 230, n. 34; M. Costanzo, Il «gran theatro del mondo»: schede per lo studio dell’iconografia

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questi esempi riflettono in un certo modo il concetto di “teatro del mondo”, di cui abbiamo parlato a proposito del giardino di Del Riccio, che paragonava il mondo ad un teatro e la vita ad una scena.

Se il mondo fosse davvero concepito come un teatro, non bisognerebbe stupirsi del fatto che le collezioni enciclopediche dell’epoca abbiano assunto la forma di teatro, realizzando simbolicamente il “microcosmo” del mondo. A questo proposito, acquista particolare significato il progetto di Quiccheberg, che intendeva realizzare un edificio reale a forma di teatro invece di usare tale concetto solo metaforicamente. Considerando le caratteristiche dello spazio fisico ben ordinato del teatro classico, possiamo addirittura affermare che esso costituisce una struttura esemplare e ideale, che permette di raffigurare l’universo in modo ben scandito e gerarchico. Inscriptiones vel tituli

theatri amplissimi è dunque un testo talmente suggestivo da essere paragonabile ad

un’altra opera fondamentale sul teatro universale, l’Idea del theatro di Giulio Camillo (Firenze, 1550), che Quiccheberg stesso cita ben tre volte nel suo lavoro.

Proviamo dunque a chiarire l’esistenza, finora ignorata, di un rapporto produttivo tra la classificazione del sapere e la struttura spaziale del teatro. Tale rapporto permette di approfondire il tema della trasmissione delle informazione visive attraverso gli spazi tridimensionali e quello dell’applicazione della mnemotecnica all’architettura, sviluppando il tema dell’architettura “cinetica”. Se l’autore intendeva, come si diceva, agevolare il processo conoscitivo dell’apprendimento con l’organizzazione della collezione universale, non possiamo ritenere che anche il suo progetto del museo-teatro avesse qualche rapporto con la struttura mentale degli spettatori?

1. Vita e profilo intellettuale e Inscriptiones vel tituli theatri amplissimi di Quiccheberg

1.1. La vita di Samuel von Quicheberg.

Sulla vita di Samuel von Quiccheberg (fig. 2) si possiedono solo scarse notizie6.

6

Sulla biografia del Quiccheberg ho consultato principalmente H. Roth, “Einleitung”, in Id.,

Der Anfang der Museumslehre in Deutschland: das Traktat „Inscriptiones vel Tituli Theatri Amplissimi“ von Samuel Quiccheberg, Akademie, Berlin, 2000, pp. 1-25; M. Kahle, Zwischen Mnemotechnik und Sammlungstheorie. Eine Untersuchung zu Giulio Camillos L’idea del theatro und Samuel Quicchebergs Inscriptiones vel tituli theatri amplissimi, Schriftliche Arbeit zur

Erlangung des akademischen Grades Magister Artium am Seminar für Geistesgeschichte und Philosophie der Renaissance der philosophischen Fakultät der Ludwig-Maximilians-Universität

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Le principali informazioni biografiche vengono fornite dal suo amico e biografo Heinrich Pantaleon (1522-1595)7. Qualche altra notizia si trova negli scritti di Johann Heinrich Zedler8 ed Otto Hartig9.

Samuel von Quiccheberg nacque ad Anversa nel 1529 e continuò a definirsi “belga”; diciottenne si recò a studiare a Basilea dove seguì corsi di filosofia, medicina e bibliografia. Lì conobbe il giovane Theodor Zwinger (1533-88), enciclopedista e futuro autore del Theatrum vitae humanae (1565), raccolta di loci communes, che ebbe, come si vedrà, una certa influenza sulla composizione delle Inscriptiones vel tituli theatri

amplissimi. Sempre a Basilea è probabile che egli abbia visitato la cosiddetta

“Amerbach-Kabinett”, famosa collezione iniziata da Bonifacius Amerbach (1495-1562), erede di Erasmo da Rotterdam, che conteneva, oltre a medaglie ed a reperti d’antiquariato, una parte della biblioteca di Erasmo ed alcuni disegni di Albrecht Dürer e Hans Holbein10.

Nel 1550 il nome di Quiccheberg si trova accanto a quello di Hans-Jakob Fugger (1516-75) nel registro degli iscritti all’Università di Ingolstadt. Avendo ricevuto un sostegno per le spese scolastiche proprio dalla famiglia di questi ricchi banchieri tedeschi, si trasferì ad Augusta a lavorare al loro servizio come giureconsulto, bibliografo e curatore della loro collezione. In seguito, dopo aver servito Ludovico X di Landshut, dal 1559 entrò, probabilmente come medico di corte, al servizio di Alberto V (1528-79), duca di Baviera. Benché il silenzio delle fonti biografiche non ci permetta di stabilire con precisione se Quiccheberg si sia effettivamente addottorato in medicina, la sua incontestabile conoscenza medica gli consentì di scrivere un’opera intitolata

Tabulae medicinae (München, 1565)11. Egli esercitò alla corte di Monacoanche il ruolo

di bibliografo e di curatore della collezione del duca. Nell’organizzazione della biblioteca ducale collaborò col suo precedente patrono Hans-Jakob Fugger, entrato

München, München, 2005, pp. 41-45.

7

H. Pantaleon, Teutscher Nation Heldenbuch, Teil III, Basel, 1578.

8

J. H. Zedler, Grosses vollständiges Universal-Lexikon, Bd. 30, Akademische Druck-und Verlagsanstalt, Graz, 1961 (ristamapa della edizione del 1741), particolarmente pp. 250-251.

9

O. Hartig, „Der Arzt Samuel Quicchelberg, der erste Museologe Deutschlands, am Hofe Albrechts V. in München“, in L. Deubner (a cura di), Das Bayerland, 44, München, 1933, pp. 630 ss.

10

Sulla collezione dell’Amerbach si veda H. C. Ackermann, “The Basle Cabinets of Art and Curiosities in the Sixteenth and Seventeenth Centuries”, in O. Impey e A. MacGregor (a cura di),

The Origins of Museums: The Cabinet of Curiosities in Sixteenth and Seventeenth-Century Europe, Clarendon Press, Oxford, 1985, pp. 62-68; E. Landolt, Sammeln in der Renaissance. Das Amerbach-Kabinett. Beiträge zu Basilius Amerbach, Öffentiche Kunstsammlung,Basel, 1991.

11

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anche lui al servizio di Alberto V dopo aver fatto bancarotta12.

I duchi di Baviera della linea di Wittelsbach mantenevano da tempo un buon rapporto con i principi dell’Italia settentrionale e cercarono di diffondere nel loro paese la cultura rinascimentale. Ad esempio Guglielmo IV, padre di Alberto V, volle invitare architetti e scultori italiani per introdurre in Baviera il nuovo linguaggio artistico13. Immerso nel clima filo-italiano anche Quiccheberg compì viaggi in Italia. Secondo il biografo Pantaleon furono almeno due: uno, non databile, a Padova e l’altro, ben documentato, nel 156314. Durante quest’ultimo viaggio attraversò, forse come delegato ufficiale del duca, tutta l’Italia per acquistare reperti antichi ed opere d’arte e per visitare celebri collezioni contemporanee, tra cui la grande collezione naturalistica di Ulisse Aldrovandi. Rimase talmente impressionato dal “microcosmos naturae” aldrovandiano da esprimere il desiderio di rivederlo15. Se si considera inoltre il tradizionale rapporto di amicizia tra la corte bavarese e quella toscana, è molto probabile che Quiccheberg si sia recato a Firenze e dintorni a vedere le collezioni dei Medici16.

Quiccheberg ebbe forse anche occasione di vedere la collezione mineralogica di Michele Mercati (1541-1593) a Roma, quella anatomica di Gabriele Falloppia (1523-62) a Padova e quella botanica di Francesco Calzolari (1521-1600) a Verona, che avevano tutte forte attinenza con l’insegnamento della scienza medica. Che egli sia stato fortemente influenzato da queste collezioni italiane è certo. Quiccheberg consiglia, come mezzo per arricchire le raccolte di studiosi non particolarmente ricchi, la visita reciproca delle collezioni e lo scambio di oggetti17, abitudini ampiamente diffuse tra i

12

Cfr. M. A. Meadow, “Merchants and Marvels: Hans Jacob Fugger and the Origins of the Wunderkammer”, in P. Findlen e P. H. Smith (a cura di), Merchants & Marvels: Commerce,

Science, and Art in Early Modern Europe, Routledge, New York - London, 2002, pp. 182-200.

13

Cfr. G. Schöne, “Les fêtes de la Renaissance a la cour de Bavière”, in J. Jacquot (a cura di),

Le lieu théâtral a la Renaissance, Éditions du Centre National de la Recherche Scientifique,

Paris, 1964, pp. 171-183.

14

H. Pantaleon, Teutscher Nation Heldenbuch, cit., p. 560.

15

“Ulysis Aldrobandi Itali, cuius in his omnibus incredibili numero asseruandis, labor semper commendandas commendatusque mihi fuit fere adolescenti: donec in virili aetate, ipse eum museumque suum Bononiae visitarem:”, S. Quiccheberg, Inscriptiones vel tituli amplissimi

theatri, cit., sig. Eii.r.

16

Francesco I de’ Medici aveva frequenti contatti epistolari con la corte di Baveria. Cfr. L. Bolzoni, Il teatro della memoria: studi su Giulio Camillo, Liviana, Padova, 1984, p. 46. È noto inoltre che nel 1572 Cosimo I de’ Medici aveva mandato gli oggetti esotici alla corte di Monaco. Cfr. L. Seelig, “The Munich Kunstkammer, 1565-1807”, in O. Impey e A. MacGregor (a cura di), The Origins of Museums, cit., pp. 76-89, in particolare p. 83.

17

“ ... alii mediocris fortunae homines huius generis thesaurorum studiosi, noverint quae cum amicis possint commutare, quibusque rebus alio transmissis alios ad diversa remittendum possint invitare.”, S. Quiccheberg, Inscriptiones vel tituli amplissimi theatri, cit., sig. Dii.r.

(7)

collezionisti dell’epoca e prezioso espediente per ottenere informazioni scientifiche18. Al suo ritorno dall’Italia Quiccheberg comincia a dedicarsi alla redazione delle sue opere tra cui, oltre ai due testi soprammenzionati (Inscriptione e Tabulae medicinae), ricordiamo l’Apophthegmata19e lo Schema catechisticum20. Anche in Svizzera il medico belga ha contatti con molti intellettuali come, ad esempio, il naturalista e bibliografo Conrad Gesner e il medico e collezionista Felix Platter (1536-1614) che organizzò l’orto botanico e il primo teatro anatomico di Basilea.

Quiccheberg continuò ad occupare l’incarico di consulente della collezione ducale fino alla sua morte, nel 1567, al termine di una vita dedicata esclusivamente allo studio ed al collezionismo. Non si arricchì e fu seppellito a spese di duca Alberto V.

1.2. La composizione delle Inscriptiones vel tituli theatri amplissimi.

Basandosi sulle sue conoscenze di bibliografo, sull’attività svolta alla corte e sulle esperienze del viaggio in Italia, Quiccheberg pubblicò nel 1565 le Inscriptiones vel tituli

theatri amplissimi, un trattato sul collezionismo indirizzato ai sovrani ed alla nobiltà.

Dal momento che il medico belga narra di aver portato un manoscritto a Venezia per consultare i “viri docti”, è molto plausibile che la maggior parte dell’opera fosse già completata prima del viaggio in Italia del 156321.

Anche se si tratta di un breve testo, stampato in quarto, di sessantadue pagine

senza immagini, composto solo di quattro capitoli, è un’opera per molti versi singolare, pionieristica sotto il profilo museologico, che fornisce significative informazioni sul panorama intellettuale contemporaneo. Secondo J. H. Zedler essa costituisce la bozza per un’altra opera molto più ampia che si sarebbe dovuta intitolare Theatrum sapientiae e che, purtroppo, non fu mai scritta o non è giunta fino a noi22. Questa vicenda bibliografica ricorda, per un’interessante coincidenza, il caso di Giulio Camillo, la cui

18

Su questo tema si vedano G. Olmi, “‘Molti amici in varij luoghi’. Studio della natura e rapporti epistolari nel secolo XVI”, Nuncius. Anali di storia della Scienza, VI, 1991, 1, pp. 3-31; P. Findlen, Possessing Nature: Museums, Collecting, and Scientific Culture in Early Modern

Italy, University of California Press, Berkeley, 1994, passim; D. Thornton, The Scholar in His Study: Ownership and Experience in Renaissance Italy, Yale University Press, New Haven,

1997, pp. 114-116.

19

S. Quiccheberg, Apophthegmata et responsiones alias pias, adeoque dialogos eiam eos, qui

ab apophtegmatum natura non sunt alieni, Colonium, 1571.

20

S. Quiccheberg, Schema catechisticum, I. doctrinae christianae summam, Antwerpen, 1591.

21

“quod etiam a me petitum fuit, superioribus annis cum in aliis locis tum Venetiis ubi viri docti manuscriptum exemplar theatri nostri conspexerunt”, S. Quiccheberg, Inscriptiones vel

tituli amplissimi theatri, cit., sig. Fi.v.

22

(8)

Idea del theatro viene considerata come una bozza della progettata voluminosa opera Il

grande theatro delle scienze, anch’essa non pervenutaci23.

Le Inscriptiones vel tituli theatri amplissimi sono scritte in latino, con uno stile particolarmente ostico o, a volte, addirittura eccentrico, di cui per molto tempo non esistevano traduzioni in una lingua moderna. Per questo motivo gli studiosi si sono limitati ad analizzarne soltanto la prima parte, caratterizzata da lunghe e semplici enumerazioni di oggetti, tralasciando il resto dell’opera24.Una tanto attesa traduzione in tedesco, recentemente pubblicata25, non risolve il problema, dal momento che utilizza molti termini impropri, estranei al contesto storico e intellettuale cui appartiene l’opera, e contiene numerose interpretazioni errate sotto il profilo grammaticale e sintattico26. Da tempo è stata annunciata una versione francese curata da Patricia Falguières, ma non è

23

G. Liruti, Notizie delle vite ed opere scritte da letterati del Friuli, Vol. III., Udine, 1780, p. 78.

24

Sugli studi principali sulle Inscriptiones vel tituli theatri amplissimi si vedano J. von

Schlosser, Die Kunst-und Wunderkammern der Spätrenaissance, trad. it. di Paola di Paolo con il titolo Raccolte d’arte e di meraviglie del tardo Rinascimento, Sansoni, Firenze, 2000, pp. 70-72; E. M. Hajos, “The Concept of an Engravings Collection in the Year 1565: Quicchelberg,

Inscriptiones vel tituli theatri amplissimi”, Art Bulletin 40 (1958), pp. 151-156; Id., “References

to Giulio Camillo in Samuel Quicchelberg’s ‘Inscriptiones vel tituli theatri amplissimi’”,

Bibliothèque d'Humanisme et Renaissance: travaux et documents, tome XXV, 1963, pp.

205-211; A. Lugli, Naturalia et mirabilia: il colezzionismo enciclopedico nelle Wunderkammer

d’Europa, Mazzota, Milano, 1983, pp. 84-85, 133-134; L. Bolzoni, Il teatro della memoria, cit.,

pp. 46-47; Id., “Das Sammeln und die Ars Memoria”, in A. Grote (a cura di), Macrocosmos in

Microcosmos. Die Welt in der Stube. Zur Geschichte des Sammelns 1450 bis 1800,

Leske-Budrich, Opladen, 1994, pp. 129-168; E. Schulz, “Notes on the History of Collecting and of Museums: in the Light of Selected Literature of the Sixteenth to the Eighteenth Century”,

Journal of the History of Collections, 2 no.2, 1990, pp. 205-18; A. Serrai, Storia della

bibliografia II. Le Enciclopedie rinascimentali (II). Bibliografi universali, a cura di M. Cochetti,

Bulzoni, Roma, 1991, pp. 44-51; P. Falguières, “Foundation du théatre ou méthode de l’exposition universelle: les Inscriptions de Samuel Quicchelberg (1565)”, Les Cahiers du

Musée national d’art moderne, 40, 1992, pp. 91-115; H. Bredekamp, Antikensehnsucht und Maschinenglauben. Die Geschichte der Kunstkammer und die Zukunft der Kunstgeschichte, trad.

it. di Massimo Ceresa con il titolo Nostalgia dell’antico e fascino della macchina. La storia

della Kunstkammer e il futuro della storia dell’arte, il Saggiatore, Milano, 1996, pp. 38-41; M.

Kahle, Zwischen Mnemotechnik und Sammlungstheorie, cit., 2005.

25

H. Roth, Der Anfang der Museumslehre in Deutschland, cit.

26

Infatti Markus Friedrich, storico della Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco, ha criticato aspramente, nella sua recensione dedicata alla traduzione di Roth, non solo le sue numerose interpretazioni erronee, ma anche le approssimative conoscenze storiche e le

inadeguatezze nell’analisi del testo da parte del traduttore. Quanto più eccentrico ed ambiguo è il latino di Quiccheberg, tanto più è necessario – insiste Friedrich – che la traduzione sia leggibile e chiara piuttosto che quella parola per parola. Cfr. M. Friedrich, „Rezension von:

Harriet Roth (Hg.): Der Anfang der Museumslehre in Deutschland. Das Traktat „Inscriptiones vel Tituli Theatri Amplissimi“ von Samuel Quiccheberg, Akademie, Berlin, 2000 “, in

Sehepunkte 2 (2002), Nr. 9 [15.09.2002], URL: http://www.sehepunkte.historicum.

(9)

stata ancora pubblicata.

Cosa ancor più grave, fino ad ora non è stato condotto uno studio completo che analizzi, dal punto di vista della storia dell’architettura, la costruzione spaziale del museo ideale che offre Quiccheberg.La presente ricerca intende dunque studiare anche i principi della costruzione spaziale del museo ideale proposti nell’opera, ponendoli in relazione con le teorie architettoniche della prima età moderna. Come si vedrà più avanti, infatti, dopo essersi dilungato sugli oggetti raccolti nella prima parte del libro, Quiccheberg spiega minuziosamente come si costruisce il complesso dei suoi musei ideali.

Nella prima parte delle Inscriptiones vel tituli theatri amplissimi vengono enumerati brevemente i contenuti degli oggetti, divisi in cinque classi27. Ogni classe viene suddivisa in dieci o undici sotto-categorie della classificazione, chiamate suggestivamente inscriptiones,che ammontano in totale a cinquantatre.

“Inscriptio”, termine un po’ ambiguo che l’autore usa con diverse accezioni, è un concetto chiave per interpretare l’intera opera, come vedremo più avanti valutando le caratteristiche degli spazi architettonici del museo. Per non dilungarsi troppo con le descrizioni del lungo elenco di inscriptiones, l’autore ne contrassegna alcune, che necessitano di ulteriori spiegazioni supplementari, col simbolo di Mercurio (☿) (fig. 3), e le analizza più ampiamente nella seconda parte dell’opera.

All’elenco degli oggetti da raccogliere segue il capitolo intitolato “Musea et officinae”, in cui si illustrano la composizione delle varie attrezzature che costituiscono il complesso del museo-teatro, come ad esempio, la biblioteca, la tipografia, le botteghe artigianali e i laboratori chimici28. Il capitolo successivo, dal titolo “Admonitio seu consilium atque item digressiones”, è dedicato ai consigli generali per la collezione ed ai commenti supplementari alle inscriptiones segnalate in precedente dal segno “☿”29. È il capitolo centrale dell’opera in cui si spiegano la forma architettonica del museo-teatro, il principio della classificazione degli oggetti, lo scopo della costruzione del teatro e i frutti che da esso derivano.

Nell’ultimo capitolo si raccolgono gli esempi di ben centosessantotto collezionisti

27

S. Quiccheberg, Inscriptiones vel tituli amplissimi theatri, cit., sigs. Aii.r-Ciii.v. La maggior parte degli studi precedenti esaminano solo questa enumerazione introduttiva.

28

“Musea et officinae reconditoria, qualia ad sapientiae et iucundi artificij supellectilem quandoque peculiaria in regijs extruuntur, quandoque vero coniunctim habentur”, ibid. sigs. Ciiii.r-Di.r.

29

“Admonitio seu consilium atque item digressiones Sam. Quicchebergi de universo theatro”,

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coevi, principalmente della regione germanica30. È una testimonianza preziosa che documenta quanto fosse diffuso il collezionismo in Germania e quanto fosse ampia la rete di amicizie dell’autore. Alla fine dell’opera si raccolgono alcune citazioni tratte dalla Bibbia, che riguardano collezionisti leggendari come Salomone, e le lodi dedicate a Quiccheberg dai suoi amici31.

2. La composizione architettonica del complesso “museo-teatro”.

2.1. Gli oggetti raccolti delle cinquantatre inscriptiones.

Prima di tutto riassumiamo tutti gli oggetti delle cinquantatre inscriptiones che costituiscono i nuclei del teatro (si veda l’Appendice prima). D’ora in poi si segnalerà ogni classe con i numeri romani ed ogni inscriptio con i numeri arabi: per esempio, la seconda inscriptio della quinta classe viene segnalata come V/2.

Nella prima classe si elogiano la storia sacra, la genealogia del fondatore del teatro, il suo territorio e la sua autorità, attraverso le immagini sacre, gli alberi genealogici, le carte geografiche, le vedute delle città e dei vari spettacoli, i dipinti degli animali che vivono nei suoi possedimenti. Tra le inscriptiones sono interessanti dal punto di vista del rapporto tra architettura e collezionismo le inscriptiones I/9 e I/10, in cui si raccolgono rispettivamente i modelli dei vari tipi di edifici e quelli delle grandi macchine per le costruzioni edilizie32.

Nella seconda classe si raccolgono, sottolineandone gli artifici, i vari tipi di oggetti artigianali come ad esempio sculture, gioielli, tessuti, suppellettili, vasi, monete, ecc. Pur non essendo oggetti fisici anche le varie unità di peso e misura vengono incluse in questa classe (l’inscriptio II/6). Alle monete e ai tipi monetari vengono dedicate due

inscriptiones (II/7, II/8), il che rivela l’importanza e la popolarità che assume la

numismatica nel collezionismo cinquecentesco. Infatti, nel commento supplementare per l’inscriptio II/7 Quiccheberg cita il nome di Hubertus Goltzius (1526-83), famoso numismatico di Bruges33, ed anche nell’ultima parte dell’opera, dedicata all’elenco delle

30

“Exempla ad lectorem et ad promptuariorum sapientiae exornatores, fundatoresque bibliothecarum diversa supellectile instructarum […] ”, ibid, sigs. Fiiii.r-Hii.r.

31

Ibid., sigs. Hii.v-Hiiii.v.

32

Sui modelli architettonici nel Rinascimento si veda H. A. Millon, “I modelli architettonici nel Rinascimento”, in Id. e V. Magnano Lampugnani (a cura di), Rinascimento da Brunelleschi a

Michelangelo. La rappresentazione dell’architettura, Bompiani, Milano, 1994, pp. 19-73.

33

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illustri collezioni coeve, l’autore consulta frequentemente il libro di quel numismatico, come catalogo per gli appassionati delle monete34.

La terza classe tratta invece i reperti naturali e comprende le varie materie prime, oltre agli esemplari di minerali, piante e animali. Nel commento supplementare per l’inscriptio III/1 l’autore cita come figure di primo piano negli studi naturalistici i nomi di Conrad Gesner, Leonhard Fuchs (1501-66), Georg Agricola (1494-1555) e Ulisse Aldrovandi35. È interessante trovare qui anche le inscriptiones riguardanti gli oggetti d’imitazione. Per esempio l’inscriptio III/2 raccoglie statuine fuse di rettili e insetti modellate su animali vivi, che riflettono quel particolare gusto artistico del manierismo rappresentato da Bernard Palissy (1510-90) (fig. 4) e Wenzel Jamnitzer (1508-85). Questa sensibilità naturalistica si diffuse anche nel clima artistico italiano, come si ritrova ad esempio nelle opere del medaglista e ceroplasta Timoteo Refati, che lavorava per Francesco I de’ Medici e per Aldrovandi, o nelle splendide porte del duomo di Pisa popolate di animali assai realistici nei fregi delle cornici (fig. 5)36. L’inscriptio III/4 tratta invece modellini anatomici e strumenti d’ausilio per menomati fisici, e illustra l’insegnamento della medicina, praticato nei teatri anatomici dell’epoca.

La quarta classe rappresenta le tecnologie, i diversi strumenti (impiegati nella chirurgia, nella scrittura, nelle botteghe artigianali, nella musica, nella matematica e nel gioco), le armi e i vestiti. Vi si può scorgere non solo il tipico gusto del collezionismo umanistico, ma anche un peculiare interesse dell’autore per l’antropologia culturale e per i costumi.

La quinta e ultima classe elenca principalmente, di nuovo, i quadri, gli alberi Hubertus Goltzius, quem maxime imitari studeo, commendauit.”, ibid., sig. Ei.v.

34

H. Goltzius, C. Julius Caesar sive Historiae Imperatorum Caesarumque Romanorum, ex Antiquis Numismatibus, Bruges, 1563. Sulla numismatica nel Rinascimento e sull’opera di Goltzius si veda J. Cunnally, Images of the Illustrious. The Numismatic Presence in the

Renaissance, Princeton University Press, Princeton, N.J., 1999. Sul collezionismo numismatico

dell’epoca si veda anche S. Mamino, “Collezionismo numismatico tra Torino e Basilea alla fine del Cinquecento: Alessandro Ardente medaglista”, Studi Piemontesi, novenbre 1995, vol. XXIV, fasc. 2, pp. 315-326.

35

“Quis enim non voluisset Conradum Gesnerum in animalibus colligendis, Leonhardum Fuchsium in stirpibus dipingendis, Georgium Agricolam in Metallis describendis, et alios in aliis, ubi quid alicui occurrebat iuvare?”, S. Quiccheberg, Inscriptiones vel tituli amplissimi

theatri, cit., sig. Eii.r. Per quanto riguarda la menzione di Ulisse Aldrovandi si veda la citazione

della nota 15.

36

Non si conoscono le date esatte della nascita e della morte di Timeo Refati. Su questo ultimo si veda D. A. Franchini et al. (a cura di ), La scienza a corte: collezionismo eclettico natura e

imagine a Mantova fra Rinascimento e Manierismo, Bulzoni, Roma, 1979, pp. 28-29. Per

quanto riguarda le porte del duomo di Pisa rimando a L. Tongiorgi Tomasi, “La scultura bronzea”, in Id., R. P. Ciardi e C. Casini, Scultura a Pisa tra Quattro e Seicento, Cassa di Risparmio di Pisa, Pisa, 1987, pp. 272-360, in particolare pp. 320-342.

(12)

genealogici, i ritratti e gli oggetti artigianali. Per quanto riguarda le pitture ad olio (l’inscriptio V/1) e gli acquerelli (l’inscriptio V/2) viene sottolineata l’importanza dell’alta qualità artistica e pertanto l’autore consiglia di raccogliere le opere realizzate da eccellenti artisti (“a praestantissimis quibusque pictoribus”) o di organizzare una specie di concorso (“certamine”)37. Tra le altre inscriptiones è molto interessante l’inscriptio V/10 che raccoglie le cassette e gli armadi di varie forme quali piccole torri, piramidi e archi. Sono gli esempi tipici degli studioli rinascimentali che venivano disegnati sovente da architetti per le loro complicate forme architettoniche38. Infine riveste maggior importanza, nella nostra ottica, l’inscriptio V/9, in cui vengono raccolte le sentenze iscritte nei vari spazi del teatro. Ciò significa che questa inscriptio si sparge per tutto il teatro. Su questo torneremo più avanti.

A proposito dell’inscriptio V/3, in cui si raccolgono le incisioni su rame, l’autore illustra nei commenti supplementari per questa inscriptio un armadio peculiare chiamato “promptuarium imaginum” per classificare e custodire le immagini. Questo armadio viene anche chiamato suggestivamente “peculiarem bibliothecam”, cioè una specie di biblioteca composta esclusivamente di immagini piuttosto che di libri39. Cogliendo quest’occasione, Quiccheberg introduce una terminologia particolare riguardo alla struttura gerarchica dell’intera raccolta.

“THEATRUM, quod infinitum et immensum illud institutum nostrum est, materias, supellectilem, imagines, libros et caetera colligendi: et […] PROMPTUARIUM IMAGINUM, quae est quasi quaedam theatri pars, vel museum, vel aliquot arcae, aut thecae:”40

Da questa definizione risulta che con la parola “theatrum” l’autore intende un complesso sistema capace di raccogliere insieme tutti gli oggetti raccolti, mentre con “promptuarium imaginum” o “museum” intende ogni classe del teatro, oppure singole stanze e armadi che le contengono. La terminologia si fa più complessa osservando che Quiccheberg considera “promptuarium imaginum” una specie di biblioteca peculiare41.

37

S. Quiccheberg, Inscriptiones vel tituli amplissimi theatri, cit., sig. Cii.r.

38

Cfr. D. Thornton, The Scholar in His Study, cit., pp. 70-71.

39

S. Quiccheberg, Inscriptiones vel tituli amplissimi theatri, cit., sig. Diiii.r.

40

“Il teatro [...] è quel nostro istituto infinito e immenso per raccogliere le materie, le suppellettili, le immagini, i libri e il resto [...] il Promptuarium Imaginum, il quale è, per così dire, una parte del teatro, oppure ‘museum’ o alcune arche o teche.”, ibid., cit., sig. Diiii.v.

41

“Ignorabunt forte aliqui studiosi, harum peculiarem solere instrui bibliothecam quam promptuarium imaginum vocari receptum est, id ergo iam ex subsequentibus titulis sunt deprehensuri.”, ibid., sig. Eiiii.r.

(13)

Il teatro di Quiccheberg dunque può essere considerato come una grande struttura consistente di numerosi musei e biblioteche subordinati, dedicati alle singole collezioni specialistiche.

Tornando all’argomento del “promptuarium imaginum”, potremmo immaginare quest’armadio come quello proposto da Johann Kentmann (1518-74) nel suo

Nomenclaturae rerum fossilium (Zurigo, 1556) (fig. 6) opuure quelli raffigurati da

Michele Mercati (1541-93) nella Metallotheca Vaticana (Roma, 1717), cioè armadi con cassetti adatti a conservare minerali (fig. 7). In questo “promptuarium” dell’inscriptio V/3 vengono riposte solo le piccole incisioni su rame in cassetti, classificate a seconda del soggetto trattato, mentre le immagini troppo estese da piegare quali mappe, alberi genealogici, quadri di grandi animali si mostrano, spiega il medico belga, esposti su parete o su tavola nel teatro. La classificazione è divisa in tre settori chiamati “regiones” e in dieci o undici sottotitoli (“tituli”):

(Prima “regio”) ①Storie della Bibbia ②Storie del Nuovo Testamento ③Apostoli e Evangelisti ④Santi e Sante ⑤Invenzioni teologiche ⑥Storie della cristianità ⑦ Miracoli ⑧Spedizioni ⑨Ritratti ⑩Genealogie

(Seconda “regio”) ① Prodotti naturali, animali, vegetali, anatomici ② Invenzioni filosofiche ③Carte matematiche e artificiose ④Carte musicali ⑤Storie antiche e profane ⑥Poetica e l’amore degli dei ⑦Divertimenti e atti impudichi ⑧Spettacoli e trionfi antichi ⑨Riti nuovi, cacce, gesti, feste, esercizi dei gladiatori ⑩Vestiti e abitudini ⑪Emblemi di famiglia

(Terza “regio”) ① Carte geografiche ② Mappe delle regioni ③ Città ④ Edifici e Architetture ⑤Monumenti antichi ⑥Monete antiche e moderne ⑦Macchine e navi ⑧Opere di fabbri ⑨Suppellettili vari ⑩Piccoli vasi ⑪Esempi di vari ornamenti42 La somiglianza tra queste classificazioni e quelle delle cinque Classi delle inscriptiones è notevole. Infatti l’autore sottolinea il loro rapporto complementare. Le incisioni su rame vengono raccolte continuamente nei cassetti del “promptuarium” assegnati a ogni “titulo”, in cui le immagini sono ancora distinte attraverso le inscriptiones corrispondenti ai loro soggetti. Quiccheberg paragona questi fascicoli di incisioni conservati nei cassetti ai libri non rilegati43. Alla fine, raggiunto un certo numero, le

42

Ibid., sig. Eiiii.v.

43

(14)

incisioni su rame vengono rilegate e disposte come libri.

Dalla composizione delle inscriptiones appare chiara l’intenzione di costruire un modello dell’universo, che bene si armonizzi con gli ideali e le esigenze di una filosofia cristiana, abbracciando il creato – la natura, l’uomo, e la storia–, e che lodi il fondatore del museo-teatro, cioè realizzatore di questo progetto eroico. Ritengo che sia errato leggere in questa composizione delle classi e delle inscriptiones riflessi della dottrina alchemica, dell’ermetismo, della numerologia e dell’ordine dei pianeti, come hanno ipotizzato alcuni degli studi precedenti44. Ci pare più produttivo, invece, esaminare concretamente per quale motivo e in qual modo questi oggetti vengano organizzati e mostrati nello spazio del teatro.

2.2. La composizione architettonica del teatro e i suoi vari modelli possibili.

La forma architettonica del teatro che contiene gli oggetti delle inscriptiones viene illustrata principalmente, benché in modo piuttosto frammentario, nel terzo capitolo intitolato “Admonitio seu consilium atque item digressiones”. Anzitutto l’autore sottolinea che l’impiego del termine “theatrum” non ha l’accezione metaforica diffusa nelle opere letterarie coeve, bensì sottolinea l’intento di costruire un vero e proprio edificio che si adegui all’idea di teatro “per” la sua struttura estesa o arcata o dell’ovale o a forma di ambulacro45. È un edificio, inoltre, – continua l’autore –

“ad quatuor latera altis contignationibus extructum, in quorum medio hortus, aut cavedia sit relicta (ita enim Bavaricum theatrum artificiosarum rerum spectatur) ut quatuor maximae aulae, ad quatuor coeli regiones, latissime pateant. unde et accomodari perpetuo locupletando, in latissimis thecis expanda, sub certis suis titulis conseruant, ut intra solutas membranas suis inscriptionibus distinctas, non aliter ac singulos libros continent.”, ibid.

44

Non si vuole, però, negare interamente l’esistenza di questi aspetti esotici nelle Inscriptiones

vel tituli theatri amplissimi, ma, a quanto mi risulta, dal testo non si può confermarla

chiaramente. Sull’interpretazione mistica del teatro di Quiccheberg da parte degli studi

precedenti si vedano B. J. Balsinger, The Kunst- und Wunderkammern. A Catalogue raisonné of

Collecting in Germany, France and England, 1565-1750, Dissertation, Pittsburgh, 1970, p.

550ss; K. Minges, “Die Sammlung als Medium des Weltbildes, Bemerkungen zur Rezension von Horst Bredekamps Antikensehnsucht unt Maschinenglauben”, Kunstchronik, 4/47, April 1995, pp. 229-235; H. Roth, Der Anfang der Museumslehre in Deutschland, cit., p. 240; T. D. Kaufuman, Court, Cloister & City: The Art and Culture of Central Europe 1450-1800, University of Chicago Press, Chicago, 1995, p. 178.

45

“pro structura grandi, vel arcuata, vel ovali, vel ad formam ambulacri”, S. Quiccheberg,

(15)

aliquo modo amphiteatri nomen ipsi posset.” 46

Il modello esemplare di teatro qui citato (Bavaricum theatrum artificiosarum rerum) è quella famosa Kunstkammer della corte baverese. Costruita dall’architetto Wilhelm Egkl dal 1563 al 1567, aveva un cortile a pianta quadrata circondato da quattro ali a tre livelli con portici arcati, che corrispondevano pressappoco alle quattro direzioni cardinali47 (fig. 8).

Da queste righe si può dedurre che Quiccheberg conosceva l’architettura classica e la sua terminologia tecnica. L’autore richiede chiaramente per il suo museo ideale la tipologia architettonica dell’“anfiteatro”, edificio dalla forma circolare, in cui i visitatori possono camminare lungo l’ambulacro. La sua composizione centripeta organizzata intorno al grande cortile ci permette inoltre di ipotizzare che Quiccheberg si fosse ispirato anche alle descrizioni vitruviane della città ideale e dei palazzi privati. Infatti Vitruvio nel suo De architectura, a proposito della scelta del luogo in cui si erige il teatro, rimanda alle regole del primo libro per l’orientamento della città, secondo le quali le direzioni dei viali urbani debbano essere determinate in armonia con le regioni del cielo48.

Inoltre la parola “cavedia” apparsa nella citazione dovrebbe essere “cavum aedium” che nella terminologia vitruviana è sinonimo di “atrium” e indica più precisamente il cortile con lucernario del palazzo privato49. È un ambiente suggestivo nella storia degli spazi adibiti all’esposizione delle opere d’arte. Ad esempio Vitruvio parla, trattando di “tablinum” e “atrium”, dei ritratti degli avi ivi collocati50. È ben nota infatti l’abitudine dell’antica Roma di abbellire l’atrio dei palazzi con le maschere mortuarie di cera degli antenati illustri, accompagnate da una tavola con iscrizioni (tituli) che ricordano i loro nomi e imprese. Quest’abitudine ebbe una certa influenza sugli umanisti, gli antiquari e i numismatici del Cinquecento51. Lo storiografo comasco

46

“costruito con alte impalcature su quattro lati, al centro delle quali venga lasciato uno spazio di giardino o cavedia (come il teatro delle cose artificiose di Baviera) in modo che i quattro lati del grande cortile siano esposti ampliamente alle quattro regioni del cielo. Di conseguenza il nome stesso di anfiteatro possa essere attribuito.”, ibid.

47

Sul Kunstkammer di Monaco si veda L. Seelig, “The Munich Kunstkammer 1565-1807”, in O. Impey e A. MacGregor (a cura di), The Origins of Museums, cit., pp. 76-89; M. Kahle,

Zwischen Mnemotechnik und Sammlungstheorie, cit., pp. 59-63.

48

“Moenibus circumdatis secuntur intra murum arearum divisiones platearumque et angiportuum ad caeli regionem directiones”, in Vitruvius, De architectura, I, vi, 1.

49

Ibid., VI, iii.1. Si noti che anche Alberti usa lo stesso termine nel descrivere il cortile della villa. Cfr. L. B. Alberti, De re aedificatoria, Libro V, XVII, 417.

50

“Imagines ita alta cum suis ornamentis ad latitudinem alarum sint constitutae”, Vitruvius, De

architectura, VI, iii, 6.

51

(16)

Paolo Giovio, ad esempio, per custodire la sua eccellente collezione di ritratti illustri, costruì la famosa villa ornata da numerosi motti e imprese, il cui cortile si chiamava proprio “cavaedium”52. Il teatro di Quiccheberg, dunque, si conforma a questa tipologia di spazio.

Inoltre questo “hortus, aut cavedia” contribuisce, come l’autore stesso accenna, alla circolarità del teatro. Dall’angolo visuale della storia del museo potremmo definire questo teatro come uno dei primi esempi dell’emergente tipologia architettonica della galleria, caratterizzata da un lungo corridoio che invita i visitatori a percorrerlo osservando le opere d’arte53.

Giacché Quiccheberg è medico, anche i teatri anatomici a lui contemporanei ─ uno dei quali fu fondato a Basilea dal collega Felix Platter, che Quiccheberg conosceva bene ─ potrebbero avere qualche influenza sulla sua tipologia di teatro. Si noti che i teatri anatomici dell’epoca fungevano anche da una sorte di museo delle scienze naturali in cui venivano spesso mostrati numerosi esemplari di scheletri e di animali impagliati che recavano motti edificanti in latino54 (fig. 9).

Ma ci interessa molto di più la frase, che segue quella sopraccitata, in cui l’autore menziona per la prima volta il Camillo:

“Monere hic oportet Iulij Camilli museum semicirculo suo, recte quoque theatrum dici potuisse:”55

Questo breve passo è un prezioso documento sul teatro della memoria di Giulio Camillo, la cui forma è rimasta ambigua fino ad oggi56. È chiaro che Quiccheberg valuta

52

Sul “cavedium” della villa gioviana si vedano P. Giovio, Scritti d’arte. Lessico ed ecfrasi, a cura di S. Maffei, Scuola Normale Superiore, Pisa, 1999, pp. 72, 114; L. Michelacci, Giovio in

Parnaso: tra collezione di forme e storia universale, Il Mulino, Bologna, 2004, p. 111.

53

Sullo sviluppo della forma architettonica della galleria rimando allo studio classico W. Prinz,

Die Entstehung der Galerie in Frankreich und Italien, trad. it., Edizioni Panini, Modena, 1988.

54

Sul teatro anatomico cinque-seicentesco si vedano W. Brockbanck, “Old Anatomical

Theatres and What Took Place There in”, Medical History, XII (1968), pp. 371-384; G. Ferrari, “Public Anatomy Lessons and the Carnival: The Anatomy Theatre of Bologna”, Past & Present, 117 (1987), pp. 50-106; J. C. C. Rupp, “Matters of Life and Death: The Social and Cultural Conditions of the Rise of Anatomical Theatres, with Special Reference to Seventeenth Century Dutch Holland”, History of Science, vol. 28, n. 81 (1990), pp. 263-287.

55

“Qui bisogna ricordare che il museo di Giulio Camillo ha anche potuto chiamarsi

giustamente ‘teatro’ per la sua forma semicircolare.”, S. Quiccheberg, Inscriptiones vel tituli

amplissimi theatri, cit., sig. Diiii.r.

56

Sul Camillo e il suo teatro della memoria rimando a F. Yates, The Art of Memory, Routledge, London, 1966, pp.135-163; L. Bolzoni, Il teatro della memoria, cit.; Id (a cura di), Giulio

Camillo, L’idea del theatro, Sellerio, Palermo, 1991; C. Bologna, “Esercizi di memoria. Dal

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positivamente il teatro di Camillo proprio per la sua forma semicircolare57. Inoltre è importante il fatto che il teatro di Camillo venga chiamato “museo”. Come Fabianski ha brillantemente messo in luce, la forma ideale del museo veniva tradizionalmente considerata circolare o rotonda alludendo al rapporto con il tempio della memoria o della sapienza58.

A questo proposito, come altro esempio altrettanto suggestivo di museo a forma di anfiteatro, possiamo citare quello di Marco Mantova Benavides (1489-1582) a Padova, a cui Quiccheberg fa riferimento con ammirazione59. Questo museo del professore patavino consisteva di tre stanze, in una delle quali c’era il cosiddetto “Anfi Theatro”, una specie di armadio basato sulla composizione del teatro antico, le cui sette nicchie semicircolari custodivano le statue degli dei antichi che simboleggiavano i sette pianeti scolpite da Bartolomeo Ammannati (1511-92)60. Come Massimiliano Rossi ha suggerito, si può supporre che questa composizione fosse ispirata dal teatro della memoria di Giulio Camillo61.

Dunque da quanto fin qui è detto possiamo affermare che la forma teatrale del museo di Quiccheberg si è modellata sia sulle teorie di Vitruvio e di Camillo che sui vari esempi coevi di collezioni che egli ebbe occasione di visitare.

Per quanto riguarda l’organizzazione dell’interno del museo, l’autore impartisce solo alcune istruzioni generali, permettendo così ai lettori di modificare la dimensione e Bolzoni e P. Corsi (a cura di), La cultura della memoria, Bologna, 1992, pp. 169-221; B.

Keller-Dall’Asta, Heilsplan und Gedächtnis. Zur Mnemologie des 16. Jahrhunderts in Italien, Universitätsverlag C. WINTER, Heidelberg, 2001, pp. 185-261; M. Kahle, Zwischen

Mnemotechnik und Sammlungstheorie, cit.

57

La traduzione tedesca di questa frase presenta un significato opposto. Interpretando il verbo

monere come biasimare (“tadeln”) il traduttore pensa che Quiccheberg critichi il museo di

Camillo per aver scelto l’imperfetta forma semicircolare, inadeguata per l’anfiteatro che dovrebbe essere circolare (“Es ist angebracht, hier das Museum des Julius Camillus mit seinem Halbkreis zu tadeln, nachdem es richtigerweise auch als Theater bezeichnet werden könnte”). Cfr. H. Roth, Der Anfang der Museumslehre in Deutschland, cit., p. 107.

58

M. Fabianski, “Iconography of the Architecture of Ideal Musea in the Fifteenth to Eighteenth Centuries”, Journal of the History of Collections, 2 no.2 (1990), pp. 95-134.

59

“Hic optari equidem Germanis quibusdam, ut vidissent solum in Lombardia museum et raconditoria istarum rerum Marci Mantuae Benavidij professoris Patavini, esset exemplum perpetuo imitandum”, S. Quiccheberg, Inscriptiones vel tituli amplissimi teatri, cit., sig. Giiii.v.

60

Sul museo di Marco Mantova Benevadis si vedano I. Favaretto, Andrea Mantova Benevides

Inventario delle antichità di casa Mantova Benevides, Società Cooperativa Tipografica, Padova,

1978; Id (a cura di), Marco Mantova Benevides: il suo museo e la cultura padovana del

Cinquecento, Accademia patavina di scienze lettere ed arti, Padova, 1984.

61

M. Rossi, “Un episodio della fortuna di Giulio Camillo a Padova: l’ “anfitheatrino” di

Bartolomeo Ammanati per Marco Mantova Benavides”, Bollettino del Museo Civico di Padova, Annata LXXXII, 1993, pp. 339-360.

(18)

la composizione della collezione a seconda delle proprie possibilità finanziarie. Dunque ad ogni classe e, a volte, anche alle singole inscriptiones si assegnano singole stanze (“conclave”) o “museum”62. La misura degli spazi disponibili, aggiunge il medico belga, non è molto importante, dal momento che è possibile conservare in piccoli armadi tante cose avvolte o piegate63. Riguardo al rapporto tra le stanze e alla loro disposizione nel teatro, l’autore non dà indicazioni. Pertanto l’organizzazione delle stanze, la collocazione degli armadi e la quantità di oggetti che si espongono negli spazi del teatro dipendono da scelte personali (fig. 10).

L’autore offre alcuni esempi di stanze cui si assegnano le inscriptiones: nel teatro si trovano stanze in cuivengono conservate numerose incisione su rame, in cui sono appese numerose tavole, in cui sono mostrate mappe geografiche aperte, in cui sono custodite suppellettili e strumenti64. Pur non essendo indicate in concreto le

inscriptiones che corrispondono a quegli ambienti, non è difficile distinguerle.

Continuando ad elencare molti altri esempi di ambienti del teatro, l’autore, dopo aver illustrato una stanza destinata agli strumenti musicali, consiglia di costruire anche un tempietto (“sacellum”) consacrato ad ornamenti e immagini sacre. È un’indicazione assai suggestiva se si considera la composizione dello studiolo del primo Rinascimento. Come si vede anche nell’esempio del palazzo ducale d’Urbino, un tempietto o una cappella, a volte dedicato proprio alle Muse, veniva collocato nel complesso degli ambienti adibiti alla collezione, organizzati attorno allo studiolo65. È interessante notare che Quiccheberg qui presenta per il suo teatro una sequenza di stanze, invece di delineare un lungo corridoio o un ambulacro caratteristico della nascente tipologia della galleria (fig. 11). Da notare anche il fatto che il termine “conclave” veniva utilizzato nel Medioevo per indicare la sala del tesoro del palazzo cittadino66. Dunque, benché

62

“Sola quandoque etiam reperiuntur conclavia de singulis classibus, aut etiam inscriptionibus supradictis”, S. Quiccheberg, Inscriptiones vel tituli amplissimi theatri, cit., sig. Ciiii.v.

63

“Hic etiam non refert sint ne loca spaciosa uel angusta, ubi haec (scil.: oggetti raccolti) conseruentur: possunt enim in angustis riscis, aut armariolis, et cistellis, conuoluta aut complicata multa recondi”, ibid., sig. Dii.r.

64

“ut ubi tantum imagines e cupreis formis expressae asseruentur: ubi tantum effigies in tabellis appensae conspiciuntur: ubi solum mappae illae geographicae expansae ostendantur: Sola denique conclavia habentur in quibus omnis generis artificiosa supellex, et instrumenta custodiuntur.”, ibid., sig. Ciiii.v.

65

Sullo sviluppo dello studiolo nel Rinascimento si vedano W. Liebenwein, Studiolo. Die

Entstehung eines Raumtyps und seine Entwicklung bis um 1600, trad. it. a cura di C. Cieri Via

col titolo Studiolo: storia e tipoligia di uno spazio culturale, Franco Cosimo Panini, Modena, 1992; D. Thornton, The Scholar in His Study, cit. Sullo studiolo di Urbino rimando a L. Cheles,

Lo studiolo di Urbino. Iconografia di un microcosmo principesco, Franco Cosimo Panini,

Modona, 1991.

66

(19)

abbiamo in precedenza definito questo teatro come un primo esempio di galleria, dovremmo considerarlo più precisamente come un esempio di transizione dallo studiolo, spazio privato e statico per la meditazione, alla galleria, spazio pubblico e dinamico per rappresentare il potere di chi lo ha costruito.

2.3. La biblioteca e le altre attrezzature del teatro.

Dopo l’enumerazione delle inscriptiones Quiccheberg presenta il progetto della biblioteca, la tipografia, la bottega del tornio, la farmacoteca e la fonderia come attrezzature ausiliari che completano l’universalità del teatro. Benché l’autore non indichi dove esse debbano essere costruite e quale rapporto debbano avere con l’edificio del teatro, sarebbe ragionevole supporle collocate attorno al museo-teatro, formando un grande complesso architettonico (fig. 12). Dal momento che esempi di queste botteghe, farmacoteche e fonderie esistevano nel ducato di Baviera, egli probabilmente trasse ispirazione dalla sua attività quotidiana di curatore della collezione del duca67. Per la biblioteca, l’autore presenta una classificazione dettagliata dei libri, organizzata nei dieci soggetti seguenti:

I. Teologia.

II. Giurisprudenza. III. Medicina. IV. Storia.

V. Filosofia: come sottoclasse: Dialettica, Magia, ecc.

VI. Matematica: come sottoclasse: Astronomia, Aritmetica, Geometria.

VII. Filologia: come sottoclasse: Autori dei luoghi comuni e di tutti i soggetti singolari (scriptores locorum communium et omnis varietatis), ed altri soggetti particolari come Affari militari, Architettura, Agricoltura, ecc.

VIII. Poesia sacra e profana. IX. Musica.

X. Grammatica: come sottoclasse: Lessico delle varie lingue e commenti filologici e poetici.

Questa classificazione ci fa ricordare quella di Conrad Gesner, che viene presentata nel

67

(20)

suo Pandectarum sive partitionum universalium (Zurigo, 1548-49)68. La somiglianza dei soggetti dei libri con gli oggetti raccolti nel teatro e con i soggetti delle incisioni su rame del “promptuarium imaginum” dimostra la funzione complementare che l’autore affida a questa biblioteca nel complesso del museo-teatro.

Ciò che preme ancora sottolineare è il metodo di disporre i libri e gli scaffali nella biblioteca di Quiccheberg. Anche qui viene introdotta una terminologia particolare, organizzata gerarchicamente, per gli scaffali: le Regiones – dice l’autore – sono gli scaffali più grandi che occupano tutto il muro della biblioteca; le Stationes, invece, sono quelli appoggiati ai singoli pilastri; le Coloniae e le Appendices, infine, sono quelli più piccoli aggiunti alle Regiones come appendici69. Si ricordi che il termine “regiones” viene usato anche per la classificazione delle incisioni su rame nel “promptuarium imaginum”. Il seguente passo, che prescrive la sistemazione dei libri ivi collocati, è per noi di particolare importanza:

“Inde numerantur volumina, et decimum quodque certo colore insignitur, unde decuriae colligantur et procul cospiantur.”70

I colori venivano usati come indici della raccolta anche nella Kunstkammer dell’arciduca del Tirolo Ferdinando (1520-95), in cui i diciotto grandi armadi di legno erano colorati a seconda degli oggetti ivi custoditi71. Ci sembra che questo metodo della segnalazione di ogni decimo libro introduca l’argomento dell’arte della memoria, della quale in seguito ci occuperemo più specificamente.

Abbiamo analizzato tutte le indicazioni per la composizione del teatro e le varie attrezzature che Quiccheberg ci presenta esplicitamente. Notevole interesse presenta, dal nostro punto di vista, la presenza della tipografia, “in qua typi omnis generis ad

68

A. Serrai, Storia della bibliografia II, cit., pp. 301 ss. Sulla teoria classificatoria di Gesner si vedano Id.,Conrad Gesner, a cura di Maria Cochetti, Bulzoni, Roma, 1990; H. Zedelmaier,

Bibliotheca universalis und Bibliotheca selecta. Das Problem der Ordnung des gelehrten Wissens in der frühen Neuzeit, Böhlau, Vienna, 1992.

69

“sortitur autem bibliotheca sua loca, praeter pulpita commodissime his nominibus vocata: ut Regiones, qui sunt integri parietes: Stationes, qui sunt singuli afferes: Coloniae et Appendices, quae forte accedunt Regionibus quasi quaedam additamenta.”, S. Quiccheberg, Inscriptiones vel

tituli amplissimi theatri, cit., sig. Ciiii.r.

70

“Dopo di che i volumi vengono numerati e ciascun decimo libro è marcato con un determinato colore, di conseguenza la serie di dieci libri è legata insieme e si scorge da lontano.”, ibid.

71

(21)

quaslibet linguas, artes, disciplinas in promptu sunt excudendas”72, accanto al complesso del museo-teatro. Ciò significa che l’autore sperava in una produzione di sapere nuovo trasmesso attraverso libri. A tal proposito sarà certamente utile ricordare che già nel titolo dell’opera è sottolineata l’acquisizione della mirabile conoscenza attraverso l’ispezione degli oggetti mostrati. Ebbene, che tipo di sapere viene prodotto e in quale modo i visitatori lo potevano perseguire? Esaminati i modi con cui classificare e mostrare i singoli oggetti delle cinquantatre inscriptiones, passiamo ad individuare gli aspetti filosofici e cognitivi del teatro.

3. I loci communes come principi organizzativi degli oggetti raccolti nel teatro.

3.1. Collezionismo e retorica: l’invenzione retorica e il modo di esibire gli oggetti nel teatro.

All’inizio della seconda parte dell’opera, dedicata ai commenti supplementari alle

inscriptiones contrassegnate col simbolo di Mercurio, Quiccheberg si dilunga a

descrivere gli obiettivi della costruzione del teatro e i frutti da esso derivanti. Dall’angolo visuale della nostra indagine, presenta uno straordinario rilievo il paragone della collezione con l’arte oratoria. L’autore spiega, citando il nome del grande oratore romano Cicerone, la ragione per cui ha enumerato in modo esauriente, nella prima parte dell’opera, ben cinquantatre inscriptiones. “Non perché io pensi”, egli si giustifica, “possibile raccogliere tutti gli oggetti elencati,”

“sed quod voluerim, tanquam Cicero perfectum oratorem ita haec universa absolutissima enumeratione hominum cogitationibus infundi: quibus magnitudinem cognitionis rerum omnium metirentur atque res iterum alias animo concipiendas et pervestigandas excitarentur.”73

Quiccheberg presenta, pur ritenendo quasi impossibile la sua completa realizzazione,

72

S. Quiccheberg, Inscriptiones vel tituli amplissimi theatri, cit., sig., Ciiii.r.

73

“piuttosto perché ho voluto che tutte queste cose vengano istillate nel pensiero degli uomini attraveso l’enumerazione universale e perfettissima, così come ha fatto Cicerone riguardo all’oratore perfetto: con i pensieri si misurasse la profondità di conoscenza di tutte le cose e poi si provocassero nuovamente altre cose da concepire e da investigare nell’animo.”, ibid., sig., Di.v.

(22)

una lista perfetta di oggetti da raccogliere, indispensabili per formare la collezione universale. Nella frase citata viene dunque affrontato il tema della conoscenza prodotto da tutti questi oggetti, organizzati con il sistema binario di “classis” e “inscriptio”. L’aver menzionato Cicerone nella citazione sembrerebbe alludere al passo del De

oratore, in cui l’oratore romano sostiene che “di qualunque arte o capacità si discuta,

esse vengono sempre esaminate nella loro espressione assoluta e perfetta”74.

L’atteggiamento di Quiccheberg nei riguardi del rapporto tra collezionismo e retorica è ancora meglio delineato nella frase che segue quella sopraccitata:

“Censeo enim etiam nullius hominis facundia edici posse, quanta prudentia, et usus administrandae reipublicae, tam civilis et militaris, quam ecclesiasticae et litteratae, ex inspectione et studio imaginum et rerum, quas praescribimus, comparari possit.”75

Cicerone sostiene nel De oratore che l’oratore ideale (“doctus orator”) deve acquistare una conoscenza enciclopedica delle cose universali per poter discutere efficacemente su qualunque argomento76. Tuttavia, secondo il medico belga, gli spettatori del suo teatro universale potrebbero ottenere conoscenze addirittura superiori a quelle che l’oratore ciceroniano possiede.

Si tenga conto che nel Cinquecento la retorica veniva considerata come “una prima «via» per raccogliere, disporre e fissare entro uno schema facile e sistematico l’ingente massa di nozioni che cresceva ogni giorno”77. La retorica consiste tradizionalmente di cinque elementi: l’inventio, la dispositio, l’elocutio, la memoria e

74

“ [...] nunc de oratore, vestro impulsu, loquor, summo scilicet. semper enim, quacumque de arte aut facultate quaeritur, de absoluta et perfecta quaeri solet. [...] de summo oratore dicam necesse est. vis enim et natura rei, nisi perfecta ante oculos ponitur, qualis et quanta sit, intellegi non potest.”, Cicero, De oratore, III, 84-85.

75

“Infatti sono del parere che nessuno possa dichiarare con la sua eloquenza, prudenza ed esperienza per l’amministrazione dello stato, sia negli affari civili e militari, sia negli affari ecclesiastici e culturali, tanto grande quanto quella che è possibile acquistare attraverso l’osservazione e lo studio delle immagini e le cose che prescriviamo.”, S. Quiccheberg,

Inscriptiones vel tituli amplissimi theatri, cit., sigs. Di.v-Dii.r.

76

Cicerone ne parla dettagliatamente nei libri I e III e tra questi le frasi più significativi sono le seguenti: “…oratorem plenum atque perfectum esse eum, qui de omnibus rebus posit copiose varieque dicere.”, Cicero, De oratore, I,13,59; “sic sentio neminem esse in oratorum numero habendum, qui non sit omnibus iis artibus, quae sunt libero dignae, perpolitus”, ibid., I,13,59; “illa vis autem eloquentiae tanta est, ut omnium rerum, virtutum, officiorum omnisque naturae, quae mores hominum, quae animos, quae vitam continet, originem vim mutationesque teneat, eadem mores, leges, iura describat, rem publicam regat omniaque, ad quamcumque re, pertineant, ornate copioseque dicat.”, ibid., III,20,76.

77

C. Vasoli, Profezia e ragione. Studi sulla cultura del Cinquecento e del Seicento, Morano, Napoli, 1974, p. 515.

(23)

l’actio, o pronuntiatio78. Tra questi, quello che ha a che fare con la produzione della conoscenza è l’invenzione, ossia la tecnica di reperimento, usata per trovare gli argomenti fra le materie raccolte in precedenza. Per trovare efficacemente il tema del discorso è necessario raffinare i luoghi topici. Si tratta della cosiddetta topica che organizza e classifica le svariate materie e gli argomenti a seconda dei temi.

Se si può instaurare una relazione tra la retorica e il collezionismo, in quanto entrambi hanno attinenza con l’organizzazione delle informazioni, sarà possibile ritenere che anche nel nostro teatro si trovino alcuni aspetti dell’invenzione retorica. A tal proposito possiamo ipotizzare che le parole sopraccitate di Quiccheberg, “res iterum alias animo concipiendas et pervestigandas excitarentur” (si provocassero nuovamente altre cose da concepire e da investigare nell’animo), alludano al processo conoscitivo dell’invenzione che si attiva nella mente degli spettatori.

Questa ipotesi è corroborata dall’analisi del modo con cui sono esposti gli oggetti all’interno del teatro. Mentre la massima parte delle “inscriptiones” raggruppano oggetti simili o dello stesso genere, alcune ne individuano le differenze, mentre altre ne sottolineano addirittura il contrario.Per esempio nel commento per l’inscriptio II/6 dedicata alla metrologia l’autore sottolinea quanto utile alla conoscenza sia l’esporre vari pesi e misure in un’unica cassetta in modo che si accentui il confronto tra quelle straniere con quelle domestiche e tra le antiche con le nuove:

“Quantum haec contulisse in unam capsam, adferre posit intelligentiae, perspicuitatis ornamenti, quando nova cum veteribus, et nostra cum peregrines sunt conferenda, cuilibet bono, et alacris ingenij viro reliquo cogitandum.”79

Allo stesso modo l’inscriptio IV/9, che raccoglie un vasto assortimento di armature, permette il confronto di quelle straniere con le nostre e quelle vecchie con le nuove80. Tali confronti ricorrono anche nell’inscriptio II/7 (moneta antica e nuova) e nelle

inscriptiones IV/10 e IV/11 (vari abiti). Nelle inscriptiones II/3 e III/8 si confrontano,

come nella Storia naturale di Plinio, i materiali grezzi e gli oggetti artigianali costruiti con questi.

Per quanto concerne le differenze tra gli oggetti, è importante sottolineare la

78

Sulla retorica si vedano G. A. Kennedy, Classical Rhetoric and its Christian and Scholar

Tradition from Ancient to Modern Times, The University of North Carolina Press, Chapel Hill,

NC, 1980; B. Vickers, In Defense of Rhetoric, Clarendon Press, Oxford, 1988 (trad. it. di R. Coronato, Mulino, Bologna, 1994); B. Mortara Garavelli, Manuale di retorica, Mulino, Bologna, 1989; M. P. Ellero e M. Residori, Breve manuale di retorica, Sansoni, Milano, 2001.

79

S. Quiccheberg, Inscriptiones vel tituli amplissimi theatri, cit., sig. Ei.v.

80

(24)

diversità della forma, come per esempio l’inscriptio III/5, in cui i semi e i frutti vengono scelti “a motivo della varietà della natura oppure la diversità del nome”81. Allo stesso modo nell’inscriptio II/5 (vasi antichi e peregrini) si considera la “FORMA DIFFERENTIA”82 e nell’inscriptio III/3 si scelgono gli esemplari degli animali “che possono fornire qualche varietà”83. Ci sono ancora alcune inscriptiones nelle quali vengono sottolineate la varietà e la diversità, come ad esempio l’inscriptio I/3 (ritratti), l’inscriptio I/6 (immagini delle battaglie), l’inscriptio II/11 (incisioni su rame), l’inscriptio IV/9 (armature), l’inscriptio V/1 (pitture ad olio).

Se si tiene conto del paragone accennato da Quiccheberg tra la retorica e il collezionismo, non mi sembra azzardato considerare questo modo di organizzare gli oggetti secondo criteri quali “somiglianza, differenza e contrario” come applicazione della topica retorica nel campo di collezionismo. A tal proposito riveste anche maggior importanza la concezione dei “loci communes”, che si era sviluppata nel corso del Cinquecento in stretta connessione con la topica.

3.2. La storia dell’idea del “topos” (locus) nella retorica e nella dialettica.

Abbiamo visto che nella classificazione dei soggetti dei libri per la biblioteca del teatro si trova una rubrica che reca l’intestazione “Scriptores locorum communium” (autori di luoghi comuni) come sottocategoria degli scritti “Philologici”. Quando Quiccheberg spiega la forma architettonica del suo teatro afferma che “altri infatti hanno usato questo nome (scil.: «theatrum») metaforicamente” 84, citando i nomi di scrittori coevi quali Christophorus Mylaeus (morto nel 1548)85, Conrad Lycosthenes (1518-61), Theodor Zwinger e Guillaume de La Perrière (c.1499-c.1565)86, autori di opere letterarie, nei cui titoli appare il termine “teatro”. Tra questi letterati abbiamo già accennato Zwinger, giovane amico di Quiccheberg a Basel, e genero di Conrad Lycosthenes (famoso enciclopedista ed editore di Erasmo)87. Dopo aver portato a termine una grande raccolta di “loci communes”, lasciata incompiuta dal suo suocero, Zwinger la pubblicò nel 1565 col titolo Theatrum vitae humanae. Essa fu un’opera

81

“ob naturae varietatem, vel appellationum diversitatem.”, ibid., sig. Bii.v.

82

Ibid., sig. Ei.v.

83

“…quod aliquam varietatem adferre potest.”, ibid., sig. Bii.r.

84

“alij vero hoc nomine usi sunt metaphorice ut Christophorus Mylaeus, Conradus Lycosthenes, Theodorus Zuingger (sic), Guilelmus de la Perriere et forte etiam alij, ...”, ibid., sig. Diiii.r.

85

Cfr. Christophorus Mylaeus, Theatrum Universitatis rerum, Basel, 1557.

86

Cfr. Guillaume de La Perrière, Le Theatre des bons engins, D. Janot, Paris, 1536.

87

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