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una storia che parte da lontano

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Academic year: 2022

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L’

ASSIMILAZIONE EGIZIA E LA NUBIA INDIPENDENTE

L’Antico Egitto conquistò il territorio nubiano in fasi successive, integrandolo pezzo per pezzo tra le sue province fino a che, sotto la XXV dinastia, furono i Nubiani a conquistare a loro volta l’Egitto. Gli antichi Egizi definivano la regione a nord del Sudan “Medjay”, una serie di resoconti trattano di come molti dei suoi abitanti fossero stati integrati nei reparti militari egizi o venissero utilizzati come lavoratori salariati.

Praticamente ci troviamo di fronte ad una sorta di assimilazione totale dei Nubiani nella società egizia, così completa da mascherare tutte le identità etniche nubiane sia dal punto di vista culturale che architettonico: questo è particolarmente evidente nel periodo “Kushita”

della XXV dinastia (750-655 a.C. circa), quando i Nubiani, tornati brevemente sul trono, non cambiarono nulla delle regole egizie, anzi costellarono l’intero paesaggio della Nubia di templi e tombe indistinguibili per stile dai monumenti eretti in Egitto. In questo quadro di assimilazione culturale, forse l’unico tratto diverso, che mantiene aspetti di cultura propria riguarda il cosiddetto Regno di Meroë, nel sud della Nubia. Il popolo, in quella zona, prese molti

costumi dell’antico Egitto, ma li rese unici sotto molti aspetti, ad esempio sviluppando una propria forma di scrittura, nata utilizzando i geroglifici egiziani ma in seguito modificando questi ultimi in un alfabeto di 23 segni o costruendo piramidi con stili propri e differenti da quelli egizi.

Probabilmente questa “autonomia culturale”

fu possibile grazie alla forza militare del regno:

una leggenda narra che Alessandro il Grande giunse nell’area con le sue forze ma di fronte alla brillante formazione militare dell’esercito guidato da Candace di Meroe, decise di ritirare le sue truppe. In realtà, Alessandro non invase mai la Nubia, ma questo racconto ci fa comprendere quale fosse la visione degli egizi riguardo a quella che può essere considerata la sola parte realmente indipendente della zona nubiana.

Meroe finì formalmente di esistere intorno al 350 d.C., quando la zona fu invasa dal regno etiope di Axum e il territorio fu suddiviso tra tre regni più piccoli: a nord la Nobazia, tra la prima e la seconda cateratta del Nilo, con capitale a Pachoras (oggi Faras), al centro Makuria, con capitale a Dongola, e più a sud Alodia, con capitale a Soba (nei pressi di Khartoum). Nel corso del tempo l’afflusso di commercianti arabi introdusse l’Islam in Nubia e gradualmente la nuova religione venne a

soppiantare il Cristianesimo: mentre esiste un riferimento alla nomina di un nuovo vescovo a Faras nel 1372, è altresì evidente che la Chiesa

“Reale” a Dongola era stata convertita in una moschea intorno al 1350. L’afflusso di Arabi contribuì alla soppressione definitiva dell’identità nubiana dopo il crollo dell’ultimo regno nubiano intorno al 1504: gran parte della popolazione divenne totalmente arabizzata e iniziò a utilizzare correntemente la lingua araba, cosa che perdura fino ai nostri giorni.

IL NOSTRO VIAGGIO 30 marzo / 31 marzo

Ritrovo in aeroporto con il “gruppo Milano”, nonostante la Pasqua l’aeroporto è tranquillo, ci sbrighiamo in fretta agli imbarchi e al controllo sicurezza. Al Cairo ci congiungiamo con il

“gruppo Roma”, ci aspettano 4 ore d’attesa prima di partire. Arriviamo alle 2:30 di notte ma all’aeroporto di Khartoum è come se fosse mezzogiorno, in un caos indescrivibile aspettiamo i nostri bagagli. Nel frattempo andiamo alla ricerca del nostro corrispondente, che però non si vede. E’ lui che fortunatamente trova noi, per lui è cosa abbastanza facile siamo gli unici stranieri.

Caricati i bagagli sul bus, ci dirigiamo al nostro

NUBIA NUBIA

Testo di Claudio Giraldi Foto di Katia Netti

una storia che parte da lontano

Da una Nubia Breve - Gruppo Katia Netti

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NUBIA NUBIA

albergo dove arriviamo dopo un breve tragitto, nel frattempo si sono fatte le 5 di mattino. Dormiamo un po’ e dopo colazione carichiamo i nostri fuoristrada con i bagagli, le provviste, le tende, e partiamo attraverso le strade polverose di Khartoum.

La nostra prima tappa sono le gole di Sabaloka, a sud di Bagarawia a circa 50 km a nord di Khartoum dove si trova la sesta e ultima cataratta del Nilo.

Le cataratte del Nilo sono 6, la prima si trova vicino Assuan e la quarta e la quinta in corrispondenza accanto ad Atbara e la sesta a Sabaloka. Le cataratte sono delle rapide in acque basse che nell’Antico Egitto ne rendevano difficile la navigazione, anche a causa delle frequenti rocce sporgenti contro le quali s’incagliavano le navi. Arrivare fino alla seconda cataratta era difficilissimo nell’antico Egitto, basti pensare che per la prima volta ci riuscì Sesostri I (1962-1928 ca. a.C.) per stabilire legami commerciali con la Nubia. Invece con Tutmosis III (XVI-XV sec.

a.C.) che compì varie campagne militari nei regni circostanti, il regno Egizio si spingeva fino alla quarta cataratta. Consumato il pranzo con vista sul Nilo, ci concediamo un giro in barca per ammirare il grande fiume dal suo punto di vista migliore. Pernottamento al sito di Wad Ben Nagaa.

1 Aprile Pasqua

La prima notte in tenda è dura, comunque siamo carichi per l’intensa giornata che ci attende: una rapida colazione, gli auguri di rito (oggi è Pasqua) e partiamo con i fuoristrada verso Naga.

Naga

Il sito di Naga si trova a circa 30 km a est del Nilo, a 130 km a nord di Khartoum ed è uno dei due centri sviluppati durante il periodo Meroitico. A Naga, in un tipico ambiente sahariano con rocce e sabbie, si trova il tempio di Apedemak (I secolo d.C.): un edificio con decorazioni a bassorilievo con l’immagine del Dio con la testa di leone, del faraone e dei nobili e diverse immagini rituali del Dio Apedemak. A poca distanza c’è una piccola costruzione con arcate e colonne denominate “chiosco”, in cui possiamo notare gli stili architettonici egizi, romani e greci tutti nello stesso edificio. Poco a nord si trova il tempio di Amon, anch’esso costruito nel I sec. d.C. Si giunge ad esso attraverso una

rampa alla cui sommità c’è una serie di sei sfingi-ariete, un chiosco e poi altre sei sfingi- ariete tutte con il corpo inciso a rappresentarne il pelo.

Naga era un centro religioso importante con annesso un agglomerato cittadino dove sono stati rinvenuti anche due grandi cimiteri.

Firmiamo il registro dei

visitatori che ci viene messo a disposizione dal custode: i visitatori sono davvero pochi. Tutto intorno il tempo sembra essersi fermato: c’è un preziosissimo pozzo, dal quale un uomo assieme

a delle donne e con l’aiuto di ragazzini sta attingendo l’acqua con l’aiuto di un asino che tira una corda; il pozzo sembra essere profondissimo, cosa che non è difficile da ipotizzare in questo deserto.

L’argano è un tronco di legno appoggiato su altri due tronchi a forcella. Dalle profondità della terra emerge un otre di pelle nera, pieno d’acqua, che l’uomo afferra e travasa in uno dei due fori situati a bocca di

pozzo, che probabilmente contengono una cisterna sotterranea. Rimaniamo per parecchio tempo ad osservare il ripetersi di questa scena arcaica.

Purtroppo il tempo è tiranno e dobbiamo spostarci a Musawwarat.

Musawwarat es Sufra

Si tratta della zona templare più estesa del Sudan.

È caratterizzata dalla Grande Cinta, un muro perimetrale di oltre 600 metri di lunghezza che racchiude varie costruzioni. Innumerevoli sono le rappresentazioni dell’elefante. Secondo alcuni archeologi questo luogo potrebbe essere stato un centro di addestramento di elefanti da guerra che venivano poi esportati verso l’Egitto. Altre teorie sostengono che il luogo fosse un complesso religioso o un centro di pellegrinaggio, date le molteplici rappresentazioni del dio leone Apedemak e di altre divinità.

Lasciamo Naga e percorriamo la strada sterrata in direzione nord, fino a Shendi, una volta famoso mercato degli schiavi, ed oggi piccola cittadina con vie trafficate ed un mercato, dove acquistiamo frutta e verdura. Fa caldo, e si capisce quindi l’usanza di mettere fuori di ogni casa degli otri in terracotta, da cui i passanti possono attingere liberamente acqua per dissetarsi.

L’atmosfera è cordiale, però dobbiamo muoverci, ci aspettano altre due ore di macchina prima di poterci fermare per consumare il pranzo. Individuato un luogo di sosta per camionisti, ci sistemiamo

per consumare il solito pasto veloce del mezzogiorno, e come per magia Silvano estrae dal “cilindro” una superba colomba pasquale, degno e ammirevole segno che oggi è Pasqua. Dopo la pausa pranzo, riprendiamo la strada per arrivare a metà pomeriggio a Meroe, il più importante sito archeologico della Nubia ed antica capitale del regno meroitico, a poca distanza dal Nilo.

Meroe

Meroe è patrimonio UNESCO dal 2011, e le sue piramidi risalgono all’800 a.C, costruite come

simbolo di potenza del prestigioso regno di Kush, dominio dei “faraoni neri”. In tutto, tra quelle delle località di El -Kurru e di Nuri, se ne contano circa 220 e costituiscono la maggior concentrazione di piramidi al mondo (in Egitto ce ne sono circa 120).

Il sito di Meroe, noto anche come “cimitero reale”, è il più grande e le sue 100 piramidi, circondate dal Sahara e divise tra le tre aree nord, sud e ovest, sono le più antiche. A pochi chilometri dalla “città reale”, vecchia di quasi 3 mila anni e le cui rovine (i templi di Amon e del Sole e i Bagni Reali) sorgono tra la macchia e le acacie lungo le rive del Nilo, le piramidi accolgono il visitatore in un’atmosfera incontaminata. È proprio l’assenza di turisti e il fascino dell’ignoto, che donano alle piramidi meroitiche un’autenticità ben maggiore delle più celebrate sorelle di Giza. più giovani rispetto a quelle di Giza, tanto per avere un’idea, quella di Cheope fu terminata nel 2570 a.C, sono anche strutturalmente diverse, apparendo più aguzze e slanciate.

Decisamente più piccole, misurano dai 10 ai 30 metri in altezza contro i 146 della Grande Piramide citata, hanno fianchi più ripidi, inclinati di 70° contro i 40/50° delle piramidi egiziane, pietre più ruvide e presentano la camera funeraria non all’interno come per Chefren e Micerino ma nelle parti interrate, sotto la struttura piramidale. Tra il 1800 e il 1900, diversi archeologi a caccia di tesori hanno depredato il cimitero reale, come Giuseppe Ferlini che fece saltare con la dinamite la sommità di 40 piramidi per poi vendere i gioielli rinvenuti ai musei in Germania.

Ma nonostante la furia devastatrice, il monumento funerario è ancora lì, ancora ignoto ai più e per questo ancor più degno di visita. Visitiamo per prime le rovine della città imperiale, con i resti del palazzo reale, del tempio di Amon e dell’adiacente bagno turco termale. Sorprendente è la prima delle due necropoli reali, con i resti di circa cento piramidi.

Il cimitero meridionale risale all’ottavo secolo A.C.

e a quest’ora del giorno le piramidi assumono dei colori caldi, che ben si abbinano alla sabbia rossa del deserto.

Appagati da tanta bellezza, andiamo a campeggiare dietro le piramidi, in una valle riparata tra le alte dune. Come degna conclusione della giornata pasquale, che termina tra dune e piramidi con lo scenario di un tramonto da cartolina, consumiamo

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una ricca cena a base di agnello arrosto con contorno di una squisita peperonata. Non ci resta che ritirarci nelle tende e attendere l’alba. Alcuni del gruppo salgono sulla duna vicino al nostro campo tendato e grazie alla luna piena possono vedere il sito archeologico illuminato dalla luce biancastra che rende l’atmosfera irreale e suggestiva.

2 aprile

Il sole non ha ancora fatto capolino tra le dune ma siamo già svegli. Il gruppo si mette in moto, chi si toeletta, chi fa colazione, chi smonta le tende.

Siamo pronti per la salita sul punto più alto, ad ammirare il deserto che si rischiara e dal lato opposto le piramidi aguzze di Meroe, immerse nel primo chiarore del sole che

sorge. Entriamo trionfanti al “Royal cemeteries of Meroe” per osservare le piramidi dalla prospettiva opposta a quella delle sera prima e per scalare la grande duna sulla quale sorgono oltre quaranta piramidi, molte delle quali decapitate da Ferlini, le cui razzie sono oggi conservate al museo di Berlino.

Siamo gli unici turisti. Alcune piramidi sono state ricostruite dagli archeologi, così come i tempietti che servivano di ingresso. Ci aggiriamo stupefatti ai piedi di queste aguzze piramidi, immersi nella luce del primo mattino. Vaghiamo da un monumento all’altro, seguiti dalle orme dei nostri passi sulle dune immacolate, e ci ritroviamo dopo più di un’ora seduti sui gradini dell’ultima piramide, da dove lo sguardo spazia su tutta la necropoli reale di Meroe. Sotto le dune compaiono come in un miraggio i cammellieri, che aspettano i primi e forse unici turisti della giornata.

Risaliti sui nostri fuoristrada, si riparte. Ci attendono

lunghe ore di macchina in quanto oggi sarà una giornata di trasferimento con l’attraversamento del deserto del Bayuda, racchiuso all’interno della grande ansa del Nilo. È un territorio sassoso, caratterizzato nella zona centrale da antichi coni vulcanici neri e vaste estensioni di sassi quarziferi bianchi da cui deriva il nome Bayuda che significa

“bianco” in dialetto locale.

Facciamo una sosta ad Ed Damer per il consueto mercato dove ci approvvigioniamo di pane fresco e bottiglie di acqua. Giunge anche il momento di provare il cibo locale, quando vediamo il grande otre di metallo dal quale un ragazzo estrae con un mestolo spesse porzioni di ful, il piatto nazionale del Sudan, preparato facendo cuocere in acqua le fave, accompagnate con spezie e verdure di stagione. C’è chi preferisce invece consumare la consueta razione di pane e tonno non fidandosi del cibo locale.

Poche decine di chilometri e arriviamo ad Atbara, passiamo il ponte di ferro sul fiume omonimo, ultimo affluente del Nilo prima del grande delta. La città era il principale nodo ferroviario del paese nonché sede della National Railway Company; oggi le ferrovie sono state quasi del tutto dismesse a favore del più inquinante traffico su gomma, anche a causa della mancata manutenzione della rete ferroviaria. E a questo punto attraversato il grande ponte sul Nilo partiamo per la traversata dei quasi 300 km del deserto del Bayuda: più di 4 ore sul lungo nastro d’asfalto interrotto solo dalla visione di cammelli al pascolo e di grandi laghi che sono in realtà dei miraggi.

Superate le ultime montagne, ci appare all’ orizzonte

la sagoma del Jebel Barkal che sembra galleggiare sulla sottile striscia verde delle coltivazioni lungo il Nilo. Siamo arrivati a Karima. Vista l’ora del tramonto, prima di recarci al nostro “resort”, preferiamo fare una capatina alle piramidi di Napata, che sorgono ai piedi del minaccioso jebel Barkal.

Al tramonto è consuetudine dei ragazzi locali salire sulla montagna per poi discendere a rotta di collo dall’altissima duna che si appoggia alla montagna stessa. Dietro la montagna entriamo nel villaggio per sistemarci in casa di Hamed Musa.

La giornata si conclude degnamente con una superba carbonara che per i mezzi tecnici e gli ingredienti a disposizione supera le migliori aspettative.

3 aprile

Dopo colazione partiamo per un fuoripista fino a Ghazali, dove ci sono le rovine di un antico monastero, a testimonianza dell’antica cristianizzazione dell’Africa settentrionale, spesso sull’esempio di asceti che si ritiravano a meditare nel deserto.

Ghazali

I resti della chiesa, del convento e del fortino sono stati rinvenuti da una missione archeologica nel 1953/54, ma un secolo prima, Richard Lepsius trasportò le pietre tombali copte e greche a Berlino.

Ghazali è il terzo monastero identificato in Sudan assieme a quelli di Er Ramal e di Kasr EI Wizz localizzati nella bassa Nubia, attualmente inondata dal lago Nasser.

La struttura è in rovina, ma si può ancora leggere con facilità l’impianto generale, le grandi mura esterne, la chiesa, le celle dei monaci. In mezzo a questo nulla, compaiono dei ragazzini che ci guardano incuriositi, queste parti gli stranieri sono rari.

Percorrendo nuove piste sterrate giungiamo al sito piramidale di Nuri, che ci appare come per incanto tra le dune di un deserto senza tempo. In questo luogo sorge una grande necropoli reale con circa 20 piramidi, tra cui quella alta 30 metri del faraone Taharqa, che riunificò il paese dopo la sconfitta subita ad opera degli Assiri. Il deserto entra praticamente dentro le piramidi, che si ergono solitarie in mezzo al nulla, con le loro forme geometriche elementari che si fondono nel colore e nei volumi con l’ambiente circostante, creando un suggestivo spettacolo di sapore arcaico.

Nuri

La sua importanza è dovuta alla presenza delle piramidi dove furono sepolti i sovrani della Nubia che regnarono da Napata, prima capitale del regno di Kush. La più antica piramide è attribuita a Taharqa, penultimo sovrano della XXV dinastia egizia, ed ha un lato di base di circa 51 m mentre l’altezza originaria doveva essere tra i 40 ed i 50 metri.

Queste piramidi a differenza di quelle di Meroe, sono simili a quelle della piana di Giza, con la classica tipologia di costruzione a strati sovrapposti di blocchi di calcare. Dopo un’altra ora di fuoristrada, sotto un sole implacabile, raggiungiamo la Necropoli di El Kurru, ai margini dell’omonimo villaggio.

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Necropoli di El Kurru,

Siamo nel cuore di quello che fu l’importante regno napateo e proprio qui è possibile farsi un’idea dei diversi stadi dello sviluppo piramidale. Le più evolute costruzioni kuscite consistenti in monumenti sepolcrali con tipiche piramidi aguzze, furono precedute, infatti, da ben più rudimentali collinette costruite direttamente sopra la tomba. A differenza delle piramidi ben conservate

ma senza traccia delle camere sepolcrali, qui le camere sepolcrali sono ben conservate e godibili. Discesa una ripida scalinata che conduce sotto terra, si entra nella tomba vera e propria e qui si rivela tutta la bellezza d’iscrizioni geroglifiche e immagini policrome di re e

divinità ancora in parte ben visibili. Si distinguono alcune scene significative, legate a quel complesso armamentario che è la spiritualità egizia, tra queste il momento del “peso del cuore” del defunto quale momento della verità per l’anima esposta al giudizio del dio dei morti. Un altro dipinto bello, non riscontrabile in nessun’altra tomba sudanese e dunque per questo interessante, è quello che raffigura la regina sdraiata in posizione prona sul letto funerario.

Le Necropoli sorgono proprio davanti al villaggio di El Kurru e, durante la visita, ci incrociamo in alcune belle ragazze, che sono venute a visitare le tombe.

Sono ben vestite e curate nel trucco, per niente intimorite dalla nostra presenza, anzi ci guardano con grande curiosità per ricordarci come il turismo da queste parti sia ancora un concetto astratto.

Sempre sotto un sole implacabile, ci dirigiamo in un posto vicino dove esiste una vera e propria foresta pietrificata, un posto incantato dove si trovano decine di grossi tronchi di alberi preistorici.

Jebel Barkal

La sua sagoma si intravede da lontano quando si è ancora in pieno deserto del Bayuda. Come tutte le cose grandi, incute reverenza fin dalla sua prima apparizione, sarà anche per le notizie che apprendiamo sul suo conto: il Jebel Barkal è la “casa” del dio Amon-Ra, il luogo sacro per eccellenza dei nubiani, il centro spirituale del Regno di Kush, bussola nel deserto nubiano e da oltre mille anni suo cuore religioso.

Sul lato più meridionale, sempre alla base del sacro Jebel (jebel in arabo vuol dire “montagna”), è scavata una camera-santuario dedicata alla dea Hator, introdotta da due splendide colonne i cui capitelli riportano le effigi, perfettamente visibili, del volto della dea. All’interno del santuario si può notare un affresco con una scena di parto: la dea Hator è protettrice delle donne e della famiglia oltre ad essere la divinità della danza e della musica, della gioia e della bellezza.

Saliamo per goderci lo splendido panorama delle

piramidi al tramonto. La sosta in cima allo jebel dura poco, il tempo di qualche foto e poi subito giù per il sentiero roccioso in alternativa alla discesa dalla grande duna di sabbia.

4 aprile

Il muezzin canta dando la sveglia anche a chi vorrebbe dormire. Dopo colazione, andiamo a fare un giro al mercato di mattina presto per la spesa quotidiana di acqua e altri generi.

Anche qui come a Khartoum non c’è il fermento che ci si aspetterebbe in un mercato al mattino presto, molti banchetti sono ancora sguarniti.

Facciamo i bagagli, paghiamo le camere ed alle 8 e 30 partiamo verso Old Dongola. La strada è nuovissima e corre nel paesaggio desolato, con la sabbia che invade l’asfalto e lo ricopre. Il deserto sembra quello delle cartoline, di colore oro uniforme, mentre il Nilo bordato di verde corre a poche centinaia di metri sulla sinistra.

Decidiamo di fermarci all’interno di una piccola oasi per consumare il nostro solito pranzo al sacco.

Il posto è piacevole e gli alberi di tamarindo con la loro fresca ombra rendono piacevole la nostra sosta.

Poco lontano da noi avviene il miracolo della nascita di un piccolo cammello.

Rifocillati, proseguiamo verso la nostra prossima tappa. Le cupole di strane costruzioni coniche ci preannunciano l’arrivo alla nostra meta.

Old Dongola

Old Dongola detta anche Dongola El Ajuz. In una grande pianura desertica si ergono le splendide

“qubbe”, edifici realizzati in mattoni rossi dalla caratteristica cupola di forma conica da cui derivano il nome. Questi manufatti architettonici sono delle enormi tombe monumentali islamiche, luogo di sepoltura dei Marabutti, santi uomini musulmani. Ancora oggi la gente del luogo si reca in pellegrinaggio in questo luogo in occasione di celebrazioni religiose o funerarie per recare doni od offerte ai Marabutti seppelliti all’interno di esse.

Posto su un’alta rupe che domina la città vecchia e lo scorrere lento del Nilo vi è il Monastero, un edificio cubico dalle mura possenti realizzato in mattoni crudi, simile ad un castello medioevale. Il monastero trasformato in moschea dal re Abballa Bershmbdu, come recita la lapide con iscrizione in caratteri arabi, nel maggio del 1317, si trova oggi in uno stato di totale abbandono, con alcuni solai pericolanti e non è visitabile. Dal monastero si gode una magnifica vista sulla fascia verde del Nilo in netto contrasto con il colore abbagliante della sabbia del deserto e sulle rovine dell’antica città.

Ripartiamo, addentrandoci nel deserto di sabbia costeggiando il verde dei palmeti che sembrano piantati direttamente nella sabbia. I primi segni della civiltà ci preannunciano che siamo arrivati a Mulwad.

Ed infatti le bianche mura delle costruzioni con i loro coloratissimi portoni ci stanno ad indicare che la

nostra meta è stata raggiunta. Abbiamo la sgradita sorpresa che la nostra abitazione e chiusa è non c’è nessuno che possa aprirci il portone. La gente del posto ci dice: ”I padroni sono in vacanza, invece che ad un matrimonio, oppure sono andati via e non tornano”. Quando la speranza di dormire in un letto si stava affievolendo, dal nulla sbuca un distinto signore che con calma si avvicina a noi, davanti al cancello chiuso, si china, scava nella sabbia e con la mano estrae una chiave, con la quale ci apre e possiamo finalmente sistemarci. Il signore distinto entra con noi nelle stanze e da come si muove scopriamo con grande sorpresa che è cieco.

Con pochi e collaudati gesti ci sistemiamo e ci prepariamo per la notte.

5 aprile

Come al solito sveglia alle 4 e mezza per colpa del muezzin che incita alla preghiera dal minareto che si trova proprio accanto al nostro “resort”. Ci consoliamo con una ricca colazione, poi con la consueta e collaudata organizzazione carichiamo i bagagli e iniziamo la giornata di esplorazione.

La pista che percorriamo in mezzo alla sabbia ci consente di poter ammirare, complice il mattino con i colori vividi e marcati, la magia del paesaggio con le palme che sembrano piantate nella sabbia.

Dopo tanta bellezza selvaggia arriviamo al villaggio di Omoogal, che si manifesta con le tipiche costruzioni nubiane fatte di mattoni crudi ma decorate in modo bellissimo.

Villaggi nubiani

Gli abitanti della Nubia, chiamati in antichità i kushiti, costituiscono uno dei popoli con la più forte identità in Sudan. La loro appartenenza è ancora oggi spesso marcata da scarificazioni sul viso e se la loro lingua è ormai stata contaminata dall’arabo, si trovano ancora nella zona di Dongola dei dialetti di origine kushita.

La zona abitata dai nubiani si trova nell’area della Valle del Nilo che va dalla prima alla sesta cataratta del fiume. Il popolo nubiano è uno dei più ospitali del paese e le loro caratteristiche case tradizionali in argilla intonacata e dipinta e le loro bellissime porte decorate, sono oggi aperte ai visitatori di passaggio, senza alcun pregiudizio.

Gli abitanti sono incuriositi dalla nostra presenza, gli stranieri da queste parti sono rari, ed in particolar modo i bambini ci seguono e si prestano a farsi fotografare e un gruppo di ragazzine comincia ad intonare una canzone tamburellando su delle taniche di plastica. Terminata la visita in questi bellissimi villaggi, dove la vita si svolge con ritmi lontani anni luce dalla nostra frenesia, riprendiamo il nostro cammino alla volta di Kerma.

Regno di Kerma

Nei pressi di Kerma sorge il sito archeologico di Deffufa, che in nubiano significa edificio di mattoni di fango. Le costruzioni più imponenti del periodo classico furono le due Deffufe. Queste costruzioni, sconosciute in Egitto, venivano realizzate in mattoni crudi e avevano mura perimetrali dello spessore di

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circa dieci metri di circa 20 metri in altezza e circa 50 metri in larghezza; erano probabilmente edifici destinati all’amministrazione e al culto. Intorno alla Deffufa che si trovava al centro della città, si sviluppò un importante complesso commerciale politico e religioso.

Riprendiamo il cammino per andare a visitare il villaggio di Tombos, all’altezza della terza cataratta.

Le cave di Tombos.

Nei pressi del villaggio di Tombos si trovano grandi rocce granitiche di un bel colore grigio chiaro. Ai tempi egizi era una zona di cave di pietra utilizzata per la costruzione di statue e monumenti. I grandi arieti che si trovano davanti al tempio di Amon ai piedi del Jebel Barkal e i due colossi di Argo sono stati costruiti con il granito proveniente da queste cave. Attualmente, ai margini del villaggio, fra le prime rocce di granito si trova un’antica statua del faraone Taharqa, abbandonata da 2700 anni probabilmente perché danneggiata nel tentativo di trasportarla. Nei pressi del Nilo si trovano dei grandi massi, dove sono visibili alcune incisioni rupestri che riproducono immagini del faraone, degli dei e una stele di Thutmosis I per definire i confini meridionali del suo regno. Sulla pietra il faraone fece incidere una lista che descriveva i popoli vinti nella regione.

Sulle stele incise sulle rocce si legge: “Egli ha ridotto i confini del mondo sotto il suo potere; la sua frontiera meridionale tocca i confini del Kush, quella settentrionale raggiunge l’acqua che scorre a ritroso, che si discende nel risalire”. La terza cateratta, nel periodo del Nuovo Regno, fu infatti il confine meridionale dell’Impero egizio per alcune centinaia di anni.

Terminata la visita, dopo aver attraversato il Nilo percorriamo l’ultimo tratto di strada fino al piccolissimo villaggio di Sahaba.

6 aprile

Facciamo colazione dando fondo a tutte le provviste, salutiamo i padroni di casa e ci mettiamo in marcia verso Khartoum.

Ci fermiamo a Tamtam per la sosta pranzo nelle solite baracche che fungono da autogrill, dove fermano anche gli autobus che collegano le principali città del paese. Vediamo uno spaccato di vita reale: c’è chi controlla motori e pneumatici, chi vende cibo da asporto, chi attende di partire sui nuovissimi bus

cinesi. Dopo il solito buon tè si riparte alla volta di Khartoum. Una parte del gruppo andrà a vedere i dervisci, l’altra la lotta nubiana.

Lotta Nubiana

In Sudan, la lotta corpo a corpo veniva praticata tradizionalmente da combattenti nudi con il corpo cosparso di polvere o burro vaccino. Oggi la maggior parte dei giovani lottatori indossa quasi sempre pantaloncini sportivi e maglietta. Ciascuna tribù Nuba ha i suoi lottatori, che vengono incoraggiati con urla e applausi. Il pubblico si ammassa ai bordi dello spiazzo su cui sta per tenersi un incontro di lotta.

Per migliaia di anni, il combattimento rituale corpo a corpo è stato un’istituzione nella vita delle decine di tribù che compongono il popolo Nuba. Ogni comunità ha le sue tradizioni: alcune organizzano complessi tornei per inaugurare le stagioni della semina o del raccolto; per altre i combattimenti sono parte delle cerimonie nuziali. Questa pratica comune è parte del collante culturale che mantiene uniti i Nuba. Quando arriviamo, lo stadio è stracolmo di spettatori urlanti, gli incontri sono iniziati. Con un rituale particolare, le due squadre s’incontrano al centro dell’arena e un lottatore sceglie l’avversario della squadra rivale.

Il combattimento dura pochi minuti, vince chi mette con la schiena a terra l’avversario. Il vincitore viene poi portato in trionfo, tra urla e incitamenti gli incontri si susseguono, con sottofondo di musica a palla e la telecronaca partecipata di un commentatore. Alla fine, lo immaginiamo dalle urla d’incitamento, e dalla polizia, che sbucata dal nulla, si schiera tutto attorno all’arena, avviene l’incontro clou della giornata. I campioni devono essere conosciuti, e alla fine vince il meno favorito. La giornata si chiude con un’ottima cena al ristorante Siriano proprio davanti al nostro albergo.

7 aprile

Oggi è l’ultimo giorno in Sudan, lo dedicheremo alla visita di Khartoum. Come prima tappa ci dirigiamo al Souq Moowaileh di Omdurman famoso mercato dei cammelli che si svolge ogni sabato, dove si scambiano cammelli e dromedari sempre con moneta e baratto. L’insieme è veramente impressionante, ovunque si volga lo sguardo ci sono cammelli, sono migliaia.

Il suq Omdurdan

Tornando verso Khartoum, passato lo Shimbat Bridge,

lungo oltre cinquecento metri, che collega le sponde del “nuovo” fiume composto dai due bracci, il Nilo, ci dirigiamo al grande suq che si trova a Omdurdan la vecchia capitale del Sudan, che ha quasi 3 milioni di abitanti ed ospita i suq più colorati e pittoreschi di tutto il paese. Sulle centinaia di bancarelle si possono acquistare oggetti d’artigianato, prodotti alimentari e spezie, osservare i cestai e gli ebanisti all’opera e respirare (ed eventualmente comprare) il bokur, l’incenso che viene bruciato in occasione di importanti cerimonie religiose, come le danze vorticose dei Dervisci che si svolgono ad Omdurman il venerdì pomeriggio.

Museo nazionale

Come sintesi del nostro viaggio visitiamo il Museo Nazionale di Khartoum. Con il benvenuto di due colossali statue di granito poste proprio ai lati dell’ingresso e provenienti dall’isola di Argo, ci si fa strada nel giardino del museo dove si possono visitare i templi di Buhen, Semna est e Semna ovest.

Questi importanti monumenti che custodiscono bellissimi affreschi policromi dei faraoni, accuratamente ricostruiti con materiale originale e protetti da un ingegnoso sistema di hangar su rotaie, si affiancano alla raccolta, all’interno del museo, di utensili e ceramiche risalenti all’antichissima civiltà Kerma databile tra il 2500 e ilo 1500 a.C.

che può essere considerata il primo vero regno Kuscita. Si susseguono reperti provenienti dai vari siti archeologici del Nord, tra cui la testa di bronzo raffigurante l’imperatore romano Augusto trovata nella città reale di Meroe. Ci aspettavamo più materiale archeologico, ma il museo da quando è stato inaugurato, nel 1971, non ha mai subito né manutenzione né ammodernamenti. iI museo merita comunque una visita, per ripercorrere attraverso i reperti esposti le tappe del nostro tour.

La nostra avventura sudanese sta per concludersi:

a mezzanotte ci imbarchiamo sul bus che ci porterà all’aeroporto. E per non farci mancare niente assaporiamo pure il brivido di uno controllo di polizia ai transiti del Cairo, che costringe me e Roberto ad un frenetico andirivieni tra uffici di polizia e banco dei check-in per colpa dei nostri droni. Finisce tutto bene e stiamo pensando al prossimo viaggio.

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