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LA PIANIFICAZIONE URBANISTICA: LA GERARCHIA DEI PIANI

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CAPITOLO VII

LA PIANIFICAZIONE URBANISTICA: LA GERARCHIA DEI PIANI

7.1 Profili generali.

La pianificazione urbanistica «ha come caratteristica peculiare quella di proporre una visione globale […] delle soluzioni di distribuzione spaziale degli interventi sul territorio e organizzazione dei relativi strumenti strutturali che non solo risponda e soddisfi i bisogni degli utenti ma che si dimostri compatibile con lo sviluppo economico, tanto esistente che potenziale. In questo senso la progettazione urbanistica è frutto della integrazione di varie soluzioni a diversi strati e livelli tanto spaziali quanto economici e sociali»

1

.

Sul territorio convergono una molteplicità di interessi

1 G. Astengo, Urbanistica, in enciclopedia universale dell’arte, Novara, 1966, p. 541.

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giuridicamente rilevanti che fanno sì che la disciplina del territorio non venga demandata esclusivamente alla pianificazione urbanistica ma sia il risultato di molteplici norme e provvedimenti, rivolti a perseguire finalità eterogenee, configurabili in interessi differenziati, tutelati dall’azione di amministrazioni diverse.

La pianificazione urbanistica dunque è una parte della complessa attività di governo del territorio, in essa confluiscono altri piani che disciplinano profili e materie diverse.

La dottrina si pone il problema dell’affiancarsi alle prescrizioni dei piani urbanistici di altre prescrizioni emanate da autorità differenti da quelle preposte alla pianificazione territoriale e della conseguente individuazione dei rapporti che intercorrono tra tali prescrizioni e quelle contenute nei piani urbanistici. Secondo Cerulli Irelli per poter dare un giudizio di prevalenza è necessario valutare caso per caso, in relazione ai singoli interessi settoriali tutelati dalle discipline speciali e sulla base dei dati positivi

2

.

Il sistema della pianificazione urbanistica si articola in vari tipi di piano, alcuni deputati a fornire direttive ampie, rivolte a coordinare e orientare gli interventi urbanistici ed edilizi in un ambito territoriale più vasto rispetto a quello comunale, altri sono preposti alla regolamentazione operativa dell’assetto urbanistico del territorio

2 A. Fiale, E. Fiale, Diritto Urbanistico, Napoli, 2006, p. 60.

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comunale, altri ancora sono funzionali alla attuazione dei precedenti.

Il sistema di pianificazione urbanistica si articola, quindi, in una serie di procedimenti tra loro collegati volti a conferire un assetto ordinato al territorio.

La distinzione tra questi tipi di pianificazione, quella di direttive, quella operativa e quella di attuazione ha portato a qualificare il sistema urbanistico pianificatorio come «sistema a cannocchiale o a cascata», caratterizzato da un rapporto di gerarchia tra i vari piani articolato in una sequenza di comandi via via più concreti, nel passaggio da previsioni ampiamente programmatiche ed indicative a prescrizioni cogenti e immediatamente operative

3

.

È stata quindi formulata la teoria secondo la quale, nella pianificazione urbanistica, si determinerebbe un predominio necessario sul comune da parte degli enti locali competenti per ambiti territoriali più ampi. Tale configurazione è avvalorata dagli articoli 5 e ss. della Legge Urbanistica dai quali si evince che il legislatore abbia stabilito un vincolo, in virtù del quale l’attività di pianificazione e il correlativo piano, che si trovano in posizione subordinata rispetto ad altra attività e ad altro piano, devono rispettare le prescrizioni sovraordinate

4

. Sanciscono il principio

3 A. Fiale, E. Fiale, Diritto Urbanistico, Napoli, 2006, p. 62.

4 G. Pagliari, Corso di diritto urbanistico, Torino, 2010, pp.37 e seg.

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gerarchico l’art 6 secondo comma 2 della LU per il quale «I Comuni, il cui territorio sia compreso in tutto o in parte nell’ambito di un piano territoriale di coordinamento, sono tenuti ad uniformare a questo il rispettivo piano regolatore» e, sia pure indirettamente, il comma 6 dell’art. 16 della LU, il quale prescrive che attraverso il decreto di approvazione di un piano particolareggiato di attuazione devono essere introdotte le modifiche indispensabili per assicurare che quest’ultimo osservi il PRG vigente. Questa teoria però confliggerebbe con il principio costituzionale dell’autonomia degli enti locali territoriali, con la legge n.142 del 8 giugno 1990 poi trasfusa nel T.U. degli enti locali di cui al D.Lgs. 18 agosto 2000, n.

267, che all’art. 13 dispone che «spettano al comune tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione ed il territorio comunale» e con il riparto di competenza delineato in materia urbanistica dalla legislazione nazionale, che conferisce al comune la disciplina dell’assetto del proprio territorio.

Il governo del territorio si articola quindi in una pluralità di poteri

politici caratterizzati dal principio di sussidiarietà (art. 4, legge

59/1997) che riconduce le scelte e i compiti che riguardano una

determinata dimensione territoriale all’ente esponenziale della

relativa comunità. Pertanto la pianificazione urbanistica comunale,

pur delimitata dal quadro obbligatorio adottato dagli enti titolari dei

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poteri di coordinamento, non può ridurre il proprio ruolo a mera specificazioni di scelte compiute a monte da Regione e Provincia.

Per mantenere la centralità, riservata al comune, quale ente rappresentativo degli interessi della comunità di un territorio, si è configurato il principio della competenza che limita la possibilità di un piano di area più vasta di assumere contenuti spettanti ad un altro piano di minore dimensione territoriale.

Anche nello stesso ambito comunale la configurazione di un rapporto di gerarchia rigido non consentirebbe una rapida correzione delle scelte urbanistiche effettuate dal piano generale per adattarle al repentino mutamento delle esigenze socio economiche. Per questo motivo la legislazione statale e regionale conferiscono ai piani esecutivi di dettaglio la possibilità di apportare deroghe alle prescrizioni degli strumenti generali, istituzionalizzando la possibilità di varianti a tali strumenti, introducibili, attraverso procedure semplificate, con il ricorso a piani di dettaglio.

Secondo Stella Richter questo rapporto gerarchico tra i piani che

attribuisce diversa forza alle statuizioni dei piani di diverso livello ha

influito negativamente sulla evoluzione della normativa urbanistica

bloccando, nel momento operativo, le attività in contrasto con il

livello superiore, considerato prevalente. Secondo Stella Richter il

sistema della pianificazione si definisce sulla base della «distinzione

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fra le varie possibili funzioni cui lo strumento urbanistico può adempiere» e individua una funzione «precettiva» e una funzione «di gestione» quali funzioni ordinali (che riguardano l’ordine delle attività da svolgere). Nell’ambito della funzione precettiva l’autore distingue le prescrizioni (ed i piani) a seconda che essi

a) abbiano lo scopo di disciplinare l’esercizio dell’attività pianificatoria e si rivolgano agli organi stessi della pianificazione e non ai proprietari dei suoli,

b) siano rivolti a disciplinare l’uso del territorio ma non ancora in modo dettagliato, tale cioè da stabilire la destinazione della singola zona e il contenuto dei diritti dei proprietari,

c) incidano direttamente sulla conformazione delle proprietà e sulle possibilità di utilizzazione dei beni.

La funzione di gestione del territorio viene individuata nell’attuazione delle prescrizioni del piano regolatore come incentivazione alla realizzazione dei programmi pluriennali di attuazione e dei piani comunali (tra questi quelli degli insediamenti produttivi) per orientare lo sviluppo e gli investimenti verso gli usi del territorio che i privati proprietari non hanno interesse ad attuare perché non sufficientemente remunerativi.

Nel sistema delineato alcune prescrizioni urbanistiche hanno

maggiore forza giuridica di altre, pur nel contesto della medesima

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funzione, in quanto sono finalizzate alla tutela di interessi pubblici preminenti o comunque di dimensione sopra locale

5

.

Orsoni rileva che questa prospettazione crea di fatto una gerarchia tra funzioni che si riflette sulle singole prescrizioni senza alcun dato normativo di riferimento. Si tratta per lo più di una gerarchia logica, ovvero di una prevalenza logica di scelte con obbiettivi più ampi su scelte con obbiettivi più ristretti; secondo Orsoni gli atti di pianificazione sono un insieme di possibili relazioni che rendono di difficile coordinamento le scelte di utilizzo del territorio. È pertanto necessaria una revisione complessiva della materia idonea a coordinare i vari aspetti dell’esercizio dei poteri che incidono sul territorio

6

.

Nella pianificazione urbanistica deve essere garantita l’autonomia degli enti locali il cui territorio è interessato dalle previsioni del piano, la Corte Costituzionale ha affermato che la garanzia costituzionale dell’autonomia (art. 528 Cost.) viene rispettata garantendo la partecipazione al procedimento di approvazione degli strumenti urbanistici degli enti il cui assetto territoriale è determinato dagli strumenti in questione e rileva che l’individuazione dei modi nei quali tale partecipazione può avvenire è rimessa alla

5 A. Fiale, E. Fiale, Diritto Urbanistico, Napoli, 2006, pp. 64-65.

6 A. Fiale, E. Fiale, Diritto Urbanistico, Napoli, 2006, p. 65.

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discrezionalità del legislatore (statale o regionale), discrezionalità che può essere sindacata dalla stessa consulta soltanto sotto il profilo della sua ragionevolezza

7

. A tale proposito la legge 65/2014 recentemente approvata dalla Regione Toscana, all’articolo 41, prevede la possibilità di accordi di coordinamento tra gli enti che predispongono i vari atti di pianificazione

8

. Tali accordi sono previsti anche per il settore estrattivo all’articolo n. 239 della medesima legge.

7 Corte costituzionale, 3 novembre 1988, n.1010, in riv. Giur. Edilizia, 1989, I, 3.

8 Il testo dell’articolo 41 intitolato Accordi pianificatori recita così:

1. Qualora si renda necessario, ai fini del coordinamento degli strumenti della pianificazione territoriale di cui all’articolo 10, la definizione o variazione contestuale di almeno due di essi, la Regione la provincia la città metropolitana, o il comune, in base all’interesse prevalente, promuovono la stipulazione di un accordo di pianificazione, secondo quanto previsto dal presente capo.

2. Con l’accordo di pianificazione le amministrazioni di cui al comma 1, definiscono consensualmente le modifiche da apportare ai rispettivi strumenti della pianificazione territoriale e, ove ritenuto necessario per il perseguimento degli obiettivi di governo del territorio, anche ai piani operativi con le forme e le modalità procedurali previste dall’articolo 42.

3. Nel caso in cui, nell’ambito della conferenza di servizi convocata ai sensi dell’

articolo 42, comma 1, sia verificato che la proposta di piano non comporti la variazione degli altri strumenti, la conferenza prende atto dell’esito della verifica. In tale ipotesi, il procedimento di approvazione dello strumento di pianificazione di cui si tratti, prosegue con le forme e le modalità procedurali disciplinate dal titolo II, capo I.

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7.2 La pianificazione urbanistica nel settore estrattivo apuano.

Dall’analisi effettuata nei capitoli precedenti emerge che quello delle attività estrattive è un settore molto complesso, regolamentato da una serie di atti normativi e di pianificazione, emanati da enti diversi che, direttamente o indirettamente, a vario livello istituzionale, attraverso i propri atti di governo del territorio incidono, talvolta sovrapponendosi, sulle cave di marmo.

Questi vari registri di pianificazione hanno determinato sostanziali disomogeneità anche fra gli stessi comuni di Massa e di Carrara, che accomunati per tanti anni dalla normativa estense, presentano ora una regolamentazione differenziata.

Il comune di Carrara, sicuramente per ragioni socio economiche più attrezzato in materia, si è dotato di un proprio regolamento, mentre il comune di Massa, dove l’attività estrattiva non ha mai avuto un peso preponderante per lo sviluppo economico del territorio, fa ancora oggi riferimento alle leggi estensi.

La situazione è ulteriormente complicata dalla presenza del parco

delle Apuane che sottopone alla propria potestà regolamentare vaste

aree estrattive. La quasi totalità delle cave massesi è localizzata

all’interno del parco delle Apuane e quindi vincolata da un ulteriore

ente concorrente, con scopi e finalità di tutela ambientale, mentre la

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presenza nel parco di cave afferenti al bacino estrattivo di Carrara è assai più modesta.

È necessario ora capire quali sono i rapporti tra i vari livelli di pianificazione e come le zone destinate all’estrazione vengono regolamentate dai diversi enti competenti.

In generale si può affermare che la pianificazione urbanistica

comunale in senso stretto, ovvero il piano strutturale, non può nelle

proprie prescrizioni assolvere il compito di esaurire la disciplina di

tutti gli interessi pubblici e privati di un territorio. Ciò comporta che,

quando su una specifica area sussistano previsioni ampiamente

programmatiche ed indicative di enti sovraordinati ed interessi vari,

talvolta confliggenti, l’amministrazione comunale debba prenderne

atto e conformarsi a questi. Nel caso trattato l’esistenza di aree di

interesse paesaggistico e di zone destinate all’attività estrattiva

condizionano le pianificazioni comunali che dovranno conformarsi

alla legge o agli atti di governo del territorio loro sovraordinati

finalizzati alla tutela di interessi pubblici preminenti. L’ordinamento

ha infatti inteso riservare ad altri soggetti e ad altre discipline

legislative, che non siano, rispettivamente, le «amministrazioni

urbanistiche» e le norme strettamente urbanistiche, la tutela di

interessi che possono definirsi di dimensione nazionale o sovra-

locale, ritenendo non idonea, a farsi portatrice di esigenze che

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superano quelle delle comunità locali la sola pianificazione urbanistica comunale

9

.

Questo ha di fatto comportato la nascita di discipline concorrenti o di tutele parallele che appunto, concorrendo alla pianificazione urbanistica comunale, determinano e regolamentano usi differenti del territorio e fanno sì che siano garantiti i vari interessi in gioco.

Generalmente i piani urbanistici comunali devono recepire le norme di tutela differenziata dettate dalla disciplina settoriale, pertanto è necessario capire come la gerarchia dei vari strumenti di pianificazione condiziona lo sviluppo urbanistico dei comuni in esame.

I piani che dovrebbero intervenire in questa materia sono molti, dal PIT che è uno strumento di pianificazione regionale al piano settoriale delle attività estrattive di cui i comuni apuani avrebbero dovuto dotarsi per regolare l’escavazione.

È naturale che queste due tipologie di piani abbiano contenuti e obbiettivi diversi, questa eterogeneità di fini comporta la necessità da parte degli amministratori, oltre che dei legislatori, di conciliare lo sviluppo economico del territorio con la sua tutela e conservazione alla luce del principio dello sviluppo sostenibile a cui

9 P. Urbani, S. Civitarese Matteucci, Diritto Urbanistico: Organizzazione e rapporti, Torino, 2013, p. 226.

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piani e programmi devono essere ordinati

10

. A tal fine si rende sempre più necessaria l’applicazione di principi idonei ad avvicinare e mediare le intenzioni dei differenti piani, volti alla formazione di vere e proprie intese in fase di elaborazione dei singoli piani al fine di evitare conflittualità tra questi una volta adottati

11

.

A seguito della prima legge emanata dalla Regione Toscana per regolamentare le attività estrattive (LR 36/1980), il comune di Massa approvò una variante al piano urbanistico del 1980, approvata con delibera n.10603 della Giunta Regionale del 20 ottobre 1980, nella quale vengono indicate le cave attive e quelle ormai in disuso e ridisegnati i contorni dei mappali dei siti coltivabili a quel tempo dati in concessione. Infatti dopo la legge del 1927 che dava la possibilità al comune di dotarsi di un proprio regolamento sui marmi, si cercò di fare il punto della situazione sul numero di cave attive e sulle

10 M. Vaccarella, La disciplina delle attività estrattive nell’amministrazione del territorio, Torino, 2010.

11 A tale proposito si richiama l’art. 239 L.R. 65/2014. Per la contestuale variazione del piano regionale delle attività estrattive (PRAE) di cui alla legge regionale 30 aprile 1980, n.36 (Disciplina transitoria per la coltivazione di cave e torbiere), del piano regionale delle attività estrattive, di recupero delle aree escavate e di riutilizzo dei residui recuperabili (PRAER) o del piano delle attività estrattive di recupero delle aree escavate e riutilizzo dei residui recuperabili della provincia (PAERP) di cui alla legge regionale 3 novembre 1998,n. 78 (Testo Unico in materia di cave, torbiere, miniere, recupero di aree escavate e riutilizzo di residui recuperabili) ove presente, e di uno o più strumenti della pianificazione territoriale, si può procedere mediante accordo di pianificazione ai sensi dell’articolo 41. E’ oggetto dell’accordo anche l’eventuale variante al PRG, al regolamento urbanistico o al piano operativo.

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concessioni rilasciate dalla pubblica amministrazione, tanto che, al fine di portare chiarezza, il comune operò una prima caducazione delle stesse, prima nel 1952 e poi una seconda negli anni immediatamente precedenti la variante degli anni 80.( nota questo risulta dagli atti contenuti nel fascicolo ecc).

Nella individuazione delle zone destinate all’estrazione la variante all’art 41, dispone che nell’ambito degli agri marmiferi potranno essere ammessi edifici necessari all’escavazione del marmo, previo specifico parere scritto dell’Ispettorato Forestale

12

, anche se la zona non è soggetta a vincolo della Legge 29 Giugno 1939, n.1497.

Viene inoltre prevista la possibilità di costruzioni attinenti il turismo (rifugi, ostelli, simili) sia costruiti direttamente dalla Amministrazione Comunale proprietaria, sia per concessione rilasciata ad Enti Pubblici e di diritto pubblico.

L’articolo conclude indicando l’indice massimo per le costruzioni che non potrà superare mc. 0,01 mq.

Per gli edifici ricettivi, attinenti il turismo, dovrà essere compilato apposito Piano Particolareggiato, per la definizione anche degli assetti del suolo, rimboschimento, impianto di depurazione, ecc. le cui caratteristiche saranno stabilite su parere della Commissione

12 Organo preposto alla salvaguardia del patrimonio boschivo e alla protezione del paesaggio, edifici necessari all’escavazione del marmo.

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169 Urbanistica Comunale.

Nel 1985 la legge di istituzione del consorzio del parco delle apuane incluse tutte le cave di Massa e di Carrara all’interno delle aree protette da questo definite, ponendo molte restrizioni alla possibilità di coltivazione.

Nel 1994, per limitare l’ingente danno economico che tale inclusione comportava, la L.R. n. 52/1994 istituiva i cosiddetti bacini industriali estrattivi individuando alcune aree caratterizzate dalla presenza di cave che vennero affidate alla competenza dei comuni;

in tal modo, al fine di incentivare l’economia locale, fu cambiato il regime di autorizzazioni e concessioni alle quali erano sottoposte. La L.R. 79/98, modificata dalla LR 10/2010, disciplina due differenti regimi giuridici autorizzatori in base ai quali per svolgere attività estrattiva all’interno del parco è necessaria la valutazione di impatto ambientale (VIA) mentre per le cave situate all’interno dei bacini industriali estrattivi o comunque fuori dalla competenza del parco delle Apuane, è necessaria la verifica di impatto ambientale, provvedimento amministrativo sicuramente meno stringente e gravoso per le imprese rispetto alla VIA.

Come previsto dal legislatore del 1927, il comune di Massa nel

corso degli anni ha presentato agli organi competenti per

l’approvazione alcune proposte di regolamento; la procedura non si è

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mai conclusa positivamente, pertanto le attività estrattive svolte nel territorio sono ancora disciplinate dalla legislazione estense del 1846 che, come già sottolineato, si occupa prevalentemente della concessione e della ricerca degli agri marmiferi, la prima perpetua e onerosa, la seconda di fatto libera

13

.

All’apparato normativo descritto si sono aggiunte poi le prescrizioni del piano strutturale del comune di Massa che nella versione aggiornata del 2013, in relazione all’estrazione lapidea, all’articolo 69, prevede che il Piano Strutturale comunale, in coerenza con il PRAER, del quale recepisce puntualmente le prescrizioni ed in attesa dell’approvazione del PAERP, assume come obbiettivi da perseguire: soddisfare il bisogno «attuale» di materiale con lo scopo però di lasciare alle generazioni future equivalenti

13 La notificazione del 1846 era comprensiva di due appendici una, comprendeva norme intese ad agevolare la costruzione di opifici per il marmo, l’altra riguardava la viabilità necessaria a collegare le cave alla città. La legislazione estense, come sancito dalla Corte di Cassazione Sezioni Unite con la sentenza n.2291 del 8 luglio 1972, pone nei confronti delle amministrazioni concedenti un vincolo di destinazione specifica delle strade di accesso alle cave, creando un diritto soggettivo (non reale) a favore dei concessionari degli agri marmiferi dei comuni di Massa e di Carrara. Per quanto riguarda invece gli edifici «da marmi» (art. 3 comma 1) veniva data possibilità di costruire a chiunque ne facesse richiesta. A tale proposito era già al tempo prevista una sorta di espropriazione in quanto se il richiedente non era proprietario del terreno nel quale era prevista la costruzione la R.D. Camera dopo avere interpellato il vero proprietario del terreno qualora questi non accettasse di compiere l’opera in prima persona aveva l’obbligo «di vendere del proprio fondo al richiedente quella porzione che è necessaria allo edifizio, a prezzo di gusta stima con più l’aumento del 15%» (art. 3 comma 3).

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possibilità di utilizzo della risorsa, attraverso una nuova e diversa concezione del principio estrattivo e del criterio di coltivazione;

privilegiare gli utilizzi di maggior pregio del materiale, riducendo al minimo gli sprechi ed ottimizzando il riutilizzo del residuo di lavorazione in conformità a quanto stabilito nella Parte II, punto 2 dell’Elaborato 2 del PRAER, che a tal proposito prescrive che l’utilizzazione della risorsa lapidea nelle cave di materiali ornamentali, come il marmo, deve tendere alla massima valorizzazione degli stessi individuando i quantitativi minimi, non inferiori al 20% della produzione complessiva di progetto, con esclusione del materiale destinato alla risistemazione ambientale da destinarsi esclusivamente alla trasformazione in blocchi, lastre ed affini. Altri obbiettivi sono la tutela e la salvaguardia del suolo afferente il sito estrattivo sia sotto il profilo idrogeologico che dell’inquinamento, della stabilità dei versanti e della tutela del paesaggio storico-naturale attraverso l’attuazione di adeguati piani di coltivazione che prevedano attenti studi di riqualificazione e recupero, a coltivazione ultimata, dei siti scavati.

Secondo il Piano strutturale comunale spetterebbe poi al

conseguente regolamento urbanistico il compito di indicare, sulla

base degli indirizzi del PAERP (che ad oggi non è ancora stato

redatto e che, nel futuro quadro istituzionale con la revisione delle

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competenze delle provincie operata dal governo Renzi, sembra non essere più previsto dalla recente LR 65/2014) la perimetrazione di dettaglio dell’area estrattiva e la determinazione delle modalità di attuazione dei progetti di coltivazione e di risistemazione ambientale e funzionale; spetterebbe altresì al regolamento urbanistico individuare le cave e le zone di reperimento di materiali ornamentali storici e stabilire le quantità da prelevare e le modalità necessarie a rendere la loro estrazione compatibile con la tutela del territorio.

Nelle aree destinate all’attività estrattiva dovranno essere vietate tutte le situazioni di rischio di inquinamento delle risorse idriche esistenti: acque sotterranee, sorgenti, il reticolo idrografico superficiale dei corsi d’acqua naturali; gli scavi non dovranno altresì pregiudicare gli ambienti ad elevato pregio naturalistico e paesaggistico ambientale e non potranno svolgersi in versanti a rischio di frane o in condizioni di precaria stabilità.

Il PS si occupa anche dei materiali di scarto ponendosi come obbiettivo quello di privilegiare soluzioni per il riutilizzo degli inerti per progetti di risistemazione ambientale dei siti di cava o da commercializzare al fine di evitare il fenomeno dei ravaneti che rappresentano un significativo impatto paesaggistico e ambientale.

Per questi ultimi l’art. 69 del PS prescrive accertamenti di carattere

geologico tecnico per evitare di compromettere importanti valenze

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ambientali. Al fine di ridurre l’impatto ambientale che l’estrazione ha sulle Apuane, il Piano Strutturale, ritiene necessario che le attività di recupero e reintegrazione ambientale siano coordinate strettamente con quelle di coltivazione, sia in termini progettuali che operativi. Pertanto i progetti di coltivazione dovranno tenere conto delle esigenze di recupero per definire le scelte estrattive, si prevede poi un programma di monitoraggio secondo quanto stabilito agli artt.

15 e 16 della LR n. 78/1998.

Il comune di Massa ad oggi non si è dotato di una pianificazione

di settore che viene sopperita in parte dal PRAER che valuta i

fabbisogni necessari da estrarre mettendo in relazione i materiali

estratti di pregio con gli inerti e individuando le cave produttive e

quelle che, per l’impatto prodotto sul territorio, non possono

continuare l’attività di scavo e in parte dai piani estrattivi redatti su

iniziativa dei concessionari tra i quali, oltre agli studi richiesti per il

rilascio delle autorizzazioni a scavare (come ad esempio la VIA

regolamentata dalla legge 10/2010 o il vincolo idrogeologico di cui

alla LR n. 39/2000 o ancora al vincolo paesaggistico disciplinato

dall’articolo 146 del codice dei beni culturali) è anche il piano di

escavazione, redatto da un esperto nel settore. Nel piano di

escavazione si indicano le quantità di materiale che si intende

estrarre dal sito di cava e anche lo sviluppo, documentato da cartine

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e mappali, che si vuole dare all’escavazione, indicando come la cava si svilupperà all’interno o all’esterno della montagna. Tutta questa documentazione servirà poi agli organi competenti per valutare l’impatto che la cava avrà sulla zona circostante creando una sorta di pianificazione a valle (elaborata dagli stessi cavatori) anziché a monte dagli organi di governo del territorio.

Con l’introduzione del PIT con valenza di piano paesaggistico il comune dovrà in ogni caso munirsi di un piano attuativo per il settore estrattivo, quest’ultimo con molta probabilità diventerà l’atto di pianificazione settoriale che ad oggi non è ancora stato elaborato.

Per quanto riguarda il comune di Carrara la situazione non è meno intricata. Il regolamento urbanistico vigente individua nella zonizzazione territoriale l’area D3 riservata alle attività produttive estrattive, che comprende il bacino estrattivo in cui, ai sensi della LR 52/94 e successive modifiche e integrazioni, è consentita l’estrazione del marmo, regolata dal regolamento delle Concessioni degli Agri Marmiferi del Comune di Carrara e dalle normative di settore regionali e provinciali in materia.

Il R.U. si occupa anche del patrimonio edilizio sia residenziale

che non compreso nell’area estrattiva prevedendo interventi tesi alla

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ristrutturazione edilizia

14

e possibili cambi di destinazione d’uso per attività turistiche, per pubblici esercizi, per attività didattiche e culturali, per laboratori artistici del marmo e attività artigianali di servizio all’estrazione, nonché per laboratori per la produzione e stagionatura del lardo

15

.

Sono altresì ammesse nuove costruzioni di edifici da destinare al soccorso cave, piazzali per depositi all’aria aperta, purché funzionalmente connessi all’attività di cava, interventi di bonifica e/o ripristino ambientale ai sensi delle vigenti leggi in materia e la creazione di aree destinate allo stoccaggio di marmo in scaglie e terra risultanti dalle lavorazioni di cava, all’interno delle quali sono consentite attività funzionali al recupero di detti materiali. È prevista la costruzione di esercizi commerciali per la vendita di souvenir, laboratori di scultura, aree per la costruzione di officine per la riparazione di macchine e utensili destinati all’attività del settore estrattivo ed infine aree per la costruzione di edifici da destinare a mensa e servizi per i lavoratori. A disciplinare il settore marmifero è il regolamento del 1994 modificato nel 2005, che indica sopratutto le modalità con le quali dare in concessione un agro marmifero

14 Regolamentata all’articolo 9 dello stesso testo.

15 Il lardo di Colonnata rappresenta un’eccellenza gastronomica di queste zone, conosciuto e commercializzato in tutto il mondo. Particolare è la sua lavorazione che prevede un periodo di stagionatura all’interno di conche di marmo.

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coltivabile. Recentemente il comune di Carrara ha provveduto alla redazione di un nuovo regolamento in quanto quello in vigore contrasta con la normativa europea e nazionale sotto un duplice aspetto: da un lato in riferimento alla durata della concessione che di fatto il regolamento locale, nella previsione del rinnovo automatico, garantisce come perpetua, mentre il legislatore nazionale ed europeo ne sancisce la necessaria temporaneità; l’altro aspetto riguarda le procedure dell’iter di concessione che secondo le previsioni CE deve essere regolamentato mediante gara ad evidenza pubblica, incompatibile con le attuali modalità seguite dal comune di Carrara.

La questione è molto spinosa e fonda le sue radici nella tante volte

richiamata disciplina estense del 1751 e precisamente nella

creazione dei cosiddetti beni estimati. Nel comune di Carrara si

trovano moltissime cave e relative concessioni, anche qui esiste la

dicotomia fra cave incluse nel bacino estrattivo e cave incluse nel

parco delle Apuane. Quelle appartenenti al bacino industriale si

dividono in tre tipologie di cave: i beni estimati di proprietà privata,

le cave appartenenti al comune ed alcune cave che si trovano in una

situazione particolare ovvero in parte sono riconosciute come beni

estimati e in parte di proprietà del comune, in questi casi il comune

si trova nella impossibilità di fare una gara di pubblica evidenza in

quanto non potrebbe assegnare solamente una quota parziaria della

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concessione. L’esistenza dei cosiddetti beni estimati rappresenta il nocciolo della questione che dovrebbe essere affrontato e risolto dalla Regione nella nuova legge mineraria in fase di redazione a favore del comune di Carrara, sancendo che tali beni sono da considerarsi di proprietà comunale ma in possesso di terzi; questo porterebbe ad un’accelerazione dell’iter di approvazione del nuovo regolamento di Carrara ad oggi fermo in sede regionale, consentendo al comune di assegnare le cave attraverso la gara ad evidenza pubblica e adeguarsi alle previsioni CE e nazionali.

Come già abbiamo detto quindi le cave nei due comuni si dividono tra quelle incluse all’interno del parco delle Apuane

16

, e quelle che invece, ai sensi della legge del 1994, entrarono a far parte dei cosiddetti bacini industriali comunali. Per le prime vi è una forte attenzione ambientale e paesaggistica testimoniata dal fatto che preposto al controllo e alla pianificazione è l’ente parco del parco regionale delle Apuane che regolamenta, attraverso una pianificazione di settore, le cosiddette aree intercluse. Anche in questo caso si registra una carenza pianificatoria infatti la regione toscana ha stralciato il piano per del parco delle Apuane, proprio nella parte attinente al settore estrattivo, concedendo un ulteriore anno di tempo, dall’approvazione del piano, per integrarlo con le

16 Le cosiddette aree di cava intercluse.

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prescrizioni per le attività di escavazione. Ad oggi pertanto anche i questo caso, non esistono norme chiare e precise su cui basare la disciplina estrattiva, le stesse aree coltivate non sono state individuate dal parco ma dalla regione che in passato si è avocata il compito di indicarle regolarizzando le zone che al tempo erano effettivamente sottoposte ad escavazioni o individuandole in base ai vari piani urbanistici dei comuni compresi nei confini del parco.

Le prescrizioni che regolamentano questo territorio sono quindi quelle ravvisate da prima dalla Legge 431 del 1985 (ex Galasso) ed oggi riprese dal Codice dei Beni Culturali all’articolo 142 e 136; in particolare l’area è interessata anche dai vincoli posti dalla Comunità Europea e dall’Unesco che lo ha di recente inserito tra i Geoparchi tutelati. A tutte le varie prescrizioni si aggiungeranno quelle introdotte dal PIT con valenza di piano paesaggistico, la cui adozione ha già fatto scattare le misure di salvaguardia in esso contenute, tutti gli atti di pianificazione che saranno posti in essere dovranno quindi essere conformi al PIT che tra le varie prescrizioni prevede la necessaria creazione di piani attuativi di iniziativa pubblica o privata che andranno a colmare le lacune che ci sono su questa materia.

In una prospettiva finalizzata alle logiche dello sviluppo

sostenibile, il legislatore regionale toscano ha attribuito alle risorse,

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ai beni e alle regole relative al loro uso, nonché ai livelli di qualità e alle relative prestazioni minime

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, il carattere di invarianti strutturali del territorio. Fondamentalmente, le risorse territoriali e la qualità delle prestazioni che da queste risorse si possono trarre costituiscono una sorta di precondizione, da considerare prioritariamente, tutte le volte che ci si appresta a porre in essere un’attività di programmazione/pianificazione del territorio

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. Sono molti gli strumenti di pianificazione previsti dalla Regione: il piano regionale di indirizzo territoriale che ad oggi assume anche valenza paesaggistica (PIT), il piano territoriale di coordinamento provinciale (PTC) e il piano strutturale comunale (PS).

Il rapporto che esiste tra questi piani, afferenti diversi livelli territoriali di pianificazione, è di necessaria «conformità»

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, da questo è quindi possibile affermare che il PS dovrà essere conforme al PTC ed entrambi tali piani dovranno essere conformi al PIT, inoltre, anche in riferimento agli interessi, la tutela ambientale è presente nei principi fondamentali della Costituzione all’articolo 9 comma 2, fatto che non pone alcun dubbio sull’importanza e sulla

17 All’articolo 4, comma 2, della L.R. Toscana 3 gennaio del 2005, «si definisce prestazione derivante dalla risorsa essenziale il beneficio ricavabile dalla risorsa medesima, nel rispetto del principio dello sviluppo sostenibile». G. Pagliari, Corso di diritto urbanistico, Torino 2010, p. 359.

18 G. Pagliari, Corso di diritto urbanistico, Torino, 2010, p. 360 19 G. Pagliari, Corso di diritto urbanistico, Torino, 2010, p. 360

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forza di questa tutela. L’articolo 145 del codice dei beni culturali al terzo comma

20

stabilisce poi che i piani paesaggistici sono caratterizzati dal principio della prevalenza dell’interesse paesaggistico su quello urbanistico ponendo una prevalenza di questi atti di pianificazione su tutti gli altri

21

. Pertanto i piani paesaggistici si pongono oggi al vertice degli strumenti di pianificazione territoriale e tendono ad assorbirli dal momento che gli strumenti di disciplina urbanistica devono recepire le loro prescrizioni e divenirne fedele applicazione

22

.

I piani paesaggistici stabiliscono inoltre norme di salvaguardia applicabili in attesa dell’adeguamento degli strumenti urbanistici e sono altresì vincolanti per gli interventi settoriali.

È sopratutto grazie a queste due previsioni che è possibile affermare che il PIT con valenza di piano paesaggistico è necessariamente sovraordinato rispetto a tutti gli atti di

20 Art. 145 comma 3: Le previsioni dei piani paesaggistici di cui agli articoli 143 e 156 sono cogenti per gli strumenti urbanistici dei comuni, delle città metropolitane e delle province, sono immediatamente prevalenti sulle disposizioni difformi eventualmente contenute negli strumenti urbanistici, stabiliscono norme di salvaguardia applicabili in attesa dell’adeguamento degli strumenti urbanistici e sono altresì vincolanti per gli interventi settoriali. Per quanto attiene alla tutela del paesaggio, le disposizioni dei piani paesaggistici sono comunque prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione.

21 G. C. Mengoli, Manuale di diritto Urbanistico, Milano 2009, p.88.

22 G. C. Mengoli, Manuale di diritto Urbanistico, Milano 2009, p.88.

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pianificazione del territorio che dovranno necessariamente conformarsi alle sue prescrizioni.

Dagli atti di pianificazione si distinguono, affiancandoli, i c.d. Atti di governo del territorio che l’art. 10 della legge regionale n.

65/2014 individua nel piano operativo comunale e nei piani attuativi di settore.

Dalla lettura delle prescrizioni sia regionali che locali emerge quindi una forte attenzione alla tutela ambientale e del paesaggio, tanto che è possibile affermare che i principi introdotti dalla pianificazione regionale vengono del tutto recepiti negli atti (nota vedi pagina della tesi ps massa) di governo del territorio delle amministrazioni apuane.

Si deve però sottolineare che tutte le prescrizioni richiamate più

volte in questo lavoro sembrano essere per lo più dichiarazioni di

intenti che indicano gli indirizzi da seguire ma che nella pratica

rimangono solo affermazioni di principio che non risultano

effettivamente applicate. D’altro canto anche l’approccio che nel PIT

la Regione Toscana ha avuto nei confronti del settore estrattivo non

può essere pienamente condivisibile in quanto la risposta allo

sfruttamento delle montagne non può essere semplicemente la

chiusura delle cave, perché il territorio apuano incentra la propria

economia su queste attività. Pertanto è necessaria una dettagliata

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regolamentazione tesa al controllo delle escavazioni in base alla quale siano individuate «cave virtuose» da prendere come riferimento per definire standard minimi, sulla base dei quali gli enti competenti dovranno valutare i requisiti indispensabili per rilasciare le concessioni di sfruttamento degli agri marmiferi.

Regole quindi che in una visione globale dello sviluppo del territorio siano in grado di conciliare l’escavazione con il rispetto del paesaggio e che riescano a indirizzare gradualmente verso altri settori (ad esempio quello turistico) quella centralità economica che ad oggi è rappresentata dalla attività estrattiva.

Pertanto la visione del territorio deve essere rivolta alla evoluzione e valorizzazione e non solamente alla mera salvaguardia e conservazione delle bellezze naturalistiche che ci circondano.

Il PIT con valenza di piano paesaggistico pur iniziando a vedere il

territorio in maniera differente rispetto al passato tende attraverso

prescrizioni puntuali ed operative ad accentrare i poteri di governo

del territorio in capo alla regione a discapito delle amministrazioni

locali che di fatto saranno condizionate nella propria politica di

governo del territorio da norme che tendono solo alla conservazione

non tenendo conto a mio avviso che il nostro territorio necessita

anche di un evoluzione che possa portare infrastrutture atte alla

promozione del territorio che deve, pur in maniera positiva e attenta

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essere sfruttato non tanto per l’estrazione del marmo ma per le qualità e bellezze che cela.

L’accentramento di poteri operato dalla Regione si può notare anche in riferimento alla Legge Regionale 65/2014 che sposta le competenze per l’individuazione delle aree estrattive dalle Province ai Comuni sulla base, però di un piano delle cave che sarà redatto dalla Regione stessa. Con questa Legge è previsto anche un processo di riforma e di diversa allocazione delle competenze amministrative in materia di attività estrattive, alla Regione saranno date competenze in materia di valutazione dell’impatto ambientale proprie dei Comuni limitando ancora una volta l’autonomia di questi ultimi in materia di governo del territorio.

È quindi ormai necessario porre in essere un forte coordinamento

non solo legislativo ma anche di intenti tra organi che non sempre

perseguono i medesimi fini.

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