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357 Conclusioni

La simultanea sussistenza di funzioni ed interessi plurimi e disparati sul medesimo bene “bosco” e l’impianto normativo relativo, congegnato attraverso molteplici competenze istituzionali, strumenti regolatori e processi autorizzatori, hanno permesso di cogliere, già all’interno del presente lavoro e in più di un’occasione, la difficoltà oggettiva del diritto forestale. Ebbene, alla luce di quanto detto è possibile offrire qualche notazione conclusiva.

L’attenzione va, in particolare, al diritto forestale italiano, risultanza di un’evoluzione propria ed insieme dell’attuazione dei diritti dei due ordinamenti sovraordinati, direttamente o indirettamente vincolanti e, comunque, ad ogni modo, influenti e di riferimento imprescindibile per lo stesso.

Si è visto come, a livello internazionale, si siano elaborati solo documenti di intenti sulle foreste, non giuridicamente vincolanti, nell’ambito del Forum delle Nazioni Unite sulle foreste, da ultimo il Non legally binding instrument on all type of forests del 2007 e il relativo programma di lavoro per il periodo 2007-2015, e vincoli più stringenti, poi, dall’inserimento del settore agricolo-forestale nell’azione di mitigazione dei cambiamenti climatici, con la Convenzione quadro sui cambiamenti climatici e relativo Protocollo di Kyoto

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.

E si è parimenti ricordato come, a livello paneuropeo, invece, con la Conferenza Interministeriale sulla protezione delle foreste, si sia affermata l’idea della promozione di una gestione forestale sostenibile, suggestivamente definita nell’ambito della Conferenza di

1 V. supra cap. 1, paragrafo 1.1..

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Helsinki del 1993

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, e come, infine, a livello europeo, si sia assistito, dopo un primo timido tentativo di raccordare ed indirizzare le politiche forestali nazionali, all’adozione di vere e proprie misure forestali europee, nell’ambito del secondo pilastro della politica agricola, sullo sviluppo rurale, nonché della politica ambientale, come pure di quelle, a carattere non vincolante, nell’ambito della Strategia forestale dell’Ue

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. Ma è a livello statale che si ritrovano i punti nodali e specifici della normativa riferibile ai boschi e con cui occorre che facciano i conti sia i proprietari che i possessori, a qualsiasi titolo, dei boschi ed, in genere, tutti gli operatori del settore, sia pubblici che privati.

In effetti, già nella definizione del bene “bosco” sono rinvenibili le prime ambiguità ed inadeguatezze del diritto forestale italiano vigente: il D.lgs. n. 227/2001 rompe il lungo silenzio sul punto e, dopo aver statuito l’equiparazione dei termini “bosco”, “foresta” e “selva”

(1° comma, art. 2), demanda alle Regioni, sia a statuto ordinario che a statuto speciale, relativamente al territorio di loro competenza, l’individuazione di una nozione dettagliata di “bosco”, salvo, però, prescrivere, oltre che una serie di criteri di massima sull’indicazione dei valori minimi di larghezza, estensione e copertura necessari alla qualificazione di un’area come bosco, come pure sulle dimensioni delle radure e dei vuoti che interrompono la continuità dello stesso e sulle fattispecie che, per la loro particolare natura, non sono da considerarsi tali (2°

comma, art. 2), l’assimilazione a bosco, “in ogni caso” e, quindi, per tutto il territorio nazionale, dei fondi gravati dall’obbligo di rimboschimento per le finalità di difesa idrogeologica del territorio, di tutela della qualità dell’aria,

2 V. supra cap. 1, paragrafo 1.2. e, in particolare, pp. 39-40.

3 V. supra cap. 1, paragrafo 1.3..

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di salvaguardia del patrimonio idrico, di conservazione della biodiversità, di protezione del paesaggio e dell’ambiente in generale, delle aree forestali temporaneamente prive di copertura arborea ed arbustiva, a causa di utilizzazioni forestali, avversità biotiche o abiotiche, eventi accidentali, incendi, ed, infine, delle radure e di tutte le altre superfici d’estensione inferiore a 2000 metri quadrati che interrompono la continuità del bosco (lett. a, b, c, 3° comma dell’art. 2)

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. Evidentemente, già questa opzione legislativa per una pluralità di nozioni del bosco “in senso orizzontale”

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, come pure, però, la possibilità che sulla base di quelle vengano a generarsi diritti forestali diversi in ciascuna Regione, nell’ambito dell’esercizio della competenza legislativa residuale- esclusiva delle stesse in materia di “boschi e foreste” e fatto salvo, però, i ritagli di competenza statale relativi a singoli profili funzionali del bene, quali quelli ambientali e paesaggistici

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, rischia di minare l’esigenza universale di tutela e conservazione di un bene che riveste un’importanza fondamentale sia per la sua insostituibile natura multifunzionale che per il suo essenziale contributo al perseguimento delle esigenze di sviluppo sostenibile.

In realtà, però, il sistema si complica ulteriormente con la definizione residuale di bosco del 6° comma dell’art. 2, anche detta statale o “in senso verticale”

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, e che considera bosco «i terreni coperti da vegetazione forestale arborea, associata o meno a quella arbustiva di origine naturale o artificiale, in qualsiasi stadio di sviluppo, i castagneti, le sugherete e la macchia mediterranea, di estensione non inferiore a 2000 metri quadrati, larghezza media non

4 V. supra cap. 2, paragrafo 2.1. e, in particolare, sottopar. 2.1.4..

5 V. supra S. DEMURU, p. 135.

6 V. supra cap. 2, paragrafo 2.1, in particolare, pp. 141 ss.

7 V. supra S. DEMURU, p. 136.

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inferiore a 20 metri e copertura non inferiore al 20 per cento ed esclusi i giardini pubblici e privati, le alberature stradali, i castagneti da frutto in attualità di coltura e gli impianti di frutticoltura e d’arboricoltura da legno». Tale definizione risulta applicabile, oltre che nelle more dell’emanazione delle norme regionali di cui al 2° comma dell’art. 2 e ove non diversamente già definito dalle stesse, per quegli aspetti funzionali dei boschi che abbiamo detto intersecarsi con le materie di spettanza legislativa statale e secondo quanto chiarito dalla III Sezione della Cassazione, con la sentenza n. 1874/2007, e dalla Corte Costituzionale, con la n. 105/2008, circa l’impianto legislativo fugacemente delineato con il D.lgs. n. 227/2001, prima, e con la legge costituzionale n. 3/2001, poi

8

.

Difatti, se con il D.lgs. n. 227/2001 si erano attribuite alle Regioni importanti competenze in materia di boschi, riferibili, fra l’altro, oltre che all’individuazione di un proprio concetto di bosco, alla definizione, nell’ambito dei propri piani forestali e in coerenza con le linee guida emanate in materia a livello statale, delle linee di tutela, conservazione, valorizzazione e sviluppo del settore forestale (art. 3, D.lgs. 227/2001), all’autorizzazione dell’attività di trasformazione del boschi, genericamente vietata (art. 4), alla disciplina del recupero, dello sviluppo e della gestione razionale e sostenibile dei boschi (art. 5), alla disciplina delle attività selvicolturali (art. 6), alla promozione della certificazione dei processi forestali, gestionali e produttivi, ecocompatibili (art. 11), nella seconda occasione, di riforma del riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni, nell’ambito dell’art. 117 della Costituzione, si ometteva la materia forestale dall’elenco, lasciando desumere la sua attribuzione, in via

8 V. supra, cap. 2, par. 2.1., sottopar. 2.1.4., pp. 143 ss..

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esclusiva e residuale, alle Regioni, ai sensi del 4° comma dell’articolo, ma si incardinavano in capo allo Stato o allo Stato e alle Regioni insieme materie indiscutibilmente intrinsecate con quella e parte stessa della polivalenza di quella, come la tutela dell’ambiente, il governo del territorio e la valorizzazione dei beni ambientali.

Se anche la giurisprudenza delle Corti, intervenute sul punto, fa diritto, l’impianto normativo attuale, già per ciò che riguarda la sola definizione del concetto bosco, non può dirsi, a mio parere, impeccabile; alquanto inadeguati riterrei, difatti, sia l’attuale pluralità del concetto che i tentativi chiarificatori della giurisprudenza.

Si è detto come, ad avviso della Cassazione spetterebbe alle Regioni definire il bosco per fini diversi da quelli paesaggistici-ambientali quali quelli di sviluppo dell’agricoltura e delle foreste, della lotta agli incendi o, ancora, dell’arboricoltura da legno; in realtà, però, poi

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, non può assolutamente pensarsi di attribuire alle Regioni la definizione di bosco per fini di lotta agli incendi boschivi per il paradosso che, così facendo, si finisce con il far dipendere, a scapito del principio di certezza ed uniformità del diritto, il reato di incendio boschivo, di cui all’art. 423 bis C.P., dall’integrazione di una fattispecie potenzialmente individuabile, in maniera diversa, da ciascuna Regione e, perciò, magari, lecita in una ed illecita in un’altra.

Tanto meno opportuno è, però, a mio parere, concordare con la Corte Costituzionale che, nella citata sentenza n.

150 del 2008, riconosce la valenza ambientale del bosco, di competenza statale, come limite invalicabile dalle competenze regionali relative al medesimo bene, dal punto di vista economico-produttivo: la definizione di bosco

9 V. supra, cap. 2, par. 2.1., sottopar. 2.1.4..

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deve, ragionevolmente, essere una e una soltanto, per tutto il territorio nazionale e per ogni profilo funzionale del bene, e a prescindere dal fatto che ciascuno di questi ultimi sia riferibile alla competenza di soggetti diversi;

ogni soggetto, in sostanza, non può farsi carico, per l’esercizio delle proprie competenze, di una definizione di bosco, per quanto parziale essa sia, perché quel bene, nonostante la sua natura polifunzionale, è e resta unico.

L’opzione legislativa per più definizioni regionali di bosco e per una statale altro non è che la causa di un’ulteriore complicazione del sistema, già di per sé peraltro difficilmente gestibile, appunto perché i molteplici profili funzionali del bene comportano, come ormai noto, il dover fare i conti con più competenze, con più processi autorizzatori e con più strumenti regolatori.

Prima, però, di accingermi a richiamare proprio questi

ultimi, ritengo importante sottolineare che, a prescindere

dalla problematicità della polisemia del concetto di bosco,

l’operazione definitoria risulterebbe, ad ogni modo,

tutt’altro che banale: difatti, i beni considerati boschi,

proprio per la loro insostituibilità, ripetutamente ricordata,

soggiacciono ad una disciplina rigida e vincolistica; non

una qualunque copertura vegetale arborea, associata o

meno a quella arbustiva, risulta d’altro canto idonea ad

integrare gli estremi del bene molto particolare quale il

bosco, capace di consentire il soddisfacimento,

contemporaneamente, di una molteplicità di interessi, ora

pubblici, ora privati, e di funzioni produttive, protettive,

igienico-climatiche, paesaggistico-ambientali e

naturalistiche. E’, evidentemente, per questa ragione che il

legislatore non ritiene idonei ad integrare gli estremi della

fattispecie i terreni arborei dedicati ad un’attività di

arboricoltura da legno, finalizzata esclusivamente allo

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sfruttamento della capacità produttiva di quelli ed, in particolare, di legno e biomassa (art. 2, 6° comma, del D.lgs. 227/2001)

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.

Come si è detto, costituisce “impresa forestale” e

“selvicoltura” il lavoro composito di chi, con professionalità, economicità ed organizzazione, conforma, alla multifunzionalità del bosco a cui dedica, anche la propria attività o, comunque, è potenzialmente in grado di farlo, con la dedizione alla produzione dei prodotti forestali legnosi o con la predisposizione del terreno a tutte quelle condizioni favorevoli alla produzione dei prodotti spontanei o forestali non legnosi (mirtilli, fragole, bacche, funghi, tartufi, ecc.) e, magari, in connessione a queste, con anche la fornitura di beni e servizi ottenuti dall’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse impegnate normalmente nell’impresa, e ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale ovvero di ricezione ed ospitalità; tale non è, appunto per l’esclusività e l’univocità dell’attività allo sfruttamento della funzione produttiva del bene, l’arboricoltura da legno

11

.

Perciò, se l’impresa forestale, così come l’attività non imprenditoriale del proprietario o del possessore, a qualsiasi titolo, del bosco, risultano sottoposte ad un regime giuridico particolare, di favore ed insieme restrittivo e vincolistico, plasmato proprio sulla particolarità del bene bosco, l’arboricoltura da legno è, invece, per l’esplicita statuizione della reversibilità della coltura al termine del suo ciclo, assoggettata al regime giuridico tipico dell’impresa agricola e solo in parte simile all’altro.

10 V. supra cap. 3, paragrafo 3.1, sottopar. 3.1.2..

11 V. supra cap. 3, paragrafo 3.1., sottoparagrafi 3.1.1. e 3.1.2..

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Tuttavia, se oggi compete alle Regioni definire il concetto di bosco, la dottrina sostiene che competa alle stesse stabilire anche ciò che non rientra in esso, come, per l’appunto, gli impianti dediti all’attività di arboricoltura da legno; peraltro, anche tale attività è oggetto della materia

“agricoltura e foreste”, di competenza legislativa residuale-esclusiva delle Regioni. Non può, perciò, paradossalmente, non escludersi che queste, dopo la bocciatura dell’illegittimità costituzionale della definizione statale di arboricoltura, per incompiutezza e cedevolezza della stessa, impostino diversamente il rapporto tra il concetto bosco e quello di arboricoltura

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. Ritornando, ora, al regime giuridico dei boschi, giova, innanzitutto, ricordare che si tratta di beni che, nonostante la loro rilevanza pubblica, non vengono attratti nell’alveo dei beni pubblici ma, alternativamente e molto discutibilmente, come si dirà in conclusione, possono essere o di proprietà pubblica o di proprietà privata. La regolamentazione diversamente prevista e per gli uni e per gli altri risulta, tuttavia, stemperata dalla circostanza che anche quella applicabile ai boschi privati ha un’impronta marcatamente pubblicistica, con la recessione, in molti casi, degli interessi individualistici sussistenti sugli stessi, a fronte della indiscutibile prevalenza di quelli pubblicistici

13

.

In sostanza, al di là delle disposizioni di favore di cui vengano a godere i proprietari e i possessori dei boschi, nonché gli imprenditori silvani, applicate tout court (si pensi, per esempio, agli incentivi di cui agli artt. 7 e 8 del D.lgs. n. 227/2001 e alla legge n. 97/1994) o subordinatamente all’adesione volontaria degli stessi e premianti i servizi ambientali resi (quali, per esempio, la

12 V. supra cap. 3, sottoparagrafo 3.1.2..

13 V. supra cap. 2, par. 2.2..

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certificazione forestale, gli acquisti pubblici verdi e i contratti agro-ambientali), di maggior spessore risultano essere, indubbiamente, i diversi divieti, limiti, processi autorizzatori e strumenti regolatori, che plasmano i contenuti e le modalità di esercizio delle attività sui boschi, anche sulla base dei principi di una gestione forestale sostenibile, così come definiti a livello sovranazionale ed introdotti in Italia con il D.lgs. n.

227/2001 e relative linee guida. Ci si riferisce cioè ad una gestione e ad un uso dei terreni forestali nelle forme e ad un tasso di utilizzo tali da consentire il mantenimento della biodiversità, della produttività, della capacità di rinnovazione, delle utilità e delle potenzialità di adempiere, ora e nel futuro, a rilevanti funzioni ecologiche, economiche e sociali, a livello locale, nazionale e globale, senza comportare danni ad altri ecosistemi (vedi la definizione di “gestione forestale sostenibile” adottata alla Conferenza interministeriale sulla protezione delle foreste di Helsinki)

14

.

Relativamente alle attività connesse alla funzione produttiva dei boschi si è detto

15

, per esempio, che il legislatore si preoccupa di razionalizzarle e gestirle nel rispetto delle loro altre fondamentali funzioni e coerentemente alle esigenze di sviluppo sostenibile, secondo i canoni di quella che viene definita come una

“selvicoltura naturalistica” o “sistematica”; nello specifico, per il taglio dei boschi e le attività relative ai prodotti forestali legnosi occorre riferirsi alle autorizzazioni e ai limiti qualitativi e quantitativi dei piani forestali regionali e relativi regolamenti, più stringenti per terreni che risultino, per qualsiasi motivo, vincolati, salvo,

14 V. supra cap. 1, paragrafo 1.2., pp. 39-40.

15 V. supra cap. 3, sottoparagrafo 3.1.1..

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però, richiamare anche le disposizioni statali, in particolare, gli artt. 4 e 6 del D.lgs. n. 227/2001.

Per ciò che riguarda, invece, la raccolta dei prodotti forestali non legnosi c’è da considerare regolamentazioni diverse: quella relativa all’esercizio di un diritto di uso civico da parte di soggetti appartenenti ad una determinata comunità, e quella concernente la raccolta da parte di soggetti indeterminati sui boschi altrui privati, fino a che il proprietario la tolleri e che non la riservi esclusivamente a sé, e pubblici, se, appunto, il bene non sia gravato da un diritto di uso civico, il cui esercizio non riguardi anche loro. Deve, tuttavia, ricordarsi che anche la disciplina della raccolta dei frutti spontanei, ricompresa nella materia

“boschi e foreste”, è di competenza regionale ed, in quanto tale, va subordinata al possesso, da parte dei raccoglitori, dei tesserini, con validità regionale, per esempio, per i funghi, o statale, per i tartufi, nonché al rispetto dei limiti quantitativi e delle altre prescrizioni delle Regioni

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. E’, invece, essenzialmente relativamente al rispetto delle funzioni protettive, ecologiche, igienico-climatiche e paesaggistico-ambientali che l’ordinamento impone sui boschi tutta la serie di importanti vincoli, piani regolatori e processi autorizzatori, peraltro articolati su più istituzioni competenti, che si è detto complicare l’impianto, nel complesso.

Il primo importante vincolo è quello idrogeologico a cui si sottopongono i boschi con il fine di preservare l’ambiente fisico e di impedire, conseguentemente, le forme di utilizzazione che possano determinare denudazioni, fenomeni erosivi, perdita di stabilità e turbamento delle acque, con possibilità di danno pubblico.

16 V. supra cap. 3, sottoparagrafo 3.1.3..

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L’imposizione diretta del vincolo sul bosco, peraltro non indennizzabile, spetta alle Regioni, a conclusione di un procedimento amministrativo avviato su proposta dell’amministrazione forestale. Come si è visto

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, il vincolo comporta per il proprietario l’obbligo di chiedere alla Regione l’autorizzazione per la trasformazione del bosco di cui all’art. 4 del D.lgs. n. 227/2001 (art. 7, R.D.L.

n. 3267/1923), l’obbligo di rispettare le prescrizioni di massima e di polizia forestale, di cui all’art. 9 del R.D.L., nonché l’obbligo di esercitare il pascolo entro i limiti rigorosi dell’art. 9.

Tuttavia, il bosco potrà venir sottoposto al vincolo idrogeologico anche indirettamente, con prescrizioni più stringenti rispetto a quelle conseguenti all’imposizione diretta dello stesso e, di volta in volta, stabiliti nei piani delle autorità di bacino che, da istituzioni di raccordo tra Stato e Regioni, decidano di sottoporre il bosco o ad un’opera di sistemazione idraulico-forestale o ad un’opera di bonifica, per effetto stesso di queste e non di un provvedimento amministrativo ad hoc. L’indiscutibile autonomia di questo vincolo, rispetto a quello della legge Serpieri, è, d’altronde, rintracciabile negli ultimi commi dell’art. 5 del R.D. n. 215/1933 e dell’art. 8 della legge n.

991/1952. Il piano di bacino, con le prescrizioni riferibili al bosco, deve essere sottoposto a valutazione ambientale strategica e assume valore di piano territoriale di settore con carattere immediatamente vincolante e sovraordinato rispetto ai piani e ai programmi di sviluppo socio- economico e a quelli sull’assetto e sull’uso del territorio.

Per l’inoperatività del nuovo impianto codicistico relativo alle Autorità di bacino distrettuali e ai loro piani, occorre, tuttavia, fare i conti con l’eventualità che le attività

17 V. supra cap. 2, par. 2.1. e, in particolare, sottoparagrafo 2.1.1., nonché cap. 3, par. 3.2. e, in particolare, sottoparagrafo 3.2.1..

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sistematorie o di bonifica del bosco vengano previste nelle misure di salvaguardia, nei piani redatti per sottobacini o per stralci, nei piani stralcio per l’assetto idrogeologico, nei piani straordinari o, infine, nei piani di gestione dei bacini adottati dai comitati istituzionali delle autorità di bacino di rilievo nazionale

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.

Ulteriori vincoli riferibili specificamente ai boschi sono, inoltre, quello di difesa o protettivo e quello per ragioni igienico-climatiche, previsti dal 1° comma dell’art. 17 del R.D.L. n. 3267/1923: si tratta, nel primo caso, del vincolo previsto per quei boschi che, per la loro speciale ubicazione, siano in grado di difendere terreni e fabbricati dalla caduta di valanghe, dal rotolamento di sassi, dal sotterramento o dalla furia dei venti; nel secondo caso, invece, si tratta di un vincolo gravante sui boschi utili per le condizioni igieniche locali. Entrambi, pur essendo indennizzabili, comportano, addirittura sin dalla proposta di vincolo, che può essere avanzata da chiunque e, perciò, anche non sollecitata d’ufficio, e prima, appunto, che la Regione decida sulla stessa, il divieto di eseguire tagli, fino all’esaurimento della procedura (2° comma, art. 19 del R.D.L.) e, poi, la sottoposizione del bosco alle forme e alle modalità di esercizio, di volta in volta, specificamente decise per il caso. In sostanza, e ancora una volta, i singoli provvedimenti di imposizione dei vincoli di cui all’art. 17 contribuiranno alla definizione di un regime giuridico di natura del tutto singolare per il bosco che ne è oggetto

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. Strumenti di conformazione delle attività di gestione del bosco sono, eventualmente, anche il piano regionale antincendio, relativo, appunto, alle attività di prevenzione, previsione e lotta attiva agli incendi boschivi e i divieti di

18 V. supra cap. 3, par. 3.2. e, in particolare, sottoparagrafo 3.2.2. e 3.2.3..

19 V. supra cap. 3, sottoparagrafo 3.2.1..

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durata pluriennale di cui all’art. 10 della legge n. 353/2000 riferibili alle zone percosse dal fuoco: così, per 15 anni, per esempio, è previsto che si possa vietare il mutamento di destinazione del bosco preesistente all’incendio; per 10 anni, l’esercizio del pascolo e della caccia e, per 5 anni, invece, le attività di rimboschimento e di ingegneria ambientale

20

.

Il bosco come bene naturalistico è sottoposto, invece, al vincolo naturalistico o delle aree naturali protette italiane di cui alla legge statale n. 394/1991, o delle aree protette di interesse internazionale ed europeo, quali i siti patrimonio dell’umanità, le zone umide, le zone di protezione speciale e quelle speciali di conservazione. Se la disciplina del vincolo naturalistico di diritto sovrannazionale può riassumersi, molto brevemente, nella previsione di obblighi di conservazione, salvaguardia e valorizzazione dei boschi su cui gravi e della valutazione di incidenza a cui sottoporre qualsiasi piano o progetto che possa avere conseguenze significative sulla zona speciale di conservazione

21

, per quella relativa al vincolo naturalistico di diritto interno occorrono considerazioni più specifiche, sia per la complessità che per la prevalenza della stessa sulla prima

22

.

Ebbene, qualora un bosco si trovi all’interno di un’area protetta, la sua gestione deve essere conforme anche a quanto previsto dagli strumenti di gestione di quest’ultima quali, in particolare, il regolamento per il parco, il piano

20 V. supra sottoparagrafo 3.2.4.

21 V. supra cap. 3, par. 3.3., sottoparagrafo 3.3.2..

22 Circa la prevalenza si ricordino il 3° comma dell’art. 4 e il 7° comma dell’art. 6 del D.P.R. n. 120/2003 che prevedono rispettivamente, nel caso in cui un’area sia area naturale protetta di interesse italiano ed insieme di interesse europeo, l’applicazione sull’area delle disposizioni di conservazione della legge n. 394/1991 e la sottoposizione della valutazione di incidenza anche al parere dell’ente parco.

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per il parco e il piano pluriennale delle attività economiche e sociali. In sostanza, il bosco verrà gestito, dall’ente parco, con le forme di uso, godimento e tutela tipiche della zona dell’area protetta in cui esso ricada, sulla base della zonizzazione stabilita dal piano per parco

23

. Dal regolamento per il parco andrà desunta, invece, la disciplina di quelle che sono le attività specificamente consentite all’interno del bosco-area naturale protetta.

Ebbene, sia il piano che il regolamento per il parco hanno un’efficacia particolare: il primo sarà vincolante per tutti i soggetti e andrà a sostituire ogni altro strumento di pianificazione statale, regionale e degli enti di settore, tuttavia tale valore cogente è destinato ad arretrarsi per la prevalenza del piano paesaggistico; il secondo, invece, dal canto suo, risulterà prevalente rispetto ai regolamenti comunali (6° comma, art. 11 e 7° comma dell’art. 12 della legge n. 394/1991)

24

.

Il sistema finora riassunto si esaspera ulteriormente con due ulteriori tasselli, il primo dei quali è relativo al bosco come bene paesaggistico-ambientale. Vengono riconosciuti come tali, ai sensi della lettera g) dell’art. 142 dell’ultima novella del 2008 del Codice Urbani, tutti i territori coperti da boschi e foreste, ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento, come definiti dall’art. 2, commi 2 e 6, del D.lgs. n. 227/2001. Gli strumenti di tutela previsti, in questo caso, per i boschi sono il piano paesaggistico e il

23 Giova ricordare che la legge n. 394 prevede che le aree protette possono essere suddivise in “riserve integrali”, “riserve generali orientate”, “aree di protezione” e “aree di promozione economica e sociale”, corrispondenti a livelli di tutela differenziata: si va da un livello di protezione massimo delle prime e, via via, ad un livello di protezione minimo delle ultime, lì dove, difatti, vengono consentite tutte le attività compatibili con le finalità protezionistiche ed insieme promozionali delle aree protette, preordinate, come sostiene la dottrina, ad un modello di conservazione integrata.

24 V. supra cap. 3, par. 3.3., sottopar. 3.3.1..

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vincolo paesaggistico, nonché il relativo regime autorizzatorio e sanzionatorio

25

.

Nello specifico, il piano paesaggistico riferibile ai boschi è adottato congiuntamente da ciascuna Regione con lo Stato e con valore cogente e prevalente rispetto agli altri piani territoriali ed urbanistici; allo stesso andranno obbligatoriamente conformati o adeguati gli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale degli enti locali, nonché il piano per il parco, e il suo contenuto sarà ricognitivo, precettivo e propositivo. La presenza del vincolo comporta, invece, per i proprietari e i possessori detentori, a qualsiasi titolo, di un bosco, il divieto di distruggerlo e di introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di tutela; per i progetti degli interventi da intraprendere sarà necessario ottenere l’autorizzazione paesaggistica della Regione o dell’ente a cui questa l’abbia delegata, efficace dopo 30 giorni dal suo rilascio e per 5 anni come atto autonomo e presupposto degli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio. Saranno esenti da autorizzazione, ai sensi dell’art. 149 del Codice, gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo, che non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici, gli interventi inerenti l’esercizio delle attività agro-silvo-pastorali che non comportino alterazione permanente dello stato dei luoghi, con costruzioni edilizie ed altre opere civili, e sempre che si tratti di attività ed opere che non alterino l’assetto idrogeologico del territorio, il taglio colturale definito ai sensi dell’art. 6 del D.lgs. n. 227/2001, la forestazione, la riforestazione, le opere di bonifica,

25 V. supra cap. 3, par. 3.4..

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anticendio e di conservazione, da eseguirsi specificamente nei boschi.

Resta solo da considerare l’ipotesi in cui i boschi siano oggetto dell’esercizio di un diritto di uso civico. Quelli una volta esistenti sui terreni di proprietà privata sono stati completamente liquidati e trasfusi, oggi, in quelli che sono anche gli usi civici sugli assetti fondiari collettivi, su quei terreni, cioè, convenientemente utilizzabili come bosco o pascolo permanente ed assegnati a Comuni o a frazioni di quelli, in favore delle collettività di riferimento. Questi usi civici vengono ad atteggiarsi come vincoli di destinazione dei boschi ad usi e godimenti di natura promiscua, in favore di una determinata collettività e gravanti sui boschi come inalienabili, perpetui ed imprescrittibili. Si tratta, in questo caso, in sostanza, di una gestione dei boschi a potere diffuso, che pone ancora una volta in una posizione recessiva gli interessi individualistici, favorendo, piuttosto, quelle che sono le esigenze della comunità e della preservazione e della razionale utilizzazione del bene, per le presenti e future generazioni. L’impianto normativo, evidentemente, è molto verosimile a quello conseguente alla classificazione di un bene come comune, se non fosse per la libera fruizione e l’accesso al bene da parte di chiunque che caratterizzano quest’ultimo a dispetto della riservatezza del bene ad una cerchia ristretta di utenti, appartenenti tutti ad una certa comunità

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Ed è proprio con considerazioni sulla possibilità di qualificare i boschi come beni comuni che ritengo opportuno concludere. In effetti, cosa manca se non una semplice ufficializzazione in tal senso? L’impianto normativo delineato ha reso, senza alcun dubbio, evidente che le modalità di uso e di godimento dei boschi appaiono

26 V. supra cap. 2, par. 2.2. e, in particolare, sottopar. 2.2.4..

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già, a vario titolo, fortemente limitate, che gli interessi individualistici sugli stessi esistenti risultano recessivi a fronte di quelli di fondamentale importanza per l’intera comunità e riferibili alla insostituibile natura multifunzionale dei boschi e al loro sorprendente contributo per lo sviluppo sostenibile.

Se ciò è vero, bisognerebbe forse riconsiderare le categorie politiche e giuridiche fondate esclusivamente sulla proprietà pubblica e privata, releganti il comune al premoderno e al “selvaggio”. I beni comuni costituiscono, difatti, beni non escludibili eppure rivali, che in vista della loro capacità di soddisfare diritti fondamentali della persona, costituzionalmente garantiti, che offrono una fruizione collettiva compatibilmente, però, con l’esigenza prioritaria della loro preservazione a vantaggio anche delle generazioni future. Implicano, quindi, la condivisione e l’accesso di tutti, un ecosistema di relazioni in reciproca dipendenza, una diffusione del potere ed un’inclusione partecipativa e collaborativa, informati al principio di eguaglianza e solidarietà da garantire a tutti. Pur trattandosi di risorse esorabili, una struttura di consumo relazionale ne accresce il valore con un uso qualitativamente responsabile ed ecologico; sono beni da porre fuori commercio ed estranei alla logica del profitto, indipendenti dalla collocazione all’interno dei confini dello Stato in cui si trovano e che, in quanto tali, si legano all’idea di patrimonio comune dell’umanità, per una tutela inibitoria a legittimazione diffusa. Tutto questo non è già il bene bosco? O se non lo è, non è bene che lo sia?

E in vista del fatto che dei beni comuni possono essere

titolari sia persone giuridiche pubbliche che privati, e che

per i boschi, nella seconda ipotesi non molto cambierebbe

della realtà giuridica attuale, ampiamente descritta, non è

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più opportuno imporre una titolarità ed una gestione

pubblica del bene comune bosco, regolando con eventuali

concessioni le utilizzazioni dello stesso da parte dei

privati? In fondo, l’imprescindibile sviluppo sostenibile e

multifunzionale del bene verrebbe parimenti garantito,

salvo lasciare ai privati la scelta di sottoporsi da sé al

relativo regime vincolistico piuttosto che imporglielo e

basta, rendendolo l’unica “vittima” di un sistema

normativo congegnato per esigenze ed interessi dell’intera

umanità e quasi incitandolo ad abbandonare il bosco, di

cui nessun’altro, poi, si assumerebbe, per le stesse ragioni,

il compito di curarlo e gestirlo, e senza dimenticare

peraltro che perché il bosco riesca ad assolvere tutte le sue

funzioni necessita innanzitutto di un’adeguata ed ordinaria

gestione.

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