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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MODENA E REGGIO EMILIA DIPARTIMENTO DI COMUNICAZIONE ED ECONOMIA

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Academic year: 2022

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MODENA E REGGIO EMILIA DIPARTIMENTO DI COMUNICAZIONE ED ECONOMIA

CdL in ECONOMIA E DIRITTO PER LE IMPRESE E LE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI (D.M.270/04)

“LA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA NEL TESSUTO ECONOMICO E SOCIALE DELL’EMILIA ROMAGNA”

Relatore: Laureanda: Lavinia Degrande Prof. Anna Francesca Pattaro Matricola: 98191

Anno Accademico 2016/2017

(2)

Ai miei genitori e a Fabio.

(3)

“Ci vuole un grande sforzo per vedere quello che abbiamo davanti agli occhi ogni giorno”

(G. Orwell)

INDICE

Introduzione ………..………….. 1

1. La criminalità organizzata ………. 3

2. Le organizzazioni criminali storiche in Italia: nascita, organizzazione e modus operandi ………...…….. 6

2.1. Cosa Nostra ……….……... 7

2.1.1. Metodo d’indagine ………..…………. 7

2.1.2. La struttura ………... 9

2.1.3. Nascita del fenomeno ………. 11

2.1.4. La storia recente ………. 12

2.2. N’drangheta ……….. 17

2.2.1. Origini del fenomeno e metodo d’indagine ……….………... 17

2.2.2. La struttura ………... 17

2.2.3. La storia ………... 21

2.3. Camorra ………... 24

2.3.1. Origini del nome e del fenomeno ……….... 24

2.3.2. La struttura ……….… 26

2.3.3. La storia ………. 27

2.3.4. La storia recente ………. 30

2.4. Sacra Corona Unita ………... 33

2.4.1. Metodo d’indagine ………. 33

(4)

2.4.2. La struttura ………. 33

2.4.3. La storia ………. 34

2.4.4. Attività e settori di espansione ………... 37

2.4.5. Il panorama attuale ……….… 38

3. L’analisi ………... 39

3.1. Materiali e metodi ………. 39

3.2. Risultati ……… 42

3.3. Conclusioni ……….. 46

4. L’espansione della criminalità nell’attività di impresa al Nord Italia ………….. 50

4.1. Il capitale sociale ……….. 52

4.2. La “zona grigia” ……… 54

4.3. “Power syndicate” e “enterprise syndicate” ………. 55

4.4. I processi di espansione mafiosa ……….. 57

4.5. La differenza tra imprenditore mafioso, colluso e subordinato: cenni ……. 59

4.6. La percezione delle famiglie italiane del rischio di criminalità ……… 61

4.7. Il riciclaggio di denaro: i numeri ……….. 64

5. L’Emilia-Romagna ……….. 72

5.1. Perché l’Emilia-Romagna ……… 73

5.1.1. Il soggiorno obbligato ……… 74

5.1.2. L’imprenditoria sviluppata ………. 74

5.2. Quali sono le condizioni che hanno permesso di poter operare sul territorio? ……….. 76

5.2.1. La cultura e il multiculturalismo ……… 77

5.2.2. L’aggravante dei comportamenti ………... 78

(5)

5.2.3. Il consenso sociale ……….. 79

5.3. Infiltrazione o radicamento? ………. 80

5.4. Breve excursus sulla criminalità organizzata in Emilia-Romagna ………… 82

5.4.1. La ‘Ndrangheta in Emilia-Romagna ……….. 82

5.4.2. La Camorra in Emilia-Romagna ……… 84

5.4.3. Cosa Nostra in Emilia-Romagna ……… 85

5.4.4. La Sacra Corona Unita in Emilia-Romagna ………... 87

5.5. La spartizione dei territori emiliani ……….. 87

5.6. Il capoluogo Bolognese ……… 89

5.7. L’Emilia ………... 93

5.7.1. La provincia di Piacenza ……… 93

5.7.2. La provincia di Parma ……… 94

5.7.3. La provincia di Reggio Emilia ……….... 97

5.7.4. La provincia di Modena ………... 101

5.8. La Romagna ………... 105

5.8.1. La provincia di Ferrara ………. 107

5.8.2. La provincia di Ravenna ……….. 108

5.8.3. La provincia di Forlì-Cesena ………... 109

5.8.4. La provincia di Rimini ………. 111

6. Il ruolo dello Stato ………. 114

6.1. I beni confiscati e il loro riutilizzo sociale ……….. 114

6.1.1. La gestione dei beni confiscati ………. 116

6.1.2. La situazione attuale in Emilia-Romagna ……… 117

6.1.3. Le soluzioni prospettate nel tessuto emiliano-romagnolo ………… 119

(6)

6.2. L’infiltrazione mafiosa negli appalti pubblici ……… 121

6.3. Il contrasto al riciclaggio di capitali ……… 126

6.4. L’importanza dell’etica dei professionisti ……….. 130

7. L’indagine Aemilia: cenni ………. 132

Conclusioni ……….. 136

APPENDICE ………... 139

BIBLIOGRAFIA ………. 141

(7)

Introduzione

«Forse tutta l’Italia sta diventando Sicilia... A me è venuta una fantasia, leggendo sui giornali gli scandali di quel governo regionale: gli scienziati dicono che la linea della palma, cioè il clima che è propizio alla vegetazione della palma, viene su, verso il nord, di cinquecento metri, mi pare, ogni anno... La linea della palma... Io invece dico:

la linea del caffè ristretto, del caffè concentrato... E sale come l’ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l’Italia, ed è già oltre Roma...1».

Ho scelto come incipit del mio lavoro uno dei passi, forse più significativi, del romanzo dello scrittore siciliano Leonardo Sciascia “Il giorno della civetta”.

Per quale ragione Sciascia ha utilizzato la metafora della linea della palma e cosa centra essa con la mafia? A causa del riscaldamento del pianeta, quella linea immaginaria di crescita della palma si sposta di anno in anno verso nord e un giorno si potrà osservare la nascita di questa pianta, anche in quei luoghi dove oggi sembra impossibile. Fuori dalla metafora della palma, anche la linea della mafia e del malaffare, sono risaliti di anno in anno lungo lo stivale, superando Roma, sino a giungere in quei luoghi considerati da sempre immuni dal fenomeno mafioso.

Nel suo romanzo, Sciascia non racconta di una realtà passata, ma preannuncia quello che sarebbe accaduto qualche decennio più tardi e che ormai appare un dato acquisito:

oggi le mafie si sono spinte verso il Nord annidandosi in territori ricchi e prosperosi quali l’Emilia-Romagna.

Il presente lavoro vuole essere uno strumento di conoscenza del fenomeno mafioso che si rivolge al popolo emiliano e, in modo particolare ai giovani che saranno i politici, gli imprenditori e i professionisti del domani, al fine di smuovere le loro menti verso un cambiamento ideologico e culturale che affermi l’idea di una società libera dal cancro delle mafie.

1 “Il giorno della civetta”, L. Sciascia, Einaudi, 1961.

(8)

Affinché possa affermarsi una cultura ostile, come sostenne Nando Dalla Chiesa, essa

“deve essere preceduta da una cultura sulla mafia”. È per tale motivo che ho deciso di iniziare questo lavoro cercando di spiegare cosa è la criminalità organizzata, chi sono questi sodalizi, da dove vengono, quale è il loro modus operandi, cosa li ha spinti a migrare in luoghi diversi da quelli d’origine e quali sono state le condizioni che ne hanno favorito la penetrazione. Lo studio si concentra esclusivamente sulla trattazione dei quattro principali sodalizi criminali nostrani: Cosa Nostra, Camorra, ‘Ndrangheta e Sacra Corona Unita.

Il lavoro parte dai risultati di un’analisi, secondo la quale le regioni del Nord Italia, proprio perché presentano un maggiore benessere in termini economici e una più elevata percezione di qualità di governo rispetto a quelle del Sud, sembrerebbero mostrare una minore presenza di attività e fenomeni legati alla criminalità organizzata.

In realtà quello che voglio dimostrare è che ormai questo ragionamento appartiene ad un’altra epoca, ormai passata e conclusa: la mafia al Nord e nell’Emilia-Romagna esiste, da oltre trent’anni, quando Pippo Fava allora, definiva la regione come “la più grande lavanderia d’Italia” comprendendo che si trattasse di luogo ad hoc per ripulire ed immettere nell’economia legale e fiorente emiliana, i proventi ottenuti da attività illecite.

Comprendere la pericolosità del fenomeno, le sue peculiarità e differenze, studiare i luoghi e i settori dove agiscono, i suoi comportamenti e le sue evoluzioni, rappresenta il primo passo per abbattere quel velo dell’omertà e dell’indifferenza che per troppo tempo ha oscurato ciò che era visibile e palese a tutti, ma a cui nessuno ha dato importanza convinti del fatto che la criminalità organizzata è un problema prettamente meridionale.

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1. La criminalità organizzata

È estremamente complesso riuscire a definire in maniera univoca il concetto di criminalità organizzata: neppure negli ambienti specialistici esiste una definizione universalmente condivisa2.

Dennis M. P. McCarthy nel suo libro “An Economic History of Organized Crime”

(2011), ha effettuato uno studio comparativo di diversi gruppi di criminalità organizzata provenienti da diverse parti del mondo. Europa, America, Africa ed Asia sono stati al centro di questo studio, in cui egli definisce la criminalità organizzata

“umbrella”, in quanto comprende al suo interno, differenti forme di attività che non possono essere trattate e definite come concetto unitario. L'autore considera tale sforzo inutile, in quanto non può esserci una dimensione adatta a tutti o onnicomprensiva della criminalità organizzata; egli attribuisce tale mancanza a ragioni di carattere storico. Proprio per questo, le diverse organizzazioni criminali presentano origini, culture, e modi di operare differenti tra loro, perché vi possa essere un’unica definizione comune. Secondo questa prospettiva, si potrebbe sostenere che le differenze organizzative sarebbero riconducibili, secondo un criterio di isomorfismo (Di Maggio e Powell, 1983), ai differenti ambienti istituzionali nei quali le organizzazioni vivono.3

La criminalità organizzata, in quanto tale, tende ad assumere i connotati tipici di un’istituzione, con un proprio ordinamento normativo e valori ideologici; infatti viene riconosciuta come istituzione e agente di istituzionalizzazione (Selznick, 1957).

Il magistrato Giovanni Falcone, assassinato da Cosa Nostra nella strage di Capaci, parlando della criminalità organizzata che investiva ed investe la Sicilia tutt’ora, la definiva come “un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine”.4

2 S. Iacolino “Documento di lavoro”, Commissione speciale sulla criminalità organizzata, la corruzione e il riciclaggio di denaro, (01/10/2012), http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-

%2F%2FEP%2F%2FNONSGML%2BCOMPARL%2BPE- 496.559%2B01%2BDOC%2BPDF%2BV0%2F%2FIT

3 M. Catino “Quaderni di sociologia”, https://qds.revues.org/1533.

4 M. Padovani “Cose di Cosa Nostra”, raccolte di interviste a Giovanni Falcone.

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Seguendo questo approccio sociologico, l'Unione Europea ha definito la criminalità organizzata come un “gruppo strutturato, esistente per un periodo di tempo, composto da più di due persone che agiscono di concerto, al fine di ottenere, con l'esercizio della funzione intimidatoria, direttamente o indirettamente, un vantaggio finanziario o altro vantaggio materiale, e che pregiudica seriamente la coesione economica e sociale dell'Unione Europea e dei suoi Stati membri, e di conseguenza lo stesso mercato unico.” 5

In Italia, il termine riporta principalmente ai sodalizi criminali più strutturati, quali la Mafia, ’Ndrangheta, Camorra e Sacra Corona Unita. Il fenomeno ha assunto una sua connotazione tale da configurarsi come una realtà autonoma rispetto alle altre tipologie di fenomeni malavitosi, pertanto, anche a livello normativo deve sussistere tale distinzione.

Fino al 1982, si faceva ricorso all'art. 416 c.p. (associazione per delinquere); tale fattispecie risultò ben presto inefficace per far fronte alla vastità del fenomeno in questione. Il grande limite di applicazioni di questo articolo era dovuto al fatto che questi soggetti, legati dal vincolo associativo, perseguivano non solo finalità illecite ma anche finalità lecite. Con l’uccisione del Generale Dalla Chiesa, avvenuta il 3 settembre 1982 nella strage di Via Carini, venne formulato ed introdotto nel codice penale il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso6 (art. 416-bis), con la legge n. 646/1982, meglio conosciuta come legge Rognoni - La Torre, cercando così, di perseguire in modo incisivo ed efficace il dilagare di questo fenomeno.

Il terzo comma dell'art. 416-bis del codice penale italiano definisce l’associazione di tipo mafioso:

« L’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di

5 (1) Fonte già citata.

6 Il termine mafia viene utilizzato come sinonimo di criminalità organizzata. “La mafia […] già da molto tempo funge da modello per la criminalità organizzata. Ne consegue che questa sostanziale unitarietà del modello organizzativo consente di utilizzare il termine mafia in senso ampio per tutte le più importanti organizzazioni criminali”. (G.Falcone)

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concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali. »

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2. Le organizzazioni criminali storiche: nascita organizzazione e modus operandi

Italia: pizza, spaghetti e mandolino. L’Italia, a nostro malgrado, è tristemente famosa anche per altri aspetti, tanto che la Apple, nell’applicazione “What Country”, l’ha identificata con “Pizza, mafia, pasta e scooters”. E all’estero questo lo sanno molto bene. Silvio Berlusconi attribuiva parte della colpa alla “brutta abitudine di produrre fiction sulla mafia che hanno portato questa negativa immagine dell'Italia in giro per il mondo” (CineTivù, 28 gennaio 2010).

La mafia, nata al sud del Paese e coetanea all’Unità d’Italia, è riuscita a penetrare all’interno dei processi produttivi ed economici rivelandosi essere fra le principali determinanti dell’arretratezza economica di alcune regioni.

Mediante l’estorsione del pizzo, essa è riuscita ad imporre un controllo forte e diretto su gran parte del nostro territorio condizionando inevitabilmente la nascita di nuove attività e l’afflusso di capitali provenienti dall’esterno dirottandoli altrove. Un'altra conseguenza non meno importante è rappresentata dall’evasione fiscale: il pizzo, presentandosi come un’ulteriore prelievo che grava sugli imprenditori ha portato quest’ultimi, sotto minacce ed intimidazioni, a preferire il pagamento alla mafia piuttosto che allo Stato aggravando il già noto problema dei carenti fondi statali destinati ad opere pubbliche e servizi.

La criminalità organizzata non si è limitata solo a quanto già citato, ma ha influito negativamente sull’efficienza delle imprese e sulla qualità dei loro prodotti accaparrandosi appalti pubblici con prezzi stracciati. Ne sono esempi l'autostrada Salerno - Reggio Calabria o più recentemente la distruzione dell’Aquila in seguito al terremoto a causa dell’elevata sabbia marina presente nel cemento.

Ecco, quindi, alcuni esempi di come il ruolo della criminalità organizzata ha rallentato lo sviluppo economico e sociale del nostro Paese rappresentando una vera e propria minaccia per il futuro.

Di seguito verranno analizzati i sodalizi criminali più importanti nel panorama italiano:

Cosa Nostra, ‘Ndrangheta, Camorra e Sacra Corona Unita, evidenziandone gli aspetti e le caratteristiche più salienti della struttura organizzativa che contribuiscono a spiegare le diversità di comportamento le strategie d’azione.

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La leggenda narra che furono tre cavalieri spagnoli Osso, Mastrosso e Carcagnosso a fondare rispettivamente la mafia, la ‘ndrangheta e la camorra. Appartenenti alla setta segreta Garduna, fuggirono da Toledo nel 1412 dopo aver vendicato l’onore della sorella, giungendo nell’isola siciliana di Favignana, dove vi rimasero, nascosti negli anfratti, per ventinove anni, undici mesi e ventinove giorni. Tornati alla luce, all’alba del trentesimo anno, fondarono nel Sud Italia delle società segrete simili alla Garduna.

2.1 Cosa Nostra 2.1.1 Metodo d’indagine

La denominazione Cosa Nostra, con la quale si è soliti indicare la mafia siciliana, è di attribuzione recente: essa è stata fornita dalle dichiarazioni rilasciate dai pentiti mafiosi ed in particolare, da Tommaso Buscetta durante il Maxiprocesso di Palermo. Si tratta del più importante processo contro Cosa Nostra che coinvolse 475 imputati, tenutosi nell’Aula bunker del Carcere Ucciardone di Palermo tra il 10/02/1986 e il 16/12/1987, il quale permise di avere, per la prima volta, una visione onnicomprensiva del fenomeno e di lacerare quel velo omertoso che per anni aveva coperto Cosa Nostra.

Per poter quindi comprendere appieno il funzionamento, l’organizzazione e l’operato della mafia all’interno del territorio, ci si affida alle parole e alle testimonianze di chi l’ha conosciuta e vissuta in prima persona. Chi, meglio dei pentiti, poteva mostrare ciò che fino a quel momento era stato taciuto per decenni? Le loro rivelazioni costituiscono una sorta di depositum fidei e sono state confermate nelle successive dichiarazioni di altri mafiosi collaboratori di giustizia.

Ecco quanto riportato nella sentenza della Corte di Assise di Palermo del 16/12/1987, in merito alle deposizioni rilasciate da Buscetta dinnanzi al magistrato Giovanni Falcone:

“La creazione “Mafia” è una creazione letteraria, mentre i veri mafiosi sono semplicemente chiamati “uomini d’onore”.

L’organizzazione denominata “Cosa Nostra” è disciplinata da regole non scritte, tramandate oralmente, di cui non si troverà mai traccia documentale non esistendo

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elenchi di appartenenza, attestati di alcun tipo, né ricevute di pagamento di quote sociali.

I requisiti richiesti per la “cooptazione” nell’associazione sono:

1) Provate doti di coraggio e di valore (in senso criminale si intende);

2) Una situazione familiare limpida secondo quel concetto di “onore”, tipicamente siciliano;

3) Assenza divincoli di parentela con “sbirri”; cioè con persone che rappresentino l’autorità dello stato;

Naturalmente le prove di coraggio non sono richieste per quei personaggi che rappresentano la “faccia pulita” dell’organizzazione, e cioè dei professionisti, imprenditori che non vengono normalmente impiegati in azioni criminali ma prestano un’utilissima opera di fiancheggiamento e copertura di attività apparentemente lecite.”

In merito al ruolo di questi personaggi, definiti da Buscetta “facce pulite”, è utile fare un’importante considerazione in quanto costituiscono un pilastro essenziale del fenomeno mafioso: non si tratta di un’unica categoria di soggetti ben distinta ed individuata ma, al contrario, assai variegata. Sempre Buscetta racconta: “Noi, in Cosa Nostra, avevamo un medico che era proprietario di due cliniche ben avviate. Ma avevamo anche il ragazzo che vendeva i fiori nelle latte di conserva di pomodoro, agli angoli delle strade e vicino ai cimiteri. E avevamo i fornai, i direttori di banca, ma anche i ragazzi alle pompe di benzina, gli "gnurri", i cocchieri, e i garzoni di macelleria, che ci segnalavano tutto ciò che accadeva sul territorio. (Intervista rilasciata negli Stati Uniti, 1999)”.

Una volta individuato il soggetto in possesso dei tre requisiti viene avvicinato per sondare la sua disponibilità a far parte di un'associazione avente lo scopo di

"proteggere i deboli ed eliminare le soverchierie". Ottenuto il consenso, esso viene portato dinnanzi ad almeno “tre uomini d’onore” della “famiglia” della quale farà parte ed inizia il rito di affiliazione mediante un giuramento di fedeltà a Cosa Nostra. Il più anziano dei tre gli buca un dito di una mano (c.d. punciuta) dal quale viene fatto sgorgare un po’ di sangue che sarà versato su un’immagine sacra (c.d. santina). È evidente la valenza simbolica di esso: il sangue rappresenta, da un lato la rinascita ovvero una nuova vita con una nuova famiglia; dall’altro la punizione che spetta a chi

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tradisce il patto di sangue: “Col sangue si entra e col sangue si esce da Cosa Nostra”

(pentito Antonino Calderone in Arlacchi 1992, pp. 57-58).

La “santina” viene fatta bruciare tra le mani del giurante fino al completo spegnimento mentre egli ripete la formula solenne del giuramento che si conclude con la frase “le mie carni devono bruciare come questa “santina” se non manterrò fede al giuramento.”7 Il giurante acquisisce “la qualità” di “homo honoris”, che durerà per tutta la vita e cesserà solo con la morte. “Entrare a far parte della mafia equivale a convertirsi a una religione. Non si cessa mai di essere preti. Né mafiosi.” (Giovanni Falcone).

Il novizio comincerà a conoscere i segreti di Cosa Nostra secondo il grado che egli riveste nell'organizzazione: più elevata è la carica, maggiori sono le conoscenze alle quali avrà accesso. Egli è tenuto a rispettare la "consegna del silenzio":

non gli è assolutamente permesso di svelare né la sua appartenenza né i segreti di Cosa Nostra. È proprio questa regola ferrea che ha permesso all'organizzazione di rimanere impenetrabile e di continuare ad operare nell’ombra.

2.1.2 La struttura

La struttura organizzativa di Cosa Nostra è molto complessa e articolata. Innanzitutto si presenta come un’organizzazione territoriale in quanto l’unità organizzativa di base è rappresentata dalla “famiglia”; essa prende il nome dalle città o dai paesi che presidia. Fa eccezione Palermo che è l’unica ad avere un gran numero di famiglie mafiose le quali prendono il nome dalle “borgate” del territorio suddiviso.

Ogni famiglia, formata da un numero variabile di uomini d’onore in base alla dimensione, è strutturata secondo un modello verticale-piramidale caratterizzato da una rigida suddivisione dei poteri. Questi sono organizzati secondo una scala gerarchica: alla base vi sono i picciotti o soldati (il numero varia da 50 a 300), al livello superiore troviamo i capidecina, a seguire consiglieri, sottocapo, capifamiglia, capimandamento, rappresentanti provinciale e quello regionale.

7 Giuramento di Buscetta nel 1948: “Le mie carni devono bruciare come questa “santina” se non manterrò fede al giuramento” (in Gambetta 1992, pp. 367-369).

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Più famiglie, territorialmente confinanti, costituiscono un "mandamento" ed ognuno di esso è diretto da un capomandamento eletto dai diversi capifamiglia. I capomandamento della provincia formano la commissione provinciale, al vertice della quale vi è un capoprovincia, componente della commissione regionale di Cosa Nostra definita anche regione o cupola. La cupola è formata da sei capiprovincia con l’eccezione delle province di Messina, Siracusa e Ragusa. Fa eccezione la città di Palermo dove le famiglie sono rappresentate direttamente dalla commissione provinciale.

La commissione dei delitti è soggetta alla preventiva autorizzazione del capofamiglia o del capomandamento, mentre per quanto riguarda quelli di personalità autorevoli (capifamiglia o esponenti delle Istituzioni) occorre un'autorizzazione dalla Commissione Provinciale o, in particolari casi, da quella Regionale.

Da questa descrizione organizzativa di Cosa Nostra, avuta grazie alle rivelazioni di Buscetta, si evince che: il vertice prende le decisioni, il capodecina commissiona l’ordine e l’uomo d’onore esegue. La struttura viene spesso associata all'immagine di un carciofo, poiché organizzata secondo cerchi concentrici: all’interno vi è il nucleo composto dagli affiliati (ovvero coloro che hanno scelto di far parte dell’organizzazione mediante il rituale di affiliazione), nel cerchio intermedio si trovano i collaboratori esterni (coloro che mantengono contatti stabili con gli affiliati) solitamente sono politici, imprenditori che permettono di garantire all’organizzazione attività illecite e di riciclaggio. L’anello più esterno è occupato dai fiancheggiatori:

coloro che hanno contatti saltuari con l’organizzazione; essi possono essere o uomini di politica o d’affari oppure persone comuni che garantiscono l’omertà e, all’occorrenza, consenso elettorale. Nel suo insieme, questa organizzazione si chiama

“Cosa Nostra”, così come negli U.S.A.”8.

8 Processo di interrogatorio di T. Buscetta davanti al giudice G. Falcone, 21 luglio 1984, pp. 4-5.

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2.1.3 Nascita del fenomeno

In merito alla nascita della mafia, il magistrato Rocco Chinnici, in ottemperanza all’opinione comune degli storici, puntualizza: “[…] prima di occuparci della mafia del periodo che va dall'unificazione del Regno d'Italia alla prima guerra mondiale e all'avvento del fascismo, dobbiamo brevemente, ma necessariamente premettere che essa come associazione e con tale denominazione, prima dell'unificazione, non era mai esistita in Sicilia. [... ] La mafia [... ] nasce e si sviluppa subito dopo l'unificazione del Regno d'Italia.”9 Quindi essa è coetanea dell’unità d’Italia. Sul perché essa è nata, tornano nuovamente utili le parole di Buscetta: “Mi hanno detto che essa era nata per difendere i deboli dai soprusi dei potenti e per affermare i valori dell’amicizia, della famiglia, del rispetto della parola data, della solidarietà e dell’omertà. In una parola, il senso dell’onore”10. Cosa Nostra era nata per difendere la Sicilia, sostituendosi alla neonata Italia che non è riuscita a garantire un controllo in quei territori troppo diversi dal mondo settentrionale. “Perché noi siciliani ci siamo sentiti trascurati, abbandonati dai governi stranieri e anche da quello di Roma. Cosa Nostra, per questo, faceva la legge nell’isola al posto dello Stato. L’ha fatto in diverse epoche storiche, anche quando non si chiamava Cosa Nostra. Io so che una volta essa si chiamava “I Carbonari”, poi si è chiamata “I Beati Paoli” e solo in un terzo momento “Cosa Nostra” (ibidem, pp. 15-16). Le origini di Cosa Nostra sono legate ai cambiamenti che caratterizzarono il latifondo il quale aveva dominato, fino agli inizi del Novecento, la struttura produttiva siciliana. Per difendersi dal brigantaggio e dalle pretese sempre più insistenti della classe contadina, la nobiltà terriera creò una classe intermedia rappresentata dai c.d. gabbellotti con il compito di controllare la proprietà e il reddito dei latifondisti. Essi assunsero ben presto, la forma di confraternite svolgendo funzione di controllo e repressione, spogliando il latifondista di ogni responsabilità. Agivano con violenza e senza rispetto della legge. Con lo sviluppo sociale e il crescente potere acquisito, essi spostarono i propri interessi verso la grande città e verso la creazione di una commistione politica.

9 Relazione sulla mafia dell’incontro di studio per magistrati organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura a Grottaferrata il 3 luglio 1978.

10 Addio Cosa Nostra. La vita di Tommaso Buscetta. Rizzoli, 1994

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2.1.4 La storia recente

A partire dagli anni Cinquanta, si assiste al passaggio da una mafia rurale ad una imprenditoriale, caratterizzata dalle infiltrazioni nelle opere edilizie. A Palermo sono gli anni del boom edilizio “sacco di Palermo”11, anni in cui la mafia inizia ad accumulare grandi ricchezze da reinvestire nel mercato internazionale. L’occasione di espandersi nel mercato internazionale si ebbe con l’operazione Husky: gli uomini dei servizi segreti americani, per organizzare ed agevolare lo sbarco dell’esercito USA in Sicilia, si servirono del boss siculo-americano Lucky Luciano12, temporaneamente in carcere. Per gli americani la Sicilia rappresentava il punto strategico dell’offensiva tedesca per risalire e liberare l’Italia, ci voleva però qualcuno che conoscesse bene la Sicilia, che indicasse i rifugi, le strade e i ponti da percorrere. Lucky Luciano, in cambio della propria libertà, accettò di aiutarli. Si narra che il primo carro armato che ha calcato il suolo siciliano, innalzava una bandiera raffigurante una L, iniziale di Lucky Luciano. Sull’isola trovò il terreno fertile per creare legami tra le famiglie italoamericane e quelle siciliane per il traffico internazionale di eroina. Gli anni che vanno dal 1958 al 1969 sono quelli in cui le famiglie siciliane sono impegnate nella prima guerra di mafia che porteranno alla demolizione dei meccanismi della Commissione.

Con la “Strage di Ciaculli13” del 1963, con cui si concluse la prima guerra di mafia, e con la nascita a Roma della prima commissione antimafia, Cosa Nostra dichiara temporaneamente sciolte le commissioni provinciali e regionali attribuendo la

11 Citato in "Documenti", Camera dei Deputati, XIV Legislatura.

12 "Charles "Lucky" Luciano, alias Salvatore Lucania, nacque il 24 novembre 1897 in Lercara Friddi, Sicilia. La sua famiglia emigrò a New York quando aveva solo dieci anni. Legato alla mafia, è considerato il padre del moderno crimine organizzato e l’ideatore di una massiccia espansione nel dopoguerra del commercio di eroina. Il Time Magazine ha inserito Luciano tra i 20 uomini più influenti del XX secolo. Luciano morì il 26 gennaio 1962 presso l'Aeroporto Internazionale di Napoli a 64 anni.

Fu sepolto a New York.

13 La “Strage di Ciaculli” fu un attentato effettuato da Cosa Nostra, nella borgata agricola di Ciaculli a Palermo, il 30 giugno 1963, nella quale persero la vita quattro uomini dell'Arma dei Carabinieri, due dell’Esercito e un sottufficiale del Corpo della Polizia di Stato con un'Alfa Romeo Giulietta imbottita di esplosivi. L'episodio fu uno dei più sanguinosi degli anni Sessanta; esso concluse la prima guerra di mafia della Sicilia, la quale culminò con le uccisioni di numerosi mafiosi.

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reggenza dell’organizzazione a Gaetano Badalamenti14, Stefano Bontate15 e Luciano Leggio16. In questi anni gli introiti dell’organizzazione sono legati principalmente ai riscatti da sequestri di persona, dal contrabbando di tabacco e traffico di droga.

Gli anni Ottanta vedono protagonisti Salvatore Riina, Bernardo Provenzano e Leoluca Bagarella (detti anche viddani perché provenienti dalle campagne); se gli anni Settanta hanno vissuto la ricostruzione delle Commissioni provinciali e regionale da parte delle famiglie storiche, in questi anni si assiste ad un vero e proprio golpe (la seconda guerra di mafia, 1981) dei corleonesi contro le famiglie palermitane.

La vecchia cupola viene smembrata e al suo posto subentra una nuova commissione composta da corleonesi con a capo Michele Greco. Quest’ultima viene pian piano svuotata da tutti i poteri17 che di fatto vengono assunti da Totò Riina. Con i corleonesi la mafia rompe quel delicato equilibrio secolare ed inizia un clima di violenza contro chiunque ostacoli la loro ascesa al potere. Inoltre essi dispongono di una forza militare e finanziaria che riesce a mettere in difficoltà la borghesia mafiosa18.

Sono gli anni delle stragi e degli omicidi di coloro che hanno tentato in ogni modo di contrastare questo sistema; si ricordano: il magistrato Cesare Terranova (1979) che

14 Gaetano Badalamenti (Don Tano) (Cinisi, 14 settembre 1923 – Ayer, 29 aprile 2004), è stato il capo della cosca mafiosa di Cinisi (PA) e ha diretto la Commissione dal 1974 al 1978. Fu condannato negli Stati Uniti a 45 anni di reclusione per l’operazione "Pizza connection" chiamata così per aver utilizzato le pizzerie come punto di distribuzione di droga. Badalamenti è stato inoltre condannato all'ergastolo per aver ordinato l'omicidio di Giuseppe Impastato, il quale aveva denunciato le attività illecite del boss.

15 Stefano Bontate (Palermo, 23 aprile 1939 – Palermo, 23 aprile 1981) noto come Il Falco per via della sua freddezza e della sua arguzia, è stato mafioso legato a Cosa Nostra. Dagli amici era definito Il Maino ma lui si faceva chiamare Principe di Villagrazia malgrado non vantasse di alcun titolo nobiliare.

16 Luciano Leggio, conosciuto anche come Leggio, detto Lucianeddu (Corleone, 6 gennaio 1925 – Nuoro, 15 novembre 1993), è stato un criminale un mafioso siciliano affiliato al Clan dei Corleonesi; comunemente viene definito "La primula rossa di Corleone". Responsabile dell’assassinio del vecchio boss di Corleone Michele Navarra, fu tra gli imputati al maxiprocesso di Palermo del 1986-1987.

17 Secondo le rivelazioni di Giovanni Brusca, ex braccio destro di Totò Rina, divenuto collaboratore di giustizia.

18 Con la nascita dello Stato unitario e la conseguente scomparsa del sistema feudale nel territorio siciliano, si verificò un cambiamento della struttura sociale: il clero e l’alta nobiltà cedettero il potere ad una nuova borghesia cittadina, priva di tradizioni, composta da esponenti del mondo politico, impiegatizio ed imprenditoriale in stretto rapporto con la classe politica locale e, conseguentemente, un’influenza sulla politica nazionale. Con quest’ultima aveva stretto una sorta di patto: in cambio di uno strumento di violenza (laddove la politica non riusciva, infatti, a conseguire i propri fini con metodi incruenti, si serviva della borghesia mafiosa che agiva attraverso la violenza) di consenso sociale e un ritorno economico (tangenti) per appalti truccati, la mafia otteneva accesso alle risorse pubbliche.

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condannò all’ergastolo Luciano Liggio, il procuratore capo di Palermo Gaetano Costa (1980) che con la convalida dell’arresto della famiglia Inzerillo colpì gli interessi siculo-americani sul traffico di droga; il presidente della regione Sicilia Piersanti Mattarella (1980), il deputato Pio La Torre (1982) che introdusse il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso con la legge Rognoni-La Torre approvata in seguito al suo assassinio; il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa (1982) nominato prefetto di Palermo per contrastare la mafia, Rocco Chinnici (1983) ideatore del pool antimafia che rivoluzionò il metodo d’indagine e infine i due magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino (1992) che fecero parte del pool antimafia e furono gli artefici del maxi processo di Palermo.

Tuttavia la violenza messa in atto dai corleonesi ha determinato un effetto boomerang:

essa ha subito ritorsioni: il maxiprocesso, le leggi premiali per i collaboratori di giustizia e così via…, determinando un profondo sbandamento dell’organizzazione che raggiungerà il suo culmine con l’arresto di Totò Riina il 15 gennaio 1993. Inizia così, una fase di tregua delle stragi, della mafia silenziosa ed invisibile: la cosiddetta

“strategia della sommersione” adoperata dall’ultimo dei corleonesi Bernardo Provenzano, il quale pone fine alla violenza come extrema ratio.

È doveroso ricordare la strage di Capaci19 e di Via d’Amelio20, che hanno scosso l’opinione pubblica.

Giovanni Falcone diceva: “La mafia è l’organizzazione più agile, duttile e pragmatica che si possa immaginare rispetto alle istituzioni e alla società nel suo insieme […]La mafia si caratterizza per la sua rapidità nell’adeguare valori arcaici alle esigenze del presente, per la sua abilità nel confondersi con la società civile, per l’uso dell’intimidazione e della violenza, per il numero e la statura criminale dei suoi adepti, per la sua capacità ad essere sempre diversa e sempre uguale a se stessa.” La grande forza della mafia risiede proprio nella sua capacità di adattarsi a nuovi contesti e a diversificare territori e settori dove investire i suoi proventi illeciti; a tal proposito, la

19 La strage di Capaci (23 maggio 1992) fu l’attentato messo in atto da Cosa Nostra, sull’autostrada A29 nei pressi dello svincolo di Capaci, dove persero la vita il magistrato Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro.

20 La strage di via D'Amelio (11 luglio 1992) fu l’attentato di stampo mafioso avvenuto in via Mariano D'Amelio a Palermo, nel quale persero la vita il magistrato Paolo Borsellino e i cinque agenti di scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

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Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo la definisce come “una costante vitalità in una fase di transizione”.

Oggi la mafia è divenuta anche un’organizzazione finanziaria, dove la sua strategia non prevede più il reinvestimento in beni immobiliari facilmente individuabili, ma bensì nel mercato finanziario.

Ne consegue che essa è sempre meno autonoma, infatti per i suoi scopi si serve sempre più di quel pool di professionisti, consulenti, imprenditori, uomini politici che rappresentano l'elite della borghesia mafiosa, come aveva già anticipato Tommaso Buscetta nella sua rivelazione: “La mafia che io ho conosciuto non tornerà più. Non farà più parte di Cosa Nostra l'uomo che vendeva i fiori e si vedeva riconosciuto lo stesso rispetto che aveva il dottore. Di Cosa Nostra faranno parte uomini con grandi uffici e centinaia di impiegati. Sotto sotto, anche loro agiranno come Cosa Nostra.

Saranno molto rispettati e riveriti. E salterà per sempre il giuramento, l'iniziazione, almeno come io l'ho conosciuta. La nuova mafia sarà composta da persone molto più intelligenti di quanto lo eravamo noi, sicuramente dotate di un altro spirito. Capaci di adottare nuovi accorgimenti. Il vecchio modo di riconoscerci sarà superato. Ma ne sarà inventato un altro.”

Nonostante i duri colpi inferti a Cosa Nostra e l’arresto dei maggiori esponenti, permane quel connubio tra mafia e i centri di potere occulto, per cui non possiamo avvallare le parole di Giovanni Falcone: la mafia ha avuto una sua evoluzione ma ancora non è giunta a quel declino più volte annunciato e non è, purtroppo, nemmeno prevedibile.

Oggi le attività criminose di Cosa Nostra possono essere sintetizzate in tre categorie:

la pratica della protezione-estorsione (tramite il pizzo o racket), la penetrazione negli appalti pubblici e l’offerta di beni e servizi illegali.

L’attività protettiva-estorsiva serve sia a dirimere le controversie e riscuotere crediti, che a tutelare le popolazioni locali dall’eventuale esercizio di crimini al di fuori di Cosa Nostra, configurandosi come strumento di accumulo del capitale mafioso e mezzo per rimarcare la sovranità di Cosa Nostra.

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La seconda categoria fa riferimento alla gestione o al condizionamento diretto di alcuni servizi pubblici in diverse zone della Sicilia, primo fra tutte lo smaltimento dei rifiuti.

Infine, con offerta di beni e servizi illegali, si intendono il traffico dei tabacchi e degli stupefacenti.

Affinché questo dilagante “fenomeno umano” possa giungere al suo declino, in quella terra da lui stesso definita “bellissima e disgraziata” Paolo Borsellino suggeriva che “La lotta alla mafia […] non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell'indifferenza, della contiguità e quindi della complicità.”

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2.2 ’Ndrangheta

2.2.1 Origini del fenomeno e metodo d’indagine

Il termine ’Ndrangheta ha quasi sicuramente origini grecaniche21. Esso deriva dalla parola greca andragathía22 (ανδραγαθια), traducibile con “virtù propria dell’uomo, virilità, coraggio”, dalla quale sarebbero discesi: ’ndranghita (onorata società) e

’ndranghitu (uomo d’onore). Andragathos (andropos = “uomo" e agatos = “buono”), difatti, significa uomo valoroso, qualità necessaria per poter accedere all’onorata società. Questo termine, con questo preciso significato, è stato usato anche da Tommaso d’Aquino nella sua opera Summa Theologica (anni 1265–1274) per indicare un’associazione di uomini valorosi. La ‘Ndrangheta, del resto come Cosa Nostra, appariva caratterizzata, almeno in origine, da “nobili sentimenti”.

Secondo un’etimologia di natura geografica, il termine ‘Ndrangheta deriverebbe da

"Andraghatia Regio" che designava un'ampia zona situata tra la Calabria e la Basilicata23.

Il vocabolo ‘ndrina, con il quale vengono indicate le famiglie appartenenti all’organizzazione mafiosa, è anch’esso di origine grecanica ed indica una “persona dalla schiena dritta, che non si piega mai24”.

2.2.2 La struttura

Tra fonti che hanno permesso la comprensione della struttura organizzativa della

‘Ndrangheta vi sono: le dichiarazioni di alcuni pentiti, quei pochi codici scritti

21 Termine riferito alla minoranza di lingua greca collocata in Calabria.

22 Secondo l’Accademia della Crusca, la proposta etimologica universalmente accettata è quella formulata da Paolo Martino nel saggio Per la storia della ’ndranghita (Roma, Università “La Sapienza”, 1988)

23 Come riportato dall’Accademia della Crusca, il termine "Andraghatia Regio" compariva in una carta dell’Italia meridionale del geografo olandese Abrahamus Ortelius, pubblicata ad Anversa nel 1596, designando un’area corrispondente al Cilento. A partire dal 1587, nel Thesaurus Geographicus, l’andragathia è collocata “in Brutiis”, ovvero nell’attuale Calabria.


24 Fonte: Accademia della Crusca, A. Nocentini, “Camorra, Mafia, N’drangheta parte III: origini di N’drangheta” http://www.accademiadellacrusca.it/it/lingua-italiana/consulenza-linguistica/domande- risposte/camorra-mafia-ndrangheta-parte-iii-origine-n.

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rinvenuti, le sentenze passate in giudicato e le acquisizioni ottenute dalle investigazioni.

Le ’ndrine cellule di base della ‘Ndrangheta, si fondano essenzialmente sul legame di sangue, più ‘ndrine vicine formano il “locale” di ‘ndrangheta, aggregazione principale che circoscrive un preciso territorio (un paese o un rione di una città). Ogni locale è retto da una terna di ‘ndgranghetisti (copiata) costituita da: un capo-bastone (Osso), il quale ha potere di vita o di morte sui suoi affiliati, un contabile (Mastrosso) che si occupa di amministrare la “baciletta” (cassa dove affluiscono i proventi illeciti dell’organizzazione), e un capo crimine (Carcagnosso) che pianifica il regolamento dei conti con le cosche rivali, l’esecuzione di omicidi e le estorsioni ed agguati. Sia il contabile che il capo crimine, sono soggetti alle direttive del capo ‘ndrina, la cui carica viene trasmessa da padre in figlio.

Oltre dalla famiglia naturale di sangue, la ‘ndrina è altresì composta da quella del capobastone e da altre famiglie aggregate; l’originaria è poi ramificata in numerose distaccate (create anche al di fuori della Calabria, dipendenti da quella d’origine). Le

‘ndrine distaccate dalla locale (definite le bastarde) nascono dietro autorizzazione, da parte del capofamiglia, della locale di San Luca quando il numero di affiliati ad essa supera i 50-60 soggetti. Deve essere comunicato, altresì, il territorio nella quale essa si distaccherà. Generalmente si cerca di entrare in locali deboli che hanno interesse ad avere una ‘ndrina potente da cui trarre protezione e prestigio.

Le bastarde, sono anche il risultato di una lunga serie di matrimoni che ha contraddistinto da sempre le famiglie mafiose della ‘ndrengheta; organizzati non solo per risolvere conflitti tra le cosche, ma anche per crearne di più potenti e ramificate.

Questo fenomeno ha portato ad un conseguente allargamento della struttura familiare, nella quale non sono mancati di certo matrimoni tra parenti. Da qui, si evince il motivo per cui il pentitismo, a differenza delle altre organizzazioni mafiose, è così raro tra gli

‘ndranghetisti i quali si troverebbero a testimoniare contro i propri familiari; per tale ragione gli unici pentiti che hanno scelto di collaborare con la giustizia, sono affiliati che non hanno nessuna parentela con la ‘ndrina (dal 1994 al 2007 sono in totale 101 i

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collaboratori di giustizia della ‘ndrangheta)25.

“Il vincolo di sangue tende a imporsi su ogni altro tipo di relazione, e col tempo avvolge in modo sempre più vincolante tutti membri del gruppo criminale, data la pratica sempre più diffusa dei matrimoni interni ai gruppi mafiosi, una vera e propria endogamia di ceto, che caratterizza soprattutto la mafia in provincia di Reggio Calabria e la rende sempre più chiusa alle influenze ed ai contatti con la società legale. In un comune della fascia jonica, nel secolo scorso, discendenti di due famiglie di ‘ndrangheta si sono sposati, incrociandosi quattro volte.” (Gratteri, Nicaso, 2006).

Nonostante le ’ndrine siano legate tra loro da un patto di orizzontalità, le più vecchie esercitano un’influenza su quelle giovani; ciò è testimoniato dal fatto che le varie

‘ndrine versavano, una volta l’anno, una somma a quella di San Luca, considerata la

‘ndrina madre. Questo processo avveniva perché nel territorio di San Luca, vi era il santuario della Madonna di Polsi, luogo strategico dove avvenivano i principali summit tra i capifamiglia e luogo di nascita della prima commissione provinciale.

Così come in Cosa Nostra, per poter accedere all’onorata società si deve compiere un rito di affiliazione (“rito di rimpiazzo”, “battesimo” o “taglio della coda”), una scelta per la vita, definitiva ed irreversibile. Qualora si tratti di figli di ‘ndranghetisti, essi vengono battezzati poco dopo la nascita per diritto di sangue; tale gesto è considerato di buon auspicio affinché si possa trasformare, a partire dall’età di 14 anni, nel battesimo effettivo. Prima di questa conferma, il giovane assume la qualifica di giovane d’onore (mezzo dentro e mezzo fuori), data per diritto di discendenza ai figli maschi, successivamente egli acquisirà la qualità di picciotto. L’ingresso nell’organizzazione può avvenire anche successivamente mediante giuramento “in nome di nostro Signore Gesù Cristo”, dove un affiliato presenta l’iniziato davanti ad almeno cinque membri (in caso di mancanza del numero stabilito, essi vengono sostituiti da fazzoletti bianchi annodati al polso). Il battesimo presenta diverse varianti a seconda del luogo e dalle circostanze in cui viene svolto: solitamente viene praticato un taglio nella parte superiore del pollice destro a forma di croce, dal quale sgorgano

25Fonte:http://www.camera.it/_bicamerali/leg15/commbicantimafia/documentazionetematica/25/sche dabase.asp#Datistatistici

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tre gocce di sangue; viene bruciata una santina di San Michele Arcangelo, santo protettore dell’onorata società, e la cenere posta sulla ferita affinché essa possa guarire26.

Solo in seguito alla guerra interna del 1985, la N’drangheta si è dotata di una struttura di tipo verticistica simile a quella di Cosa Nostra, definita la “Santa” o “società maggiore”, i cui facenti parte vengono definiti “santisti”. Di livello superiore alla Santa, vi è il Vangelo (il nome deriva dal fatto che per poter accede, occorre giurare27 con la mano poggiata sul Vangelo) i cui “vangelisti” sono custodi dei segreti della

‘Ndrangheta.

A partire dal 1991, viene introdotta anche una suddivisione del territorio calabrese in tre mandamenti: la Piana (mandamento tirrenico), la Montagna (mandamento ionico) e la Città (Reggio Calabria). Questi ultimi sono soggetti alle disposizioni della commissione definita “Provincia” o “Crimine”.

La società onoraria era suddivisa in società maggiore e minore. Per spiegare la sua struttura, nel linguaggio degli ‘ndranghetisti, viene usata la metafora de “l’albero della scienza” suddiviso in sei parti: Fusto (capo della società), Rifusto (contabile), Ramo (camorristi di sangue e di sgarro), Ramoscello (picciotti), Fiore (giovani d’onore) e Foglia (rappresenta il traditore, che caduto dagli alberi, marcirà per terra). I primi tre elementi rappresentano la società maggiore, mentre i restanti quella minore, ovvero la famiglia suddivisa in doti. La ‘ndrina, invece, viene idealizzata come un giardino di rose e fiori, dove nel mezzo è presente una stella luogo del rito del rimpiazzo28. Coloro che, di fatto, non sono affiliati ma appoggiano semplicemente l’organizzazione sono i

“contrasti onorati”, mentre quelli che non ne fanno parte vengono definiti

“contrasti”.

26 Fonte: E. Ciconte, “Riti criminali: i codici di affiliazione dell’ndrangheta”.

27 « In nome di Gaspare, Melchiorre e Baldassarre con una bassata di sole e un'alzata di Luna è formata la Santa catena. Sotto il nome di Gaspare, Melchiorre e Baldassarre e di Nostro Signore Gesù Cristo che dalla terra è morto, risuscitò in cielo, noi saggi fratelli formiamo questo sacro Vangelo » Nicola Gratteri, Fratelli di sangue, Luigi Pellegrini Editore, 2007, p. 255.

27 Fonte: L. Malafarina, “Il codice dell 'Ndrangheta”.

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L’organizzazione è caratterizzata da regole ferree: la segretezza del vincolo, il rispetto della gerarchia, l’omertà e l’uso di un linguaggio cifrato finalizzato ad eludere le indagini investigative.

2.2.3 La storia

L’origine e la diffusione della ‘Ndrangheta in Calabria sono certamente legate alla nascita dell’Unità d’Italia. Sconfitto il fenomeno del brigantaggio, che aveva caratterizzato nel primo decennio post unitario le zone del catanzarese e cosentino, incombeva un altro fenomeno che da li a poco avrebbe posto le radici nel territorio di Reggio Calabria. Esistono diverse ipotesi su come esso sia nato e si sia diffuso: alcuni storici sono d’accordo nel ritenere che esso abbia avuto origine dalla camorra napoletana già presente nel territorio, altri invece, sostengono che sia stata influenzata dalla vicina mafia siciliana; in ogni caso, è comunque possibile che le organizzazioni confinanti abbiano giocato un ruolo fondamentale. A differenza del brigantaggio, essa non ha attecchito in situazioni di degrado e di miseria ma, al contrario, emerge in quei luoghi della bassa Calabria (provincia reggina) caratterizzati da un notevole sviluppo e da processi di trasformazione socioeconomici. L’economia agraria era in piena espansione, in modo particolare, la produzione di oliveti, vigneti e degli agrumi attirava a sé una nuova borghesia commerciale proveniente dall’esterno. Erano i luoghi delle fiere, degli scambi e anche dei reati; qui dove la “Legge Pica29” non ebbe rilievo, la ‘ndrangheta trovò il terreno fertile per attecchire.

Negli anni Sessanta crebbero d’importanza tre faide: i Piromalli nella Piana di Gioia Tauro, i Tripodo a Reggio Calabria e i Macrì nella Locride30, i quali alimentavano il narcotraffico con le liquidità ottenute dai frequenti sequestri di persone.

29 “Legge Pica” (Legge del 15 agosto 1863, n. 1409 "Procedura per la repressione del brigantaggio e dei camorristi nelle Provincie infette") prende il nome dal suo promotore Giuseppe Pica ed è stata approvata durante il governo Minghetti. Emanata in deroga agli articoli 24 e 71 dello Statuto albertino, ha introdotto il reato di brigantaggio i cui trasgressori sarebbero stati giudicati dai Tribunali Militari. Le pene inflitte andavano dalla fucilazione, ai lavori forzati a vita, al carcere, con attenuanti per chi avesse collaborato con la giustizia.

30 La Locride è il nome con il quale si identifica il versante ionico della provincia di Reggio Calabria.

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Gli anni settanta-ottanta videro scoppiare due guerre di mafia: la prima (1974-1976)31 causata dal desiderio delle nuove generazioni di entrare nel traffico degli stupefacenti32 a scapito delle vecchie famiglie fedeli al modello dell’onorata società, e la seconda (1985-1991) dovuta al fatto che diverse ‘ndrine non riuscirono ad accordarsi sulla spartizione degli enormi capitali acquisiti. Al fine di evitare l’insorgere di nuovi conflitti, si decise di dotarsi di una struttura organizzativa simile al modello di Cosa Nostra. Sono gli anni in cui vennero introdotte delle sovrastrutture prima inesistenti:

le nuove doti della Santa, il Vangelo e quelle che compongono la società maggiore.

Negli anni Novanta, essa muta completamente la propria struttura; al fine di evitare ulteriori conflitti interni, suddividendo il territorio in tre macro aree (mandamenti): il mandamento tirrenico, ionico e di centro, quest’ultimo corrispondente alla città di Reggio Calabria. Questi tre mandamenti, insieme alle camere di controllo33, fanno riferimento al Crimine di Polsi (commissione regionale). Ciascun mandamento è suddiviso in micro aree (collegi).

L’uccisione del giudice Antonio Scopellitti34, su richiesta di Cosa Nostra, rappresentò l’ultimo atto di un clima di violenza, a partire dal quale la ‘Ndrangreta si focalizzò solo sui traffici di droga continuando ad agire nell’ombra senza destare clamore.

Nonostante essa continui ad espandersi in territori esterni alla Calabria e all’Italia, consolidando sempre più la sua posizione, non abbandona il territorio calabrese; uno dei fattori di successo è proprio il saper integrare i luoghi tradizionali con i nuovi traffici internazionali. Le aree tradizionali rimangono caratterizzate da pratiche quali l’usura e le estorsioni, che consentono da una parte di mantenere il controllo dei settori chiavi dell’economia, dall’altra di ottenere importanti profitti da reinvestire nei traffici

31 La prima guerra di ‘Ndrangheta scoppia a causa di una faida interna tra la famiglia De Stefano e la vecchia famiglia Tripodo. La guerra viene vinta da i De Stefano; con questa vittoria essa acquisiva sempre più potere nel panorama reggino, tanto da mettere in allarme le due ‘ndrine di Gioia Tauro e San Luca, le quali in un summit in Aspromonte uccisero Giorgio De Stefano, uno dei boss della famiglia.

32 La ‘Ndrangheta era a capo di un consorzio malavitoso (c.d. Siderno Group) tra il Canada, l’Australia, il Sud America e l’Italia.

33 La Camera di controllo o altresì detta Camera di compensazione sono degli enti di gestione e controllo della 'Ndrangheta al di fuori del territorio calabrese.

34 A. Scopellitti, fu un giudice italiano ucciso il 9 agosto 1991 dalla ‘Ndrangheta, su richiesta di Cosa Nostra, il quale avrebbe dovuto sostenere l’accusa in cassazione durante il maxi processo a Cosa Nostra.

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illegali o in imprese gestite da imprenditori apparentemente puliti. Il fatto di intrattenere importanti rapporti con la politica, che vanno dal singolo comune fino ad arrivare allo Stato, le permettono di accedere con estrema facilità non solo alle risorse pubbliche, ma anche di intervenire nel dialogo politico (ad esempio sulle riforme che riguardano la giustizia) e consolidare il proprio potere grazie a meccanismi di consenso. In Calabria, dal 1991 ad oggi, si sono verificati 9835 casi di scioglimento di comuni per infiltrazione mafiosa e 13 archiviati a testimonianza, forse, della presenza mafiosa. Forte è anche la presenza nei settori pubblici, in modo particolare in quello sanitario che offre, oltre a cospicue risorse economiche, la possibilità di alleviare le eventuali pene per motivi di malattie ai mafiosi in carcere. I giornalisti Arcangelo Badolati e Attilio Sabato, nel libro “Codice Rosso: sperperi, politica e ‘Ndrangheta”, denunciano l’angosciante situazione della sanità calabrese definendola la “Fiat della Calabria, una fabbrica capace di assicurare lavoro a 22.143 persone e di far mangiare contemporaneamente imprenditori, mafiosi, faccendieri e politici”. Essi aggiungono: “il nostro sistema è un pozzo senza fondo che consuma tre quarti del bilancio regionale e spende più della metà di quanto incassa”.

La ‘Ndrangheta non si è fermata a trarre profitti dall’economia locale ma ha spostato i suoi loschi interessi in altri mercati, luoghi e settori più redditizi, invadendo non solo altre regioni italiane ma creando vere e proprie succursali anche in Europa (Belgio, Olanda, Francia, Spagna, Portogallo, Inghilterra, Grecia, in modo particolare in Germania, la quale rischia la contaminazione nel mercato finanziario) e all’estero (Australia e Canada) gestite sempre da ‘ndrine facenti capo alle famiglie dei territori tradizionali. Nonostante il traffico di stupefacenti rappresenta la voce più consistente dei proventi criminali, alcune indagini fanno supporre la nascita di nuovi interessi nel mercato della contraffazione delle merci (mediante accordi con le organizzazioni cinesi) e nella costituzione di società fittizie in territori aventi lo status di paradisi fiscali.

35 Fonte: http://www.avvisopubblico.it/home/documentazione/comuni-sciolti-per- mafia/amministrazioni-sciolte-per-mafia-dati-riassuntivi/

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2.3 Camorra

2.3.1 Origine del nome e del fenomeno

Dubbia è l’origine etimologica del termine “Camorra”. Diverse sono le ipotesi accreditate: una delle quali è che derivi dal termine napoletano “mmorra”36 che significa ‘banda, raggruppamento di malfattori’ preceduta dal prefisso rafforzativo

“ca” (quindi nel senso che una persona è inserita ed appartiene a un gruppo) ma potrebbe altresì indicare ‘rissa, lite’. Farebbe riferimento all’omonoma bisca esistente nella Napoli del XVII secolo, alla ‘tassa sul gioco’ ovvero l’imposta che i locali del gioco d’azzardo dovevano corrispondere per evitare il rischio di eventuali risse37, la ‘veste, coperta’ (l’espressione fare la camorra significava ‘pretendere la tangente sulla coperta’, che nel gergo carcerario indicava la tangente che doveva corrispondere il detenuto per ottenere una coperta). Un’attinenza sussiste anche con il termine gamurra ‘tessuto e veste femminile’ di origine medievale.

Queste espressioni si ritrovano nella definizione di “camorra” data dall’autore napoletano R. D’Ambra: «Antico tessuto di vario pregio, e vestimento di esso, gamurra [...] Setta, combriccola di soverchiatori [...], che esigono taglie ed imposte arbitrarie a lor nome nelle carceri, ne’ quartieri di soldati, nelle case di giuoco, e ne’ mercati di minuto traffico di industrie rurali ed urbane»38

Alle domande del giornalista Enzo Biagi a Raffaele Cutolo, il capo della Nuova Camorra Organizzata, durante un dialogo avvenuto il 6 aprile del 2014 presso il Tribunale di Napoli, egli rispose così:

[…]

E.B. “Signor Cutolo chi è un camorrista?"

R.C. “Diciamo che è un camorrista quello che fa una scelta di vita. Il camorrista è un’etichetta che si dà. Io non l’ho mai detto che c’era questa Nuova Camorra Organizzata. Per me è un partito, è il mio ideale.

E.B. “Camorra cosa vuol dire?”

36 Angelico Prati, Vocabolario Etimologico Italiano, Milano 1951, edit. Garzanti 37 Definizione comparsa in un documento ufficiale del Regno di Napoli del 1735.

38 D’Ambra, R. (1873), Vocabolario napolitano-toscano domestico d’arti e mestieri, Napoli.

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R.C. “La disoccupazione. Insegnare ai giovani che è più bello il lavoro. Però bisogna anche trovarglielo. Questo è quello che ho fatto.”

Lo scrittore Marc Monnier, prima di definire la camorra come organizzazione mafiosa, ne sottolinea il suo particolare modo di agire: “Dissi di una simil setta. La camorra infatti, nel significato generale del vocabolo, designa ben altro che l'associazione [...]

Il vocabolo si applica a tutti gli abusi di forza o di influenza. Far la camorra, nel linguaggio ordinario, significa prelevar un diritto arbitrario e fraudolento.”39 Risalire alle origini della Camorra risulta problematico a causa della mancanza di fonti storiche attendibili. Le prime notizie ufficiali si ritrovano nella documentazione amministrativa della neonata Italia.

La prima opera pubblicistica sulla quale è possibile fare riferimento è considerata l’inchiesta di Monnier (1962), in cui egli racconta di non aver trovato, nessuna fonte che testimoniasse la presenza della Camorra prima degli anni 1820-1830. Egli ne colloca la nascita tra gli anni venti e sessanta dell’Ottocento, all’interno delle carceri del napoletano e successivamente sul territorio urbano. Si sviluppa proprio nella città di Napoli in quanto rappresentava, sin dal Regno delle due Sicilie, il motore dell’economia di tutto il Mezzogiorno. Il fenomeno, di origine plebea e delinquenziale, assumerà connotati differenti ed innovativi rispetto al passato, mantenendo il vecchio nome.

Le carceri rappresentavano inizialmente il centro del potere camorristico; i carcerati, non appena mettevano piede all’interno, venivano spogliati di tutti i loro beni e soggetti a continue estorsioni da parte della camorra carceraria.

Il passaggio alla città fu breve: si diffuse inizialmente nelle aree limitrofe per estendersi successivamente in tutta l’area urbana.

39 Marc Monnier, La camorra: notizie storiche raccolte e documentate, (1862).

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2.3.2 La struttura

La Camorra si era dotata di un proprio statuto (c.d. “frieno”40), composto da ventisei articoli e ispirato alla Garduna spagnola41.

Esso mette in luce la sua iniziale struttura ed organizzazione che ha espressamente la sede centrale a Napoli. Il testo all’art. 1 recita: “La Società dell’Umiltà o Bella Società Riformata ha per scopo di riunire tutti quei compagni che hanno cuore, allo scopo di potersi, in circostanze speciali, aiutare sia moralmente che materialmente”. Si evincono gli altri due nomi con la quale viene definita l’organizzazione: “Bella Società Riformata” e “La Società dell'Umiltà”. In merito alla struttura, accentrata e piramidale, la società si divide in Maggiore e Minore: alla prima appartengono i camorristi, alla seconda i picciotti (picciotto d’onore, picciotto di sgarro). Il giovane aspirante è, invece, chiamato tamurro. Ai vertici dell’organizzazione vi erano i capisocietà o capintrini.

Ognuno dei 12 quartieri della città di Napoli, eleggeva, tramite i suoi camorristi il capisocietà e duravano in carica un anno (gli altri comuni e capoluoghi di provincia erano equiparati ai quartieri). Questi, a sua volta, erano chiamati ad eleggere il capo supremo capintesta che rappresentava il vertice della Camorra. In ogni caso era esclusa la possibilità di affiliazione sia agli omosessuali che a coloro i quali avessero una madre o una sorella prostituta.

Anche in questa organizzazione c’è un rito di iniziazione: la “zumpata” o duello, durante il quale il neofita giura combattendo in duello contro il camorrista “padrino”, si concludeva con un ferimento simbolico.

L’attività principale era l’estorsione, praticata non solo nelle carceri ma anche nei mercati cittadini nei quali veniva imposta una tangente lo “sbruffo” sulla vendita dei prodotti, mentre altri proventi provenivano dalle case da gioco e dalla prostituzione.

40 Nel 1842 il contarulo Francesco Scorticelli raccolse i vari frieni in un frieno unico composto di ventisei articoli.

41 La Garduna è una società segreta di matrice criminale che avrebbe operato in Spagna e nelle sue colonie del Sudamerica fra la metà del XV e il XIX secolo.

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L’addetto alle riscossioni e alla gestione del “barattolo” era il “contarulo” o

“contaiuolo”, il quale era nominato dal caposocietà.

La Camorra era dotata di propri tribunali, ogni quartiere ne possedeva uno chiamato

"Mamma", mentre il tribunale supremo "Gran Mamma" presieduto dal capintesta che acquisiva il titolo di "Mammasantissima" faceva capo ad ogni singolo tribunale; di fatto essa si era dotata di un potere parallelo a quello debole dello stato.

2.3.3 La storia

A Napoli, fino al 1860, la Camorra e la politica avevano sempre operato in modo disgiunto. Le cose iniziano a mutare con l’avanzare della Spedizione dei Mille e con la fine del Regno delle due Sicilie. In quel periodo di tumulti, violenze e saccheggi, prese in mano la sorte della città il prefetto di polizia Liborio Romano nominato dal re borbonico Francesco II. Al fine di riportare l’ordine pubblico, egli pensò bene di convocare alcuni esponenti della Camorra invitandoli a far parte della guardia cittadina, in cambio dell’amnistia e di uno stipendio governativo. La proposta fu accettata da Salvatore De Crescenzo detto “Tore ‘e Crescienzo” considerato il primo capo della Camorra o come viene definita dallo stesso prefetto “partito del disordine42”. In poco tempo questa nuova guardia cittadina, non più combattuta ma addirittura legittimata, riportò l’ordine in città. Dall’altro lato, però, favorì l’escalation delle attività di contrabbando e dell’estorsione causando ingenti perdite doganali.

Il duro compito di riportare la situazione alla normalità fu affidato a Silvio Spaventa, allora ministro della Polizia. Egli diresse il bliz contro la Camorra epurando i camorristi dalla guardia cittadina e sostituendo quest’ultima con quella di pubblica sicurezza. Vietò inoltre, l’uso della divisa al di fuori del servizio, onde evitare altri casi di abuso di potere e preparò anche un Rapporto sulla Camorra che inviò a Torino la allora capitale d’Italia.

42 Liborio Romano, Memorie politiche, a cura di Fabio D'Astore, Milano, Giuffrè, 1992.

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