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Ordinanza del Tribunale di Firenze, n. R.G. 2017/2336

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N. R.G. 2017/2336

TRIBUNALE ORDINARIO di FIRENZE Sezione Protezione Internazionale CIVILE Nella causa civile iscritta al n. r.g. 2336/2017 promossa da:

XX YY

ATTORE/I e

MINISTERO DELL’INTERNO

presso la COMMISSIONE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI FIRENZE (SEZIONE DI PERUGIA)

RESISTENTE

PUBBLICO MINISTERO in persona del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Firenze

INTERVENUTO

La Presidente dott. Luciana Breggia,

sciogliendo la riserva assunta all’udienza del 16.11.2017, ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

La controversia ha ad oggetto l’opposizione proposta in data 6.2.2017 da XX YY nei confronti del provvedimento emesso in data 23.8.2016 e notificato in data 10.1.2017 con il quale la Commissione per il riconoscimento della Protezione internazionale di Firenze (Sezione Perugia) ha respinto la sua domanda di protezione internazionale.

I fatti rappresentati dal ricorrente e svolgimento del processo

Il sig. XX YY ha dichiarato di essere cittadino nigeriano, nato il XX.X.XXXX e cresciuto a XYZ, villaggio vicino a XYZ, a 20 km da XYZ, di religione musulmana e appartenente al gruppo etnico hausa.

Ha frequentato la scuola fino all’ultimo della scuola secondaria, ma non ha fatto l’esame finale, poi ha lavorato con suo padre nei campi.

Il ricorrente riferisce che il motivo per cui ha lasciato il suo Paese, il XX.XX.XXXX, è legato agli attacchi di Boko Haram contro la propria comunità. Due sono gli episodi che riferisce: il primo del giugno 2014 in cui mentre il sig. XX YY si trovava tra i campi, ha visto un gruppo di uomini con l’uniforme che erano con la moto, le persone scappavano e loro hanno iniziato a sparare. Lui si è riparato in un ricovero e fino a quando non sono usciti dalla foresta, che si trova tra la Nigeria e il Camerun. Tornato nel villaggio il ricorrente trovava tutte le case bruciate, ma fortunatamente i suoi familiari si erano riparati nella foresta. Così abbiamo ricostruito la comunità e in quel periodo il ricorrente si iscriveva a scuola per l’ultimo anno. L’altro episodio si verificava il 29.12.2014, gli uomini di Boko Haram sono tornati con i pick-up e tutti sono scappati ma suo padre stava molto male (aveva una gamba paralizzata) e non poteva fuggire. In quell’attacco molte persone sono state uccise, tra cui suo padre. Il sig. XX YY riferisce di essere fuggito insieme al fratello in Niger, ad Agadez, sebbene non avessero nessuno lì: il padre era di origine nigerina e conoscevano bene la lingua. Per strada i due hanno trovato una persona che li ha accolti a casa propria e ospitati per cinque giorni poi li ha aiutati ad andare in Libia, mettendoli in contatto

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con un autista che li ha portati a Tripoli. Lì hanno iniziato a lavorare ma un giorno è stato arrestato e portato in una prigione sotterranea dove è rimasto per 4 mesi. Poi il fratello gli ha pagato il riscatto ed è uscito ma il titolare dell’autolavaggio gli ha riferito che il fratello era già partito per l’Italia e che lui gli aveva pagato il viaggio perché la famiglia di lui faceva questo di lavoro, ossia portare la gente in Italia. Questo signore rassicurava il sig. XX YY che lo avrebbe aiutato a lasciare la Libia perché non era sicura. Così il ricorrente viene portato in un villaggio sul mare, dove dopo un mese e mezzo il 24 maggio 2016 è stato caricato su una barca ed è partito per l’Italia. È arrivato in Italia il 26 maggio 2016) e adesso vive ad XYZ presso la cooperativa “XYZ”.

Motivi del diniego

La Commissione Territoriale ha negato la protezione ritenendo poco credibile il racconto, in quanto la narrazione sarebbe estremamente generica, lacunosa e non priva di errori tali da far dubitare la reale provenienza dalla zona dichiarata dal richiedente. In particolare il richiedente:

- non ha saputo dire nulla sull’attività/organizzazione di Boko Haram, a parte il fatto che bandiscono l’istruzione occidentale;

- ha riferito di parlare la lingua hausa ma poi ha detto che la parola “Boko” sia araba (invece è hausa);

- ha dato una descrizione generica delle azioni Boko Haram nella sua zona, limitandosi a dire che bruciano le case e rapiscono le donne, così come è risultata vaga anche la descrizione del suo villaggio e della città di XYZ.

Motivi del ricorso

A sostegno del ricorso la difesa del richiedente ha allegato che:

1) la Commissione non ha valutato la giovane età del ricorrente all’epoca dei fatti né la circostanza che il fratello – ZZ YY – fosse richiedente in Italia per le medesime ragioni;

2) In caso di rientro nel suo paese di origine, sussiste un grave rischio per l’incolumità del ricorrente data la situazione-Paese violenze indiscriminate che caratterizzano la situazione di conflitto armato nella zona nord-est del Paese dovute agli attacchi di Boko Haram;

In relazione ai fatti come sopra rappresentati, il ricorrente ha avanzato in via gradata le seguenti domande di protezione internazionale:

1) Riconoscimento protezione sussidiaria ex art. art. 2, co. 1 lett. g) d.lgs. 251/2007 e art. 14 d.lgs. 251/2007

2) Riconoscimento protezione umanitaria ex art. 5 d.lgs. 286/98.

Nel corso dell’audizione dinanzi al Giudice, analitica e articolata, ha riferito quanto segue:

D. Mi conferma le sue generalità?

R. Mi chiamo XX YY, nato in Borno State, in un villaggio di nome XYZ, vicino a XYZ, il XX.X.XXXX.

D. Mi può parlare della sua famiglia? Si trovano in Nigeria?

R. Si mia madre e mia sorella sono in Nigeria e sono in un campo in Borno State.

D. Ha contatti con loro?

R. Si sento spesso il mio amico che vive vicino a loro e mi da notizie, a volte gli porta il cellulare per farmi parlare direttamente. Si trovano in un campo di Nigeria.

D. Perché ha lasciato la Nigeria? Può raccontarmi cosa è successo?

R. Perché volevo proteggere la mia vita (I wanted to protect my life). Venivano spesso delle persone con uniformi da soldati alla frontiera tra Nigeria e Camerun. Venivano sempre con pick-up e motociclette. Quando vengono non rubano o altro ma vengono solo per uccidere. In particolare ricordo, un atto del giugno 2014 e il secondo 29 dicembre 2014.

D. Lei cosa ha fatto? Hanno sparato contro di Lei?

R. Quando sono arrivati io stavo lavando l’uniforme di scuola e ha visto che tutti hanno iniziato a correre in stato di panico e ad urlare. Mio padre era fuori dalla casa, io sono scappato con mio fratello, come tutti gli altri nella foresta. Quel giorno perché aveva una protesi e non poteva

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muoversi. Quando siamo tornati abbiamo trovato nostro padre morto, non riuscivo a trovare mia madre e mia sorella.

D. Poi le ha trovate? Preciso che parlo del primo attacco.

R. Preciso che nel primo attacco siamo tornati tutti, mio padre è morto nel secondo attacco e non sono riuscito più a trovare mia madre e mia sorella.

D. E questi attacchi sono avvenuti di giorno o di notte?

R. Di giorno D. Quante persone erano?

R. Non saprei, erano venuti con tanti pick-up e moto.

D. E allora lei che ha fatto con suo fratello?

R. Mio fratello mi ha detto che aveva messo un po’ di soldi da parte e potevano andare in Niger, perché mio padre aveva dei fratelli in Niger ma non li abbiamo incontrati.

D. Quanti fratelli ha?

R. ho tre fratelli e una sorella

D. Gli altri due fratelli dove sono adesso?

R. uno è in Ghana e l’altro è in Italia vicino ad XYZ.

D. Cosa è successo in Niger?

R. Abbiamo incontrato un uomo che ci poteva aiutare e che potevano andare a casa sua. Non l’avevamo mai visto. Siamo andati a casa sua per cinque giorni e poi questo signore ci ha detto che non poteva più tenerci perché aveva anche la sua famiglia da mantenere. Ci ha detto che conosceva qualcuno che poteva portarci in Libia dove potevamo lavorare.

D. Quindi voi con chi siete andati in Libia?

R. abbiamo incontrato questo uomo che ci ha portato in Libia, a Tripoli, in macchina.

D. Vi ha chiesto dei soldi per il viaggio?

R. No, gli unici soldi che ho dovuto pagare, sono stati quelli che ha dato mio fratello per la barca dalla Libia all’Italia.

D. Dove vi ha lasciato a Tripoli?

R. Ci ha lasciato in un “garage” sotterraneo. C’erano altre persone 5-6 persone. Siamo rimasti solo una notte e poi abbiamo iniziato a lavorare in un autolavaggio. Non eravamo costretti da qualcuno, ma sapevo che se non avessi lavorato non avevo altro mezzo per mantenermi. In questo posto, le persone che cercano lavoro aspettano gli arabi che offrono lavoro e vengono a cercare forza lavoro.

D. Che lavoro era?

R. lavaggio di auto.

D. Dove viveva quando lavorava?

R. C’erano delle case nel retro del garage, su un soppalco. (“upstairs”).

D. Lavorava insieme al fratello?

R. Si.

D. In questo tipo di case, poteva uscire?

R. No non ero libero. Era come una prigione perché potevamo uscire solo per andare all’autolavaggio.

D. Quanto c’è rimasto?

R. Un anno nell’autolavaggio, poi mi hanno arrestato durante un controllo della polizia.

Alcuni sono fuggiti, ad es. mio fratello è riuscito a fuggire. Dopo quattro mesi spesi in prigione, il proprietario dell’autolavaggio mi ha liberato. Lui ha fatto un accordo con la polizia e il sig.

dell’autolavaggio mi ha detto che mio fratello aveva pagato per il viaggio in Italia sia per sè stesso che per me.

D. Come si chiamava questo sig. dell’autolavaggio?

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R. Osama.

D. Quindi suo fratello è partito prima perché è scappato prima?

R. Si.

D. Quando lascia la Libia?

R. il 24.5.2016.e sono arrivato due giorni dopo, il 26.5.2016.

D. Eravate tanti?

R. Si, circa 150. siamo arrivati a Messina.

D. Dove vive adesso?

R. a XYZ, Comune di XYZ, presso la Cooperativa XYZ.

D. Cosa fa adesso?

R. Ho partecipato come volontario nel progetto “XYZ” per tenere pulite le strade e i cimiteri.

D. Quanto è grande il villaggio di XYZ?

R. È circa 20 Km da XYZ, vivono circa 230-250 persone.

D. Dove andava a scuola?

R. Ho quasi finito la scuola secondaria, dovevo fare gli esami tra aprile-agosto 2015 per accedere all’Università. Esibisco “Borno State Governement 2015 WAEC Examination”. Esibisco anche il certificato di nascita.

D. Quindi lei non vuole tornare in Nigeria perché ha paura di questi attacchi?

R. No non posso tornare lì anche se mi piacerebbe. Vorrei lavorare e se ho il permesso la cooperativa potrebbe aiutarmi ad inserirmi.

D. C’è qualcosa che vuole chiedere/ aggiungere?

R. No.

D. Le persone che attaccavano i vostri villaggi, appartenevano a Boko Haram?

R. si, venivano vestiti da soldati con le bandiere scritte in arabo, con dei simboli. Boko è una parola hausa, la mia lingua, e significa scuola, haram viene dall’arabo e significa “vietato” .

All’esito dell’udienza il giudice ha assunto la causa in decisione.

Motivi della decisione 1. Valutazione di credibilità.

Va premesso che l’esame e l’accertamento giudiziale delle domande nell’ambito del settore della protezione internazionale è caratterizzato dal dovere di cooperazione del giudice e del principio di attenuazione dell’onere della prova (art. 3 d.lgs. n.251/2007 e art. 8 d.lgs. n. 25/2008;

Cass. n. 8282 del 2013; vedi da ultimo, Cass. n. 18130/2017).

Il quadro normativo prevede un esame riservato, «individuale, obiettivo ed imparziale» (artt.

8, co. 2, d.lgs. 28.1.2008, n. 25, e 6, co. 3, d.p.r.12.1.2015, n. 21), articolato sulle «circostanze personali del richiedente, (Art. 3, co. 3, lett. a) e c) d.lgs. 19.11.2007, n. 251) sull’eventuale documentazione presentata nonché su «tutti i fatti pertinenti che riguardano il Paese d’origine al momento dell’adozione della decisione». L’ art. 3 comma 5 del d.lgs. n. 251 del 2007 prevede che nel caso in cui alcune dichiarazioni del richiedente non siano sostenute da prove, si ricorra ad una serie di indici integrativi che devono guidare il giudizio di attendibilità. In particolare, le circostanze affermate dal richiedente prive di riscontri probatori sono considerate veritiere quando:

«a) il richiedente ha compiuto ogni ragionevole sforzo (il legislatore dell’Unione europea utilizza l’espressione «sinceri sforzi» (art. 4, par. 5, lett. a), dir. 2011/95/UE del 13.12.2011) per circostanziare la domanda;

b) tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi;

c) le dichiarazioni del richiedente sono ritenute coerenti e plausibili e non sono in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso, di cui si dispone;

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d) il richiedente ha presentato la domanda di protezione internazionale prima possibile, a meno che egli non dimostri di aver avuto un giustificato motivo per ritardarla1;

e) dai riscontri effettuati il richiedente è, in generale, attendibile. Nel valutare l’attendibilità del minore, si tiene conto anche del suo grado di maturità e di sviluppo personale»2.

Se alla luce degli indicatori di genuinità soggettiva di cui all’art. 3 le dichiarazioni appaiono attendibili, il Giudice deve svolgere un ruolo istruttorio integrativo, ad esempio acquisendo ‘’anche d’ufficio le informazioni relative alla situazione del Paese di origine e alla specifica condizione del richiedente’’ per integrare il quadro probatorio prospettato dal medesimo (art. 27, co 1 bis d.lgs.

28.9.2008, n. 25)3.

Sulla valutazione di credibilità del richiedente asilo si veda da ultima Cass. n. 26921/2017 che correttamente valorizza i criteri sopra indicati di cui all’art. 3 e sottolinea il pericolo di

‘accendere i riflettori’ su aspetti secondari del racconto, senza tuttavia valutare le difficili condizioni personali in cui il ricorrente si trova al momento della narrazione e senza escludere la sostanziale verità del fatto.

In sostanza, la regola di giudizio applicabile ai procedimenti di protezione internazionale, desumibile dalle fonti citate, è ‘in dubio pro actore’. Il dovere di cooperazione del giudice si collega alla necessità di fornire quella tutela effettiva prevista dall’art. 6 e art. 13 CEDU, art. 47 Carta di Nizza, necessità ribadita, per la materia della protezione internazionale, dall’art. 46, par. 1 della direttiva 2013/32/UE4.

Alla luce dei criteri sopra indicati, il richiedente è apparso al giudicante pienamente credibile su tutti i profili del racconto. Le risposte appaiono circostanziate e dettagliate rispetto al vissuto, senza dubbio traumatico, del ricorrente, il quale ha perso il padre in uno degli attentati ed è stato imprigionato e sottoposto ai lavori forzati in Libia.

Le dichiarazioni del ricorrente dinanzi alla Commissione Territoriale e al Giudice vanno, inoltre, valutate anche alla luce del fatto che all’epoca degli attentati il Sig. XX YY aveva appena 17 anni. Secondo il rapporto “Beyond Proof Credibility Assessment in EU Asylum Systems”

dell’UNHCR5, nella valutazione della credibilità del richiedente è necessario tenere in considerazione una pluralità di fattori che possono influire “sul modo in cui il richiedente conosce, ricorda, si comporta e formula la sua testimonianza” quali “l’età, la cultura, il grado di istruzione, il genere, l’orientamento sessuale e/o l’identità di genere, la professione, lo status socio- economico, la religione, i valori e le esperienze vissute”.

Al contrario, la Commissione ha omesso ogni considerazione circa la giovane età del richiedente, pretendendo che egli fornisse informazioni circa l’attività e l’organizzazione del gruppo terroristico di Boko Haram; risulta, invece, che egli abbia raccontato gli episodi con sufficienti dettagli nonostante il contesto di provenienza, ossia un villaggio di 230/250 persone. La narrazione delle azioni terroristiche in questa zona (Borno State) è, peraltro, perfettamente compatibile con quanto risulta dalle informazioni disponibili sulle condizioni socio-politiche della Nigeria.

La credibilità del ricorrente è, infine, confermata dall’esibizione della tessera WAEC (West Africa Examination Council) dello Stato del Borno e dal certificato di nascita che dimostrano la provenienza del richiedente dal villaggio di Kautikari.

2. Sul riconoscimento dello status di rifugiato

1 Va ricordato che «Le domande di protezione internazionale non possono essere respinte, né escluse dall’esame per il solo fatto di non essere state presentate tempestivamente» (art. 8, co. 3, d.lgs.28.1.2008, n. 25).

2 Art. 3, co. 5, d.lgs. 19.11.2007, n. 251, di attuazione della dir. 2004/83/CE recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica del rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta.

3 Sul potere –dovere di indagine dell’esaminatore vedi Cass. 24.9.2012, n. 16221; Cass 16202 2012; 10202 del 2011).

4 La direttiva 2005/85/CE, in particolare, nel tracciare la tutela minima che gli Stati membri sono tenuti a garantire ai richiedenti la protezione internazionale presenti sul proprio territorio, al considerando n. 27 afferma che “è un principio fondamentale del diritto comunitario che le decisioni relative a una domanda di asilo e alla revoca dello status di rifugiato siano soggette ad un rimedio effettivo dinanzi a un giudice a norma dell’articolo 234 del trattato”.

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In base all’art. 2 comma 1 d) D.Lgs. 25/2008, in attuazione dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra, del 28.7.51 ratificata in Italia con L. 95/70 e della direttiva 2005/85/CE, va riconosciuto lo status di <<rifugiato>> al cittadino di un paese non appartenente all’Unione europea il quale, per il timore fondato di essere perseguito per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica, si trova fuori dal territorio del Paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di tale Paese, oppure se apolide si trova fuori dal territorio nel quale aveva precedentemente la dimora abituale e per lo stesso timore sopra indicato non può o, a causa di siffatto timore, non vuole farvi ritorno ferme le cause di esclusione previste dall’art. 10 del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251.

Nel caso di specie, i fatti rappresentati dal ricorrente, pur tenendo conto dei principi di cooperazione e di attenuazione dell’onere della prova che vengono in considerazione, non sono rilevanti ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato.

3. Sul riconoscimento dello status di protezione sussidiaria

Ai sensi dell’art. 2 lett. g) del D.Lgs. 251/2007 lo status di protezione sussidiaria viene concesso al cittadino straniero che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato, a nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel paese d’origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel Paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito dall’art. 14 del D.Lgs.

251/07, non potendo o, a causa di tale rischio, non volendo avvalersi della protezione di detto Paese6.

Nel caso di specie il ricorso è fondato e va accolto.

La vicenda narrata dal ricorrente configura un’ipotesi di grave danno ai sensi dell’art. 14, lett. c) (la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale), d.lgs. 251/2007, avuto riguardo alla condizione complessiva del Paese di origine e alla specifica area di provenienza del richiedente (Borno State).

La Corte di Giustizia dell’Unione europea con sentenza n. 172 del 2009 (Elgafaji c. Paesi Bassi, C-456/07) e con sentenza n. 285 del 2012 (Diakitè, C-285/12) ha stabilito che l’ipotesi di protezione sussidiaria, contenuta nell’art. 14, lett. c), d.lgs. 251/20017 non è subordinata alla condizione che quest’ultimo fornisca la prova che egli è interessato in modo specifico a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale. La Corte ha inoltre sottolineato che “l’esistenza di una siffatta minaccia può essere considerata, in via eccezionale, provata qualora il grado di violenza indiscriminata che caratterizza il conflitto armato in corso, valutato dalle autorità nazionali competenti cui sia stata presentata una domanda di protezione sussidiaria o dai giudici di uno Stato membro ai quali venga deferita una decisione di rigetto di una tale domanda, raggiunga un livello così elevato che sussistono fondati motivi di ritenere che un civile rientrato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia”.

Il principio esposto dalla Corte di giustizia ha trovato puntuale applicazione in situazione di pericolo oggettivo derivante da violenza indiscriminata perché non controllata dalle autorità statuali nella sentenza della Corte di Cassazione n. 8281 del 2013.

Il grado di violenza che si registra nella zona del Nord-Est della Nigeria, così come suffragato anche dai più recenti rapporti sulla condizione socio-politica della Nigeria, configura senza dubbio un conflitto armato ideo a giustificare il riconoscimento della protezione sussidiaria.

Le COI

6 Ai sensi dell’art. 14 cit. sono considerati danni gravi: a) la condanna a morte o all’esecuzione della pena di morte; b) la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo paese d’origine; c) la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale.

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Con particolare riferimento agli episodi terroristici da cui è stato interessato il ricorrente, occorre sottolineare innanzitutto che numerosi quotidiani on-line, anche stranieri, riportano la notizia degli attentati di Boko Haram negli stessi periodi indicati dal ricorrente (giugno e dicembre

2014) e proprio nel villaggio di XYZ, nel Borno State

(http://www.adnkronos.com/fatti/esteri/2014/12/31/nigeria-morti-nuovo-attacco-boko-haram- kautikari_k9W29Z9KU0Gc2LJtEjUEkI.html;http://www.liberoquotidiano.it/news/esteri/11738360/

nigeria-15-morti-in-nuovo-attacco-boko-haram-a-kautikari.html;

https://www.theguardian.com/world/2014/jun/29/boko-haram-islamists-kill-dozens-attack- churches-chibok-nigeria; http://www.bbc.com/news/world-africa-28080030).

Con riguardo alla situazione di violenza indiscriminata presente in particolar modo nel Nord-Est della Nigeria, tutti i più recenti rapporti sulla condizione socio-politica della Nigeria indicano come quest’ultima sia prevalentemente minacciata dal gruppo terroristico islamico Boko Haram, specialmente negli Stati Borno, Yobe e Adamawa.

Si rammenta che il Rapporto EASO sulla Nigeria del 20177 riporta quanto affermato dalle Nazioni Unite, secondo cui le pesanti violazioni dei diritti umani di Boko Haram, con conseguenti vittime civili, costituiscono violazioni del diritto umanitario internazionale. Secondo il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, gli abusi dei diritti umani commessi da Boko Haram, che includono sparatorie, attentati, bombardamenti, attentati suicidi su obiettivi governativi e civili, rimangono le più gravi violazioni dei diritti umani in Nigeria nel 2016. Gli attacchi di Boko Haram hanno causato morti e ferimenti su vasta scala e spostamenti di massa: 191 000 nigeriani sono fuggiti nei paesi limitrofi. Fino a 2,5 milioni di nigeriani si sono spostati all’interno del paese a causa della violenza di Boko Haram; queste persone non dispongono di un adeguato sostegno umanitario e le donne e le ragazze sfollate sono vulnerabili agli abusi delle forze di sicurezza e di vigilanti. Nel 2016, la UNDP (United Nations Developmet Programme) nella sua relazione Human Security and Human Development (sicurezza umana e sviluppo umano), ha descritto le aree geopolitiche del Nord-Ovest e del Nord-Est come le peggiori zone della Nigeria per quanto riguarda la sicurezza.

Nel 2002, anno della sua fondazione, Boko Haram era originariamente una setta religiosa principalmente non violenta, ma nel 2009 c’è stato un cambiamento importante. Nel luglio di quell’anno il capo della setta, Mohamed Yusuf, è stato giustiziato extragiudizialmente dalla polizia.

Sotto il regime di un leader più radicale, Abubakar Shekau, il gruppo ha cominciato a compiere attacchi più violenti, tra cui omicidi mirati e attentati suicidi. Nel 2015 il Global Terrorism Index (Indice del Terrorismo Globale) ha classificato Boko Haram come il gruppo terroristico responsabile del maggior numero di uccisioni nel mondo nel 2014. In quell’anno gli attacchi di Boko Haram hanno provocato 6.644 morti contro i 6 073 decessi attribuiti allo Stato islamico dell’Iraq e della Siria. Anche se le forze di sicurezza stanno recuperando il territorio da Boko Haram, si prevede che la situazione della sicurezza nel Nord-Est rimanga difficile. La situazione generale si deteriora ulteriormente a causa dell’insicurezza nel settore alimentare nella regione. Nei sei Stati della Nigeria nord-orientale, 14 milioni di persone necessitano di assistenza umanitaria, in particolare in Borno, Yobe e Adamawa dove 8,5 milioni di abitanti hanno bisogno di assistenza umanitaria indispensabile per la propria sopravvivenza.

Anche il Rapporto di Amnesty International 2016-2017 sulla Nigeria sottolinea la persistenza del conflitto armato contro Boko Haram, che vede la continua commissione di crimini di guerra nel nord est del Paese, ai danni di 14,8 milioni di persone, con conseguente elevato numero di persone sfollate internamente a causa dello stesso8.

Dello stesso tenore il rapporto di Human Rights Watch (HRW) che per quanto riguarda la Nigeria riporta che molti dei seri problemi concernenti i diritti umani che il neoeletto Presidente Muhammadu Buhari aveva promesso di affrontare, rimangono tuttora irrisolti. Inoltre, nonostante siano stati fatti alcuni progressi nella lotta contro Boko Haram, che ha dovuto cedere la maggior parte dei territori controllati nel nord-est, il gruppo terroristico continua a commettere gravi crimini

7 Reperibile sul sito: https://coi.easo.europa.eu/administration/easo/PLib/EASO_Nigeria_Country_focusJune17_IT.pdf

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contro i civili, inclusi rapimenti e reclutamenti forzati. A tale situazione di instabilità, deve necessariamente essere aggiunta la profonda crisi umanitaria che il Paese sta attraversando e l’inadeguata risposta ad essa. Alla maggior parte dei 2.5 milioni di sfollati interni non sono garantititi diritti umani basilari, quali il diritto al cibo, ad una casa, all’educazione, alla salute, alla protezione dalle violenze, così come libertà fondamentali quale la libertà di movimento. Su quest’ultimo punto, l’International Crisis Group (ICG) ha pubblicato un report intitolato

“Instruments of Pain: the food crisis in North East Nigeria”, il quale denuncia l'aggravarsi della crisi umanitaria nel nord est del Paese, a causa principalmente dei sette anni di protratta insurrezione del gruppo armato Boko Haram. Secondo ICG quasi 5 milioni di persone nella regione (8,5 milioni nella più vasta area del bacino del Lago Ciad) stanno affrontando un’acuta crisi alimentare, aggravata dagli attacchi condotti da Boko Haram contro le comunità locali, dalla massiccia distruzione delle infrastrutture economiche nello stato del Borno e in altre regioni del nord est del Paese, nonché dall'intervento di controffensiva da parte delle forze governative, che ha contribuito a causare lo sfollamento ed ha provocato vittime a sua volta. Il report sottolinea inoltre l'inadeguatezza della risposta governativa ed internazionale a tale stato di crisi in Nigeria (fonte:

https://www.ecoi.net/file_upload/1226_1495531880_b126-instruments-of-pain-iv-nigeria.pdf) Circa l’attualità del rischio per la vita e/o l’incolumità del ricorrente qualora dovesse fare rientro nel proprio Paese, numerosi episodi negli ultimi mesi inducono a mantenere un livello di allerta estremamente alto.

Il 15 settembre 2017, Amnesty International ha denunciato il fatto che la forte ripresa degli attacchi suicidi del gruppo islamista Boko Haram nella regione del Lago Ciad e, per quello che riguarda la Nigeria, soprattutto negli stati di Borno e Adamawa, ha causato almeno 381 morti tra i civili da aprile 2017, di cui 223 solo in Nigeria, il doppio rispetto ai cinque mesi precedenti. Il rapporto di Amnesty International mostra che spesso per i propri attacchi kamikaze Boko Haram si serve di donne e bambine e sottolinea che il recente innalzamento del livello di instabilità nel Paese ha reso estremamente difficile l’arrivo degli aiuti umanitari in alcune zone inaccessibili nel nord-est della Nigeria (https://www.amnesty.org/en/latest/news/2017/09/lake-chad-region-boko-harams- renewed-campaign-sparks-sharp-rise-in-civilian-deaths/).

Il 15 agosto tre esplosioni vicino a Maiduguri – capitale dello Stato di Borno – una nei pressi di un mercato e altre due alle porte di un vicino campo profughi, hanno provocato la morte di 27 persone e il ferimento di 83. La città di Maiduguri è l'epicentro del conflitto a lungo termine tra le forze governative e il gruppo islamista Boko Haram ed ha visto un aumento del livello delle violenze negli ultimi mesi (http://news.trust.org/item/20170815192649-0731l)

Il 24 luglio 2017 almeno 8 persone sono morte e 15 risultano ferite a seguito ad attacchi suicidi avvenuti in due diversi campi sfollati di Maiduguri, la principale città nel nord-est della Nigeria e luogo d'origine del gruppo terroristico Boko Haram. In occasione di questo ennesimo grave attacco suicida, il principale che abbia colpito un campo sfollati a Maiduguri, il Segretario Generale dell'ONU, António Guterres, ha reiterato il supporto delle Nazioni Unite alla Nigeria nella lotta al terrorismo (http://www.aljazeera.com/news/2017/07/idp-camps-nigeria-hit-suicide- bombers-170724090127650.html#).

In definitiva, il ricorrente ha presentato domanda di asilo prima possibile, ha fornito gli elementi in suo possesso, è apparso in generale credibile e le sue dichiarazioni trovano conforto nelle COI.

In diritto, come si è già detto sopra, deve riconoscersi la protezione sussidiaria per la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata presente nel Nord-Est della Nigeria, e in particolare nel Borno State, ai sensi dell’art.

14, lett. c), d.lgs. 251/2007.

4. Sulla protezione umanitaria ai sensi dell’art. 10 della Costituzione e degli artt. 5, sesto comma, e 19, primo comma, D.Lgs. n. 286/1998.

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La domanda è assorbita.

5. Sulle spese di lite

La liquidazione degli onorari e delle spese in favore del difensore della parte ammessa deve avvenire seguendo il procedimento di cui all’art. 82 DPR 115/20202 e quindi con istanza di liquidazione al giudice del procedimento che provvederà alla liquidazione con separato decreto.

Per quanto concerne il regolamento delle spese di lite, si ritiene che si debba seguire il criterio della soccombenza.

Non si ravvisano infatti i requisiti per compensare le spese ex art. 92 cpc (soccombenza reciproca o ‘’nel caso di novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti’’), né può essere di ostacolo alla condanna il fatto che il convenuto soccombente sia un’amministrazione pubblica e il ricorrente ammesso al patrocinio a spese dello Stato. Infatti, la condanna del convenuto riguarda le spese di lite, ossia il compenso al difensore e le spese che vanno rifuse allo Stato ai sensi dell’art. 133 del d.p.r. n.115/2002. La Corte di cassazione, con sentenza n. 9938 del 2014, ha escluso che un’amministrazione possa essere condannata al pagamento del contributo unificato raddoppiato per effetto del rigetto dell’impugnazione, argomentando dalla natura di tale contributo e dall’esenzione da tasse e tributi per le pubbliche amministrazioni in giudizio (vedi art. 158 dpr n.115/2002).

Nel caso di specie invece non si tratta di tasse e tributi, né di spese prenotate a debito, bensì di spese anticipate dallo Stato per effetto dell’ammissione al patrocinio a sue spese. Il Ministero dell’interno, pertanto, dotato di un suo distinto bilancio, dovrà rifondere allo Stato le spese di lite secondo le regole generali

Non può condividersi, al riguardo, quanto affermato da Corte di cassazione con la sentenza n.

18583 del 2012 (richiamata da diverse pronunce di merito), quando afferma che, in ogni caso in cui la parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato sia vittoriosa in una controversia civile proposta contro un'amministrazione statale, l'articolo 133 del Decreto del Presidente della Repubblica <<osti alla pronuncia di una sentenza di condanna al pagamento delle spese, dovendo la liquidazione degli onorari e delle spese in favore del difensore della parte ammessa, avvenire seguendo il procedimento di cui all'articolo 82, e quindi con istanza di liquidazione al giudice del procedimento>>.

Infatti, le modalità di liquidazione ex art. 82 cit. non implicano affatto che non si debba provvedere alla condanna alle spese ex art. 133 cit.

Nella stessa sentenza la SC afferma anche che non avrebbe senso condannare un’amministrazione dello Stato a rifondere le spese ad un’altra amministrazione dello stato e trae argomento dal ‘’ rilievo che, per quanto riguarda il procedimento tributario, nel quale per definizione una parte e' rappresentata da una pubblica amministrazione, è stabilita una regola diversa. L'articolo 141 dispone infatti che "l'onorario e le spese spettanti al difensore sono liquidati ai sensi dell'articolo 82; per gli iscritti agli elenchi di cui al Decreto Legislativo 31dicembre 1992, n. 546, articolo 12, comma 2, e successive modificazioni, si applica la tariffa vigente per i ragionieri ed il parere e' richiesto al relativo consiglio dell'ordine; gli importi sono ridotti della metà'".

L’art. 141 in verità fa solo riferimento alle modalità di liquidazione dell’onorario e delle spese del difensore stabilendo che <<1. L'onorario e le spese spettanti al difensore sono liquidati dall'autorità giudiziaria con decreto di pagamento, osservando la tariffa professionale in modo che, in ogni caso, non risultino superiori ai valori medi delle tariffe professionali vigenti relative ad onorari, diritti ed indennità, tenuto conto della natura dell'impegno professionale, in relazione all'incidenza degli atti assunti rispetto alla posizione processuale della persona difesa. (1) 2. Nel caso in cui il difensore nominato dall'interessato sia iscritto in un elenco degli avvocati di un distretto di corte d'appello diverso da quello in cui ha sede il magistrato competente a conoscere del merito o il magistrato davanti al quale pende il processo, non sono dovute le spese e le

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indennità di trasferta previste dalla tariffa professionale.3. Il decreto di pagamento è comunicato al difensore e alle parti, compreso il pubblico ministero.>>.

Non si vede come dall’art. 141 e dall’art. 82 già citati si possa desumere che l’amministrazione soccombente sia esente dall’applicazione dell’art. 133 cit.

Il quadro normativo non autorizza affatto tale conclusione.

Nemmeno può condividersi il ragionamento secondo cui un’amministrazione impersona lo Stato e quindi sarebbe privo di senso condannare lo Stato a rifondere le spese a se stesso.

E’ vero infatti che lo Stato ha personalità unitaria. Tuttavia, occorre tener conto della complessità dello Stato medesimo, articolato in amministrazioni diverse, aventi un proprio autonomo bilancio, che entrano in relazione tra di loro rispetto a specifici rapporti di dare e avere.

In questo senso si veda anche Consiglio di Stato, 6.3.2015, n. 1137 (‘’Ai sensi dell'art. 133 del DPR n. 115/2002 è previsto il pagamento in favore dello Stato delle spese processuali liquidate in favore della parte ammessa al gratuito patrocinio (cfr Cons. Stato Sez. V 12/6/2009 n. 3776) per cui l'Amministrazione della Giustizia Amministrativa, dotata di autonomo bilancio economico- finanziaria ben può essere destinataria di un provvedimento giurisdizionale che disponga nei suoi confronti la rifusione di spese processuali a suo tempo anticipate in favore del difensore del ricorrente vittorioso nel giudizio di primo grado, già ammesso, appunto, al gratuito patrocinio’’.

In definitiva, non si ravvisa alcun motivo per non applicare le regole ordinarie Le spese sono liquidate come in dispositivo.

PQM

Il Tribunale di Firenze, definitivamente pronunciando, così provvede:

1) Accoglie il ricorso del sig. XX YY contro il Ministero dell’Interno e riconosce al predetto, nato il XX.X.XXXX a XYZ (Borno State) Nigeria, lo status inerente alla Protezione Sussidiaria;

2) condanna il Ministero dell’interno a rifondere allo Stato ex art. 133 dpr n.115/2002 le spese di lite che liquida in 1800 euro per compensi, oltre al 15,5% per spese generali;

3) provvede alla liquidazione con separato decreto ai sensi dell’art. 82 e dell’art. 83, comma 3 bis, d.p.r. n. 115/2002.

Si comunichi al ricorrente, al Ministero dell’interno presso la Commissione Territoriale di Firenze (Sezione di Perugia) nonché al P.M.

Firenze, 6.12.2017

La Presidente est.

dott. Luciana Breggia

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