ARCHITETTURE AL CUBO
A cura di Adolfo F. L. Baratta
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI ROMA TRE
EDIZIONE 2014
Architetture al Cubo
Edizione 2014
Comitato Scientifico Adolfo F. L. Baratta Laura Farroni Fabrizio Finucci Stefano Gabriele Maurizio Gargano Annalisa Metta Luca Montuori Valerio Palmieri
Progetto grafico Silvia Pinci
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Questo libro è stato realizzato con il finanziamento del Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi Roma Tre.
Le Giornate di Studio si sono svolte con il patrocinio di
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Dipartimento di Architettura
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PREMESSA
Adolfo F. L. Baratta
SMARRIMENTI
Luigi Franciosini
INTERVISTA A CLAUDIA CONFORTI
Leonardo Cannizzo, Roberta Folgiero e Chiara Guratti
CHIESA DI SAN PIO DA PIETRELCINA
Lorenzo Dall’Olio
INTERVISTA A VALENTINO ANSELMI E VALERIO PALMIERI (SAA&A)
Beatrice Evangelisti e Federica Giubilei
INTERVISTA A FABIO BRANCALEONI (E.D.IN.)
Beatrice Evangelisti e Federica Giubilei
BIBLIOTECA PONTIFICIA UNIVERSITÀ LATERANENSE
Annalisa Metta
INTERVISTA A RICCARDO ROSELLI (KING ROSELLI)
Giacomo Gasbarri e Giulia Marino
MACRO MUSEO DI ARTE CONTEMPORANEA DI ROMA
Laura Farroni
INTERVISTA A FRANCESCO RICCARDO GHIO
Carolina Gardini, Livia Medici e Alexandru Ghedrovici
INTERVISTA A GIANFRANCO IACHINI
Carolina Gardini, Livia Medici e Alexandru Ghedrovici
INDICE
MAST MANIFATTURA DI ARTI, SPERIMENTAZIONE E TECNOLOGIA
Luca Montuori
INTERVISTA A CLAUDIA CLEMENTE E FRANCESCO ISIDORI (LABICS)
Michela Freri, Ludovica Galletta e Valentina Ietto
CANTINA ANTINORI
Adolfo F. L. Baratta
INTERVISTA A GIOVANNI POLAZZI (ARCHEA ASSOCIATI)
Clotilde Faraglia e Cristiana Gargiulo
INTERVISTA A STEFANO CONTRI (AEI PROGETTI)
Clotilde Faraglia e Cristiana Gargiulo
ALLOGGI GIUSTINIANO IMPERATORE
Fabrizio Finucci
INTERVISTA A PAOLO DESIDERI (ABDR)
Emma Allegretti e Alessandro Padula
14. MOSTRA INTERNAZIONALE DI ARCHITETTURA
Maurizio Gargano
INTERVISTA A BARBARA MATERIA (OMA)
Chiara Campanile, Vincenzo Cannata e Diana Chillemi
INTERVISTA A SIMONE CAPRA (STARTT)
Chiara Campanile, Vincenzo Cannata e Diana Chillemi
PROFILI TEAM “ARCHITETTURE AL CUBO”
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VISITA
GUIDATA
21.06.14
Titolo
MAST Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia Localizzazione
Bologna
Committente G. D. Spa. Gruppo COESIA Progetto architettonico
Labics (Maria Claudia Clemente e Francesco Isidori) Progetto strutturale
Proges Engineering, Andrea Imbrenda Progetto impiantistico
Hilson Moran Italia
Progetto illuminazione Baldieri S.r.l.
Acustica Dr. Higini Arau
Impresa appaltatrice
CESI (2009-2012); DOTTOR Group (2013) Cronologia
2005 (concorso); 2009-2013 (realizzazione) Superficie coperta
11.000 m2
Costi di costruzione 25 milioni di euro
MAST MANIFATTURA DI
ARTI, SPERIMENTAZIONE E TECNOLOGIA
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Luca Montuori
Nella pagina precedente:
Lo sbalzo dell’Auditorium sorretto dagli esili pilastri che emergono dallo specchio d’acqua.
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Foto: Christian Richters
In alto:
Planimetria del piano terreno.
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Labics
MAST è una Fondazione no profit nata per promuovere progetti di innovazione sociale e offrire servizi di welfare aziendale: “MAST intende favorire lo sviluppo della creatività e dell’imprenditorialità tra le giovani generazioni, anche in collaborazione con altre istituzioni, al fine di sostenere la crescita economica e sociale. In tal senso, il centro crea un ponte tra l’impresa e la comunità in cui si colloca. Le attività offerte al pubblico esterno, così come i servizi dedicati ai collaboratori del Gruppo, condividono la stessa filosofia basata sulla Tecnologia, l’Arte e l’Innovazione. MAST favorisce i progetti che fanno leva sull’identità, sviluppano nuove idee e creano nuove connessioni”
[Seràgnoli, 2013]. Con queste parole si presenta la fondazione Manifattura di Arti Sperimentazione e Tecnologia di Bologna. Prima che un edificio il MAST infatti è una istituzione cittadina, l’incarnazione di una politica aziendale che ha voluto recuperare una tradizione imprenditoriale di stampo olivettiano tipica di un passato del nostro Paese, recente ma allo stesso tempo lontano.
Fin dalle scelte strategiche che hanno portato alla realizzazione del nuovo edificio sull’area dismessa del complesso industriale della GD, storica azienda bolognese attiva fin dai primi anni ’20 del secolo scorso, l’intervento si presenta come un perfetto sistema “didattico” tra le visite organizzate nel ciclo delle “Architetture al Cubo” promosse del Dipartimento di Architettura di Roma Tre.
Come si realizza un edificio di questo genere? Come si sviluppa il rapporto con la committenza? Come funziona una direzione dei lavori? Che spazio c’è per proporre un progetto innovativo? Sono le domande che più spesso animano le curiosità degli studenti che vedono troppo spesso il solo risultato finito (o
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meglio l’immagine patinata veicolata dalla rete), senza riuscire ad afferrare la complessità del processo progettuale e quindi il ruolo che gli architetti ricoprono all’interno di un percorso che vede collaborare moltissime figure.
Per questo abbiamo adottato tre chiavi di lettura dell’edificio principali che corrispondono a tre temi centrali del rapporto tra progetto e realizzazione dell’opera.
Committenza
Isabella Seràgnoli, presidentessa della G.D., ha promosso e seguito in prima persona il concorso di progettazione che nel 2005 ha portato a selezionare il progetto di Labics per realizzare il nuovo complesso che avrebbe accolto il programma previsto per la fondazione. Il programma dell’intervento era fin dall’inizio molto ambizioso volendo realizzare un mix di funzioni culturali (sale espositive, aule studio, auditorium), ludico ricreative (palestra, caffetteria), e di welfare per i dipendenti (nido aziendale, mensa-ristorante) a cavallo tra riservatezza e apertura al pubblico. A questo si aggiunga che la scelta del concorso come procedura per la selezione degli architetti cui affidare il progetto denota già in sé una apertura culturale importante e la volontà di un confronto aperto attraverso cui definire al meglio le esigenze e arrivare al miglior risultato possibile. Come specificato fin dai primi passi della visita in compagnia di Claudia Clemente dello Studio Labics, la presenza della committenza è stata costante e continuo stimolo per la crescita del progetto, per il continuo lavoro di chiarificazione degli obiettivi generali e per le scelte di qualità nel rapporto con le imprese di costruzione. Nel rapporto con la committenza, e come coronamento di una ricerca costante nei progetti dello Studio, si è evoluta la scelta iniziale del concorso per la realizzazione di un edificio che esprimesse in primo luogo la volontà di realizzare un intervento dal profondo valore urbano.
Planimetria del primo e secondo piano.
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Labics
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Un edificio che fin dalle prime intenzioni doveva declinare un’altra idea di città e di periferia: “Periferia è assenza di porosità. Sono segmenti edilizi isolati, edificati per attività scisse dall’uomo che agisce: abitare, spostarsi, lavorare, pregare, giocare, amare, procreare. Attività concepite astrattamente, da una rigidezza ipnotica che ignora la dimensione umanistica, la sola che, ricomponendole nell’uomo, attribuisce loro senso e gioiosa bellezza [Conforti, 2013].
Infrastruttura e forma
Se infatti il MAST colpisce il visitatore distratto al primo sguardo per la raffinatezza delle sue finiture e rivestimenti, l’audacia degli sbalzi e la dialettica tra corpi leggeri e basamento, le forme che portano a pensare a un tentativo di lavorare sulle potenzialità espressive della tecnologia, diversa è invece la percezione che si ha nel percorrere gli spazi costruiti. Qui i temi del progetto appaiono più ricchi e complessi coinvolgendo in maniera organica gli spazi esterni e interni, le scelte relative alla forma in relazione alla tecnica e alla tecnologia. Il rapporto con la città si declina attraverso un doppio fronte:
aperto e articolato verso lo spazio pubblico, più lineare e neutro nella parte retrostante verso il Campus dell’azienda. Il parco pubblico su cui si apre l’edificio, un frammento di paesaggio in continuità con le sponde del Reno per il quale lo stesso Studio Labics sta elaborando un progetto, assume un ruolo centrale per comprendere la volontà di confronto con la scala urbana.
In basso:
Particolare dei pilastri dell’Auditorium.
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Foto: Christian Richters
A destra:
Assonometria delle funzioni.
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Labics
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Academy
Foyer
Auditorium
Gallery
Caffé
Gallery Nido
Wellness Ristorante Aziendale
Parcheggio
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Gallery Foyer Auditorium
Dal fiume al parco all’edificio si costruisce un naturale percorso tra spazi pubblici e privati che, almeno nelle intenzioni dei progettisti, dovrebbe avvenire senza soluzione di continuità. Le rampe in pietra naturale che articolano il basamento dell’edificio appaiono in quest’ottica chiaramente pensate come un disegno di suolo attraverso cui il percorso (pubblico e privato appunto) permette di accedere alla quota del terrazzo coperto al di sotto dei grandi sbalzi. Da qui si accede attraverso una hall alle sale espositive aperte al pubblico dove è possibile giocare con le meravigliose macchine prodotte dal gruppo Coesia, ammirare la collezione d’arte sempre centrata sui temi dei
“meccanismi” e visitare le esposizioni fotografiche tematiche sul rapporto tra industria e lavoro. All’interno degli spazi espositivi il percorso si articola su diversi livelli e attraverso un sistema continuo di rampe e scale mette in relazione una doppia direzione dello spazio dell’edificio: se le rampe, l’ingresso e l’esterno si impostano sulla direzione che intende sottolineare lo scambio tra il sito, il paesaggio e la città, all’interno il percorso si svolge su una direzione trasversale che permette di leggere la sequenza degli spazi e dei diversi volumi che declinano il programma funzionale dell’edificio. Dal percorso interno, che porta fino al foyer dell’auditorium attraverso le sale didattiche, i tagli che separano i diversi corpi permettono comunque di mantenere la lettura del rapporto con l’esterno arricchendola della relazione con il resto del Campus che si colloca alle spalle del nuovo edificio. “In risposta alle diverse e complesse istanze funzionali l’edificio è stato concepito come un organismo strutturato a partire dai flussi delle persone e dalle possibili relazioni dinamiche tra le diverse attività ospitate; i numerosi servizi sono stati organizzati in base a logiche di svolgimento e di collegamento capaci di innescare, esattamente come nei tessuti urbani, nuove relazioni funzionali e inaspettati modi d’uso dello spazio” [Clemente e Isidori, 2013]. Il percorso quindi è il dispositivo che permette di coniugare la complessità del programma funzionale e la sinteticità dei volumi sottolineata dalla continuità dei rivestimenti in vetro serigrafato.
In alto:
Edificio città-fabbrica.
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Labics
A destra:
Il collegamento tra la città e la fabbrica attraverso la lobby esterna.
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Foto: Christian Richters
Nella pagina successiva:
Il fronte principale con l’opera dell’artista Mark Suvero.
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Foto: Christian Richters
Academy Nido Wellness Ristorante aziendale FABBRICA
CITTÀ
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In alto:
L’Auditorium visto dai percorsi laterali.
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Foto: Christian Richters
A destra:
Dettaglio della facciata.
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Labics
Una scelta della strategia in fase concorsuale, infatti, è stata di non frammentare le diverse funzioni richieste in diversi corpi di fabbrica, ma di lavorare su un edificio unico, secondo un procedimento che ricorda più lo scavo di un volume unitario che non l’addizione di parti. La forma quindi non è solo il risultato di un processo, ma è una scelta che coinvolge la percezione dello spazio dall’esterno all’interno dell’edificio. La riflessione sulla forma è sempre condotta da Labics non come espressione di un punto di vista definito di chi progetta, un dato espressivo in sé o un sistema di lessico e significati definiti e utilizzati nel tentativo di dare un’interpretazione univoca del tema.
A questo aspetto Claudia Clemente e Francesco Isidori dedicano molto spazio nella fase ideativa dei loro progetti e il loro sito web si apre con un testo programmatico in cui sono riassunti i principi della loro metodologia progettuale. Nel testo, la forma è assunta come dato per negazione: “una architettura strutturata (cioè definita da una infrastruttura concettuale che unisce luogo, spazi e persone N.d.A.), definisce caratteristiche tipologiche piuttosto che forme”. È evidente la volontà di negare l’idea dell’architettura come oggetto ma non bisogna incorrere nell’equivoco cui la parola tipologia può portare. Nelle architetture di Labics il tipo non è mai declinato come un meccanismo di “riproduzione” di dati funzionali o riferimento a priori nella determinazione del sistema distributivo dell’edificio, è piuttosto utilizzato come strumento di pensiero, infrastruttura in grado di accogliere diverse funzioni e di mantenere sviluppi potenziali. La capacità di pensare per tipologie è interpretata come la capacità di immaginare trasformazioni, modifiche e un continuo creare livelli di cultura diversi, inediti e sconosciuti [Ungers, 1985].
Nei progetti di Labics a questo si aggiunge un percorso che porta il progetto a prendere forma da una dimensione generica e astratta attraverso il confronto con il luogo, con gli usi e soprattutto con il processo di costruzione: “Una architettura strutturata esprime la capacità di produrre nuove forme di organizzazione basate su una costruzione rigorosa” si legge sempre nel loro sito web. In questo senso si può interpretare la loro produzione dei modelli poi esposti anche in una mostra tenutasi a Roma nella primavera di quest’anno, un lavoro che esplicita il metodo progettuale e permette di affrontare la terza chiave di lettura dell’edificio: rigore costruttivo.
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Pannelli sandwich
Doppio vetro su infisso in alluminio
Doppio vetro fisso
Doppio vetro su infisso in alluminio
Profilo in alluminio
Lastra in vetro extrachiaro temperato e serigrafato
Profilo in alluminio microforato
Profilo in alluminio
Profilo in alluminio microforato
Profilo in alluminio
Lastra in vetro extrachiaro temperato e serigrafato
Elementi di fissaggio in acciaio inox Ventilazione
Ventilazione
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Rigore costruttivo
Nell’installazione “structures”, composta da 50 modelli realizzati tra il 2014 e il 2015, si chiarisce l’idea della relazione tra forma, spazio e costruzione a partire da un insieme di archetipi e di temi declinati nel lavoro dello Studio.
La mostra-installazione chiarisce come la struttura possa costituire il dato di origine attraverso cui produrre spazi che acquisiscono valore e significato nel confronto con la città e dall’interazione con chi li percorre e li abita. Questo concetto, unito al rifiuto della ricerca di un rapporto univoco forma significato, chiarisce il ruolo della tipologia: questa non è obiettivo ultimo del progetto, ma infrastruttura concettuale. È la costruzione quindi che diviene mezzo espressivo che lega inscindibilmente forma e materia.
Nel MAST il rigore costruttivo diviene anche rigore nella gestione dei materiali e nella definizione dei dettagli. Solo partendo dalla premessa sul senso della costruzione è possibile evitare da un lato l’interpretazione riguardo un uso della tecnologia come linguaggio, unico dato espressivo in sé che lascia alla superficie ultima dell’involucro il ruolo significante del progetto; dall’altro il sospetto di un determinismo formale che trasforma dati imprescindibili del progetto in forma (un esempio su tutti è rappresentato oggi dall’uso retorico della sostenibilità come strumento di misurazione oggettiva della qualità del progetto). Piuttosto l’impostazione che mette al centro l’idea del percorso e quindi della sequenza degli spazi e dei luoghi permette di far convivere i diversi aspetti del progetto, di svelare i dettagli della struttura nell’auditorium dove appaiono le travi reticolari a ricordare lo sbalzo che si apre verso il parco, o ancora di sintetizzare nello spazio l’uso di materiali che altrimenti avrebbero rischiato di diventare un “catalogo di soluzioni”. Non solo quindi i pannelli esterni in vetro serigrafato, ma anche negli interni tutti i materiali di finitura sono stati realizzati e assemblati in maniera esemplare da ditte di altissime capacità artigianali: dai pavimenti alla veneziana realizzati su disegno originale, ai dettagli della falegnameria, dell’acciaio, del cemento a vista, solo per citarne alcuni.
Nel MAST nulla prevale sul resto e tutto rimane in un equilibrio fatto di luci, ombre, spazi, sequenze: “Un’architettura strutturata genera sfondi piuttosto che figure”, scrivono ancora nel loro testo programmatico Claudia Clemente e Francesco Isidori, sfondi a diverse scale che dal dettaglio arrivano fino al rapporto con la città in un continuo spaziale unitario che vuole recuperare la dimensione umanistica del progetto.
Riferimenti bibliografici AA.VV. (2013). MAST, Bologna.
Conforti, C. (2013). “MAST cos’è periferia?”, in Casabella, 513.
Clemente, C. e Isidori, F. (2015) “Design Philosophy” in www.labics.it [Consultazione 30.06.2015]
Ungers, O. M. (1985). “Oswald Mathias Ungers” in Dieci Opinioni sul Tipo, Casabella, 509-510.
Particolare dell’ingresso al Nido, protetto dalla pensilina.
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Foto: Christian Richters
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