• Non ci sono risultati.

Dio e mondo: trascendenza e creazione in Antonio Pérez S.J. (1599-1649)

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Dio e mondo: trascendenza e creazione in Antonio Pérez S.J. (1599-1649)"

Copied!
656
0
0

Testo completo

(1)

00

Corso di Dottorato di ricerca

in Filosofia

ciclo XXVIII

Dio e mondo.

Trascendenza e creazione

in Antonio Pérez S.J. (1599-1649)

M-FIL/06

Coordinatore del Dottorato ch. Prof.ssa Emanuela Scribano Supervisore

ch. prof. Paolo Pagani

Dottorando

Gian Pietro Soliani 835537

(2)

1

(3)

2

Et respexi alia et vidi tibi debere quia sunt et in te cuncta finita, sed aliter, non quasi in loco, sed quia tu es omnitenens manu veritate, et omnia vera sunt, in quantum sunt.

(Agostino d’Ippona, Confessioni, VI, 14)

Ce qu’il y a de plus considerable en cela, est que l’individualité enveloppe l’infini, et il n’y a que celuy qui est capable de le comprendre qui puisse avoir la connoissance du principe d’individuation d’une telle ou telle chose.

(G.W. Leibniz, Neuveax essays sur le intendement humain, Lib III, cap. III, § 6)

Sii tu la misura, sii il mistero (G. Ungaretti, La preghiera)

(4)

30

Indice

Indice ... 3

Introduzione ... 7

Situazione degli studi su Antonio Pérez ... 9

PARTE PRIMA ... 13

Intenzionalità e riflessività ... 13

1. L’evidenza come presenza al modo del giudizio ... 14

2. L’atto dell’intendere nel De virtutibus theologicis (1629-1630) ... 38

2.1. Concretezza e astrazione negli atti intenzionali ... 38

2.2. Oggetto formalissimo e ragione formalissima degli atti intenzionali ... 44

2.3. Alcune conclusioni sul conoscere dal De perfectionibus Christi ... 45

3. La logica e il suo oggetto formale ... 47

3.1 Hurtado de Mendoza: l’oggetto della logica e l’ente di ragione ... 47

3.2. Note sulla divisio scientiarum in Pérez ... 56

3.3. Aureolo e Pérez sulla la natura dell’ente di ragione ... 60

3.4. L’enunciare: logica dell’intelletto e logica affettiva ... 73

3.5. Note su verità ed evidenza ... 80

4. Riflessività degli atti intenzionali e natura enunciativa del verbo ... 84

4.1. Dal Liber sententiarum di Pietro Lombardo a Tommaso d’Aquino ... 88

4.2. La riflessione virtuale in Francisco Suárez ... 92

4.3. La riflessione virtuale pereziana ... 99

PARTE SECONDA... 109

Soggettività trascendentale ... 109

1. La sostanza è l’Io ... 110

1.1. “Non esse personam est quasi nihil esse” ... 110

1.2. Sostanza e Io nel De incarnatione Verbi divini (1644-1645) ... 121

2. Alcune precisazioni dal De perfectionibus Christi (1644-1645) ... 132

2.1. L’atto intellettivo e la specie intelligibile ... 135

3. L’Io e la forma dell’intellezione nel De visione Dei (1646-1648) ... 143

(5)

4

3.2. L’Io e la forma dell’intellezione ... 149

3.3. Il concreto e l’astratto ... 162

PARTE TERZA... 169

I trascendentali dell’essere ... 169

1. Apparenza e realtà ... 170

1.1. Le indicazioni di Platone e Aristotele ... 175

2. L’ente reale come luogo di convergenza dei trascendentali ... 179

2.1. L’ente reale e il bene come fondamento dell’identità dell’ente ... 179

2.2. Identità e distinzione... 186

2.3. L’ente reale e l’uno ... 196

2.4. L’ente reale e l’intenzionalità ... 208

PARTE QUARTA ... 213

La Deitas ... 213

1. Note sui limiti del linguaggio teologico nel pensiero pereziano ... 214

1.1. La perfectio simpliciter simplex ... 219

1.2. Univocità e analogia della perfectio simpliciter simplex ... 224

2. Il concetto oggettivo metafisico di Deitas ... 233

2.2. Distinctio rationis ratiocinatae e distinctio rationis ratiocinantis ... 240

2.2. Pietro Aureolo e la distinzione connotativa ... 248

2.3. L’identità della Deitas con gli atti necessari di intelletto e volontà ... 265

2.4. L’intellezione come vita e perfectio immanens ... 268

2.5. Intelletto e volontà ... 274

2.6. L’identità della Deitas con l’atto di volontà ... 279

2.6. Perfezione e sufficienza ... 287

3. Il concetto formale metafisico di Deitas ... 290

3.1. La metafisica di Esodo 3, 14 ... 290

3.2. La proposizione “Deus est” ... 293

3.3. La teoria dello status quidditativus nel De scientia Dei ... 296

3.4. Plotino e Aristotele come fonti della teoria dello stato quidditativo ... 309

3.5. Altre fonti della teoria dello stato quidditativo... 319

3.6. Lo stato quidditativo è persona: note dal De voluntate Dei ... 335

(6)

5

4.1. Connessione essenziale e relazione trascendentale ... 341

4.2. Francisco Suárez ... 345

4.3. Juan de Salas... 356

4.4. Girolamo Fasulo ... 366

4.5. Diego Ruiz de Montoya ... 372

5. Il connessionismo pereziano... 380

5.1. Il concetto di esistenza nelle Disputationes in octo libros Physicorum . 380 5.2. Presenza, tempo ed eternità ... 386

5.3. Nota sulle categorie modali ... 396

5.4. Relazione predicamentale e relazione trascendentale ... 400

5.5. La connessione essenziale tra Dio e i possibili ... 402

5.6. Necessità di Dio e necessità dei possibili ... 426

5.7. L’impossibile e l’onnipotenza divina ... 430

5.8. Esistenza e possibilità: alcuni sviluppi nel De voluntate Dei ... 447

6. Deitas e scienza divina ... 461

6.1. Alcune annotazioni dal De visione Dei ... 480

6.2. Intelletto divino e intelletto umano... 487

PARTE QUINTA ... 490

Immutabilità e libertà ... 490

1. Il divenire tra Aristotele e Agostino ... 491

1.1. La causa efficiente e la sua grandezza ... 505

1.2. Il contenere eminente di Dio ... 521

2. Note su libertà e atto creatore ... 534

2.1. Libertà e creazione nel corso sulla Fisica ... 534

2.2. L’identità reale in Dio delle formalità libere ... 542

2.3. La non-identità virtuale dell’atto libero con l’Essenza divina... 547

3. La necessità di Dio verso il meglio ... 569

3.1. L’ottimismo metafisico: alcune indicazioni dal De voluntate Dei ... 579

3.2. L’ottimismo metafisico: alcune indicazioni dal De Incarnatione ... 597

PARTE SESTA ... 608

Sull’esistenza di Dio ... 608

(7)

6

1.1. Dio e i primi principi: tra Agostino e la tradizione aristotelica ... 609

1.2. Le due versioni dell’argumentum Perezii ... 618

Conclusioni ... 639

Bibliografia ... 644

1) Opere di Antonio Pérez (manoscritte e a stampa) ... 644

2) Altre fonti manoscritte ... 645

3) Opere antiche e medievali ... 645

4) Opere moderne a stampa ... 648

Bibliografia secondaria ... 650

(8)

70

Introduzione

Affrontare il tema della relazione tra Dio e il mondo all’interno delle opere del gesuita Antonio Pérez (1599-1649) significa sviluppare una serie di questioni strettamente intrecciate, che potrebbero essere ricondotte sinteticamente a un solo nucleo: il rapporto tra pensiero ed essere. Da qui, infatti, bisogna partire se si vuole valutare la portata della proposta del gesuita spagnolo e la sua collocazione all’interno della Scolastica moderna e del pensiero moderno in genere.

La scelta di questo punto di partenza non è arbitraria o dettata da criteri estrinseci. Il “luogo” nel quale il pensiero e l’essere convengono è, infatti, il trascendentale, là dove risiedono, per così dire, non solo i classici nomi trascendentali dell’essere, ma gli stessi princìpi che innervano e l’essere e il pensiero. Certamente, i problemi da cui Pérez inizia la propria riflessione filosofica e teologica non sono nuovi, ma sono innovative – lo si vedrà nel prosieguo – le risposte e le elaborazioni teoriche che il gesuita propone alla sua epoca, a partire da un materiale ricchissimo che spazia dalle opere di Platone e Aristotele, dei Neoplatonici (in particolare, Plotino), alla grande stagione dei dibattiti medievali tra XI e XV secolo, per giungere ai commentatori della Summa theologiae e ai nuovi trattati teologici frutto dell’insegnamento in seno ai collegi dei Gesuiti.

Sarebbe riduttivo e fuorviante credere che il pensiero di Pérez sia riducibile a una serie di postille al pensiero di Francisco Suárez, come del resto sarebbe scorretto ridurre la metafisica del gesuita navarrino a un episodio marginale della storia della cosidetta onto-teologia. In entrambi i casi si tratterebbe di interpretazioni errate. Nel primo caso, si dimostrerebbe una scarsa conoscenza del dibattito teologico e filosofico posteriore alla morte del gesuita di Granada, per larghi tratti ancora da decifrare. Nel secondo caso, invece, si dovrebbe dare per buona una categoria ermeneutica che nasconde un fraintendimeto storico e insieme speculativo.

Emanuele Samek Lodovici aprendo il suo studio magistrale su Dio e mondo nel pensiero di Agostino d’Ippona1, contestava la riduzione operata da famosi teologi del Novecento, come Bultmann e Tillich, della teologia naturale antica e medievale all’heideggeriana onto-teologia. Se, infatti, precisava Samek Lodovici, si prendesse

(9)

8

come modello molta della produzione neoscolastica tra Ottocento e Novecento, la critica di Heidegger alla teologia naturale potrebbe avere un suo fondamento, ma ciò non può valere per la teologia naturale di tutti i secoli e, in particolare, per la tradizione che mette capo al neoplatonismo di Agostino.

Più precisamente, se la critica heideggeriana alla teologia naturale si appunta sulla contestazione di una modello causale tecnoformo, che riduce e sfigura l’azione della Causa prima a un facere meccanicistico, è dubbio il fatto che i teologi e i filosofi antichi, abbiano pensato, sempre e tutti, a Dio come a Colui che in definitiva risulta essere connotato esclusivamente attraverso l’effetto e ridotto, dunque, a ente tra gli altri enti, necessitato, dunque, a creare. Samek Lodovici dimostrò che questa lettura non è corretta, ad esempio, per la teologia naturale di Agostino2.

Potremmo dire che questo discorso, in generale, non è vero per la metafisica classica, cioè per quella tradizione di pensiero che ha cercato di mettere in evidenza ciò che del discorso sull’essere, e quindi del discorso su Dio, è irrinunciabile. Proprio a partire da questa prospettiva, Carmelo Vigna, metafisico cresciuto alla scuola della neoscolastica milanese, ha potuto mettere in luce il lato speculativo del fraintendimento heideggeriano che, una volta svelato, non permetterebbe più di continuare a caratterizzare la storia della metafisica in termini di onto-teologia. È senz’altro vero – fa notare Vigna – che fin dai suoi esordi la metafisica, come scienza dell’ente in quanto ente, ha trattato il suo oggetto «come un doppio», svelandosi di volta in volta come ontologia o come teologia speculativa. Se non che, prosegue il metafisico siciliano

chi si è scandalizzato di questo doppio e ha gridato all’incoerenza o all’irrisolutezza dinanzi al testo aristotelico non pare d’aver capito. Questo doppio, infatti, è compaginato saldamente dalla cosa stessa. Ossia: la figura dell’Intero in quanto tale è inevitabilmente un doppio. In effetti, la necessità di porre lo strato teologico dell’essere è strettamente legata, e sempre lo è stata, alla possibilità di fare dei discorsi intorno all’Intero dell’essere in senso formale. Perché, se si possono imbastire dei discorsi sull’Intero dell’essere in senso formale, si è immuni da sorprese. Ma se si è immuni da sorprese, i discorsi fatti sono discorsi assoluti, cioè discorsi che stanno secondo necessità, sempre che la forma della necessità sia posta. Se poi sono discorsi secondo necessità, sono discorsi che oltrepassano i condizionamenti dell’empiria e quindi sono discorsi che possono determinare il mondo dell’intelligibile. Se sono discorsi che possono determinare il mondo dell’intelligibile, sono discorsi che possono dire in qualche modo anche intorno al divino che è in noi. E in effetti, se qualcosa può essere saputo stabilmente, allora noi partecipiamo davvero

2 C. VIGNA, Il frammento e l’Intero. Indagini sul senso dell’essere e sulla stabilità del sapere, Vita e Pensiero, Milano 2000, pp. 1-3.

(10)

9

del divino. […] La metafisica è dunque scienza dell’ente trascendentale che include ed è, insieme, incluso nell’Essere assoluto. In ogni caso, è scienza dell’Intero anche in quanto teologia, e non solo in quanto ontologia generale. L’accusa di valere in realtà come una onto-teologia in cui il senso dell’Intero venga a restare astrattamente diviso (Heidegger) e, in ultima istanza, frutto di un fraintendimento speculativo3.

È qui racchiusa la difesa del nocciolo teoretico di una secolare tradizione metafisica di cui Pérez risulta essere un interprete tra i più spregiudicati, in un contesto, quello della Scolastica moderna, considerato dai più – ma a a torto – come filosoficamente e teologicamente decadente, se non irrilevante; attraversato da dispute sottili e pensieri lussureggianti per la mole degli scritti e per l’introduzione di nuove categorie filosofiche, in buona parte ancora da determinare compiutamente.

Situazione degli studi su Antonio Pérez

Gli studi sul pensiero di Antonio Pérez sono per ora molto rari e la sua influenza sul pensiero moderno è quasi del tutto sottovalutata o inesplorata, con alcune eccezioni.

Il primo a compiere un lavoro dedicato esclusivamente al pensiero di Pérez è stato Borja Adsuara nel 1997. Si tratta di una tesi in filosofia del diritto che indaga la nascita del diritto d’autore e del diritto soggettivo nella Scolastica spagnola. In particolare, la filosofia del diritto del gesuita navarrino ruota intorno alla nozione di suitas. Pérez, secondo i risultati ottenuti dalle ricerche di Adsuara si inscriverebbe nella linea di sviluppo del diritto soggettivo moderno che passa da Francisco Suárez e Juan de Lugo4.

Mentre stavamo concludendo il presente lavoro, il professor Adsuara ci ha fatto gentilmente pervenire il suo recente studio sulla vita di Antonio Pérez5, nel quale è

presente una ricostruzione biografica minuziosa, per quanto possibile, della vita dell’autore, oltre all’edizione e traduzione spagnola del trattato De iustitia et iure e all’edizione e traduzione spagnola del manoscritto intitolato Responsiones ad puncta

super obscuritate scriptorum suorum6, nel Pérez si difende dalle accuse che avevano

portato al suo allontanamento dal Collegio Romano. Rimandiamo a questo recentissimo

3 Ibi, pp. XXXIV-XXXV.

4B.A

DSUARA, Antonio Pérez y el derecho de autor, thèse dactyl., Universidad Complutense de Madrid, Madrid 1997.

5 B.ADSUARA, Antonio Pérez S.J. Su tratado sobre la justicia y el derecho, tesi di dottorato, Universidad Complutense de Madrid 2015.

(11)

10

e appassionato lavoro di Adsuara per i particolari biografici della vita di Antonio Pérez e per la datazione e la raccolta dei riferimenti a tutti i manoscritti dei corsi tenuti dal gesuita navarrino.

Il primo a cimentarsi in un lavoro che tocca alcuni aspetti metafisici del pensiero di Pérez è stato Tilman Ramelow, il quale nel 1997 ha pubblicato uno studio dedicato alla metafisica della volontà libera da Pérez a Leibniz7, focalizzando la propria ricerca su due temi fondamentali: il rapporto tra possibilità, libertà e realtà; e la necessità verso il meglio. Si tratta di questioni assai rilevanti che ruotano attorno alla natura della scientia media. Il lavoro è molto ampio e considera diversi autori scolastici del XVII secolo, oltre ai medievali. Il terminus ad quem del lavoro è il pensiero di Leibniz e i suo Saggi di Teodicea pubblicati nel 1710, quando ormai Pérez era morto da alcuni decenni. Ramelow ha preso in considerazione soltanto le opere a stampa di Pérez, pubblicate postume da alcuni allievi, mentre non ci sono riferimenti ai testi manoscritti.

Di queste questioni, relative alla necessità morale di Dio verso l’ottimo e alla “moralizzazione” delle categorie modali nella Scolastica spagnola, aveva iniziato ad occuparsi alcuni anni prima Sven Knebel8. In effetti, il pensiero di Pérez si inscrive

all’interno di una svolta agostiniana, legata alla riflessione sul soggetto e sull’affettività, che è tipica di parte della Scolastica gesuitica e che concorre a una revisione e reinterpretazione di alcuni nodi teoretici fondamentali del pensiero aristotelico, come anche il nostro lavoro cercherà di mettere in luce.

È, poi, necessario segnalare i lavori di Jacob Schmutz nei quali il pensiero pereziano è certamente collocato in una posizione di assoluto rilievo. Si segnala a questo proposito la tesi di dottorato del 2002, nella quale vengono indagati alcuni aspetti della metafisica pereziana del possibile, considerando anche l’influenza che Pietro Aureolo ha esercitato su Pérez. Schmutz parla giustamente di una “rivoluzione neoagostiniana” per definire il pensiero del gesuita navarrino; parla, invece, a nostro

7 T. RAMELOW, Gott, Freiheit, Weltenwahl: der Ursprung des Begriffes der besten aller möglichen

Welten in der Metaphysik der Willensfreiheit zwischen Antonio Pérez S. J. (1599-1649) und G. W. Leibniz (1646-1716), Brill, Leiden 1997.

8 S. K.KNEBEL, Necessitas moralis ad optimum IV. Repertorium zur Optimismus-diskussion im 17. Jh,

Studia leibnitiana 25 (1993), pp. 201-208; ID., Wille, Würfel und Wahrscheinlichkeit. Das System der

moralischen Notwendigkeit in der Jesuitenscholastik 1550-1700, Felix Meiner Verlag, Hamburg

1995/1996; ID., The Renaissence of Statistical Modalities in Early Modern Scholasticism, in R. L. FRIEDMAN-L.O.NIELSEN (eds.), Kluwer Academic Publishers, Dordrcht-Boston-London 2003, pp. 231- 251.

(12)

11

avviso, meno efficacemente di “criptospinozismo”9. Uno dei meriti fodamentali dello studio di Schmutz sulla querelle des possibles in seno alla scuola gesuitica è quello di aver riportato alla luce numerosi manoscritti di diversi autori, dei quali è stata proposta una prima edizione parziale10. In particolare, Schmutz ha proposto alcuni testi tratti da due manoscritti pereziani, dedicati rispettivamente alla scienza di Dio e alla fisica. Uno degli temi prevalenti di quelle pagine è la dottrina della connessione essenziale tra Dio e i possibili, senza dimenticare l’indagine sul concetto di Deitas e sulla nozione status quidditativus11.

Infine, Juan Cruz Cruz nel 2006 ha proposto la traduzione in spagnolo di alcune parti degli scritti di Pérez, dedicati rispettivamente alla scienza di Dio nella sua connessione essenziale con i possibili e al rapporto tra ordine naturale e soprannaturale. In entrambi i testi il tema della connessione essenziale è fondamentale12.

***

Desidero ringraziare alcune persone che hanno reso possibile questo lavoro con il loro aiuto. Innanzitutto ringrazio i miei genitori per l’aiuto di questi anni e per la loro vicinanza discreta. Inoltre, ringrazio i vescovi di Reggio Emilia, Parma, Modena-Nonantola e Carpi per avermi aiutato economicamente con un borsa di studio che ha permesso di portare avanti la mia ricerca dal punto di vista economica. In particolare, ringrazione il Mons. Camisasca per la vicinanza, la stima e l’amicizia nei miei confronti.

Questi quattro anni di ricerca sul pensiero di Antonio Pérez e sulla Scolastica in generale non sarebbero stati possibili senza l’aiuto e lo stimolo di diverse persone. In primo luogo, ringrazio il mio maestro, il professor Paolo Pagani, per il continuo incitamento a migliorare me stesso, alla costanza del lavoro quotidiano e al sacrificio.

9 J.SCHMUTZ, La querelle des possibles. Recherches philosophiques et textuelles sur la métaphysique

jésuite espagnole, 1540-1767, 3 voll., Bruxelles 2003 (il secondo volume contiene l’edizione di

moltissimi testi inediti sul possibile scritti da Gesuiti tra XVI e XVIII secolo); ID., Dieu est l'idée: la

métaphysique d'Antonio Pérez (1599-1649) entre néo-augustinisme et crypto-spinozisme, in «Revue

thomiste», 103/3 (2003), pp. 495-526; ID., Les innovations conceptuelles de la métaphysique espagnole

post-suarérzienne: les status rerum selon Antonio Pérez et Sebastián Izquierdo, in «Quaestio», 9 (2009),

pp. 61-99.

10 J.SCHMUTZ, La querelle des possibles, op. cit., t. II. 11 Ibi, t. II, pp. 721-761.

12 J.CRUZ CRUZ, Preciencia divina y posibilidad (1656), Servicios de Pubblicaciones de la Universidad de Navarra, Pamplona, 2006; ID., Naturaleza y sobranaturaleza (1669), Servicios de Pubblicaciones de la Universidad de Navarra, Pamplona, 2006.

(13)

12

Grazie per l’amicizia e la stima nei miei confronti, oltre alle osservazioni e correzioni sempre opportune e profonde.

Ringrazio anche Fabrizio Amerini, Antonio Petagine, Pasquale Porro, Jacob Schmutz, Borja Adsuara Varela (anche per il piacevolissimo incontro - non programmato - alla Gregoriana di Roma), Giovanni Catapano, Carmelo Vigna, Igor Agostini e i miei colleghi di dottorato dell’Università Ca’ Foscari di Venezia.

Ringrazio anche p. Martín María Morales S.J., Irene Pedretti e Cristina Berna dell’Archivio della Pontificia Università Gregoriana di Roma per la grande disponibilità nei miei confronti e per l’aiuto nella ricerca.

Infine, ringrazio tutti gli amici che hanno sempre allietato i miei soggiorni veneziani, in particolare i filosofi: Francesco, Damiano, Valentino, Emanuele, Domenico, Francesco, Giulio, Francesco, Andrea, Amerigo, Francesco, Amedeo, Nicolò, Carolina, Melania, Rita, Simona, Riccardo, Alberto, Paolo e Alessandro.

(14)

130

PARTE PRIMA

(15)

140

1. L’evidenza come presenza al modo del giudizio

La relazione tra pensiero ed essere nelle opere di Antonio Pérez dev’essere vagliata e inserita all’interno di un contesto che risulta particolarmente complesso, non solo dal punto di vista delle fonti antiche, medievali e moderne, ma anche dal punto di vista dell’elaborazione teorica. Le ramificazioni di un tale tema conducono piuttosto lontano e vengono a costituire un organismo nel quale le varie dottrine si connettono tra loro. In questa prima Parte del presente lavoro ci occuperemo del tema del conoscere umano secondo due direttrici essenziali: l’intenzionalità e la riflessività. Pérez attinge a diverse fonti che verranno indicate mano a mano per quel tanto che basta a illuminare la riflessione del gesuita navarrino.

Diversi autori antichi e medievali erano soliti introdurre la riflessione sulla natura del pensiero come indagine sull’intellectus ut sic e solo successivamente come indagine sui diversi modi nei quali il pensiero può darsi, dispiegando compiutamente le proprie capacità, come intelletto divino, angelico o umano. Per questo motivo, è piuttosto frequente imbattersi in testi riguardanti l’operare del pensiero umano all’interno di luoghi deputati alla discussione sulla scienza divina e sulla generazione del Verbo divino. Non è stupefacente, dunque, che questo avvenga anche negli scritti di Antonio Pérez e, in generale, nei trattati teologici della Seconda scolastica.

Aprendo il proprio corso sulla quaestio 14 (De scientia Dei) della prima Parte della

Summa theologiae di Tommaso d’Aquino1, tenuto probabilmente a Salamanca nel

16302, Pérez tiene a precisare che quando si parla di scientia Dei non si sta alludendo alla scienza come conclusione generata da una dimostrazione a priori; piuttosto si sta facendo riferimento a una qualche conoscenza certa ed evidente della verità (cognitio

1 Essendo un corso dedicato al commento del testo di Tommaso d’Aquino di Summa theologiae, Ia, q. 14, dedicato della scienza di Dio, non ci si stupirà di trovare non solo evidenti assonanze col testo del domenicano, ma anche la ripresa di intere argomentazioni tommasiane a favore di una certa tesi. D’altra parte, trattandosi di un commento, sono altrettanto abbondanti i rimandi ad autori diversi e spesso critici verso Tommaso.

2 Sulla datazione di questo corso e del relativo manoscritto, si faccia riferimento a J. SCHMUTZ, La

querelle des possibles. Recherches philosophiques et textuelles sur la métaphysique jésuite espagnole, 1540-1767, [3 tt.], Bruxelles-Paris 2003 (tesi di dottorato), t. II, p. 714, nota 16.

(16)

15

certa et evidens veritatis)3. Si tratta, dunque, di smarcare il sapere divino (scientia Dei)

dalla discorsività propria della ragione umana, il cui punto più alto – come indicato da Aristotele – è la dimostrazione a priori, per la quale si può giungere, mediante sillogismo scientifico, a una certa conclusione a partire dalla causa prima di un certo sapere, secondo l’epistemologia contenuta negli Analitici secondi4.

Il tema della scienza divina verrà affrontato diffusamente nel prosieguo. Il percorso che compiamo parte dalla conoscenza umana poiché essa è per noi più immediata rispetto alla conoscenza divina della quale non abbiamo esperienza. Iniziamo, dunque, con l’interrogarci su quale sia il significato originario che Pérez assegna alle due espressioni di “certezza” ed “evidenza”. La distinzione tra certezza ed evidenza era un luogo classico dei dibattiti scolastici sullo statuto della conoscenza per fede e della conoscenza scientifica. Lo stesso Pérez aveva avuto modo di distinguere diversi significati di “evidenza” nel trattato De virtutibus theologicis, sicuramente precedente al corso del 1630 sulla scienza di Dio5. La prima metà del XVII secolo rappresenta il momento nel quale si consolida la distinzione che diverrà canonica nella Scolastica gesuitica tra evidentia metaphysica, evidentia physica ed evidentia moralis6.

3 ANTONIO PÉREZ S.J., Ad quaest. 14 primae partis S. Thomae disputationum de scientia Dei (d’ora in poi, De scientia Dei), , f. 2v, n. 1 (OP I, p. 109a-b, n. 1): «Nomen scientiae non usurpamus stricte pro conclusione genita per demonstrationem a priori, sed pro quavis cognitione certa et evidenti veritatis». 4 ARISTOTELES, Analitica posteriora, I, 2, 71b9-14; 16-23: «Crediamo di conoscere ogni cosa in senso assoluto – però non nella maniera sofistica, cioè in maniera accidentale – quando crediamo di conoscere la causa per la quale la cosa è (dal momento che di ogni cosa vi è una causa) e non può capitare che essa sia in altro modo. Pertanto è evidente che il conoscere è un alcunché di questo tipo […] Ebbene, se vi sia pura un altro modo di conoscere, diremo in seguito, ma asseriamo anche che è un sapere mediante dimostrazione. Chiamo “dimostrazione” un sillogismo scientifico; e chiamo “scientifico” quello secondo il quale, per il fatto di possederlo abbiamo la conoscenza. Se pertanto il conoscere è quale abbiamo posto, è ncessario anche che la conoscenza apodittiva proceda da cose vere, prime, immediate, più note, anteriori e cause della conclusione: ché in questo modo i principî saranno propri di ciò che si dimostra».

5 Dico “sicuramente precedente” perché nel De scientia Dei troviamo un riferimento all’ultima disputazione sulla carità. Cfr. ANTONIO PÉREZ S.J., De scientia Dei, disp. 1, cap. 9, op. cit., OP I, p. 138a, n. 160: «… ut dixi in libro De anima et disputatione ultima De charitate…». Si tratta di due riferimenti, uno a una parte del Cursus philosophicus riguardante il corso sul De anima di Aristotele e uno alle

Disputationes de virtutibus theologicis. Per le notizie disponibili, per la verità piuttosto scarne, riguardo al Cursus philosophicus di Pérez, si veda. B.ADSUARA, Antonio Pérez S.J., op. cit., t. I, pp. 79-80. Sul secondo manoscritto, invece, torneremo in seguito in modo più approfondito.

6 Ad introdurre questa triplice distinzione potrebbe essere stato Pedro Hurtado de Mendoza, maestro di Pérez. PEDRO HURTADO DE MENDOZA S.J., Disputationes de anima, in Disputationum philosophicarum, t. III [De coelo, generatione et anima], Apud Dominicum Bosc, Tolosa, 1618 (prima edizione

Disputationes a summulis ad metaphysicam, typ. Juan Godinez de Millis, Valladolid, 1615), disp. 8, sec.

3, pp. 695-699: «Evidentia moralis est quando in genere moris iuxta regulas prudentiae non potest quis obiecto non assentiri. […]. Evidentia physica est cognitio evidens ex physicis principiis, qualis est cognitio discursiva ex effectus existentia ad existentiam causae […]. Evidentia metaphysica dicitur, quando obiectum tam clare conspicitur, ut omnino repugnet aliter fieri». JUAN DE LUGO, Disputationes et

(17)

16

Uno dei maestri di Pérez, Pedro Hurtado de Mendoza, insegnava – in un periodo molto ravvicinato a quello della composizione del De virtutibus theologicis e contemporaneamente al corso pereziano sulla scienza di Dio – che «l’evidenza è la necessità di dare l’assenso all’oggetto. La certezza, invece, è l’impotenza di errare»7. Lo stesso Pérez distingue la certezza dall’evidenza. La certezza, infatti, non è l’evidenza. Sebbene tutto ciò che è evidente sia anche certo, ogni conoscenza certa non è per ciò stesso evidente. Subito, però, il gesuita navarrino prende le distanze dalla definizione di evidenza data dal maestro, precisando che vi sono alcuni (nonnulli) che spiegano l’evidenza di qualche assenso con l’impossibilità del dissenso. Senonché, osserva Pérez, occorre spiegare quale tipo di impossibilità sia implicata nell’evidenza. Si potrebbe, infatti, sostenere, seguendo la definizione di evidenza data da Hurtado – la necessità dell’assenso che equivale, poi, all’impossibilità del dissenso –, che per “potenza assoluta” Dio potrebbe necessitare all’atto di fede; atto che in questo modo rimarrebbe oscuro, piuttosto che evidente8.

Pérez accoglie la distinzione tra i diversi gradi di evidenza, ma lavora per precisare, in particolare, la natura dell’evidenza metafisica, ossia della forma più alta di evidenza, implicata anche nella scienza di Dio. I gradi di evidenza – premette Pérez – sono tutti accomunati dal fatto di supporre l’evidenza dell’intuizione o dell’esperienza di qualcosa (evidentia intutitionis alicuius seu experientiae). Senonché, l’esperienza o l’intuizione è un atto semplice di conoscenza, cioè non composto da diversi termini, ma da un singolo termine, che è l’oggetto «in quanto presente al modo del giudizio affermativo», quindi, ad esempio, non al modo dell’immaginazione o del sogno. Certo, anche nell’immaginazione qualcosa appare come presente, ma l’immaginazione non giudica e, dunque, è possibile immaginare la cosa presente e insieme negarne la presenza nel

evidentia in evidentiam moralem, physicam et metaphysicam. Evidentia moralis est claritas, quae moraliter seu ex regulas prudentiae expellit omnem formidinem […]. Evidentia physica est notitia quae iuxta rerum naturam expellit omnem formidinem […]. Ex iis facile constat quid sit evidentia metaphysica. Est enim illa claritas quae fundatur in connexione extremorum adeo necessaria, ut non possit illi subesse falsum etiam miraculose».

7 PEDRO HURTADO DE MENDOZA, De fide, in Disputationes in tribus virtutibus theologicis, disp. 25, secc. 1-3, §§ 1-15, Apud Iacinthum Taberniel, Salamanca 1631, pp. 276a-280a.

8 ANTONIO PÉREZ S.J., De virtutibus theologicis, OP II, pp. 194a, n. 1: «Certitudo non est idem, atque evidentia. Licet enim evidens certum sit, non tamen omne certum est evidens. Evidentiam alicuius assensus explicant nonnulli per impossibilitatem dissensus, sed quia posset aliquis contendere, posse de potentia absoluta mihi imponi necessitatem ad eliciendum actum fidei, qui remaneret obscurus, videtur explicandum esse distinctius, qualis haec impossibilitas sit».

(18)

17

giudizio9. È proprio, infatti, di colui che vede la cosa come presente, al modo del giudizio affermativo, di non poter negare la verità dell’affermazione sull’esistenza della cosa vista, senza con ciò concepire insieme due termini contraddittori: nel vedere, infatti, egli giudica che la cosa è e insieme nega la verità del giudizio, ossia nega che la cosa sia, andando incontro alla contraddizione10.

L’osservazione pereziana non è di poco conto, ma piuttosto rappresenta una constatazione di estrema radicalità, che potremmo indicare come principio di innegabilità del dato di esperienza. In altre parole, ogni evidenza, propriamente detta, è presenza di qualcosa in quanto giudicato come presente o esistente, la cui negazione costringerebbe a dare l’assenso all’esserci e insieme al non-esserci della cosa sotto il medesimo rispetto. A partire da questo principio dell’innegabilità del dato di esperienza, Pérez riformula la definizione di evidenza metafisica:

Tutti suppongono che l’assenso metafisicamente evidente o è una visione intuitiva o qualche cosa di simile alla visione. Io ritengo che questa similitudine consista nella proprietà, espressa precedentemente, in base alla quale io definirei l’assenso evidente nel seguente modo. L’assenso evidente in senso metafisico è quello la negazione del quale, supposta l’apprensione dei termini, implica il concepire esplicitamente (expressive) due contraddittori. E questa è incontestabilmente la ragione per la quale non è possibile dissentire dall’oggetto metafisicamente evidente, poiché nessuno può concedere che due contraddittori siano veri [insieme]11.

L’impossibilità di negare l’assenso al contenuto di esperienza o di intuizione è lo stesso principio di non contraddizione (d’ora in poi PDNC). Più in breve, la forma dell’esperienza o dell’intuizione, come forma del vedere da parte dell’intelletto, è il PDNC. In effetti, già Aristotele, nel libro Γ della Metafisica aveva presentato

9 Ibi, p. 194a-b, n. 1: «Ego breviter distinguo triplicem evidentiam: metaphysicam, physicam et moralem. Omnes hae evidentiae supponunt evidentiam intuitionis alicuius seu experientiae. Est autem experientia seu intuitio actus quidam cognitionis simplicis, id est non factae ex terminorum complexione, terminatus ad obiectum ut praesens per modum iudicii affirmativi, id est non per modum imaginationis aut somnii. Nam qui imaginatur rem ut praesentem non fertur in rei praesentiam per modum iudicij affirmativi, cum possit simul cum ea imaginatione negare rem esse praesentem et existentem actu».

10 Ibi, p. 194b, n. 1: «Proprietas videntis rem non per modum imaginationis et iudicii est ut non possit negare veritatem afirmationis existentiae rei visae sine expressa conceptione duorum contradictorium. Videndo enim iudicat rem esse, et negando veritatem iudicii visivi, negaret rem esse, quod est contradictoria concedere».

11 Ibidem: «Omnes supponunt assensum metaphysice evidentem vel esse visionem intuitivam vel aliquid simile visioni. Ego existimo hanc similitudinem consistere in praedicta proprietate quare assensum evidentem sic ego diffinirem. Assensus metaphysice evidens est ille cuius veritatis negatio, supposita terminorum apprehensione involvit expressam duorum contradictorium conceptionem. Et haec est profecto ratio quare obiecto evidenti metaphysice non est possibile dissentire, quia nemo potest duo contradictoria vera esse concedere».

(19)

18

sobriamente il PDNC come il principio più noto di tutti che, di necessità, deve essere già posseduto da chiunque voglia apprendere qualcosa12. Nel medesimo luogo testuale, Aristotele aveva fornito una difesa del PDNC, mediante un’argomentazione per confutazione (ἔλεγχος), la cui conclusione potrebbe essere sinteticamente espressa nel modo seguente. Chiunque voglia pensare o anche esprimere qualcosa di significante sarà sempre costretto a implicare nel suo pensare o nel suo dire la forma dell’affermazione e insieme della negazione, come reciprocamente opposte per contraddizione; ossia sarà costretto a pensare qualcosa come una determinazione che immediatamente si contrappone a tutto ciò che è diverso da sé13.

Pérez, dal canto suo, esprimerà le stesse posizioni di Aristotele affermando, da un lato, che il PDNC è una conoscenza innata (cognitio innata), comune a qualunque intelletto ed essenziale a Dio14; mentre dall’altro lato dirà che tutte le volte che l’intelletto pone un’affermazione, subito appare anche la sua negazione contraddittoria15. Tutto ciò avviene perché l’intelletto preso nel suo senso più universale è la potenza conoscitiva che percepisce “la contraddizione”, ovvero determina i propri contenuti in relazione al loro contraddittorio16.

Queste affermazioni del gesuita navarrino indicano l’apertura dell’intelletto in quanto tale su un orizzonte trascendentale. Questo non solo perché il PDNC è un principio trascendentale – che vale, cioè, per qualunque ente –, ma anche perché l’intelletto lavora sempre in presenza di un orizzonte assoluto. Che, infatti, insieme alla

12 ARISTOTELES, Metaphysica, IV, 3, 1005b8-20: «Il principio più sicuro di tutti è quello intorno al quale è impossibile cadere in errore: questo principio deve essere il principio più noto […] e deve essere un principio non ipotetico, giacché quel principio che di necessità deve possedere colui che voglia conoscere qualsivoglia cosa deve già essere posseduto prima che si apprenda qualsiasi cosa. È evidente, dunque, che questo principio è il più sicuro di tutti. Dopo quanto si è detto, dobbiamo precisare quale esso sia. È impossibile che la stessa cosa sia e non sia, insieme, appartenga e non appartenga a una medesima cosa, secondo lo stesso rispetto».

13 Si veda a questo proposito, ARISTOTELES, Metaphysica, IV, 4.

14 ANTONIO PÉREZ S.J., Disputationes in octo libros Physicorum Aristotelis (d’ora in poi, Dispp. Phys.), disp. 8, cap. 2, Ms. APUG F.C. 1396rec, f. 167v, n. 29 (BFT, Ms. s.n., f. 245r, n. 41; Schmutz, p. 730): «Deus enim habet essentialem connexionem cum scientia qua iudicet impossibile esse idem simul esse et non esse. Quodlibet esse vel non esse, haec enim cognitio est innata cuilibet intellectui et divino essentialis».

15 ANTONIO PÉREZ S.J., Tractatus de Deo trino et uno, disp. 1, cap. 3, § 1, Ms. APUG F.C. 542rec, f. 10, n. 9 (OP I, p. 3a, n. 9): «Ubi enim est nota ratio affirmativa, statim intellectus cognoscit negationem contradictoriam».

16 Ibi, ff. 11-12, n. 13 (OP I, p. 3b, n. 13): «Est autem intellectus, universim loquendo, potentia cognoscitiva perceptiva contradictionis et inventiva rationum contradictionis, seu detectiva illorum». ANTONIO PÉREZ, De visione Dei, op. cit., OP I, p. 40a, 103: «Revoca in memoria […] intellectum ex sua ratione esse perceptivum contradictionis et eo ipso quod apprehendat unum singulare obiectum posse statim aut eodem actu formare nomen contradictiorium seu conceptum quem hoc nomen exprimit».

(20)

19

determinazione A appaia immediatamente all’intelletto anche il complemento semantico non-A, per lo meno come semplice nome infinito o negativo (nomen infinitum o negativum), è segno dell’impossibilità per l’intelletto di mettersi a distanza dall’orizzonte trascendentale, il quale, come è noto, è saturato dall’aggregato di A e non-A17.

In altre parole e più brevemente, per l’intelletto mettersi a distanza dall’orizzonte trascendentale significherebbe mettersi a distanza da se stesso. Il che significa che nell’esperienza appare sempre, non solo il contenuto presente, ma anche il suo formale oltrepassamento al modo della negazione contraddittoria del contenuto presente. È questa la ragione per cui è possibile all’intelletto umano il “trascendimento dell’esperienza nell’orbita del pensiero”, per usare l’efficacissima espressione di Gustavo Bontadini18. Inoltre, si consideri questo: è la stessa determinazione A che per costituirsi deve implicare la relazione con il proprio complemento semantico non-A, senza che ciò comporti un’autocontraddittoria identificazione di A e non-A. Semplicemente, si tratta di considerare che il progetto di una conoscenza totale della determinazione A non potrà non passare attraverso una conoscenza altrettanto totale di non-A.

Sono qui annunciati alcuni sviluppi del pensiero di Pérez che andranno verificati attraverso l’ausilio dei testi, ma che intanto è bene cominciare a introdurre. Il lavoro di verifica testuale può iniziare subito considerando che tra gli esempi di evidenza metafisica il nostro autore evoca l’innegabilità del dato che oggi diremmo fenomenologico19 e l’innegabilità del PDNC, elevato al rango di misura (mensura) di tutte le evidenze metafisiche20.

17 Utilizzo qui il termine “aggregato” perché sufficientemente neutro e scevro da particolari connotazioni che costringerebbero a descrivere il trascendentale secondo curvature erronee. Non si può, ad esempio, parlare della somma di A e non-A come di una totalità insiemistica, proprio perché trattare il trascendentale in senso insiemistico significherebbe ridurlo alla categoria di quantità. Ma, come si sa, il trascendentale è ciò che propriamente oltrepassa le categorie, perché le include tutte senza alcuna distinzione.

18 G.BONTADINI, Immanenza e trascendenza, in ID., Conversazioni di metafisica, [2 tt. ], Vita e Pensiero, Milano 19952, t. I, p. 223.

19 ANTONIO PÉREZ S.J., De virtutibus theologicis, op. cit., disp. 1, cap. 5, OP II, n. 2, p. 194b: «Primum exemplum sit iudicii fundati sive assensus nitentis cognitione intuitiva et affirmantis existentiam rei visae. Nam apprehendenti rei existentiam per experientiam et intuitionem impossibile est negare veritatem assensus affirmativi, non concessus duobus contradictoriis, ut cuilibet est manifestum».

20 Ibi, n. 3, p. 194b: «Secundum exemplum sit sumptum ab illa propositione quae est mensura omnis evidentiae metaphysicae: Nihil est et simul non est, quam propositionem negare, est dicere, aliquid simul

(21)

20

Inoltre, è interessante notare che l’evidenza metafisica e, in generale, le conseguenze metafisiche (consequentia metaphysica) non possono essere negate nemmeno per potentia Dei absoluta21. Esse, dunque, valgono sia per il piano naturale sia per il piano soprannaturale; ma evitiamo per ora di precisare in modo approfondito queste due espressioni che possono essere preliminarmente indicate come rispettivamente connotanti il piano della potentia Dei ordinata e della potentia Dei absoluta. Ad ogni modo, secondo Pérez, si può intendere senz’altro per natura ciò di cui parla Aristotele in Metafisica, Δ, 4 e in Fisica, II, 1, quando definisce il “naturale” come ciò che è principio e causa del moto o della quiete in ciò a cui inerisce primo et per se, ma non secondo l’accidente. Da questa definizione, osserva il gesuita navarrino, si inferisce che, non solo l’accidente, ma soprattutto Dio non è natura in senso aristotelico né è riducibile alla natura, in quanto è al di sopra di essa e la governa. È questo il motivo per cui la filosofia prima (prima philosophia), in quanto tratta di Dio, si chiama anche “metafisica”, poiché si occupa dell’Ente che trascende il naturale (Ens

transnaturale)22. Al contrario, la fisica è chiamata “filosofia naturale” (philosophia

naturalis) perché tratta della natura nel senso aristotelico; quindi, secondo lo stesso significato, ogni sostanza creata e creabile per sé sussistente consta di una natura, in quanto ha necessariamente il principio e la causa della propria operazione immanente o del moto e della quiete23.

Abbiamo tradotto Ens transnaturale con “Ente che trascendente la natura”, perché Pérez rimane fedele all’indicazione della tradizione metafisica, secondo la quale Dio non è localizzato spazialmente in un luogo diverso dal mondo, ma piuttosto lo trascende

21 L’ambito della potentia Dei ordinata si estende all’insieme delle leggi e all’ordine che Dio ha imposto al mondo con la creazione. L’ambito della potentia Dei absoluta, invece, si estende anche a tutte quelle cose che Dio può fare, in quanto non contraddittorie, ma non compie. Ciò che Dio non può fare nemmeno per potentia absoluta è, dunque, ciò che implica contraddizione.

22 ANTONIO PÉREZ S.J., De divina gratia auxiliante (d’ora in poi, De gratia), op. cit., disp. 2, cap. 2, OP II, pp. 65b-66a, n. 5: «Necesse est accipi vocem natura, in aliqua significatione, quae et propria significatio sit et Deum excludat, neque significet supernaturalia esse supra omnes qualitates et accidentia, quae de facto existunt. Propriissima autem huius vocis significatio et ad quam caetera revocantur, teste Aristotelis, 5 Metaphysices, cap. 4 et a qua derivata est vox naturale, ut idem testatur 2

Physicorum, cap. 1 est quae sumitur pro eo quod est principium et causa motus et quietis in eo in quo

primo et per se e non secundum accidens inest. Iuxta quam significationem nullum accidens est natura, neque Deus est aut constat natura, sed est supra omnem naturam et principium gubernatorque illius. Atque hac ratione prima philosophia, quae de Deo tractat, vocatur Metaphysica, id est scientia agens de ente transnaturali».

23 Ibi, p. 66b, n. 5: «Physica vocatur philosophia naturalis, quia praecipue tractat de natura iuxta hanc significationem, deinde iuxta eadem significationem omnis substantia creata et creabilis per se subsistens, natura constat, cum necessario habeat principium et causam operationis immanentis aut motus et quietis».

(22)

21

per poter essere presente in esso. O meglio, Dio è presente nel mondo poiché innanzitutto il mondo è presente in Dio; e anche su questo aspetto avremo modo di tornare più approfonditamente.

Soffermarsi sulla natura dell’evidenza metafisica ci ha portato a indicare alcune proprietà costitutive dell’intelletto in quanto tale: l’apertura, per lo meno formale, su di un orizzonte assoluto; l’impossibilità di mettersi a distanza rispetto al PDNC; l’innegabilità del dato fenomenologico e del contenuto dell’intuizione affermata nel giudizio. Inoltre, Pérez ha cura di precisare che, se tutti i gradi di evidenza in qualche modo esprimono una qualche certezza e l’impossibilità che si dia timore (formido) o dubbio (dubitatio) rispetto alla verità di una certa affermazione, l’evidenza metafisica è quella che esclude ogni dubbio possibile, lecito o illecito, temerario o prudente24. Dubitare o avere timore (formidare), infatti, è essenzialmente un giudizio con il quale colui che dubita dice “forse le cose stanno all’opposto di ciò che affermo” oppure “può essere falso il fondamento della mia affermazione”25. Dunque, non si tratta soltanto di sospendere l’assenso e il dissenso rispetto a un certo star così delle cose26, ma di

formulare per lo meno interiormente un vero e proprio giudizio. In altri termini, per il gesuita navarrino, non è possibile uscire dall’orizzonte dell’apofansi, anche nel momento del dubbio.

Ci si potrebbe chiedere, infine, quale sia la differenza posseduta dall’evidenza metafisica rispetto alla conoscenza certa e rispetto agli altri gradi di evidenza. Nel primo caso – quello della conoscenza certa –, rimane la presenza di una connessione essenziale (connexio essentialis) con la verità dell’oggetto, che esclude ogni timore (formido); ma si tratta soltanto di una riflessione che l’atto di certezza compie sopra di sé, giudicando di non poter essere falso né di assentire a un giudizio fallace. Per questo si può dire che l’atto di certezza giudichi qualcosa come metafisicamente evidente, ma lo faccia in

24 ANTONIO PÉREZ S.J., De virtutibus theologicis, disp. 1, cap. 5, OP II p. 195a, n. 9: «Hae omnes evidentiae fundant aliquam certitudinem, id est impossibilitatem formidinis et dubitationis, sed praecipue evidentia metaphysica fundat certitudinem maxima. Excludit enim omnem dubitationem possibilem, licitam et illicitam, temerariam et prudentem».

25 Ibi, p. 195a-b, n. 9: «Et ratio est quia dubitare seu formidare dicit iudicium, quo quis dicat: Forte est

oppositum eius quod affirmo; seu potest esse falsum aut fallax fundamentum mea affirmationis».

26 Ibi, p. 195b, n. 11: «Iam iterum dixi me nomine dubitationis et formidinis non intelligere solum perfectam dubitationem quae consistit in suspensione assensus et dissensus; sed illum actum iudicii quo quis dicit Hoc fortassis est falsum; potest accidere, ut ratio me movens ad hoc credendum, sit fallax».

(23)

22

modo oscuro, come nella conoscenza per fede27. Quindi, nella conoscenza certa la verità dell’oggetto è tenuta ferma come se fosse evidente metafisicamente, ma senza che vi sia la chiarezza propria della conoscenza evidente.

Nell’evidenza fisica, invece, una certezza assoluta non è possibile. Qui, l’evidenza ha a che fare con le leggi della fisica. Ciò che secondo determinate leggi fisiche è necessariamente disgiunto, come il sussistere degli accidenti del pane e il venir meno della sostanza del pane nel dogma eucaristico, può essere miracolosamente congiunto per potentia Dei absoluta. Ciò che è affermato – il sussistere degli accidenti del pane soltanto in presenza della sostanza del pane –, dunque, è evidente soltanto fisicamente e la negazione di tale evidenza implica un’impossibilità soltanto fisica, ma non un’impossibilità assoluta28.

Infine, nel caso dell’evidenza morale, ci troviamo di fronte a un grado ancora più debole rispetto ai primi due tipi di evidenze. Qui si afferma qualcosa, poiché la sua negazione sarebbe impossibile dal punto di vista morale, ma non impossibile in senso assoluto. Si può infatti affermare, ad esempio, l’impossibilità morale che un padre sano di mente e senza trarne vantaggio uccida il proprio figlio prediletto. Qui negare la verità di ciò che è moralmente evidente significa affermare qualcosa di moralmente impossibile. In generale, si tratta di riconoscere evidenza morale a quel corno della scelta verso il quale il libero arbitrio sarebbe irresistibilmente orientato di fronte a determinate circostanze29.

In generale, l’impossibilità si distingue in una impossibilità metafisica, fisica e morale. L’impossibile o ciò che è ripugnante metafisicamente è ciò che implica contraddizione e per questo non può essere fatto da alcuna potenza. Al contrario,

27 Ibidem: «Ratio vero cur implicat contradictionem coniunctio actus omnino certi cum formidine est quia non solum actus certus habet essentialem connexionem cum veritate sui obiecti, sed reflectitur supra se, iudicando se non posse esse falsum, neque fundamentum essentiendi fallax. Idque iudicat evidenter actus evidens metaphysice, oscure autem, sed sine trepidatione actus obscurus penitur certus, qualis est actus fidei divinae».

28 Ibi, p. 195a, n. 5: «Evidentia physica minor est quam metaphysica. Assensus physice evidens est ille cuius veritatis negatio involvit expressam conceptionem duorum oppositorum physica. Opposita physice appello quae naturaliter non possunt sine miraculo coniungi, ut verginitas et maternitas, existentia accidentium panis et negatio substantiae panis, ardor rubi et incombustio, exiguitas foraminis acus et ingressus cameli per ipsum».

29 Ibi, p. 195a, n. 8: «Evidentia moralis est minor quam evidentia physica. Nam assensus evidens moraliter est ille cuius veritatis negatio involvit expressam conceptionem alicuius moraliter iimpossibilis, veluti si quis diceret: Pater sane mentis sine ulla causa et sine ulla utilitate non occidet optimum filium. Negare hoc esse verum est affirmare aliquid moraliter impossibile. Dicitur vero moraliter impossibile ratione habita ad libertatem arbitrii summe propensam ad unam partem electionis».

(24)

23

l’impossibile morale o politico o civile riguarda le cose che sono a disposizione di un libero arbitrio. L’impossibilità morale si verifica quando di fronte a una scelta si presume che una volontà libera si dirigerà quasi sicuramente verso una delle alternative, poiché accade molto raramento che vengano prese in considerazioni alternative opposte30. Infine, l’impossibilità fisica riguarda le cose che sono oggetto di esperienza attraverso i sensi, l’immaginazione. L’impossibilità fisica non ha a che fare con l’implicazione di contraddizione, come l’impossibilità metafisica e nemmeno riguarda le cose che sono in potere di un libero arbitrio. Essa è piuttosto la ripugnanza di una qualche natura delle cose verso qualcosa che ci persuade, in modo certissimo e in modo indubitato, che esso non è mai stato e mai sarà31.

All’impossibilità metafisica, fisica e morale, si accompagnano una possibilità metafisica, fisica e morale. Il possibile metafisico si estende all’ordine naturale e all’ordine soprannaturale, come era lecito attendersi, dal momento che l’orizzonte metafisico si estende quanto l’orizzonte della potentia Dei absoluta. Al contrario, ciò che è possibile soltanto fisicamente si estende soltanto al piano naturale32. Sulla

possibilità, e in generale sulle categorie modali dovremo tornare in seguito. Per ora siano sufficienti questi cenni per chiarire meglio il tema dell’evidenza che ci accompagnerà per lunghi tratti di questo lavoro.

30 ANTONIO PÉREZ S.J., De perfectionibus Christi, Pars I, disp. 1, cap. 1, op. cit., OP I, p. 416a, n. 3: «Notionem entis naturaliter impossibilis esse cunctis hominibus per se notam, triplex est a nobis distinguenda repugnantiae ratio. Alia est metaphysica, alia physica seu naturalis, alia civilis et politica, seu moralis. Metaphysica nihil accipit ut impossibile, nisi quod implicat contradictionem ex propriis terminis: quare quod metaphysice est impossibile, nulla potentia fieri potest. Civilis vero et politivca ea accipere ut impossibilia consuevit, quae absolute in potestate hominum sunt sit et libero arbitrio subiecta. Ita tamen difficilia, ut prudenter fingat esse impossibilia et praesumat ea numquam fore, aut rarissime. Itaque acceptio et sumptio alicuius facti aut non facti, tanquam veri, facta prudenter ex anticipata quadam ratione, seu ex difficultate, quam eius causae afferunt, cum absolute oppositum sit libero arbitrio subiectum est praesumptio iuris, si leges illam efficiant».

31 Ibi, p. 416b: «Ratio physica aliam difficultatem considerat in multis quidem experimento sensuum deprehensam et imaginatione, seu phantasia conceptam, in alii intellectu nostro ad similitudinem impossibilitatis sensisibilis perceptam. Physica enim ratio non considerat implicationem contradictionis, ut metaphysica, neque difficultatem liberi arbitrii nostri, ut civilis et politica, sed repugnantiam quamdam naturae rerum ad aliquid, quae sicut metaphysica impossibilitatis Metaphysico, politica vero Politico, ita ista nobis persuadet certissime et indubitate, nec fuisse, nec fore, nec esse unquam id quod concipitur ut physice repugnans».

32 Ibi, p. 416a, n. 2: «Est autem supernaturale id, quod simpliciter et metaphysice est possibile, naturaliter tamen impossibile. Sed quid est hoc ipsum esse aliquid naturaliter impossibile».

(25)

24

2. L’intellezione e il verbo

La vicinanza temporale tra il De virtutibus theologicis e il De scientia Dei è testimoniata anche dal fatto di avere in comune una riflessione approfondita sul tema del verbum come prodotto dell’attività intellettiva. Come si è visto, la conoscenza per evidenza è presenza di qualcosa all’intelletto al modo del giudizio, così come il dubitare. Ma in che cosa consiste propriamente l’attività dell’intelletto e qual è la sua natura? Quasi in apertura al De scientia Dei Pérez precisa che appartiene alla definizione di intelligente (est de ratione intelligentis) la capacità di formare un verbum attraverso l’intellezione per la quale esso intende. “Formare” qui non significa altro che dire e produrre realmente il verbum33, secondo un linguaggio piuttosto comune. È

chiaro che il contesto è quello – teologico – della generazione del Verbo increato da parte di Dio Padre; ma la definizione di “intelligente” è formulata in senso generale, a tal punto da poter essere valida sia per l’uomo che per Dio.

Tuttavia, il rapporto che si instaura tra l’intelletto divino e gli oggetti di conoscenza è diverso dal rapporto tra l’intelligente creato e i propri oggetti. In primo luogo, Pérez sostiene, facendo eco a una lunga tradizione, che, nell’atto dell’intendere, tra l’intelligente creato e l’oggetto inteso vi è una «relazione vera e reale», mentre questo non può avvenire nel caso di Dio34. Porre una relazione reale tra intelletto divino e oggetto inteso costringerebbe a dover considerare l’oggetto come una qualche creatura o, in alternativa, come lo stesso Dio. Nel primo caso – Pérez precisa –, è comune sentenza di tutti i teologi che non si possa dare una relazione reale tra Dio e la creatura, sebbene su questo punto dovremo tornare, perché il tema della relazione Dio e la creatura necessita di ulteriori approfondimenti. In generale, la relazione reale, prevederebbe che Dio fosse dipendente dall’esistenza dell’oggetto inteso, ma se così fosse non sarebbe Dio. Nel secondo caso, invece, bisognerebbe ammettere che Dio

33 ANTONIO PÉREZ S.J., De scientia Dei, disp. 1, cap. 2, Ms. APUG F.C 1601rec, f. 5v, n. 9 (OP I, p. 111b, n. 9): «De ratione intelligentis est, ut per intellectionem, qua intelligit, formet verbum. Formatio autem verbi est dictio et productio realis verbi».

34 Ibi, f. 6v, n. 11 (OP I, pp. 111b-112a, n. 11): «Tertia difficultas est obiecti intellecti ad intelligentem et intelligentis ad obiectum intellectum esse veram et realem relationem. At fieri non potest Deum referri relatione reali ad obiectum intellectum».

(26)

25

abbia una relazione reale con se stesso35: conseguenza evidentemente assurda perché comporterebbe una distinzione reale di Dio da se stesso – condizione necessaria per rendere possibile una sua relazione reale con se stesso.

Corollario della relazione reale tra conoscente creato e conosciuto è l’assimilazione che accade, nell’atto del conoscere, tra intelletto creato e oggetto inteso. Se non che, una tale assimilazione non si può dare nel caso dell’intelletto divino, poiché sarebbe assurdo che, nel conoscere, Dio si assimilasse a sé o addirittura alla creatura. Nel primo caso, Dio si dovrebbe autocontraddittoriamente distinguersi da sé, mentre nel secondo sarebbe svilita la stessa natura divina36. La preoccupazione pereziana è quella di evitare l’introduzione di una qualsiasi distinzione tra Dio e i suoi atti: preoccupazione che – come vedremo – fa da sfondo a tutta la riflessione sull’Essenza divina del gesuita navarrino37.

Materialità e spiritualità: un primo abbozzo dell’ordine ontologico

Mediante l’assimilazione di conoscente e conosciuto, l’intelletto umano diviene simile all’oggetto inteso, per il principio del De anima aristotelico secondo il quale l’anima è in qualche modo tutte le cose: est quodammodo omnia, secondo il latino medievale38. Su questo punto, l’aderenza, da parte di Pérez, al testo di Summa

theologiae, Ia, q. 14, a. 1 è chiarissima, sebbene il gesuita rimandi esplicitamente, e non

casualmente, anche al primo articolo della quaestio 7, nella quale Tommaso d’Aquino aveva argomentato a favore dell’infinità di Dio.

35 Ibidem: «Nam vel illud est creatura et communior veriorque Theologorum sententia docet Deum ad creaturam non referri relatione reali, vel obiectum intellectum est ipse Deus et ratio ipsa naturalis evidentissime docet eiusdem ad se ipsum nullam esse relationem realem».

36 Ibi, f. 7v, n. 15 (OP I, p. 112b, n. 15): «Septima difficultas est finem cognitionis esse assimilationem quandam facere inter cognoscentem et cognitum. Quod videtur fieri non posse in natura divina, quae nec sibi assimilari potest, nec ulli creaturae. Vilesceret enim natura divina si assimilaretur creaturae; et distingueretur a se, si similis sibi esset».

37 Al tema della distinzione in Dio dedicheremo alcune pagine nel prosieguo.

38 ARISTOTELES, De anima, III, 8, 431b21: «ἡ ψυχὴ τὰ ὄντα πώς ἐστι πάντα». Su questo passo aristotelico che i medievali traducevano con anima est quodammodo omnia, sarà bene sostare brevemente per segnalare la necessità di distinguerlo dall’altra espressione aristotelica, per la quale intellectus possibilis

fit quodammodo omnia e che ritroviamo in De anima, III, 5, 430a14-15, dove Aristotele evoca un

intelletto che analogamente alla materia diviene ogni cosa: «καὶ ἔστιν ὁ μὲν τοιου'τος νου'ς τῳ' πάντα γίνεσθαι». La prima espressione aristotelica rimanda all’apertura infinita e attuale dell’anima intellettuale verso tutte le cose, mentre la seconda rimanda alla capacità operativa dell’intelletto, il quale è capace di divenire tutte le cose in quanto capace di conoscerle tutte.

(27)

26

La capacità dell’anima di divenire tutte le cose indica, infatti, un’ampiezza (amplitudo) e una larghezza (latitudo) che si rivolge a tutto lo scibile e che la natura conoscitiva possiede in forza del proprio grado di immaterialità. La materia, infatti, introduce in ogni cosa un certo grado di costrizione e limitazione39, come Tommaso aveva sentenziato40. La natura non conoscitiva, nella quale l’immaterialità non è presente in alcun modo, non è in grado di possedere altre forme rispetto alla propria. Chi, invece, è dotato di intelletto è capace di trascendere la propria essenza e la propria forma orientandosi verso il possesso di forme diverse dalla propria. È per questo che la specie del conosciuto, nell’atto del conoscere, è presente nel conoscente grazie all’apertura sterminata verso tutte le cose41. Il modo nel quale, nell’atto del conoscere, il conoscente creato si identifica col conosciuto è sui generis. Per indicare la relazione tra conoscente e conosciuto, Pérez utilizza espressioni divenute piuttosto comuni dopo i dibattiti universitari intervenuti tra XIII e XIV secolo. L’aristotelico anima est quodammodo omnia va inteso, infatti, in senso rappresentativo (repraesentative) ovvero in senso intenzionale (intentionaliter) ovvero in senso espressivo (expressive) o, anche, secondo somiglianza (similitudinarie). In questo modo, la cosa viene conosciuta o concepita ed è nella mente e nella potenza conoscitiva, rendendosi “presente intenzionalmente” al conoscente, esistendo intenzionalmente in esso – secondo la

39 ANTONIO PÉREZ S.J., De scientia Dei, disp. 1, cap. 6, ms. cit., ff. 18r-18v, n. 56 (OP I, p. 118b, n. 56): «Ratio ergo Divi Thomae a nobis fusius exposita ita se habet quam tamen infra magis exponemus. Quod est in summo immaterialitatis gradu, illud est in summo gradu cognitionis, seu naturae cognoscitivae et intellectualis. At Deus est summe immaterialis ex q. 7, art. 1. […] Gradus virtutis cognoscitivae sequitur gradum immaterialitatis […]. Unica et adaequata ratio quare aliqua natura est cognoscitiva est immaterialitas et quare fit magis cognoscitiva est maior immaterialitas. […] esse non cognoscitivam consistit in quadam coarctatione et limitatione opposita amplitudini et latitudini quae est propria naturae cognoscitivae. Est enim amplior natura cognoscitiva quatenus talis».

40 Si veda a questo proposito: THOMAS DE AQUINO O.P., Summa theologiae, Ia, q. 14, a. 1, Opera omnia, editio leonina, Ex Typographia polyglotta, Roma 1888, p. 166a-b: «Considerandum est quod cognoscentia a non cognoscentibus in hoc distinguuntur, quia non cognoscentia nihil habent nisi formam suam tantum; sed cognoscens natum est habere formam etiam rei alterius, nam species cogniti est in cognoscente. Unde manifestum est quod natura rei non cognoscentis est magis coarctata et limitata, natura autem rerum cognoscentium habet maiorem amplitudinem et extensionem. Propter quod dicit philosophus, III de anima, quod anima est quodammodo omnia. Coarctatio autem formae est per materiam. Unde et supra diximus quod formae, secundum quod sunt magis immateriales, secundum hoc magis accedunt ad quandam infinitatem. Patet igitur quod immaterialitas alicuius rei est ratio quod sit cognoscitiva; et secundum modum immaterialitatis est modus cognitionis».

41 ANTONIO PÉREZ S.J., De scientia Dei, disp. 1, cap. 6, ms. cit., f. 18v, n. 56 (OP I, pp. 118b-119a, n. 56): «Hoc differt natura cognoscitiva a non cognoscitiva quod natura non cognoscitiva non habet, nec potest habere, nisi tantum suam formam et essentiam re ipsa existentem in ipsa […]. At cognoscentia praeter suam essentiam et formam existentem in ipsis formaliter et re ipsa possunt habere formas aliarum rerum. Nam species cogniti est in cognoscente, ideoque dixit Philosophus, 3 De anima, textus 124: Animam

Riferimenti

Documenti correlati

Mi riferisco appunto a quella santità che solo si può raggiungere e vivere in qualità di consacrati da Dio alla missione salesiana: «La nostra vita di discepoli del Signore

TC presenta maggiore panoramicità, quindi è più accurata per la valutazione di mts a distanza. PET/TC presenta maggiore accuratezza di RM

Non si tratta di allievi con funzionamento intellettivo limite, ma con disabilità intellettive, in quanto non è loro possibile raggiungere il livello minimo previsto per la classe

Sono le stesse identiche parole della Madonna: Gesù e Maria non hanno voluto cancellare la sofferenza a Francesco, nonostante lui fosse così piccolo, ma hanno fatto in modo che

Allo stesso tempo, in un’epoca in cui la globalizzazione alimenta forti spinte all’omologazione culturale e i fenomeni migratori rendono sempre più labili i confini tra

Conoscenza dei contenuti essenziali della religione: comprende in modo parziale i contenuti Capacità di riconoscere e apprezzare i valori religiosi: coglie in modo parziale la

1) I farmaci essenziali e continua- tivi necessari per i pazienti con disturbi emorragici, che sono chia- mati Fattori di Coagulazione, non vengono acquistati, forniti, trovati

In questo caso l’abilità del traduttore starà nel bilanciare quest’attrazione senza offendere nessuna delle parti in causa: deve cercare di rimanere fedele