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Le strategie di cui dispone sono nella maggioranza dei casi rappresentate dalla persuasione verbale (“Vedrà che, se segue quanto scritto nella prescrizione dietetica, si ridurranno queste crisi ipoglicemiche che

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Coloro che lavorano a stretto contatto con persone affette da diabete sottolineano come i problemi più diffusi che incontrano nella loro pratica clinica siano rappresentati dalla disinformazione, dalla negazio- ne/accettazione parziale della malattia, dalla scarsa motivazione alla collaborazione, dalla mancanza e/o dall’eccesso di autocontrollo, dalle difficoltà emozio- nali e dai problemi relazionali (1-3). Da tali osserva- zioni risulta evidente come il diabete rappresenti un tipico esempio di patologia cronica che, come l’obe- sità, l’ipertensione arteriosa o le dislipidemie, stimola nel medico a stretto contatto con i pazienti un forte senso di frustrazione e inadeguatezza delle strategie e tecniche tradizionali (4-6).

Le strategie di cui dispone sono nella maggioranza dei casi rappresentate dalla persuasione verbale (“Vedrà che, se segue quanto scritto nella prescrizione dietetica, si ridurranno queste crisi ipoglicemiche che

tanto la preoccupano.”), dalla prescrizione di soluzio- ni (“Visto il suo continuo aumento di peso, deve proprio iscriversi a una palestra per muoversi di più.”), da uno stile relazionale direttivo (“Faccia quello che le dico io in base alla mia esperienza. Deve fare le unità di insuli- na da me prescritte, non faccia di testa sua.”) e dalla colpevolizzazione (“Io l’ho avvisata; se lei continua su questa strada, non venga poi a lamentarsi da me quan- do avrà un danno al rene o agli occhi.”). Al clinico attento è tuttavia ben evidente come tali armi risulti- no a lungo termine del tutto inadeguate per il con- trollo delle complicanze e della cronicità del diabete.

I livelli di analisi

Approfondendo questa prima valutazione, possiamo dire che i diversi livelli di analisi che hanno storica-

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L’ APPROCCIO COMPORTAMENTALE INTEGRATO ALLA TERAPIA MEDICA DEL DIABETE

M. V

ENTURA

, B. B

AUER Didasco, Centro per il Trattamento Interdisciplinare dei Disturbi Alimentari, Verona

riassunto summar y

L’utilità dell’approccio cognitivo-comportamentale nel trattamento dell’obesità è oramai ampiamente ricono- sciuta; meno nota è invece la sua applicazione al trattamento del diabete. Gli autori presentano le diverse stra- tegie e tipologie di intervento utili al mantenimento nel tempo del cambiamento dello stile di vita, esemplifi- cando gli aspetti teorici con reali esempi clinici. Sfortunatamente gli interventi di modificazione comporta- mentale vengono ancora oggi ritenuti semplici tecniche di condizionamento che possono essere semplice- mente affiancate agli interventi clinici più tradizionali. L’articolo sottolinea la necessità, suggerendo le oppor- tune strategie, di una reale integrazione di tale approccio nella terapia clinica del diabete.

Parole chiave. Terapia cognitivo-comportamentale, diabete, approccio integrato.

Integration of behavior therapy in medical treatment of diabetes. The integration of behavior therapy and medical treatment is well known since the sixties in obesity treatment but less usual in the treatment of diabetes. The authors try to present the different treatment strategies and interventions with sufficient detail and examples, in order to give a better understanding of this complex treatment. Unfortunately behavior modification interventions are very often presented as simple conditioning techniques, used in parallel to medical interventions, while this article underlines the necessity and offers suggestions on how to integrate this approach in the medical treatment of diabetes.

Key words. Behavior therapy, diabetes, integrated approach.

Introduzione

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mente determinato l’approccio clinico al diabete pos- sono essere così riassunti:

• livello del risultato

• livello del comportamento

• livello cognitivo-comportamentale

• livello psico-biologico

Il primo livello era quello in cui l’attenzione del clini- co veniva focalizzata esclusivamente su un risultato di tipo numerico (ad esempio il numero di chilogrammi da perdere, l’emoglobina glicosilata da raggiungere ecc.). Tale approccio è oramai definitivamente abbandonato, come unico obiettivo terapeutico, visto lo scarso impatto sulla cronicità e sulle compli- canze del diabete (7-9).

Il successivo livello di analisi e risoluzione del proble- ma ha spostato l’attenzione da una semplice prescri- zione di un risultato desiderabile (“Deve perdere alme- no 10 kg nei prossimi mesi”) a un comportamento che il paziente deve acquisire.

Se infatti una persona deve perdere peso, sarà impor- tante mettere in relazione alcune esigenze (ad esem- pio la riduzione del consumo di grassi di origine ani- male) con le abilità che la persona dovrà sviluppare.

Come, ad esempio, imparare tecniche di autocon- trollo che l’aiutino a entrare in luoghi ad alto rischio, come il supermercato o una mensa, imparando a diminuire i comportamenti di acquisto di cibi a eleva- ta palatabilità e ad acquistare piuttosto alimenti coerenti con i suoi obiettivi di salute. La ricerca ha tut- tavia dimostrato come una patologia articolata come il diabete o l’obesità (presente nel 90% dei pazienti con diabete di tipo 2) (9) necessiti in realtà di un vero e proprio cambiamento dello stile di vita (1, 3, 9, 10).

Che cosa vuol dire esattamente “cambiare stile di vita”? Analizziamo la definizione fornita da Foreyt (3):

“Gli interventi di cambiamento dello stile di vita, centra- ti sulla modifica di quei comportamenti che pensiamo contribuiscano o mantengono l’obesità e la sedentarie- tà, hanno la loro radice nella modificazione comporta- mentale e comprendono diverse tecniche che includono l’uso dell’automonitoraggio, la definizione degli obietti- vi, il controllo dello stimolo, il cambiamento dello stile e delle abitudini alimentari, l’uso del rinforzo di compor- tamenti salutari, gli interventi cognitivo-comportamen- tali focalizzati a un aumento delle abilità cognitive (ad esempio la ristrutturazione cognitiva, la gestione dello stress e il training di inoculazione, le tecniche di rilassa- mento, la meditazione e le strategie di prevenzione delle ricadute) e l’uso di un supporto sociale.” In questo spo- stamento dal singolo comportamento allo stile di vita, è riassunto il livello di analisi cognitivo-compor- tamentale del diabete.

Tale approccio accetta il fatto che a un problema

complesso (una patologia cronica responsabile di numerose complicanze, tra cui un significativo aumento del rischio di malattie cardiovascolari) (9), devono essere necessariamente offerte soluzioni complesse.

L’ultimo livello, infine, suggerisce come il problema del peso corporeo e il comportamento alimentare nel diabete possano essere affrontati in termini psico-bio- logici (gli eventi psicologici e le operazioni comporta- mentali; la fisiologia periferica e gli eventi metabolici;

le interazioni neurotrasmettitoriali e metaboliche cerebrali): ciò rappresenta una nuova direzione della ricerca (11, 12).

Caratteristiche della terapia cognitivo-comportamentale

Le prime definizioni di terapia del comportamento vengono attribuite a Eysenck (13) e indicano il tenta- tivo di modificare terapeuticamente il comportamen- to e le emozioni attraverso le leggi delle moderne teo- rie dell’apprendimento. Negli anni ’70 Agras (14) ampliò tale terapia, introducendovi gli aspetti cogniti- vi; l’inclusione della componente cognitiva è oggi considerata una parte integrante dell’intervento com- portamentale (15-17).

I principi fondamentali dell’orientamento comporta- mentale possono essere così riassunti:

• l’obiettivo della terapia è il miglioramento concreto e verificabile di specifici problemi di salute psico- fisica;

• il processo del cambiamento viene affrontato attra- verso l’intervento su fattori predisponenti, precipi- tanti e di mantenimento;

• l’oggetto dell’intervento è la problematica attuale del paziente; la sua storia e le sue passate esperien- ze vengono utilizzate solo se funzionali alla piena comprensione dei fattori che mantengono il suo attuale disturbo;

• le capacità di problem solving del paziente vengono aumentate rendendogli comprensibile il tipo di intervento, coinvolgendolo in maniera attiva nel processo di analisi del problema, di definizione degli obiettivi terapeutici e di decisioni terapeuti- che;

• la relazione terapeutica è improntata all’empower- ment del paziente, alla sua auto-efficacia e alla sua assertività (non stimola pertanto la sottomissione a prescrizioni o l’accettazione acritica di soluzioni precedentemente pensate dal terapeuta);

• la terapia del comportamento mira all’azione e vede nella sperimentazione guidata la possibilità di

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riconoscere e cambiare atteggiamenti e comporta- menti automatici e consolidati nel tempo;

• è un intervento esplicito ed è un continuo processo di evoluzione.

La caratteristica fondamentale dell’intervento com- portamentale è la definizione di obiettivi chiari e misurabili che servono a stabilire l’efficacia di un intervento terapeutico e a elevare la motivazione del paziente. In questo modello è inoltre oggi sempre più rilevante il ruolo dell’équipe curante (18-21).

La presenza di obiettivi, siano essi difficili o meno, favorisce la produttività e fa registrare significative differenze a proposito dell’incremento dell’autoeffi- cacia (22).

Il concetto di autoefficacia (23) indica “la fiducia della persona nella propria capacità di mobilitare la motivazio- ne, le risorse cognitive e i comportamenti necessari per esercitare un controllo sugli eventi della propria vita” ed è, insieme alla chiarezza di obiettivi terapeutici e dei com- portamenti chiaramente definiti, la base di ogni pro- cesso di cambiamento. Troppo spesso un lavoro quoti- diano a fianco del paziente diabetico può indurci a dimenticare l’entità del cambiamento a loro richiesto.

La ricerca clinica sottolinea come le migliori modalità di apprendimento dell’autoefficacia si verifichino mediante:

• la persuasione verbale (per es. “Anche l’anno scorso, la chiusura del corso di ginnastica dolce l’aveva lascia- ta con il pomeriggio più vuoto. Si ricorda che aveva coinvolto alcune sue amiche per incontrarsi al percor- so verde, nel tardo pomeriggio? Sono certa che anche questa volta troverà una buona soluzione.”);

• l’imitazione di un modello efficace (per es. osserva- re, all’interno di un gruppo di auto-aiuto o psicoe- ducazione, le soluzioni che un’altra persona diabe- tica ha già posto in atto di fronte a un problema simile) (24-26);

• la sperimentazione diretta (per es. per una settima- na fare regolarmente una colazione adeguata, osservando come sia più facile gestire il desiderio di alimenti dolci nella tarda mattinata).

Nelle diverse strategie e tecniche utilizzate da per- sone diabetiche in terapia presso il nostro centro, che vedremo di seguito, emergeranno chiaramente i diversi tipi di apprendimento utilizzato. Se da un lato è vero che nella pratica clinica la persuasione verbale è lo strumento più utilizzato, i nostri pazien- ti ci insegnano come la sperimentazione sul campo sia insostituibile (27, 28), così come l’esperienza all’interno dei gruppi di auto-aiuto o di supporto guidato (25, 26).

Perché tuttavia una persona diabetica accetti il rischio e l’incertezza della sperimentazione, sono necessari

anche la persuasione verbale e l’ottimismo che nasce dall’esempio di altre persone con gli stessi problemi.

In tal senso è importante ricordare ai nostri pazienti come: “L’ottimismo non corrisponde a una disposizione innata, ma a un modo di pensare e di confrontarsi con la realtà che viene assimilato nel corso della propria esperienza sino a influire significativamente sul corso che essa può prendere. Sin dall’infanzia, le spiegazioni che i genitori e gli educatori danno del successo e del- l’insuccesso, iniziano un tirocinio che gradualmente cri- stallizza modi di pensare che predispongono a vedere il mondo attraverso le lenti dell’ottimismo e del pessimi- smo e che lasciano spazi più o meno ampi alla speranza e all’audacia...” (29)

Nella tabella I è riassunto che cosa significa da un punto di vista pratico, per un medico, applicare l’ap- proccio comportamentale al diabete. In sintesi, tale approccio implica il cambiamento del paradigma di riferimento, la modifica del ruolo del medico e del paziente, una nuova definizione degli obiettivi tera- peutici in termini di cognizioni e comportamenti e il doversi equipaggiare di nuovi strumenti di lavoro.

Se tuttavia riflettiamo su che cosa il cambiamento di stile di vita richieda alla persona affetta da diabete, è subito evidente come anche per lei il cambiamento risulti tutt’altro che facile. Per lei cambiare stile di vita significa, infatti:

• aumentare l’attività fisica e combattere la sedenta- rietà, modificando la gestione del suo tempo libero;

• mangiare in un modo sano, che sia di esempio agli altri familiari, coerentemente con i propri bisogni fisiologici;

• gestire in modo consapevole le proprie risorse (salu- te, tempo, denaro...) ed evitare/gestire lo stress;

• tollerare/gestire frustrazioni che derivano da una malattia cronica; gestire momenti di depressione più frequenti nelle prime e difficili fasi di cambia- mento dello stile di vita;

• sviluppare un modo di pensare coerente con il pro- prio stile di vita (attenzione nei confronti di un ambiente “tossico”, rispetto di obiettivi di peso e controllo glicometabolico realistici);

• mantenere una buona stima di sé anche quando non si è come gli altri.

In merito ai due ultimi aspetti elencati, è importante ricordare come alcuni aspetti che caratterizzano un approccio di successo al diabete siano ancora nel nostro Paese culturalmente (sia nel mondo scientifico che in quello dei mass media e degli amici/familiari) molto nuovi (30). Se per il clinico è difficile, ad esem- pio, far accettare ai propri pazienti i possibili indicato- ri di successo nel trattamento dell’obesità definiti da

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Rössner (31), in cui anche una riduzione del 5-10%

rispetto al peso iniziale ha un impatto significativo sull’emoglobina glicosilata (32), l’assetto lipidico e la pressione arteriosa, spesso la lotta per il paziente è impari a fronte di un familiare che gli dosa rigoro- samente i carboidrati complessi, pur in presenza di una quota adeguata di fibra alimentare nella sua dieta.

Ricordiamo infine che da quanto finora emerso, risulta più chiaro perché le informazioni non siano sufficienti per il paziente diabetico. L’equazione del cambiamento prevede infatti una sequenza speci- fica:

cambiamento = informazione x abilità x autonomia x risultato

Se nell’equazione anche una sola delle variabili è uguale a zero, il risultato finale è zero, cioè non avver- rà il cambiamento.

Le principali strategie e tecniche di modificazione dello stile di vita nel diabete: casistica clinica

Nella tabella II sono elencate alcune tra le più comuni strategie utilizzate per promuovere il cambiamento del comportamento alimentare e della sedentarietà (3).

Allo scopo di esemplificare da un punto di vista prati- co alcune delle tecniche comportamentali e delle strategie fino a ora introdotte, vengono riportati alcu- ni elaborati eseguiti da pazienti affetti da diabete di tipo 2 e obesità, seguiti presso il nostro centro.

L’automonitoraggio

• Il seguente diario è il primo presentato da una donna di 38 anni, con IMC (kg/m

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) pari a 28,7, cir- conferenza della vita 91 cm, affetta da diabete di tipo 2 e ipercolesterolemia.

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Data Ambiente Fame Cibo Sazietà Pensieri

Venerdì In studio con i Moltissima 2 pastine Non lo so

06/03, colleghi, al cioccolato,

ore 10:00 festeggiamo 1 bicchiere di succo di frutta

1 cioccolatino

13:30 Al bar con Molta 1 fagotto, Non lo so

un collega 1 pezzetto di

crostatina di marmellata di albicocche,

1 caffè con il dolcificante

19:10 Al bar con Non lo so 1 caffè, 1 Bellini, Credo di sì

mia sorella una manciatina

di salatini e 2-3 patatine fritte

20:00 In macchina, Molta 5 pastine, Si

tornando a casa 5-6 baci di dama, 1 pacchetto di wafer al cioccolato

20:30 In sala Mi sento 1 piatto di pasta Mi sento

con i miei scoppiare al pomodoro, un po’ scoppiare di patate al forno,

2 bocconi di pane

Mi sento a disagio in mezzo a tutte queste persone. Penseranno che, grassa come sono, non dovrei proprio mangiare. Li vedo tutti così migliori di me.

Sono di fretta e ho una fame bestiale. Il digiu- no che ho fatto ieri mi ha disintossicato, ma adesso devo mangiare.

In compagnia di mia sorella mi sento frizzan- te, anche se in mezzo a queste persone sento di essere troppo ciccia.

Avrei voglia di mangia- re una pastina, ma mi trattengo.

Mi sento in colpa, ma ho voglia di ingozzarmi di dolci.

Come potevo dire a

mia madre che aveva

cucinato per me, che

non avevo fame?

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L’automonitoraggio offre all’operatore un supporto straordinario per fornire al paziente informazioni scientifiche specifiche, valutare il suo grado di infor- mazione nutrizionale, eventuali pensieri disfunzionali e definire con lui gli obiettivi realistici della sperimen- tazione successiva (33).

La ristrutturazione cognitiva: l’ABC

• Una signora di 66 anni, ex-professoressa ora in pensione, ha un IMC pari a 33,6. Ha una storia negli anni di Weight Cycling Syndrome, ed è affet- ta da ipertensione arteriosa (in trattamento farma- cologico) e diabete di tipo 2. In casa con lei, oltre

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TAB. I. Un nuovo paradigma: visione e intervento comportamentale nel diabete

VISIONE COMPORTAMENTALE INTERVENTO COMPORTAMENTALE

Il paziente deve apprendere nuovi comportamenti Stimolare la motivazione del paziente al cambiamento

(definizione vantaggi/svantaggi; stesura di una mappa del percorso ecc.)

Non sono sufficienti le intenzioni del paziente; ciò che conta Sviluppare sistemi di osservazione da offrire al paziente

sono i suoi comportamenti (automonitoraggio delle dosi di insulina, glicemia, attività fisica ecc.)

I comportamenti sono la risultante di apprendimenti passati Osservare il rapporto funzionale tra comportamenti problematici e e condizionamenti ambientali e individuali antecedenti e conseguenze. Non colpevolizzazione

(ABC: tecnica di Ellis; approccio biopsicologico all’alimentazione ecc.)

Ogni persona è capace di cambiare e di apprendere Fornire informazioni mirate agli specifici bisogni del paziente,

nuovi comportamenti promuovendo piccoli cambiamenti graduali (tecniche di problem solving ecc.)

L’ambiente influenza il comportamento Insegnare tecniche di autocontrollo senza imporre ubbidienza a prescrizioni (tecniche di autocontrollo ecc.)

L’operatore è un allenatore, non l’arbitro o il giudice Sottolineare i successi e non focalizzare l’attenzione esclusivamente sui fallimenti (automonitoraggio del successo ecc.)

Comprendere il ruolo dell’ansia Affrontare i problemi in maniera graduale (processo di desensibilizzazione sistematica ecc.)

TAB. II. Strategie per promuovere il cambiamento del comportamento alimentare e aumentare l’attività fisica

STRATEGIE ESEMPI

Automonitoraggio Diario del cambiamento in cui analizzare andamento delle glicemie, ambiente, comportamento alimentare, attività fisica, pensieri ecc.

Controllo dello stimolo Non studiare in ambienti come la cucina; non acquistare alimenti “pericolosi” ecc.

Tecniche cognitivo-comportamentali:

• ristrutturazione cognitiva Analisi della discrepanza tra calo ponderale desiderato e peso realistico;

separazione dell’autostima dal livello di controllo glicemico raggiunto ecc..

• gestione/inoculazione dello stress Progressivo rilassamento muscolare, respirazione diaframmatica, meditazione ecc

• prevenzione delle ricadute Sperimentazione di strategie idonee alla gestione dello stress; visualizzazione ecc.

Supporto sociale Partecipazione a gruppi di auto-aiuto, fare attività fisica con amici/familiari ecc.

Da voce bibliografica 2

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Il medico decide di analizzare, con maggiore detta- glio, gli antecedenti (A) dello spuntino delle 14:30 che la paziente ravvisa come “la goccia che ha fatto traboccare il vaso” (fig. 1). Tra gli antecedenti emer- ge come la paziente:

• ritenesse che il pranzo fosse stato più che soddisfa- cente;

• fosse stanca per avere passato la notte in bianco per un malessere dell’anziana madre che l’aveva voluta sveglia al suo fianco;

• si sentisse in colpa per avere voluto andare in pale- stra lasciando la madre affidata al marito;

• si fosse detta, al termine del pranzo, che quello era l’unico momento della giornata per stare in pace e di avere proprio bisogno di ricaricare le pile.

Analoga attenzione era poi stata rivolta alle conse- guenze (C) dell’episodio raccontato. Il medico aveva chiesto alla paziente di ricordare le sensazioni e i pen- sieri avvertiti subito e dopo il consumo della torta e dei due cornetti. La paziente aveva riferito come aves- se avvertito una immediata, grande gratificazione e di aver pensato come anche lei avesse diritto a qual- cosa di buono. Dopo l’episodio aveva tuttavia sentito di farsi schifo, di non avere forza di volontà, e la sua al marito e ai figli, vive anche una anziana madre

non autosufficiente. Nell’ambito di un incontro ambulatoriale porta all’attenzione del medico la

seguente giornata problematica, dopo un periodo in cui era soddisfatta del cambiamento posto in atto.

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Data Ambiente Emozioni Fame Comportamento Sazietà Attività

(0-3) alimentare (0-3) fisica

Lunedì 16 Cucina Normale 0 1 caffè

Ore 8:00 1 spremuta di arancio

Ore 8:30 Cucina Normale 1 1 banana, 1 yogurth,

1 banana

Ore 9:00 Cucina In ansia per 0 1 caffè 0

la giornata 1 banana

Ore 11:00 Palestra Mi sento in 0 1 cioccolata 3 1 ora

colpa per mia madre

Ore 12:30 Cucina Abitudine! 0 1 cappuccino Non lo so

Ore 13:00 Cucina Solito 3 Riso con pomodoro, 3

patate arrosto, 2 fette di melone, 1 caffè

Ore 14:30 Cucina Gratificazione 0 Residuo del dolce, Non lo so 2 cornetti,

1 caffè ristretto

Ore 18:00 Cucina Incastrata! 0 1 yogurth, 1

Ore 20:00 Cucina Fame 3 Baccalà con patate, 3

circa 200 g pane, 1 fetta di melone

Ore 21:30 Cucina Ribellione, 0 Uva, 2 budini al Scoppio

ma non resisto, cioccolato

ne sento l’urgenza

VERGOGNA

!

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attenzione si era focalizzata sulla vergogna che avreb- be provato al successivo controllo ambulatoriale per il diabete. Il medico aveva visualizzato per la paziente quanto emerso secondo lo schema riportato nella figura 1: era stato più facile per la signora compren- dere come, per evitare il ripetersi del comportamen- to alimentare che tanto l’aveva messa in difficoltà, fosse importante conoscere ed eventualmente modi- ficare gli antecedenti dell’episodio (sapere che non avere dormito a sufficienza è un fattore di rischio importante per il comportamento alimentare; riflet- tere sul fatto che l’avere raggiunto il suo gruppo pres- so la palestra era un importante gesto di buona volontà piuttosto che un segno di egoismo; sapere che conservare l’avanzo di dolce avrebbe costituito un rischio elevato ecc.). L’ABC aveva inoltre permes- so alla paziente di capire che l’aver consumato il dolce, al di là delle sensazioni di disagio e di colpa che le erano state da subito evidenti, le aveva consentito di rilassarsi e di permettersi qualcosa di buono “per caricare le pile”. L’evitare il ripetersi di tali episodi avrebbe quindi richiesto la scoperta di strategie alter- native di cura di se stessa, più tardi sperimentate dalla paziente nel concedersi la lettura del suo quotidiano preferito in camera da letto o salire al piano di sopra a prendere il caffè con la nuora mentre il nipotino dormiva e non sparecchiare e sistemare la cucina prima di aver lasciato passare il momento per lei più critico.

Il controllo dello stimolo: l’autocontrollo

Con autocontrollo si intende l’intelligente manipola- zione da parte della persona di eventi antecedenti e conseguenti a un proprio comportamento problema- tico, per indebolire un comportamento frequente- mente emesso in quelle circostanze e aumentare invece una nuova risposta, più funzionale, ma prece- dentemente poco probabile in quella situazione.

• D.C. ha 39 anni, un IMC pari a 38,7, una circonfe- renza vita di 108 cm, una pesante familiarità per sindrome X; è già in trattamento farmacologico da 3 anni per ipertensione arteriosa. Il suo problema è rappresentato dal fatto che è perfettamente in grado di controllare il suo stile di vita in condizioni ideali (orari regolari, pasti consumati in casa, fre- quentazione regolare della palestra e uso della bici- cletta per gli spostamenti), quando tuttavia il suo lavoro lo porta a viaggiare e interrompere la routi- ne, il suo stile di vita diventa caotico con un pesan- te impatto sulla sua salute. È per tale ragione che nel terzo mese di terapia medica ambulatoriale, grazie ai dati forniti dal suo automonitoraggio, decidiamo di avviare una sperimentazione sulle esperienze di autocontrollo.

Ecco di seguito riportate alcune delle sue osserva- zioni:

A

ntecedente Comportamento

C

onseguenze

B

ehavior

Ore: 14:30 Residuo del dolce

A breve termine:

Dove: in cucina, da sola, sul tavolo il resto (almeno due porzioni di grande gratificazione, anch’io del dolce comprato per il compleanno torta mimosa), 2 cornetti ho diritto a qualcosa di buono

del figlio vuoti, 1 caffè ristretto

Fame: no, avevo mangiato bene appena con il dolcificante

A lungo termine:

un’ora prima mi faccio schifo, non ho forza

Come stavo: stanca per la notte in bianco di volontà, tra una settimana

per la mamma ho il controllo del diabete,

Emozione: in colpa per essere andata vorrei morire

in palestra e aver lasciato mio marito con mia madre

Pensiero: “È il momento migliore della giornata, è il mio unico spazio, sono sola con il mio giornale. Devo ricaricare le pile”.

Fig. 1. ABC: analisi degli antecedenti e delle conseguenze che determinano e mantengono un comportamento.

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“Mi capita di andare dopo la lezione al bar per pranzare (la lezione è sempre dalle 12 alle 13). Ho deciso di non andare a mangiare al bar ma di tor- nare a casa (10 minuti a piedi). Una volta avrei mangiato al bar, speso soldi, e mangiato dei panini farciti con funghi (pieni di olio e maionese). Ho cam- biato la situazione dicendo semplicemente: “No, grazie, vado a casa.”

“Ho un invito a pranzo al conservatorio. Ho deciso di andare ma, prima di uscire, mi sono preparato un’insalata e mi sono detto che potevo mangiare al bar, ma solo un panino (senza funghi e maionese).

Così ho risolto di andare a mangiare insieme agli amici, senza privarmi dell’incontro, ma andando con lo stomaco già pieno di insalata. Ho cambiato la situazione pensando di non privarmi dell’invito, ma con determinazione mi sono preparato l’insala- ta per continuare il lavoro su di me. I pensieri utili sono: non sciupare ciò che sei riuscito a ottenere; si può fare di tutto con una certa moderazione, cioè mangiare al bar con gli amici ma non per questo vanificare gli sforzi e poi sentirsi peggio.”

“Una situazione di autocontrollo si è verificata il gior- no in cui ho deciso di invitare a cena degli amici, situazione che si è riproposta. Ho imposto di mangia- re come io mangio di solito, per cui la cena si è svolta a base di verdure arrosto e bollite con cous-cous (peperoni, melanzane, piselli, spinaci ecc. e olio di oliva).

Le cose difficili da controllare: quantità di olio nelle varie verdure, avrei messo più olio perché avevo paura che non fossero saporite. Ho deciso per que- sta situazione per evitare di rovinare il lavoro fatto fino adesso. Tutti i pensieri erano finalizzati al mio obiettivo, quello di non rovinare ciò che avevo rag- giunto. Mi sono sentito soddisfatto per ciò che avevo ottenuto.”

“Ho comprato delle pizze surgelate (margherita) e le ho farcite con molte melanzane arrosto e zucchi- ne arrosto. Avrei potuto ordinare della pizza con salame ecc. ma ho notato che mi sento più respon- sabile a farmi delle melanzane arrosto (una melan- zana intera) e farcire la mia pizza che assume un aspetto più buono e saziante. Mi sembra di averla preparata così come l’avrei voluta.“

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Tecniche di problem solving

• La stessa persona di cui abbiamo riportato il primo esempio di automonitoraggio (in cui evidenzia la sua difficoltà ad alimentarsi nelle diverse situazioni sociali), invia dopo 6 mesi di terapia, il seguente resoconto:

“Alimentarmente parlando, credo di poter dire che oggi mangio bene: mangio di tutto, quando ho fame, anche io da sola o in mezzo a tanta gente, sento il bisogno di mangiare certi cibi in certi periodi (ad esempio più dolci prima del ciclo, che si è abbastanza stabilizzato sui 40 giorni), e di non mangiare certi cibi se non ne ho voglia (ad esempio i dolci ogni volta che sono a portata!).

Pensi che ora a pranzo, in ufficio, mi porto un ther- mos con la pastasciutta che mi prepara la mamma, apro il tovagliolo sulla mia scrivania, mangio davanti a colleghi stupefatti, ma anche un po’ invidiosi secon- do me, visto che si accontentano di un pacchetto di crackers o di una banana..., poi mangio un frutto e poi esco a fare una passeggiata digestiva e a prende- re il caffè. Così mangio meglio (e non vedo l’ora che arrivi l’una, sapendo di avere la pasta calda fatta a casa mia), non mi appesantisco e in più risparmio.

E adesso mi chiedo perché non l’ho fatto prima... ma ogni cosa a suo tempo, giusto?...”

• M.C. ha 40 anni, il suo IMC è pari a 42,5; è in tratta- mento farmacologico per ipertensione arteriosa, ha una dislipidemia mista e due dei suoi quattro fratelli sono in trattamento con insulina per diabete di tipo 2. M.C.

decide di ridurre la sua sedentarietà e il suo primo obiet- tivo è quello di trovare il momento della giornata in cui fare una passeggiata. La sua analisi è a pagina seguente.

In seguito a questa analisi M.C. individua nel primo pomeriggio (la sera si sente stanca) il momento in cui può cominciare a muoversi di più. Decide di portare il tempo in cui si muove a un totale di due ore.

Inizialmente comincia a passeggiare con Giulia, la sua vicina; successivamente scopre la bicicletta e dopo sette mesi scrive nel suo automonitoraggio:

“Quando mi parlarono di fare del movimento, ho provato un senso di fastidio perché vedevo solo la fati- ca e io mi sentivo già stanca così.

Comunque non ho voluto chiudermi a questa espe- rienza, anche per darmi una possibilità. La prima cosa che mi è balzata dentro è stata la bicicletta. Così ho iniziato prima come se fosse un compito, poi assa- porando tutto quello che mi succedeva, cambiando percorso, da sola o in compagnia. Il contatto con la natura. Il mio corpo che da pesante diventava legge- ro, mi sento come avere le ali ai piedi e la “forza” nelle gambe. Più vado in bicicletta e più mi sento felice.

Quando a volte, per impegni, salto un giorno della mia biciclettata, mi sento irrequieta. Il movimento per me è vita, mi fa sentire in pace con me stessa e il mondo. Quando vado in bicicletta, sento tutto l’a- more che c’è dentro di me e fuori.

Ho scoperto il piacere di fare una cosa che mi piace.”

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Il supporto sociale

L’analisi seguente di una situazione problematica (ABC) è stata elaborata all’interno di un Gruppo di Supporto Guidato (Gruppo SURE), condotto da una endocrinologa presso il Dipartimento di Medicina Interna e Scienze Endocrine e Metaboliche di Peru- gia, cui partecipavano persone affette da obesità con o senza diabete di tipo 2 (26).

R. propone di ricostruire una situazione problema- tica, affrontata nel corso dell’ultima settimana.

Dice di volerlo fare anche perché non è la prima volta che le capita. Invito gli altri partecipanti al gruppo a fare domande, per raccogliere informa- zioni utili a offrire un eventuale aiuto a R.

Situazione Supermercato abituale. Da sola verso le 19.00 (abitualmente ceno alle ore 20.00).

“... Avevo fatto spesa alla COOP (senza aver com- prato dolci, cosa che abitualmente faccio) e, giunto il momento di pagare, la cassiera mi fa notare che la spesa era di circa 49600 lire e che per avere 5 bollini invece di 4 (con i quali avrei avuto in omaggio dei bic- chieri), avrei dovuto comprare qualche altra cosa.

Avendo risposto affermativamente, la cassiera prende due confezioni (tubetti) di cioccolatini. Adesso che mi ricordo, già un’altra volta era successo con la stessa cassiera, ma mi aveva dato un altro tipo di dolci.

Metto in tasca i cioccolatini, tenendoli separati dal resto della spesa”.

(A specifica domanda, risponde) “... l'ho fatto per- ché altrimenti i miei figli, nel frugare nella borsa della spesa, avrebbero trovato i cioccolatini e li avrebbero mangiati prima di cena. Ma in fondo avevo anche deciso che un cioccolatino, poi, lo avrei mangiato anch’io. In serata, quando tutti dormono, prendo un cioccolatino, tolgo il caffè che contiene e lo mangio.”

F. chiede perché ha tolto il caffè dal cioccolatino.

R. risponde: “No, non perché pensavo che avrebbe avuto più calorie, ma perché sto evitando il caffè; tal- volta avverto il cuore che batte in gola e una mia amica mi ha detto che potrebbe essere il caffè. Il gior- no successivo mi accorgo che dalla dispensa (nella quale avevo nascosto i dolcetti) mancano due ciocco- latini; io però non dico nulla, prendo i cioccolatini che rimangono e li divido con i miei figli. A me ne toccano due che mangio subito“.

Decidiamo di parlare di quanto R. sia stata in que- sta situazione complice e quanto vittima.

P. Credo che avrebbe potuto dire alla commessa che un solo pacchetto di cioccolatini era sufficiente.

R. Ero in difficoltà per la presenza di tanta gente, e non ho avuto la possibilità di scegliere razionalmente.

C. Io non vedo questa situazione come un problema.

(Si rivolge a R. chiedendole se, dopo aver mangia-

Lavoro originale

20, 131-142, 2000

Ora Cosa faccio Tempo in cui sono attiva

6:45-7:30 Mi alzo, mi lavo, bevo il caffè e vado al lavoro 5’, a piedi dal posteggio in macchina.

7:40-14:00 Sto dietro al banco. Rispondo al telefono. 20’, sparecchiando i tavoli e Sono andata in cucina 3 volte e ho sparecchiato i tavoli. portando le cose in cucina Ho sbrigato la corrispondenza. Ho parlato con i clienti.

14:00-16:00 Sono andata a pranzo da mia madre e mi è venuta 15’ al supermercato ho camminato, l’ansia per le discussioni sui miei fratelli. il carrello era pesante

L’ho accompagnata in macchina e ho approfittato per fare la spesa.

16:00-18:30 Ho riordinato la casa e stirato davanti alla TV. 30’ i lavori delle pulizie Ho preso il caffè con Giulia. (5 volte le scale)

18:30-20:30 Innaffio l’orto. Ceno con Paolo e chiacchieriamo 15’ innaffio e trasporto il tubo

della giornata. dal garage

21:00-24:00 Guardo la televisione e mi riposo un po’. Niente

Totale: 17 ore Tempo in cui mi muovo:

e tre quarti d’ora 85 minuti

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140

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to i cioccolatini, si sia sentita in colpa, in ansia).

Credo che però comprare i cioccolatini sia un fatto negativo.

E. Credo proprio che avrebbe potuto cercare di evita- re di farlo. Lo sai che, dopo, un cioccolatino tira l’al- tro...

A. Io penso che il discorso dei bollini sia stata una scusa per comprare qualcosa che le piaceva.

R. Probabilmente il mio è stato un comportamento automatico.

Consiglio di realizzare un semplice schema sulla lavagna, su cui riportare il valore (positivo o nega- tivo) che attribuiscono ai diversi punti chiave che hanno individuato nella storia di R.

K

L

Ma mangiare un cioccolatino è una cosa così grave? (R. nel suo racconto lo ha definito una

“follia”).

P. Io credo che R. si faccia un po’ le paranoie. Se tu lo vuoi e non lo mangi, poi magari te ne fai fuori una scatola.

R. Il problema è che adesso sto cercando di control- larmi perché sono preoccupata per il mio diabete. Tra l’altro prima, quando cominciavo a mangiare anche un solo cioccolatino, poi finivo per mangiarne una scatola intera. Per questo motivo penso che potrebbe succedere la stessa cosa anche adesso che mi sto impegnando in qualcosa in cui credo.

A. Io credo che qui la forza di volontà c’entri poco. Se hai fame e fai la spesa a stomaco vuoto, rischi; non c’è nulla da fare. Fai come me, comincia ad andare dove c’è il cibo solo con la pancia piena.

R. Io qualche volta ho provato a mettere solo i soldi giusti nel portafoglio e ha funzionato. Guardando il disegno sulla lavagna, è evidente che mi ero cacciata in un bel guaio, devo stare più attenta e pensarci bene prima. È, diverso vederlo così che pensare di essere golosi, punto e basta.

P. Sì, qui vedi che ci sono delle cose che uno può fare.

Un altro utile strumento di supporto sono i manuali di auto-aiuto, particolarmente utilizzati nei Paesi anglo- sassoni e ancora di ridotto impiego in Italia (30, 34).

Il comportamento integrato nella terapia medica

Abbiamo ora tutti gli strumenti per poter definire che cosa esattamente significhi un approccio comporta- mentale integrato nella terapia del diabete. È tuttavia importante fermarci un attimo a riflettere su come nel nostro percorso sia chiaramente emerso che tale modalità di approccio comporta una serie di difficol- tà non indifferenti sia per il medico che per il pazien- te.

Il costo maggiore per il medico non è solamente dato dalla necessità di acquisire nuove tecniche di inter- vento, come per esempio l’automonitoraggio o il problem solving, ma principalmente dal cambiamen- to del paradigma di riferimento (tab. I) e dalla rilettu- ra del ruolo del medico e del paziente nel processo di cambiamento dello stile di vita. In risposta alla do- manda che ci viene frequentemente rivolta di quale formazione specifica è necessaria per sviluppare que- ste capacità terapeutiche, dobbiamo rispondere come, a differenza di quanto avviene nei Paesi più progrediti, l’università italiana non abbia ancora sen- tito l’esigenza di fornire, nei corsi base e di specializ- zazione per medici e operatori sanitari, quel sapere di base su come promuovere e gestire il cambiamenti di stile di vita nei pazienti affetti da patologie croniche come il diabete o l’obesità. Alla stato attuale è quindi una responsabilità del singolo quella di identificare i percorsi e le letture più idonee alla sua formazione.

Alla persona diabetica viene invece richiesta una par- tecipazione più attiva nella definizione degli obiettivi terapeutici e nell’acquisizione graduale di competen- ze che gli permettono di ottenere tali risultati (1, 5, 6, 8, 35). L’accettazione dell’incertezza legata a una sperimentazione, l’assunzione di responsabilità e la ricerca dell’autonomia, l’assertività di accettare obiet- tivi realistici (31) sono tutti fattori ancora cultural- mente lontani dalla nostra realtà (30), ma stretta- mente legati a un percorso terapeutico di successo.

Aiutare i pazienti diabetici a entrare in un ruolo attivo, e affrontare le difficoltà insieme a loro, è un percorso non solo più articolato e complesso, ma anche più costoso in termini di prestazione professionale e aspetti organizzativi. Non sorprende perciò che l’e- scamotage più praticato per coniugare l’utile con il praticabile, abbia prodotto in molte organizzazioni un servizio che “oltre” al tradizionale intervento

Lavoro originale

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Non comprare

dolci

Decidere OK per il bollino

Lasciare la scelta alla cassiera

Accettare due confezioni

Mettere i cioccolatini in tasca

Mangiare prima 1 e poi 2 cioccolatini Fare spesa a

stomaco vuoto

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G I D M Lavoro originale

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(dieta, farmaci ecc.) offra un intervento “comporta- mentale” atto a favorire un cambiamento nel pazien- te. Si tratta in sintesi di un assemblaggio del vecchio con il nuovo (tab. III).

La visione più corretta, ma appunto più costosa, è

invece quella di attuare un vero e proprio trattamen- to comportamentale integrato, che prevede un’evo- luzione di tutta l’équipe di operatori coinvolti (medi- ci, infermieri, dietisti ecc.) e in cui ognuno per la sua specializzazione opera con un approccio comporta-

TAB. III. Le due possibili visioni dell’approccio comportamentale del diabete

Approccio comportamentale assemblato alla terapia medica Approccio comportamentale integrato nella terapia medica Trattamento multidimensionale del diabete Trattamento integrato del diabete

Valutazione medica • Valutazione medica

Terapia dietetica • Psicoeducazione

Riabilitazione motoria – riabilitazione psicoeducazionale (2)

Terapia farmacologica – riabilitazione motoria

+ – gestione dello stress e delle relazioni interpersonali

Terapia comportamentale – ecc.

• Terapia farmacologica

mentale (tab. III).

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Corrispondenza a: Dott.ssa Mariarosa Ventura, Didasco, Via Cesare Abba 17, 37126 Verona

e-mail: [email protected]

Pervenuto in Redazione il 29/6/2000 - Accettato per la pub- blicazione il 25/10/2000

Lavoro originale

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