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Postfazione – Semeion: il miracolo segreto Pier Luigi Sacco Pro-rettore alla Comunicazione e Direttore del Dipartimento di Design e Arti, Università IUAV – Venezia

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Academic year: 2022

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Postfazione – Semeion: il miracolo segreto

Pier Luigi Sacco

Pro-rettore alla Comunicazione e Direttore del Dipartimento di Design e Arti, Università IUAV – Venezia

Da che cosa dipende lo sviluppo o il declino di una potenza economica nello scenario dell’inizio del XXI secolo? Sicuramente da fattori molto diversi da quelli che ne hanno determinato il successo e la crescita nei decenni precedenti. La dotazione di capitale fisico – gli edifici, le infrastrutture di trasporto, i macchinari – è sicuramente molto importante, ma non è più decisiva, semplicemente perché è ormai alla portata di tutti i paesi, anche dei meno sviluppati. È, anzi, sulla base di una nuova capacità di attrazione degli investimenti, e di una loro efficace conversione nelle forme necessarie di capitale fisico, che alcuni pae- si un tempo simbolo di arretratezza economica stanno oggi diventando delle vere e proprie

“tigri” dell’economia. La crescita della popolazione, e quindi la possibilità di disporre di manodopera a costi competitivi, è ancora meno decisiva: sia perché, a fronte di un fortis- simo rallentamento della crescita demografica, è possibile attrarre tutta la manodopera di cui c’è bisogno dai paesi meno sviluppati, ma soprattutto perché non esistono più le con- dizioni per continuare a produrre nei paesi del capitalismo maturo e consolidato beni e servizi il cui potenziale competitivo dipende in primo luogo dal contenimento dei costi.

Si tratta di considerazioni ormai ampiamente note, che per di più vengono continua- mente reiterate da tutti i media, e quindi non è necessario dilungarsi. Anche sulle nuove prospettive di sviluppo le indicazioni sembrano, almeno in apparenza, chiare e concordan- ti: per continuare la propria traiettoria di sviluppo, i paesi economicamente più avanzati devono spostarsi verso produzioni a più alta intensità di conoscenza, devono inserirsi a pieno titolo nella logica della nuova economia dell’intangibile. Se le parole d’ordine sono senza dubbio queste, si fa però un pò fatica, da un lato, a dare loro una piena ed effettiva concretezza, e, dall’altro, a trasformare queste indicazioni in strategie di intervento.

Si parla molto di investimenti in ricerca e sviluppo, di finanziamenti al sistema univer- sitario, di sostegno all’innovazione tecnologica. Sono ricette che nascono dall’osserva- zione e dallo studio più o meno attenti delle realtà più avanzate del capitalismo maturo, e dai loro successi: i paesi nord-americani, USA e Canada, e alcuni di quelli nord-europei come la Finlandia, la Svezia, la Danimarca, l’Olanda, ma anche il Regno Unito e persino l’Irlanda. Questi paesi ci appaiono come la dimostrazione vivente di cosa voglia dire co- struire un’economia fondata sulla produzione di conoscenza e sull’innovazione: grandi u- niversità e centri di ricerca sorretti dalla disponibilità di fondi pubblici e privati di ingenti dimensioni; elevato dinamismo imprenditoriale nei nuovi settori ad alta intensità tecnolo- gica; elevata diffusione delle competenze necessarie all’uso economicamente e socialmen- te produttivo delle nuove tecnologie, e così via.

Si tratta senza dubbio di esempi importanti ed eloquenti, che però rischiano di dare vi- ta, se presi alla lettera senza la giusta dose di consapevolezza critica, ad una visione estre- mamente semplificata e meccanicistica dei nuovi processi di sviluppo, e soprattutto di por- tarci a scambiare l’effetto per la causa. È evidente che un paese economicamente avanzato

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spenda molto in ricerca e sviluppo, ma è sufficiente spendere molto in ricerca e sviluppo per rendere un paese economicamente avanzato? Ci sono molte buone ragioni per pensare che non sia così. L’economia industriale da cui veniamo è molto diversa dall’economia della conoscenza, se così vogliamo chiamarla, verso cui stiamo andando, e per compiere il passaggio non basta spostare qualche risorsa da un uso ad un altro. Occorre una vera e propria rivoluzione sociale e culturale. Ed è questo aspetto che determina, in ultima anali- si, il successo o il fallimento: la capacità dell’intero corpo sociale di rimettersi in gioco e dare vita ad un nuovo progetto collettivo, a una vera e propria sfida generazionale che comporta profondi mutamenti strutturali e una elevata e diffusa responsabilizzazione. Una società orientata alla produzione di conoscenza non si costruisce sulle brillanti idee di uno sparuto gruppetto di “teste d’uovo” o di “cervelli” (per riferirci ad una consolidata quanto aberrante terminologia, evidentemente coniata da società che disprezzano nel loro intimo la conoscenza e fondamentalmente ne hanno paura), ma su una propensione diffusa e ge- neralizzata a contribuire alla sua produzione e a fare spazio ad essa dentro il proprio mon- do esperienziale, dentro il proprio spazio mentale.

Ciò che rende il Semeion qualcosa di più e di diverso da un “semplice” centro di ricer- ca di eccellenza è il fatto che, fin dalla sua costituzione, esso non ambisce ad essere una enclave tecnocratica ma un generatore di opportunità per l’intera comunità, e che lo ha portato ad interagire, con lo stesso interesse e la stessa passione, con le grandi università e con le piccole cooperative sociali, con la grande industria e con i piccoli circoli culturali.

È questo aspetto che ha portato nel tempo il Semeion a non chiudersi in un contesto per quanto dorato di specialismo disciplinare ma a lavorare soprattutto sulla fertilizzazione in- crociata tra diversi domini della ricerca e del pensiero, dalla fisica alle scienze sociali, dal- la medicina all’economia. Allo stesso tempo il Semeion è un centro piccolo, che ha sem- pre operato con pochissime risorse, e che è sempre stato profondamente radicato nella re- altà italiana, costruendo da qui la quasi totalità delle sue pur notevoli relazioni internazio- nali.

Vedo già qualcuno storcere il naso e sentenziare che è impossibile, per un centro che non impiega più di una dozzina di persone (ma ha una rete vasta di cooperazione con de- cine di dipartimenti universitari italiani e stranieri), non dispone di grandi fondi pubblici e non gode di alcun traino istituzionale importante, raggiungere livelli di reale eccellenza in tutti questi campi. Tutto il pensiero convenzionale ci dice il contrario: delimitare il campo di ricerca il più possibile, fino a far sparire ogni traccia di pensiero che fuoriesca dalla lo- gica incrementale delle grandi riviste internazionali di settore. Ma tra il pensiero conven- zionale e il Semeion c’è una incompatibilità che definirei costituzionale. Nessuna delle più importanti scoperte prodotte in questo centro negli ultimi anni, e sicuramente nessuno dei risultati descritti in questo libro, è stato prodotto seguendo una logica incrementale. Si è scelta una strada, per così dire, totalmente insensata ma allo stesso tempo consequenziale, ma non a ciò che emergeva dalla letteratura disciplinare del momento, bensì al modo in cui in questi ultimi anni al Semeion si sono costruite architetture adattive complesse inse- guendo intuizioni estetiche, costruendo metafore della socializzazione primaria e seconda- ria, riportando alla luce le semiosi profonde che tengono insieme la struttura dei processi inferenziali: il non visto che si nasconde nell’invisibile, il rispecchiamento del pensiero nel pensiero dell’altro e la reciprocità inevitabile che esso sottende, la capacità generativa della struttura latente.

Secondo il pensiero convenzionale, ciò che ha fatto il Semeion in questi anni, per di più contando soltanto sulla propria capacità di fund raising senza alcun finanziamento pubblico a fondo perduto, è semplicemente impossibile. Ma dato che questa impossibilità si è avverata, è forse il caso di rivedere i vecchi dogmatismi su cosa è ricerca, su come si

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ottengono i risultati importanti, su come questi possono essere trasferiti all’interno del corpo sociale. Il Semeion ci parla di un pezzo della futura Italia possibile, di un paese che non ha affatto perso la capacità di pensare e di innovare, ma che in questi ultimi anni di buio si è nascosta nelle nicchie più impensabili. Per molti anni, il Semeion è stato un mi- racolo segreto. È ora che venga alla luce, e che faccia riflettere tutti.

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