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Le relazioni tra letteratura e cinema in generale, e in particolare il rapporto tra la

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Academic year: 2021

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INTRODUZIONE

L’idea originaria che sta alla base della presente tesi di laurea nasce nel candidato dalla confluenza tra l’interesse e la curiosità per il romanziere britannico Julian Barnes e la passione per il cinema. Al momento di scegliere l’argomento a cui dedicare la fase finale del ciclo di studi, il nome di Julian Barnes è emerso come uno dei più graditi tra gli autori affrontati e approfonditi durante gli anni di corso. Tra le varie possibilità di esplorazione che si aprivano, la mia attenzione si è appuntata presto sull’opera prima, Metroland, un romanzo di formazione abbastanza tradizionale la cui lettura è stata gratificante per più motivi: facile apprezzarne l’ironia e l’arguzia (quel wit tipicamente inglese), la capacità di accostare argomenti di peso con altri più frivoli ma che hanno il sapore di vissuto, quel tono familiare con cui ci si rivolge al lettore e lo si chiama in causa direttamente.

Una volta appreso dell’esistenza di una versione cinematografica, la visione del film (omonimo e di produzione britannica) è risultata anch’essa coinvolgente e ha alimentato il terreno per alcune osservazioni riguardo alle scelte di adattamento operate da chi ha sceneggiato e realizzato la pellicola. Successivamente, è risultata piacevole anche la lettura di Talking It Over, malgrado le differenze rispetto a Metroland: si tratta di un’opera apertamente sperimentale, contraddistinta da una forma “mimetica” e dialogata e dal continuo alternarsi del punto di vista, senza contare il frequente uso ludico del linguaggio. Anche in questo caso il libro è stato d’ispirazione per un film (realizzato in Francia col titolo di Love etc.), e la sua visione ha fatto scaturire immediate considerazioni, portando poi alla luce ulteriori spunti di riflessione. Da qui a intraprendere il lavoro finalizzato alla stesura della tesi, il passo è stato breve.

Le relazioni tra letteratura e cinema in generale, e in particolare il rapporto tra la

narrativa scritta e le trasposizioni cinematografiche, sono un argomento intensamente

dibattuto fin dalla nascita della “settima arte”, sul finire del secolo XIX, e continua

ad esserlo. Che sia sotto forma di un serioso dibattito accademico o di una

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chiacchierata disimpegnata tra amici all’uscita di una sala cinematografica, l’argomento solletica, coinvolge ed appassiona. Perché? Una prima risposta è quella che racconto o romanzo e film sono strettamente correlati sotto svariati aspetti, e sotto altri invece irrimediabilmente differenti. In questo contrasto sembra risiedere un fattore importante che spinge ad accostare i due tipi di creazione per individuare identità o somiglianze, ma allo stesso tempo depista ogni tentativo elementare o grossolano di risolvere la questione. Il banale “è meglio il film / è meglio il libro”

della distratta comunicazione quotidiana lascia il posto, quando ci si pone con occhio critico e avveduto, a considerazioni ben più rigorose, che devono tener conto di alcuni fattori di fondo, tra cui in prima fila: a) la sostanziale difformità dei mezzi a disposizione di chi scrive una pagina e di chi dirige una scena su un set; b) le differenti ambizioni produttive connesse ai diversi elementi determinanti per l’analisi costi/benefici nei due rispettivi casi. In merito a quest’ultimo punto, si pensi alla pianificazione minuziosa, alle varie fasi della lavorazione, alle moltissime professionalità che sono necessarie per portare a termine una produzione cinematografica.

Quando ci si pone davanti alla migrazione di un testo dalla forma scritta a quella audiovisiva, la problematica che si dischiude è di tipo intersemiotico, cosicché più arduo risulta seguire la lettera dell’originale. Siamo infatti davanti a sostanze di espressione differenti, da una parte la parola scritta e dall’altra un complesso di ordini di significanti riuniti in due categorie: il visivo, comprendente immagine e parola scritta, e il sonoro, inclusivo di voci, rumori e musica.

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Qual è il fattore fondamentale che rende dunque un racconto scritto e uno audiovisivo comparabili? Sia l’uno che l’altro fanno parte della grande categoria antropologica che va sotto il nome di “narrativa” o “racconto”, che da quando l’umanità esiste non cessa di essere sentita come irrinunciabile necessità e di cui qualunque essere umano porta in sé le competenze di codifica e decodifica. Non a caso Stephen Jay Gould (1941-2002), paleontologo e storico della scienza americano, ha proposto per la specie umana la denominazione di Homo narrator in sostituzione di Homo sapiens.

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Che prenda le forme di film, romanzo, mito, fiaba,

1 F. Casetti, F. Di Chio, Analisi del film, Milano, Bompiani, 1990, p. 57.

2 S. J. Gould, “So Near and Yet So Far”, The New York Review of Books, XLI, n. 17, 1994,: “We are storytelling creators and should have been named Homo narrator (or perhaps Homo mendax, to

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poema epico, fumetto, e chi più ne ha più ne metta, il raccontare è connaturato all’essere umano in quanto modalità privilegiata di governare il caos, di dare significato alla realtà. Dove c’è racconto c’è necessariamente una storia, “storia” che è il termine con cui in semiotica si indica il contenuto di una narrazione (mentre con

“racconto” o “discorso narrativo” si è soliti designare la sua forma). Le storie sembrano, in un certo qual modo, avere vita propria: si pensi a quanti nuclei narrativi sono riusciti a viaggiare attraverso le epoche e le latitudini; ma una storia rimane viva se adottata da una comunità umana, e questo le impone un “prezzo”: essa permarrà con un certo grado di modificazione e manipolazione rispetto alla versione o alle versioni preesistenti.

L’istanza comunicativa emittente racconta per persuadere, informare o dilettare (e via elencando, in una lista virtualmente infinita), portando il destinatario del messaggio a credere, apprendere, dilettarsi, eccetera. Nel caso del romanzo, però, eccelle una dimensione “seduttiva”, basata sulla stimolazione di emozioni e passioni.

Passione ed emozione sono, evidentemente, ambiti privilegiati per rivolgersi ai circuiti della memoria e alle profondità dell’anima: qualcosa che ha fatto vibrare le nostre corde intime si conquista un posto speciale nel nostro ricordo e non stupisce che prima o poi un titolo, una storia o un personaggio fungano da richiamo e ci conducano alla visione di un film con l’aspettativa che quella magia si ricrei. Film e romanzo sono, ai giorni nostri, tra le forme di intrattenimento narrativo più popolari e più facilmente disponibili, grazie alla distribuzione capillare favorita dallo sviluppo attuale di editoria e cinematografia.

Questa tesi ambisce a porsi come un’esplorazione sistematica inerente all’adattamento da romanzo a film, attraverso l’analisi di due esempi concreti di tale fenomeno. Dopo una prima parte dedicata esclusivamente a Julian Barnes e ai romanzi oggetto di trasposizione, si cercherà di mettere a confronto i due universi della narrativa scritta e audiovisiva e di individuarne le peculiarità, specialmente dal punto di vista delle condizioni di fruizione o delle modalità di “costruzione” del significato. Si entrerà, poi, nello specifico dei due film e, infine, si effettuerà una comparazione tra ognuno dei testi fonte e il proprio “doppio” cinematografico. Il tutto con la consapevolezza che qualsiasi testo ha un valore autonomo e

ackwnoledge the misleading side of tale telling) rather than the often inappropriate Homo sapiens.

The narrative mode comes natural to us a style for organizing thoughts and ideas” (p. 8).

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indipendente, anche in virtù della relazione che, nel momento in cui il messaggio

arriva al destinatario, si viene a creare tra un Emittente e un Ricevente. Valutare un

film ispirato a un romanzo (o viceversa) con un atteggiamento di sufficienza o

applicando un metro di valutazione troppo legato all’opera-fonte costituirebbe,

quindi, un abbaglio e una perdita di tempo. Provare, invece, a decifrare con sguardo

disincantato, con pazienza e “in filigrana”, le tracce lasciate in un testo da uno

preesistente, ci sembra scientificamente più corretto e anche una garanzia di maggior

soddisfazione per chi conduce l’analisi; a questo principio, quindi, cercheremo di

attenerci durante il lavoro.

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