• Non ci sono risultati.

5. METODOLOGIA PER L’ANALISI STRUTTURALE DELL’ ELEMENTO TUBOLARE IN ANSYS

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "5. METODOLOGIA PER L’ANALISI STRUTTURALE DELL’ ELEMENTO TUBOLARE IN ANSYS"

Copied!
31
0
0

Testo completo

(1)

5. METODOLOGIA PER L’ANALISI STRUTTURALE DELL’

ELEMENTO TUBOLARE IN ANSYS

Non è stato trovato alcun articolo efficace e di pratico utilizzo per il calcolo del carico critico e delle prime frequenze proprie di un elemento tubolare in composito (visto come un guscio cilindrico o conico ma comunque di spessore sottile) incastrato a un’estremità e libero all’altra. Ciò deriva dal fatto che non esiste una soluzione in forma chiusa delle equazioni differenziali alle derivate parziali nelle variabili del tempo e dello spazio che descrivono il fenomeno, se non per casi particolari. Anche soluzioni approssimate, ottenute tramite metodi quali quelli di Galerkin o Rayleigh-Ritz, sono state ricavate solo per particolari condizioni al contorno. Gli unici due metodi che garantiscono una totale libertà nella tipologia di carico, di materiale e di condizioni al contorno sono le differenze finite e gli elementi finiti, ossia metodi che fanno ricorso a una discretizzazione spaziale al fine di ricondurre il problema ad un sistema ad un numero finito di gradi di libertà. Il limite di questi metodi è che per avere una soluzione con una buona approssimazione sono necessari solitamente molti gradi di libertà e quindi sono possibili grazie allo sviluppo dell’informatica che permette di trattare sistemi con migliaia di gradi di libertà con relativa facilità. Si è quindi fatto ricorso alla tecnica degli elementi finiti perché implementata nel software ANSYS disponibile presso la facoltà di Ingegneria di Pisa.

5.1 Materiali compositi in ANSYS

Qualora si voglia creare un modello per effettuare l’analisi strutturale di una pezzo realizzato con materiali compositi, ANSYS consente di utilizzare appositi elementi chiamati “layered elements” ossia una particolare tipologia di elementi al cui interno, nello spessore, è possibile definire le proprietà di più “layers” riproducendo in questo modo la sequenza di stratificazione (“stacking sequence”) effettuata per la costruzione di un pezzo reale.

5.1.1 “Layered elements”

Sono disponibili cinque diversi elementi, tre “shells” e due “solids”. Se ne farà una breve rassegna elencandone le caratteristiche salienti, poi ci si concentrerà sulle “shells” in quanto queste sono utilizzate per la costruzione del modello.

SHELL99- Linear Layered Structural Shell Element

SHELL99 è un elemento “shell” 3-D formato da 8 nodi con 6 gradi di libertà per ogni nodo. E’ stato pensato per modellare gusci o piastre da sottili fino a moderatamente spessi, cioè aventi un rapporto lato/spessore pari a 10 o più. Per strutture con rapporti

(2)

minori si può pensare di utilizzare il SOLID46. SHELL99 consente un massimo di 250 “layers” se lo spessore è costante o 125 se lo spessore varia bilinearmente sull’area del “layer” stesso. Qualora si necessiti di inserire più di 250 stratificazioni, è possibile inserire la propria matrice del materiale. SHELL99 supporta anche i grandi spostamenti e riproduce il fenomeno dello “stress stiffening”.

Fig.5.1

SHELL91- Non-Linear Layered Structural Shell Element

SHELL91 è simile a SHELL99 eccetto il fatto che permette un massimo di 100 “layers” e non consente l’inserimento della matrice che rappresenta le proprietà del materiale. Comunque SHELL91, come la SHELL99 ha come opzioni speciali sia l’irrigidimento da sforzo che i gradi spostamenti o rotazioni, ma a differenza dell’altra supporta anche la plasticità, le grandi deformazioni, la “discesa adattiva” e un’opzione speciale per la modellazione di strutture a sandwich.

(3)

Fig.5.2

SHELL181- Finite Strain Layered Structural Shell Element

SHELL181 è un elemento “shell” 3-D formato da 4 nodi con 6 gradi di libertà per ogni nodo. Questo tipo di guscio ha complete caratteristiche non lineari infatti supporta la plasticità, l’iperelasticità, la viscoelasticità, la viscoplasticità, il creep, lo “stress stiffening”, i grandi spostamenti, le grandi deformazioni, tensioni iniziali e “birth and death”. Consente di inserire un massimo di 255 layers e i relativi dati possono essere immessi solo tramite i “section commands” se il numero di “layers” è superiore a 1. Nel caso in cui il modello sia costituito da un solo “layer” si possono anche inserire i dati tramite “real constants”.

(4)

SOLID46- 3-D Layered Structural Solid Element

SOLID46 è la versione “layered” dell’ elemento “solid” 3-D, SOLID45, formato da 8 nodi con 3 gradi di libertà per ogni nodo (UX, UY, UZ). E’ stato pensato per modellare “layered shells” di grosso spessore o solidi “layered” e consente un massimo di 250 layers di spessore costante per elemento. In alternativa l’elemento permette di inserire 125 layers con spessore che può variare bilinearmente sull’area del layer stesso. Un vantaggio di questo tipo di elemento è la possibilità di sovrapporre diversi elementi per ottenere un totale superiore a 250 layers e per consentire di avere discontinuità sul gradiente della deformazione attraverso lo spessore. E’ anche possibile inserire una matrice costitutiva definita dall’utente. Per applicazioni con modelli a guscio, in paragone con le due 8-node shells, SOLID46 risulta essere un elemento di ordine inferiore e quindi richiede una meshatura più fitta per fornire la stessa accuratezza delle SHELL91 o SHELL99.

Fig.5.4

SOLID191- Layered Structural Solid Element

SOLID191 è la versione “layered” dell’ elemento “solid” 3-D, SOLID95, formato da 20 nodi con 3 gradi di libertà per ogni nodo (UX, UY, UZ). E’ stato pensato per modellare “layered shells” di grosso spessore o “layered solids” e consente un massimo di 100 “layers” per elemento. Come per il SOLID46, anche per il SOLID191 è possibile sovrapporre più elementi nello spessore per possibili discontinuità e modifica le proprietà del materiale in direzione trasversa per ottenere tensioni costati nella

(5)

medesima direzione. A discapito del suo nome questo tipo di elemento non supporta materiali non lineari o grandi spostamenti.

Fig.5.5

E’ facile capire come questa particolare tipologia di elementi faciliti molto la costruzione del modello.

5.1.2 Definizione della configurazioni “a strati” (“layered”)

La più importante caratteristica di un materiale composito è la possibilità di configurarlo “a strati”. Ogni “layer” può essere fatto di materiale ortotropo differente e può avere le sue direzioni principali orientate differentemente. Per i compositi laminati, la direzione delle fibre determina l’orientazione del “layer”. Ci sono due metodi disponibili per definire la configurazione “a strati”:

1. Specificando le proprietà di ogni singolo “layer”.

2. Definendo le matrici costitutive che relazionano le forze e i momenti generalizzati alle deformazioni e curvature generalizzate.

5.1.2.1 Definizione delle proprietà di ogni singolo “layer”

Con questo metodo, la “stacking sequence” è definita “layer” per “layer” dal fondo fino alla testa del laminato. Il “layer” di fondo è designato come “layer” 1 e i successivi assumono numeri via via crescenti in direzione delle Z (direzione normale) positive nel sistema di riferimento dell’elemento. A volte capita che un “layer” si estenda solo per una parte della struttura, in questo caso si dice che c’è un “layer drop-off”. ANSYS permette di modellare anche questi casi, anche se,

(6)

per mantenerne la continuità, non consente di annullarlo totalmente, ma di definire il suo spessore uguale a zero.

Ci sono due diverse modalità di inserimento dei dati del singolo “layer” e la scelta essenzialmente dipende dal tipo di elemento utilizzato:

1) Qualora si opti per le SHELL99 o SHELL91 si dovrà specificare le proprietà attraverso l’ “element real constant table” (comandi R, RMORE, RMODIF).

2) Nel caso in cui la scelta ricada sulla SHELL181 bisognerà utilizzare i “Section Tools” (comandi SECTYPE, SECDATA, SECNUM). In realtà per questo ultimo tipo di “shell” è possibile utilizzare anche l’approccio tramite “real constants”, ma solo se si utilizza solo un “layer” nello spessore (cosa che nei compositi non accade quasi mai).

In entrambi i casi bisogna inserire:

L’angolo di orientazione del layer (THETA)

Questo parametro definisce l’orientazione del sistema di riferimento del “layer” rispetto al sistema di riferimento dell’elemento. Rappresenta l’angolo, in gradi, compreso tra i due assi x dei due sistemi di riferimento. E dato che il sistema di riferimento del materiale (in una lamina unidirezionale X indica la direzione delle fibre, Y la direzione ortogonale alle fibre nel piano della lamina e Z la direzione uscente dal piano e ortogonale alle prime due) è parallelo al sistema di riferimento del “layer”, l’angolo di orientazione del “layer” risulta essere l’angolo di cui bisogna ruotare il sistema di riferimento dell’elemento per sovrapporlo a quello del materiale. Di “default” il sistema di riferimento del “layer” è parallelo al sistema di riferimento dell’elemento. Tutti gli elementi hanno un sistema di riferimento di “default” che può essere cambiato tramite il comando ESYS. Per le tre “shells layered” è definito nel seguente modo: x e y sono posti normalmente nel piano medio della “shell” (anche se possono essere anche spostati: si veda dopo Node Offset); l’asse x è diretto lungo la retta passante per i nodi I e J, l’asse y è nel piano e ortogonale all’asse x e infine l’asse z è ortogonale agli altri due ed è uscente dal piano. L’utente può anche scrivere delle “subroutines” per definire i sistemi di riferimento del “layer” e dell’elemento (comandi USERAN e USANLY). Le proprietà del materiale (attraverso un numero di riferimento del materiale MAT)

Come per tutti gli altri elementi, per definire le proprietà di un materiale lineare si usa il comando MP, mentre per definire le proprietà di un materiale non lineare si utilizza il comando TB. L’unica differenza è che il numero caratteristico del materiale per ogni “layer” di un elemento è specificato nella tabella delle “real costants” dell’elemento. Per elementi “layered”, il comando MAT è utilizzato solo per gli argomenti DAMP e REFT del comando MP. Il materiale che costituisce ogni singolo

(7)

“layer” può essere sia isotropo che ortotropo, anche se il tipico composito rinforzato da fibre è solitamente ortotropo. Si ricordi anche che per definire completamente il comportamento di un materiale ortotropo sono necessarie 9 costanti costitutive: 3 moduli elastici longitudinali o di Young nelle direzioni principali del materiale X, Y e Z (EX, EY e EZ), 3 moduli di taglio nei piani Y-Z, Z-X e X-Y (GYZ, GZX e GXY) e tre moduli di Poisson major o minor (PRYZ, PRZX e PRXY o NUYZ, NUZX e NUXY). Qualora si vogliano considerare anche gli effetti inerziali è necessario inserire anche la densità (comando MP,DENS), e per gli effetti termici sono necessari i coefficienti di espansione termica nelle direzioni principali del materiale (ALPX, ALPY e ALPZ). Si ricordi infine che se un materiale è trasversalmente isotropo le direzioni Y e Z coincidono, con ovvia riduzione del numero di costanti indipendenti.

Lo spessore del layer (TK)

Se lo spessore del “layer” è costante è necessario specificare solo lo spessore del “layer” al nodo I TK(I). Altrimenti, bisogna inserire lo spessore ai quattro nodi d’angolo. Infine, si è già detto come i “dropped layers” possano esser rappresentati uguagliando a zero il loro spessore.

Qualora la sezione sia definita attraverso i “Section Tools” bisogna anche specificare: Il numero di punti di integrazione per “layer” (NUMPT)

Questo comando permette di scegliere la precisione del calcolo dei risultati. Ci sono diverse possibilità di scelta per il numero di punti di integrazione nello spessore del “layer” e sono: 1, 3, 5, 7, 9. Qualora non sia richiesto un alto grado di precisione o per “layer” sottili usati in laminati con un alto numero di stratificazioni basta 1 o 3 NUMPT, mentre qualora si utilizzino pochi e spessi “layers” o qualora vi siano elevati gradienti delle grandezze in esame è bene optare per un numero di punti di integrazione più elevato in modo da riuscire a riprodurre meglio il reale andamento di queste grandezze. Il “default” è 3 punti.

5.1.2.2 Definizione delle matrici costitutive

Questa opzione è disponibile solo per SHELL99 e SOLID46. Definire le matrici costitutive significa specificare ogni termine di Ω (3.21), ossia la matrice di rigidezza del laminato definita secondo la teoria classica della laminazione (Par.3.1). Il calcolo di Ω deve essere compiuto esternamente ad ANSYS.

I termini delle matrici sono inseriti come “real costants”, ed esclusi i termini simmetrici, quelli non inseriti saranno considerati uguali a 0. Gli effetti dovuti alla massa, come il peso proprio e

(8)

l’inerzia, sono compresi qualora si specifichi la densità media (AVDENS) per l’elemento. E’ necessario inserire come “real costant” anche lo spessore medio dell’elemento (THICK).

Questa tipologia di input è vantaggiosa quando si debba inserire un numero di “layers” superiore ai limiti imposti dai singoli elementi ed è comoda anche perché si può fornire un vettore che rappresenta i carichi termici. Di contro comporta una serie di restrizioni che ne limitano l’uso. Infatti inserendo i dati in questa maniera non è possibile ottenere l’andamento delle tensioni, delle deformazioni termiche e non si può utilizzare alcun criterio di resistenza.

5.1.2.3 Strutture a Sandwich e Multiple-Layered

Le strutture a sandwich prendono il loro nome dal modo in cui vengono realizzate: sono infatti costituite da due “faceplates” esterni e da un “core” interno, spesso, ma relativamente debole. Solitamente lo scopo del “core” è quello di distanziare i “faceplates” per aumentane il momento di inerzia, mantenendo la congruenza. Si può modellare questo tipo di strutture con la SHELL63, la SHELL91 e la SHELL181.

SHELL63 non è un elemento “layered” infatti ha solo un “layer”, ma permette di modellare le strutture a sandwich attraverso un attento uso delle “real constants”. Si può modificare l’effettivo momento di inerzia flessionale e la distanza tra la superficie media e le fibre più lontane per tenere conto della fragilità del “core”.

SHELL91 è forse l’elemento migliore per modellare le strutture a sandwich in quanto al suo interno è prevista una specifica opzione (è l’unico ad prevederla) che viene attivata ponendo la KEYOPT(9)=1. Tale opzione è basata sulle seguenti ipotesi: il “core” sopporta tutto il taglio trasversale mentre i “faceplates” nulla; dall’altra parte i “faceplates” portano tutto o quasi il carico flessionale.

SHELL181 modella l’incurvatura dovuta al taglio in direzione trasversa usando un metodo di equivalenza energetica che rende vano il bisogno di una “sandwich option”.

Fig.5.6

5.1.2.4 Node Offset

Sia per le “shells” definite attraverso real constants (SHELL99, SHELL91) sia per quelle definite attraverso i “section tools” (SHELL181) è possibile spostare i nodi dal piano di mezzeria (middle) a quello di testa (top) o di fondo (bottom). Per le prime due i nodi vengono spostati

(9)

attraverso la KETOPT(11) (=0 MID, =1 BOT, =2 TOP), per la terza invece i nodi possono essere spostati durante la definizione della sezione tramite il comando SECOFFSET.

Le due figure qui sotto (Fig.5.7 e Fig.5.8) mostrano come il “nodes offset” può essere convenientemente usato per modellare diversi tipi di “ply drop-off”.

Fig.5.7

Fig.5.8

5.1.3 Criteri di resistenza

In ANSYS sono disponibili tre “failure criteria” predefiniti ed è possibile creare fino a sei criteri di resistenza definiti dall’utente. Tali criteri sono disponibili nel post-processore generale (POST1) per tutti gli elementi strutturali piani, “shell” e “solid” usando i comandi FC (FC, FCDELE e FCLIST), mentre sono disponibili in ambiente di soluzione (SOLU) per SHELL91, SHELL99, SOLID46 e SOLID191 (quindi solo “layered elements” tranne SHELL181) usando i comandi TB (TB, TBTEMP, TBDATA e TBLIST).

Con i comandi TB è necessario anteporre all’inserimento dei dati di “failure” il comando TB,FAIL per creare una tabella dove poter inserire le successive informazioni. Questa tipologia di comandi ha lo svantaggio di poter essere utilizzata solo con i quattro elementi sopra menzionati, ma permette di memorizzare, in tabelle all’interno del POST1, oltre al valore massimo (tramite il comando ETABLE,VALUE), anche quale criterio tra i tre predefiniti e quale “layer” sia più critico (rispettivamente tramite il comando ETABLE,FCMAX e ETABLE,LN). Cioè con l’uso dei comandi TB si è in grado di individuare il massimo su tutto lo spessore del laminato. Per poter visualizzare i dati memorizzati si utilizzano i comandi PRETAB o PLETAB a seconda che li si desideri stampare, ossia avere una tabella in cui in ascisse compaiano i valori numerici della

(10)

grandezza in esame e in ordinate i nodi o gli elementi (a seconda se si è scelta una “nodal solution” o “element solution”), o che li si desideri “plottare”, ossia avere un display grafico sul modello delle grandezze memorizzate. I comandi TB permettono anche di inserire dati di “failure” (sia tensioni che deformazioni) che siano dipendenti dalla temperatura (tramite il comando TBDATA) purché seguiti da una definizione della temperatura (tramite il comando TBTEMP).

I comandi FC possono essere utilizzati con qualsiasi elemento piano, “shell” o “solid”, ma ha lo svantaggio di non poter trovare il coefficiente più critico su tutto lo spessore. Per richiamare nel post-processore generale i risultati in maniera corretta, è necessario selezionare il “layer” su cui calcolare il coefficiente di resistenza (tramite il comando LAYER) e specificare in che punto (bottom, middle o top) del “layer” si vuole che venga calcolato (tramite il comando SHELL). Quindi questo metodo risulta più laborioso del precedente in quanto, a causa della disomogeneità delle resistenze del materiale e della complessità dello stato di tensione, è difficile prevedere quale “layer” e quale punto di questo sia più critico.

E’ necessario prestare attenzione se si desidera visualizzare tensioni, deformazioni o criteri di resistenza al sistema di riferimento utilizzato. Per stampare tali grandezze (comandi PRNSOL o PRESOL), non c’è alcun problema in quanto, in entrambi i casi, i risultati vengono visualizzati nel sistema di riferimento del “layer” (corretto). Invece qualora si desiderasse avere un display grafico delle grandezze sulla struttura (comandi PLNSOL o PLESOL), bisogna prestare attenzione se si utilizza la soluzione dell’elemento o nodale; nel primo caso infatti le grandezze vengono “plottate” sempre utilizzando il sistema di riferimento del “layer” e quindi coincidono con i valori stampati, nel secondo caso invece le tensioni, le forze, le deformazioni etc. vengono “plottate” di “default” nel “global cartersian” fornendo risultati chiaramente diversi da quelli aspettati. Per poter utilizzare il sistema di riferimento giusto è necessario prima del comando di “plot” specificare che si desidera visualizzare i risultati nel sistema di riferimento della soluzione ossia del “layer” (comando RSYS,SOLU).

Poi si ricordi che i criteri di resistenza sono ortotropi, è quindi necessario inserire i valori critici delle tensioni o deformazioni per tutte le direzioni. Infine i criteri di resistenza scritti dall’utente devono essere specificati attraverso delle “user subroutines” (da USRFC1 a USRFC6).

I tre criteri predefiniti sono:

Criterio di massima deformazione (Maximum Strain Failure Criterion → MSNFC) ANSYS, come output a questo criterio, fornisce il massimo dei rapporti fra la deformazione in una certa direzione e in un certo stato di trazione o compressione e la rispettiva deformazione di “failure” ed è stato indicato con MSNFC. E’ facile intendere che, perché non si abbia alcuna rottura, tale coefficiente deve rimanere inferiore a 1. Volendogli dare una forma matematica si può scrivere:

(11)

⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎭ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎬ ⎫ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎩ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎨ ⎧ ∨ ∨ ∨ = f XZ XZ f YZ YZ f XY XY f ZC ZC f ZT ZT f YC YC f YT YT f XC XC f XT XT MAX MSNFC ε ε ε ε ε ε ε ε ε ε ε ε ε ε ε ε ε ε (5.1) XT

ε , εXC, εYT, εYC, εZT e εZC rappresentano le deformazioni dovute al carico o spostamento imposto in direzione X, Y e Z rispettivamente di trazione o di compressione (pedice T o C); gli stessi simboli a cui è stato però aggiunto l’apice f rappresentano invece le deformazioni di trazione e di compressione nelle tre direzioni principali del materiale di “failure” ossia sono i valori che portano il materiale a rottura. Stesso discorso vale per le deformazioni di taglio εXY, εYZ e εXZ.

Perché questo criterio funzioni correttamente è necessario immettere nove deformazioni di “failure” , , , , , , , e . Per immettere tali valori in ANSYS tramite il comando FC bisogna specificare, come primo argomento, il numero del materiale di riferimento, come secondo, che si tratta di deformazioni EPEL, e come terzo la direzione che, facendo riferimento alle nove deformazioni di “failure” prima indicate, è rispettivamente XTEN, XCMP, YTEN, YCMP, ZTEN, ZCMP, XY, YZ e XZ; con i comandi TB le nove deformazioni critiche vengono inserite con il comando TBDATA seguito, come primo argomento, da un numero da 1 a 9, che indica le direzioni delle deformazioni nell’ordine utilizzato poco sopra. Nel caso in cui i tre parametri relativi alla compressione non vengano inseriti, saranno posti di “default” uguali ai corrispettivi valori di trazione; per gli altri parametri la mancata indicazione farà si che vengano posti uguali a 0.

f XT ε f XC ε f YT ε f YC ε f ZT ε f ZC ε f XY ε f YZ ε f XZ ε

Criterio di massima tensione (Maximum Stress Failure Criterion → MSSFC)

ANSYS, come output a questo criterio, fornisce il massimo dei rapporti fra la tensione in una certa direzione e in un certo stato di trazione o compressione e la

(12)

rispettiva tensione di “failure” ed è stato indicato con MSSFC. E’ facile intendere che, perché non si abbia alcuna rottura, tale coefficiente deve rimanere inferiore a 1. Volendogli dare una forma matematica si può scrivere:

⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎭ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎬ ⎫ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎩ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎨ ⎧ ∨ ∨ ∨ = f XZ XZ f YZ YZ f XY XY f ZC ZC f ZT ZT f YC YC f YT YT f XC XC f XT XT MAX MSSFC σ σ σ σ σ σ σ σ σ σ σ σ σ σ σ σ σ σ (5.2) XT

σ , σXC, σYT, σYC, σZT e σZC rappresentano le tensioni dovute al carico o spostamento imposto in direzione X, Y e Z, rispettivamente di trazione o di compressione (pedice T o C); gli stessi simboli, a cui è stato però aggiunto l’apice f, rappresentano invece le tensioni di trazione e di compressione nelle tre direzioni principali del materiale di “failure” ossia sono i valori che portano il materiale a rottura. Stesso discorso per le tensioni di taglio σXY, σYZ e σXZ.

Perché questo criterio funzioni correttamente è necessario immettere 9 parametri ossia le nove tensioni di “failure” , , , , , , , e . Per immettere tali valori in ANSYS tramite il comando FC bisogna specificare, come primo argomento, il numero del materiale di riferimento, come secondo, che si tratta di tensioni S, e come terzo la direzione che, facendo riferimento alle nove tensioni di “failure” prima indicate, è rispettivamente XTEN, XCMP, YTEN, YCMP, ZTEN, ZCMP, XY, YZ e XZ; con i comandi TB le nove tensioni critiche vengono inserite con il comando TBDATA seguito, come primo argomento, da un numero da 10 a 18, che indica le direzioni delle tensioni nell’ordine utilizzato poco sopra. Nel caso in cui i tre parametri relativi alla compressione non vengano inseriti, saranno posti di “default” uguali ai corrispettivi valori di trazione; per gli altri parametri la mancata indicazione farà si che vengano posti uguali a 0.

f XT σ f XC σ f YT σ f YC σ f ZT σ f ZC σ f XY σ f YZ σ f XZ σ

(13)

Criterio di Tsai-Wu

Il criterio di Tsai-Wu utilizzato da ANSYS è la versione 3-D del “failure criterion” riportato da Tsai e Hahn come “strength index” [5] e riportato da Tsai come “strength ratio” [6]. Il criterio utilizzato nel programma si differenzia dall’originale per il fatto che utilizza dei coefficienti di accoppiamento che risultano doppi rispetto ai coefficienti utilizzati da Tsai e Hahn.

XY C *

XY F

E’ possibile ottenere da questo criterio due risultati che derivano da differenti tipi di calcolo. Le due diverse metodologie vengono espresse attraverso due indici: il primo, lo “Tsai-Wu Strength Index” è così definito:

B A

TWSI = + (5.3)

mentre il secondo, lo “Tsai-Wu Inverse Strength Ratio” è invece definito:

A A B A B TWSR 1 2 2 1 2 + ⎟ ⎠ ⎞ ⎜ ⎝ ⎛ + − = (5.4)

Dove A e B sono così definiti:

( )

( )

( )

(

) ( ) (

)

f ZC f ZT f XC f XT Z X XZ f ZC f ZT f YC f YT Z Y YZ f YC f YT f XC f XT Y X XY f XZ XZ f YZ YZ f XY XY f ZC f ZT Z f YC f YT Y f XC f XT X C C C A σ σ σ σ σ σ σ σ σ σ σ σ σ σ σ σ σ σ σ σ σ σ σ σ σ σ σ σ σ σ σ σ σ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ + ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ + ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ + + + + + ⋅ − ⋅ − ⋅ − = 2 2 2 2 2 2 (5.5) Z f ZC f ZT Y f YC f YT X f XC f XT B σ σ σ σ σ σ σ σ σ ⎟⎟ ⎞ ⎜⎜ ⎝ ⎛ + + ⎟⎟ ⎠ ⎞ ⎜⎜ ⎝ ⎛ + + ⎟⎟ ⎠ ⎞ ⎜⎜ ⎝ ⎛ + = 1 1 1 1 1 1 (5.6) XY

C , e sono coefficienti di accoppiamento (“coupling coefficient”) rispettivamente tra le direzioni X-Y, Y-Z e X-Z. Per inserire i tali valori in ANSYS con il comando FC bisogna specificare, come primo argomento, il numero identificativo del materiale, come secondo, che riguardano le tensioni (S), e come terzo, rispettivamente XYCP, YZCP e XZCP; con i comandi TB i tre coefficienti di accoppiamento vengono inseriti con il comando TBDATA seguito, come primo argomento, da un numero da 19 a 21, che indica le rispettive direzioni nell’ordine utilizzato poco sopra. Qualora il loro valore non venga esplicitato dall’utente essi assumono il valore di “default” di -1. Il loro valore deve essere compreso tra -2 e 2 anche se è raccomandabile mantenerli entro -1 e

YZ

(14)

0. Per analisi 2-D è bene assegnare a , , e un valore più grande di

diversi ordini di grandezza rispetto a , e , e porre e uguali a zero. f ZT σ f ZC σ f YZ σ f XZ σ f XT σ f XC σ f XY σ CXY CYZ

Il limite di questi criteri, per il modo in cui sono stati implementati in ANSYS, è quello di essere attendibili solamente per la “first failure”, ossia il primo cedimento, perché una volta accaduto, per ottenere un risultato finale verosimile, bisognerebbe ridefinire le proprietà del materiale considerando il danno locale. In ANSYS ciò non è previsto. Dal punto di vista fisico, a causa della sua natura disomogenea, un composito “fiber-reiforced” spesso tollera molto bene la presenza di un danneggiamento locale e raramente una frattura locale porta alla rottura di tutto il pezzo.

5.2 Costruzione del modello

5.2.1 Scelta del tipo di elemento

Lo scopo della tesi è fornire un panorama generale sull’analisi strutturale di elementi tubolari con geometria cilindrica o conica e di spessore costante o variabile, realizzati in composito (fibre di vetro o di carbonio in resina epossidica), incastrati alla base e caricati all’estremità libera con carico assiale, trasversale e in “pure bending”. I parametri che descrivono la geometria sono tre per il caso cilindrico (lunghezza, raggio medio e spessore) e quattro per quello conico (lunghezza, raggio medio di base, di testa e spessore). E’ da sottolineare il fatto che saranno prese in considerazioni sempre geometrie traviformi, ossia elementi tubolari di lunghezza maggiore almeno di un ordine di grandezza rispetto al raggio e questo ultimo maggiore di almeno un ordine di grandezza rispetto allo spessore. La parola trave non deve trarre in inganno, in quanto un elemento monodimensionale risulta essere inadeguato per una corretta rappresentazione di fenomeni deformativi e di instabilità locali o di particolari modi propri di vibrare. E’ necessario almeno un elemento bidimensionale (piano o shell). L’utilizzo di un elemento con solo due dimensioni implica che la terza sia di fatto trascurata e il fatto che le strutture in composito abbiano generalmente spessore sottile (come nel caso in esame), induce a trascurare proprio quest’ultimo. Avendo adottato, per la costruzione del modello, un elemento bidimensionale è stato necessario decidere di usare una rappresentazione piana o spaziale. Il fatto di trattare solidi di rivoluzione può far pensare di poter utilizzare un modello 2-D sfruttando l’assialsimmetria, ma ciò non è possibile perché, se così si facesse, si eliminerebbero gradi di libertà necessari per la visualizzazione di deformate critiche e di modi propri di vibrare non assialmmetrici, senza contare che il carico è assialsimmetrico solo quando è assiale. Si è quindi scelta una “shell” 3-D. Come è già stato detto in ANSYS sono disponibili tre tipi di “shell” 3-D “layered” che sono la SHELL91, la SHELL99 e la SHELL181. La scelta è ricaduta, a

(15)

seconda dei casi, sulla seconda e sulla terza; infatti non è stato possibile utilizzare la prima, “la non-linear layered structural shel”l, in quanto richiedeva rapporti raggio/spessore maggiori rispetto a quelli presi in esame.

5.2.2 Definizione dei parametri

In tutti i “files” realizzati, prima della definizione del modello e dopo quella del titolo (comando /TITLE), si è previsto una sezione dedicata alla definizione dei parametri utilizzati nelle varie tipologie di analisi. Si è pensato di rendere i programmi parametrici per aumentarne la flessibilità d’uso, ossia per permettere di poter cambiare dati di input in maniera agevole e veloce, e per renderli più immediati e di facile consultazione e comprensione. Si è deciso di articolare la sezione principale in cinque sottosezioni, raggruppando i parametri nelle seguenti categorie:

Parametri del materiale del layer

In questa categoria si sono raggruppati i parametri che definiscono la rigidezza della lamina unidirezionale (moduli di Young, moduli di taglio e moduli di Poisson), la sua resistenza (resistenza a trazione e compressione in direzione fibre e in direzione trasversa alle fibre e resistenze a taglio), il comportamento deformativi termico (coefficienti di espansione termica) e la densità media. Si sono definiti in particolare due lamine composite: una composta da fibre di carbonio e resina epossidica e l’altra composta da fibre di vetro e resina epossidica:

Grandezza Simbolo

CARBON-EPOXY GLASS-EPOXY Unità di Misura Modulo di Young X EX 9 10 4 . 135 ⋅ 28⋅109

[ ]

Pa Moduli di Young Y e Z EY =EZ 9 10 10⋅ 6.5⋅109

[ ]

Pa

Moduli di taglio ZX e XY GZX = GXY 9

10 85 . 4 ⋅ 9 10 5⋅

[ ]

Pa

Modulo di taglio YZ GYZ 9

10 62 .

3 ⋅ 5⋅109

[ ]

Pa Moduli di Poisson major PRXY =

= PRYZ PRZX 31 . 0 0 .3 Densità DENS 3 10 6 . 1 ⋅ 1.754⋅103

[

kg/ m3

]

Coefficiente di dilatazione termica X ALPX 6 10 1⋅ − 1⋅10−6

[ ]

°C −1 Coefficienti di dilatazione termica Y ALPY =ALPZ 6 10 38⋅ − 50⋅10−6

[ ]

°C −1

Resistenza a trazione X XTEN 6

10 1933⋅ 830⋅106

[ ]

Pa Resistenza a compressione X XCMP 6 10 1051⋅ − 6 10 830⋅ −

[ ]

Pa

Resistenza a trazione Y YTEN 6

10 51⋅ 6 10 70⋅

[ ]

Pa Resistenza a compressione Y YCMP 6 10 141⋅ − 6 10 70⋅ −

[ ]

Pa

(16)

Resistenza a taglio XY, YZ e ZX XY=YZ=ZX 6 10 61⋅ 55⋅106

[ ]

Pa (Tab.5.1)

Parametri geometrici del layer

I parametri geometrici del “layer” comprendono gli angoli di orientazione del “layer” (Theta1 e/o Theta2), gli spessori delle lamine (t), il numero totale di lamine (nol) e, qualora il tipo di elemento lo richieda, il numero di punti di integrazione (nip) nello spessore di un singolo “layer”. Tra questi parametri sono stati fissati:

Grandezza Simbolo Valore Unità di Misura

Spessore lamina t 3

10 25 .

0 ⋅ −

[ ]

m

Numero di lamine nol 10

Numero di punti di integrazione nip 5

(Tab.5.2)

Parametri geometrici dell’elemento tubolare

Per l’elemento tubolare con geometria cilindrica è necessario fornire la lunghezza (L) e il diametro esterno (De); da quest’ultimo, dal numero di lamine e dal loro spessore si ricava il raggio medio (Rm=

(

Denolt

)

/2). Per quanto riguarda l’elemento tubolare con geometria conica oltre alla lunghezza (L) è necessario immettere il diametro esterno di base (Deb) e di testa (Det); da questi ultimi due, dallo spessore e dal numero di lamine si ricavano i raggi medi di base (Rmb=

(

Debnolt

)

/2) e di testa (Rmt =

(

Detnolt

)

/2). I parametri geometrici dell’elemento tubolare sono stati completamente fissati:

Grandezza Simbolo Valore Unità di Misura

Lunghezza L 4

[ ]

m

Diametro esterno De 0.3

[ ]

m

Diametro esterno di base (bottom) Deb 0.3

[ ]

m Diametro esterno di punta (top) Det 0.2

[ ]

m

(17)

Carichi, spostamenti imposti e temperature

All’interno di questa categoria si definiscono il carico totale (Ftot) o lo spostamento imposto (Dit), la temperatura di polimerizzazione (Tc) e la temperatura ambiente media (Tr). Tra questi parametri sono state fissate le due temperature:

Grandezza Simbolo Valore Unità di Misura

Temperatura di polimerizzazione (curing) Tc 80

[ ]

° C

Temperatura ambiente (room) Tr 20

[ ]

° C

(Tab.5.4)

Numero di elementi

In questa sottosezione si definiscono il numero di elementi in senso assiale o longitudinale (NL) e il numero di elementi in senso circonferenziale (NC). Chiaramente per sapere il numero totale di elementi usati nel modello basta moltiplicare tra loro i due parametri appena definiti. Il rapporto tra il numero di elementi longitudinali e circonferenziali è sempre stato scelto in base alla geometria con l’intento di creare elementi “quadrati”, ossia con dimensioni quasi uguali nel piano medio della “shell”, in modo tale che la geometria dell’elemento allungata in una direzione non favorisca il formarsi di fenomeni di qualsiasi natura né in senso assiale né circonferenziale. Nel caso di generazione del modello geometrico tramite la diretta creazione di nodi vengono anche definiti altri parametri, di comodo uso, derivati dai primi due. Quelli utilizzati per la definizione della geometria cilindrica sono il passo longitudinale (LP=L/NL) e angolare (AP=360/NC). Per la definizione della geometria conica, a questi due va anche aggiunto il passo radiale (RP=(Rmb-Rmt)/NL).

5.2.3 Costruzione della geometria

La geometria è stata costruita in modo totalmente parametrico con due differenti modalità: Nel primo modo, valido per entrambi gli elementi, si è proceduto in questa maniera:

sono stati generati quattro “keypoints” (comando K) necessari per la formazione delle due linee (comando L) che costituiscono l’asse di rotazione e una primitiva del cilindro o del cono. Poi si è creata l’area (comando AROTAT) ruotando la primitiva di 360° intorno all’asse di simmetria. Si è definito l’elemento (comando ET), le “real constants” (comando R, RMORE) e il materiale (comando MP), poi si è proceduto alla suddivisione delle circonferenze di base e di testa in un ugual numero di parti e delle quattro primitive che dividono l’area in altrettanti settori circolari (comando LESIZE).

(18)

Infine si è “meshata” l’area (comando AMESH). Nel caso di geometria cilindrica si sarebbe potuta creare l’area anche mediante traslazione di una circonferenza precedentemente definita (rispettivamente comandi CIRCLE e ADRAG).

Con l’utilizzo di questa modalità di costruzione della geometria bisogna prestare molta attenzione al modo in cui viene inserito l’elemento, a causa del fatto che il materiale ha caratteristiche diverse nelle varie direzioni. Si è detto che il sistema di riferimento del materiale (X = direzione fibre) è parallelo al sistema di riferimento del “layer” che a sua volta è definito dall’angolo di orientazione del “layer” e dal sistema di riferimento dell’elemento e, qualora l’elemento non venga montato nodo per nodo (come in questo caso), il sistema di riferimento e quindi l’asse x dell’elemento risulta parallelo all’asse x del “global cartesian”. Ora, è prassi per le strutture tubolari realizzate in composito asserire che le fibre sono orientate a 0° quando sono assiali cioè parallele all’asse di rivoluzione e a 90° quando sono circonferenziali ossia perpendicolari all’asse di rivoluzione. E’ chiaro che, volendo rispettare la convenzione, è necessario utilizzare l’asse x del “global cartesian” come asse di rivoluzione del tubo. Se per un qualsiasi motivo ciò non fosse stato fatto bisognerebbe, prima della “meshatura” e quindi della crezione degli elementi, definire un sistema di riferimento locale (comando LOCAL) orientato con l’asse x lungo l’asse del tubo e poi imporre che il sistema di riferimento dell’elemento sia orientato come quello locale appena definito (comando ESYS).

L’altro metodo, attuabile solo con geometrie semplici tipo queste, non prevede la creazione di un’area o di un volume e la seguente “meshatura”, ma la diretta creazione dei nodi (comandi N e NGEN), le successive definizioni dell’elemento e delle proprietà del materiale e infine la creazione degli elementi con il montaggio nodo per nodo (comandi E ed EGEN). In questo caso particolare la costruzione della geometria viene semplificata se, prima della creazione dei nodi, si attiva un sistema di riferimento globale cilindrico (comando CSYS,1). Questo metodo permette, giocando sulla sequenza dei nodi che delimitano l’elemento, di montare gli elementi a proprio piacimento senza alcun vincolo rispetto al sistema di riferimento globale e senza complicazioni aggiuntive. Questo non è del tutto vero, in quanto per elementi guscio a 4 nodi come la SHELL181 la creazione dei nodi risulta semplice (infatti, per questo elemento si è sempre adoperata tale metodologia), mentre per elementi guscio a 8 nodi, la necessaria non regolarità nella disposizione dei nodi ha fatto optare per il metodo precedente. Volendo adoperare questa modalità anche per la “shell” a 8 nodi si sarebbero dovuti generare i nodi come per la shell a 4 nodi e poi distruggere i nodi

(19)

centrali dell’elemento (distruggendo un nodo si e un nodo no in senso circonferenziale su una fila si e una no in senso assiale) con il comando NDELE.

Fig.5.9 Fig.5.10

La operazioni qui sopra descritte: costruzione della geometria, definizione dell’elemento e del materiale e la “meshatura”, così come la definizione dei vincoli di incastro alla base (selezione dei nodi all’incastro con il comando NSEL e annullamento di ogni loro grado di libertà con il comando D,ALL,ALL) sono operazioni comuni e necessarie a tutte le analisi che ci si appresta ad eseguire, pertanto più avanti si illustreranno le diverse procedure seguite sottintendendo la presenza di suddette operazioni.

5.2.4 Carichi e spostamenti imposti

I carichi o gli spostamenti imposti, che sono stati utilizzati nelle varie analisi, sono stati schematizzati e modellati nel seguente modo:

Carico assiale. La definizione del carico assiale (Fig.5.11) è molto semplice: si selezionano tutti i nodi della sezione libera di estremità (comando NSEL) e su ognuno di essi si pone un carico in direzione assiale (z) con modulo pari al carico totale diviso il numero di nodi selezionati (comando F).

NSEL,S,LOC,Z,L-0.001,L+0.001 F,ALL,FZ,-Ftot/NC Fig.5.11

(20)

Carico trasverso. Per il carico traverso (Fig.5.12) vale lo stesso discorso fatto per quello assiale con l’unica differenza della direzione (x anziché z).

NSEL,S,LOC,Z,L-0.001,L+0.001 F,ALL,FX,-Ftot/NC

Fig.5.12

Momento flettente. Per quanto riguarda il momento flettente (Fig.5.13) la procedura è leggermente più complicata. Per avere “pure bending” in un cilindro incastrato alla base bisogna applicare alla sezione libera un carico assiale con modulo che varia circonferenzialmente con il seno o con il coseno dell’angolo al centro. Si comincia selezionando i nodi della sezione libera come un gruppo “nuovo” (comando NSEL,S), si definisce pi greco (PI) e si crea un sistema di riferimento locale cilindrico con origine nel centro della circonferenza definita dalla sezione libera (comando LOCAL) orientato in modo da avere l’asse x in direzione radiale, l’asse y sempre nel piano della sezione (circonferenziale) e l’asse z diretto verso l’alto lungo l’asse del tubo; infine lo si attiva (comando CSYS). A questo punto di crea un ciclo *DO al cui interno si definisce una variabile THETA che varia da 0° a 360° con incremento pari a 360°/numero di nodi della sezione libera (si ricordi che se si è utilizzata la SHELL99, essendo una “8-node shell”, il numero di nodi in questa sezione sarà doppio rispetto al numero di elementi). Si esegue un’ulteriore selezione dall’insieme di nodi già definito (comando NSEL,R) in modo di selezionare all’interno di un ciclo un unico nodo con coordinata circonferenziale y crescente con THETA. Si definisce il modulo del carico assiale (Ny0) e la forza sul nodo selezionato in modo che vari appunto con il seno della coordinata circonferenziale (comando F). Si ridefinisce un nuovo insieme di nodi della sezione di testa in quanto dal precedente ne era rimasto solo uno e si chiude il ciclo (*ENDDO). Il ciclo verrà eseguito una volta per ogni nodo selezionato.

LOCAL,11,1,0,L,0,0,90 CSYS,11

NSEL,S,LOC,Z,-0.001,+0.001 PI = 4*ATAN(1)

(21)

*DO,THETA,0,360,360/NONTS NSEL,R,LOC,Y,THETA-0.01,THETA+0.01 Ny0=Mtot/(PI*Rmt**2) F,ALL,FY,Ny0*SIN(THETA*PI/180) NSEL,S,LOC,Z,-0.001,+0.001 *ENDDO Fig.5.13

Spostamento imposto. A volte può risultare comodo poter imporre uno spostamento (Dit = total imposed displacement) anziché un carico, ANSYS consente di farlo con la restrizione di applicare lo spostamento ad un solo nodo della struttura. Allora si è pensato, schematizzando una possibile e reale metodologia di carico, di definire un nodo nel centro della circonferenza della sezione di testa (comando N), di collegarlo tramite aste 3-D (elemento LINK8) ai nodi appartenenti alla stessa sezione e infine di imporgli uno spostamento orizzontale.

In dettaglio, creato il nodo centrale, si è definito l’elemento asta, le sue “real constants” (area sezione) e il materiale costituente (omogeneo e isotropo). Volendo che le aste fossero infinitamente rigide rispetto alla struttura in composito in modo che la loro deformabilità non condizionasse l’esito dell’analisi, si è dovuto attribuirgli un modulo di Young dello stesso ordine di grandezza del modulo di rigidezza estensionale della lamina (per esempio quello dell’acciaio) e una sezione di diametro elevato. Se si fosse optato, per raggiungere il medesimo fine, per una sezione inferiore e un modulo di rigidezza superiore, sarebbero sorti problemi di convergenza del metodo iterativo in caso di soluzione non-lineare. Poi per far si che un eccessivo peso delle aste non condizionasse l’esito dell’analisi, gli si è attribuita una densità tre ordini di grandezza inferiore rispetto al composito.

Per montare tutte le aste si è ricorso a un ciclo *DO all’interno del quale si è definita una variabile NONC (“circumferential number of nodes”) che varia da 1 a NC (numero di elementi circonferenziali = numero di nodi circonferenziali) con “step” di 1. Si è attivato l’elemento asta, le sue “real constants” e il materiale omogeneo appena definito (rispettivamente comandi TYPE, REAL e MAT). Ad ogni “step” del ciclo si crea un elemento asta tra il nodo centrale e un nodo circonferenziale appartenente alla sua stessa sezione (comando E). E’ stato possibile perché, avendo in questo caso

(22)

costruito il modello creando direttamente i nodi, si conosceva già il numero identificativo dei nodi interessati. Si è chiuso il ciclo (comando *ENDDO) e si è imposto lo spostamento orizzontale al nodo centrale (comando D).

N,10000,0,0,L ET,2,LINK8 R,2,50E-4 MP,EX,2,2E11 MP,ALPX,2,0 MP,DENS,2,1 *DO,NONC,1,NC,1 TYPE,2 REAL,2 MAT,2 E,10000,(NC*NL)+NONC *ENDDO Fig.5.14 D,10000,UX,Dit

5.3 Analisi modale

L’analisi modale si propone di determinare le frequenze proprie o naturali e i relativi modi propri di vibrare di una struttura. Le frequenze proprie sono quelle in cui si ha un valore costante della somma dell’energia cinetica e potenziale senza quindi alcun scambio con l’esterno. Nei continui esistono infiniti modi propri di vibrare mentre se si discretizza una struttura si ha un numero finito di modi propri di vibrare pari al numero n di gradi di libertà.

E’ stato ritenuto opportuno effettuare questo studio perché certe possibili applicazioni degli elementi tubolari, come ad esempio gli alberi delle barche a vela oppure alberi di sostegno per le apparecchiature radar su navi, hanno la necessità di avere la prima frequenza propria superiore a 2 Hertz per evitare pericoli di risonanza con il moto ondoso. In ANSYS l’analisi modale è esplicitamente lineare. Le non linearità come la plasticità o il contatto sono ignorate perfino se sono state definite. L’analisi modale può essere ricondotta a un problema agli autovalori e la determinazione delle prime frequenze proprie e i relativi modi propri coincide con l’estrazione dei primi autovalori e rispettivi autovettori dalla matrice dei coefficienti definita in (5.9). Nel caso in cui si trascuri lo smorzamento, l’equazione del moto scritta in forma matriciale assume la forma:

[ ]

M

{ }

u&& +

[ ]

K

{ }

u =0 (5.7) Dove

[

M

]

indica la matrice di massa del sistema,

[ ]

K la matrice di rigidezza (può includere anche i “prestress effect”),

{

u&&

}

il vettore delle accelerazioni e

{ }

u il vettore degli spostamenti. Per

(23)

un sistema lineare le vibrazioni libere saranno armoniche, cioè gli spostamenti avranno la seguente forma:

{ } { }

u = φ icosωit (5.8) Dove

{ }

φ i è l’i-esimo autovettore che rappresenta il modo proprio associato all’i-esima pulsazione naturale ωi e t è il tempo. Sostituendo l’equazione (5.8) nell’equazione (5.7) si presenta il classico problema agli autovalori:

[ ]

[ ]

(

K −ωi2 M

)

{ } { }

φ i = 0 (5.9) Il sistema omogeneo possiede soluzioni non banali nel caso in cui esistano valori ωi che annullano il determinante

[ ]

K i

[ ]

M

2 ω

− . In realtà il programma non fornisce come “output” le pulsazione proprie ωi [rad/sec], ma le frequenze proprie fi [1/sec] che sono:

π ω 2 i i f = (5.10)

Gli autovalori e gli autovettori del sistema sono n, dove n indica il numero di gradi di libertà della struttura. Risulta quindi necessario disporre di metodi per l’estrazione degli autovalori e autovettori e si può decidere se estrarli tutti o solo i primi p, con p<n. In ANSYS si può scegliere tra diversi metodi di estrazione degli autovalori e degli autovettori associati: Block Lanczos (default), Subspace Iteration, PowerDynamics, Reduced, Unsymmetric, Damped e QR Damped. Gli ultimi due consentono di includere anche lo smorzamento.

Si è scelto di utilizzare il Subspace Iteration o metodo di iterazione del sottospazio in quanto è molto efficace nella ricerca degli autovalori più bassi di un sistema complesso ad molti gradi di libertà. Si esegue un’iterazione contemporanea di più vettori, al fine di estrarre dall’insieme dei vettori ad n componenti, quel gruppo di p<n vettori che rappresenta gli autovettori corrispondenti ai valori più bassi dei rispettivi autovalori. Si inizia con q>p vettori, dove p è il numero degli autovalori e autovettori desiderati. Si segue l’iterazione nello stesso modo del metodo della potenza, ma sui q vettori contemporaneamente in modo da estrarre i primi p autovalori e autovettori. I vettori di ordine più basso tendono a convergere più rapidamente. Infine si verifica con la sequenza di Sturm che siano stati trovati proprio i primi p autovalori.

In ANSYS la procedura per attivare un’analisi di questo tipo è abbastanza semplice ed è così composta:

(24)

1. Definizione dei parametri. Necessaria qualora si voglia creare un’analisi di tipo parametrico.

2. Creazione del modello. La creazione del modello consiste nelle seguenti operazioni: si entra nel pre-processore, si costruisce la geometria, si definisce l’elemento, le proprietà del materiale, si esegue la“mesh” e infine si definiscono vincoli e carichi. Si esce dal pre-processore (comando FINISH).

3. Analisi modale. Si entra in ambiente di soluzione (comando /SOLU), si specifica che si sta compiendo un’analisi modale (comando ANTYPE,MODAL), si definisce il metodo di estrazione degli autovalori scelto e il numero degli autovalori da estrarre (comando MODOPT,SUBSP,p). Si risolve (comando SOLVE) e si esce dal solutore.

4. Espansione dei modi propri. Se si desidera rivedere i modi propri di vibrare associati alle frequenze proprie, è necessario espandere la soluzione senza badare a quale tipo di metodo di estrazione degli autovalori si è usato. Nel caso del “subspace iteration method”, che utilizza matrici complete del sistema, si può pensare all’espansione semplicemente come a un mezzo per specificare di salvare i modi propri di vibrare nel file dei risultati. Per espandere i modi propri si entra ancora una volta nel solutore, si attiva l’espansione dei modi propri (comando EXPASS,ON) e si specifica il numero di modi da espandere con il comando MXPAND,p (di “default” viene posto al numero di autovalori estratti). Si definiscono le opzioni dello “step” di carico, si risolve e si esce dal solutore.

5. Visualizzazione dei risultati. Per visualizzare i valori numerici degli autovalori cercati (comando SET,LIST) si deve prima entrare nel post-processore generale (comando /POST1). Nel solito ambiente è poi possibile caricare uno degli autovalori cercati (sempre tramite il comando SET) e poi visualizzare la deformata ossia l’autovettore associato (comando PLDISP) oppure una sequenza animata di quel modo proprio di vibrare (comando ANMODE).

5.4 Analisi Statica lineare

Compiere un’analisi statica lineare significa costruire un modello, applicare un carico (forza, momento o pressione), uno spostamento imposto non nullo, una differenza di temperatura o forze inerziali costanti (come la gravità o velocità rotazionali), risolvere e osservare il comportamento della struttura (ad esempio se resiste o meno al carico imposto), le reazioni, gli spostamenti, lo stato di tensione e deformazione etc. Il fatto che l’analisi sia lineare implica l’esclusione di qualsiasi

(25)

non-linearità geometrica (come grandi spostamenti, grandi deformazioni, irrigidimento da sforzo, problemi di contatto etc.) o del materiale (come plasticità, creep, elasticità non lineare).

Per quanto riguarda il caso in esame, con quanto è stato detto sinora, si possiedono quasi tutti gli strumenti per eseguire un’analisi di questo tipo. Si ripercorra brevemente l’iter seguito:

1. Definizione dei parametri. Necessaria qualora si voglia creare un’analisi di tipo parametrico.

2. Creazione del modello. La creazione del modello consiste nelle seguenti operazioni: si entra nel pre-processore, si costruisce la geometria, si definisce l’elemento, le proprietà del materiale, si esegue la“mesh” e infine si definiscono vincoli e carichi. Si esce dal pre-processore.

3. Analisi statica. Si entra in ambiente di soluzione (comando /SOLU), si specifica che si sta compiendo un’analisi statica (comando ANTYPE,STATIC). Si risolve (comando SOLVE) e si esce dal solutore.

4. Definizione del criterio di “failure”. Si è già visto precedentemente come definire un criterio di resistenza (cap.4.1.3). Si ricordi solo che qualora si usi la famiglia di comandi TB, il criterio di “failure” va definito all’interno del solutore, mentre nel caso in cui si optasse per i comandi FC va definito nel post-processore generale.

5. Visualizzazione dei risultati. Si stampano e/o si “plottano” tensioni, deformazioni e criteri di resistenza. In questo tipo di analisi si è anche visualizzata la deformata (comando PLDISP) e si sono stampati gli spostamenti in direzione del carico (comando PRNSOL,U).

5.5 Analisi statica non lineare

Rispetto all’analisi statica lineare viene introdotta qualche non-linearità geometrica o del materiale. Nel caso dei pali in composito, l’unica non-linearità considerata è quella relativa ai grandi spostamenti o rotazioni, infatti si suppone che le deformazioni di origine meccanica rimangano sempre piccole (elastiche). Entrano in questa categoria tutti quei casi in cui non è più possibile scrivere le equazioni di equilibrio nella configurazione indeformata che comunque subiscono deformazioni molto limitate. Questa tipologia di analisi può essere attivata in elementi che prevedono questa opzione tramite il comando NLGEOM,ON.

(26)

5.6 Analisi di buckling lineare

L’analisi di “buckling”, ossia di instabilità a compressione, è una tecnica usata per determinare i “buckling loads”, cioè i carichi critici a cui la struttura diventa instabile e le “buckled mode shapes”, le deformate caratteristiche associate alle risposte della struttura instabilizzata.

In ANSYS sono disponibili due tecniche atte a predire il carico critico e la deformata associata: l’analisi a “buckling” lineare o agli autovalori, e l’analisi a “buckling” non-lineare. Dato che i due metodi sono completamenti differenti, succede spesso che conducano a risultati diversi.

L’analisi a “buckling” lineare predice un carico critico teorico o il cosiddetto “bifurcation point” di una struttura ideale con comportamento perfettamente lineare elastico (Fig.5.15). Si chiama anche “buckling” agli autovalori in quanto, per questo tipo di analisi, trovare i carichi critici, significa trovare gli autovalori che annullano la matrice dei coefficienti e trovare le deformate caratteristiche associate alle risposte della struttura instabilizzata, significa trovare gli autovettori associati agli autovalori precedentemente individuati.

Fig.5.15

Matematicamente il problema agli autovalori per il buckling lineare può essere così definito:

[ ]

[ ]

(

Ki S

){ }

ψ i =

{ }

0 (5.11) dove

[ ]

K è la matrice di rigidezza, λi è l’i-esimo autovalore,

[ ]

S è la matrice di “stress stiffening” e

{ }

ψ i è l’i-esimo autovettore degli spostamenti.

Questo approccio corrisponde al metodo riportato solitamente nei libri di testo e , per una trave, il risultato coincide con la soluzione di Eulero. Comunque, imperfezioni e non-linearità fanno si che questa tipologia di analisi porti spesso a risultati non cautelativi e la rendono poco adatta allo studio di moderni problemi ingegneristici.

(27)

1. Definizione dei parametri. Necessaria qualora si voglia effettuare un’analisi di tipo parametrico.

2. Creazione del modello. La creazione del modello consiste nelle seguenti operazioni: nel pre-processore si costruisce la geometria, si definisce l’elemento, le proprietà del materiale, si esegue la“mesh” e infine si definiscono vincoli e carichi.

3. Analisi statica preliminare. Nel solutore si specifica di voler effettuare un’analisi di tipo statico, si include l’effetto “pre-stress” (comando PSTRESS,ON) dato che la “linear buckling analysis” richiede il calcolo di

[ ]

S e si risolve il tutto.

4. Analisi a “buckling” lineare. Si rientra nel solutore e si dichiara di voler svolgere un’analisi a “buckling” lineare (comando ANTYPE,BUCKLE). Si sceglie il metodo di estrazione degli autovalori (tra il Block Lanczos e il Subspace Iteration) e il numero di autovalori da estrarre (comando BUCOPT,SUBSP,p) e si scelgono le opzioni dello “step” di carico come l’output controls o le opzioni di espansione (OUTPR,NSOL,ALL).

5. Espansione dei modi propri. Se si desidera visuializzare le deformate associate ai carichi critici, è necessario espandere la soluzione indipendentemente dal tipo di metodo di estrazione degli autovalori usato. Nel caso del “subspace iteration method”, che utilizza matrici complete del sistema, si può pensare all’espansione semplicemente come a un mezzo per specificare di salvare le “buckled mode shapes” nel file dei risultati. Per espandere i modi propri si entra ancora una volta nel solutore, si attiva l’espansione dei modi propri (comando EXPASS,ON) e si specifica il numero di modi da espandere con il comando MXPAND,p (di “default” viene posto al numero di autovalori estratti). Si definiscono le opzioni dello “step” di carico, si risolve e si esce dal solutore.

6. Visualizzazione dei risultati. Nel post-processore generale, per stampare i valori numerici degli autovalori estratti, ossia dei primi carichi critici, si utilizza il comando SET,LIST, mentre per “plottare” la deformata della struttura caratteristica di un singolo “buckling load” (comando PLDISP), bisogna prima caricare il carico critico desiderato (sempre con il comando SET). E’ infine possibile “plottare” o stampare l’andamento delle tensioni e delle deformazioni e i valori degli spostamenti (comandi PLNSOL, PLESOL, PRNSOL e PRESOL).

E’ importante notare che gli autovalori estratti non sono propriamente i carichi critici, ma fattori di carico a “buckling”, ossia coincidono con i carichi critici solo nel caso in cui il modulo del carico imposto sia uguale a 1. Qualora però il primo carico critico sia molto grande, utilizzare 1 come carico e quindi come valore iniziale del processo iterativo, può implicare il mancato raggiungimento della convergenza o lunghi tempi di calcolo. In questi casi è bene utilizzare carichi più elevati (ad

(28)

es. 100 o 1000), ricordando che, per trovare i carichi critici, sarà necessario dividere gli autovalori estratti per il modulo del carico utilizzato. Esiste anche un limite massimo ammissibile per un autovalore che è . Se un qualsiasi autovalore supera tale soglia è necessario utilizzare carichi di partenza più elevati. Si ricordi che, in questo tipo di analisi, qualsiasi non-linearità definita viene ignorata.

6

10

5.7 Analisi a buckling non lineare

“Non-linear buckling analysis” garantisce di solito una soluzione più accurata in confronto con la corrispondente analisi lineare ed è perciò più adatta per la progettazione e la verifica delle strutture moderne. Questa tecnica impiega un’analisi statica non-lineare con carichi gradualmente crescenti in modo da individuare il livello di carico (critico o limite) a cui la struttura diventa instabile (Fig.5.16).

Fig.5.16

In pratica, un’analisi a “buckling” non-lineare è un’analisi statica, in cui è stata attivata la modalità per i grandi spostamenti (comando NLGEOM,ON), estesa fino al punto in cui la soluzione comincia a divergere. Usando questa tecnica è possibile includere nel modello qualsiasi non-linearità geometrica (come grandi spostamenti, grandi deformazioni, “stress stiffening”, problemi di contatto etc.) o del materiale (come plasticità, creep, elasticità non lineare). In più, adoperando la tipologia di carico in controllo di spostamento, è talvolta possibile tracciare il comportamento “post-buckling” della struttura, cosa che può risultare utile quando ad esempio la struttura raggiunge, dopo l’instabilità, una nuova configurazione stabile (questa tipologia di “buckling” viene chiamato “snap-through buckling”).

Il manuale di ANSYS non è molto chiaro sulla metodologia da adoperare per il pratico utilizzo di questa tecnica. E’ sempre necessario utilizzare carichi o spostamenti imposti superiori a quelli richiesti per instabilizzare la struttura. Conviene utilizzare un solo “loadstep” (comando TIME,1; comunque può anche non essere specificato in quanto questa è l’impostazione di “default”) e

(29)

suddividerlo in molti “substeps” (comando NSUBST). L’incremento del carico o dello spostamento imposto (e quindi il numero di “substeps”) condiziona la precisione del risultato e il tempo di calcolo. Un maggior numero di “substeps” (e quindi un minor incremento di carico) comportano maggior precisione della soluzione e tempi di calcolo più lunghi. E, dato che un carico critico rappresenta un massimo nella curva carico/spostamento, è anche possibile che, utilizzando un incremento troppo grossolano, il processo iterativo (Newton-Raphson o un criterio derivato) “salti” il punto cercato convergendo su un altro massimo locale o non convergendo affatto (dipende dalla forma della curva). Si evita completamente il problema attivando o il “time stepping” o il “load stepping” automatico (comando AUTOTS,ON). Nel caso in cui questo comando venga utilizzato con comandi come NSUBST o DELTIM (consente di specificare la dimensione dello “step” di tempo da essere utilizzato in questo “loadstep”), il programma prova ad aumentare o diminuire la dimensione dei “substeps” di carico o di tempo per arrivare alla soluzione con un minor numero di iterazioni e quindi di tempo.

Solitamente in un’analisi a “buckling” non-lineare accade che, se la soluzione non converge al carico imposto, il programma biseziona l’incremento di carico e cerca una nuova soluzione a un carico più basso. Ogni fallimento di convergenza è tipicamente indicato dal messaggio “negative pivot”. Tali messaggi indicano che il carico di prova ha uguagliato o superato il carico critico e possono normalmente essere trascurati se il programma raggiunge la convergenza a un carico inferiore rispetto a quello definito dall’utente. Accade spesso che il processo iterativo venga bloccato per eccessiva distorsione di un elemento o per soluzione non arrivata a convergenza. Solitamente i valori forniti con tale processo di arresto risultano essere comunque una buona approssimazione del primo carico critico e non frutto di instabilità numerica. Ma qualora si desiderasse, per migliorare la precisione del calcolo, la convergenza della soluzione a un carico più basso di quello imposto, si può aumentare il numero di “substeps” utilizzati.

Il metodo sinora illustrato presenta due inconvenienti: il primo, di non ottenere direttamente il carico critico, deriva dal fatto di non controllare direttamente il carico imposto (utilizzando l’ “automatic time stepping”, se il programma non converge al carico imposto, biseziona l’incremento di carico fino a convergere a un carico più basso); il secondo è quello di non sapere se la soluzione non arrivata a convergenza rappresenta realmente il carico critico o se è da considerare il frutto di un’instabilità numerica. Entrambi i problemi sono stati risolti per i casi in esame (elemento tubolare in materiale composito conico o cilindrico incastrato alla base con carico assiale o trasverso applicato all’estremità libera) con un’unica metodologia.

Si prenda ad esempio una trave incastrata alla base e caricata all’estremità libera. Perché sia garantito l’equilibrio in ogni momento le reazioni vincolari alla base devono essere sempre uguali ed opposte al carico applicato in punta. Quindi qualora fosse applicato un carico assiale si avrà una

(30)

reazione assiale nel nodo all’incastro uguale ed opposta, mentre qualora fosse applicato un carico traverso si avrà una reazione in direzione trasversa nel nodo all’incastro uguale ed opposta. In ANSYS le reazioni sono sempre memorizzate nel file della soluzione e di conseguenza si troverà il carico critico di una struttura incastrata utilizzando la reazione vincolare in direzione del carico cambiata di segno. C’è da tenere presente però che, in un calcolo non-lineare, il modulo della reazione varia durante il processo di carico: parte da zero e cresce, se la struttura instabilizza, raggiunge un massimo e poi decresce, se no continua ad aumentare. Quindi bisogna salvare il valore della reazione ad ogni “substep” (comando OUTRES,ALL,ALL). Dato che come si è anticipato, il carico critico coincide col massimo, stampando o “plottando” la storia reazione-freccia, si riesce a trovare il carico critico e la corrispettiva freccia critica. Non solo, dall’analisi di questo andamento si riesce anche a capire se la divergenza della soluzione è il frutto di un’instabilità numerica o geometrica. Così facendo si sono risolti entrambi gli inconvenienti.

Per una shell cilindrica o conica, il procedimento non cambia, solo che all’incastro si avranno molti nodi. In questo caso, per ottenere il “buckling load” basterà sommare le reazioni dei nodi all’incastro con la medesima direzione del carico e cambiargli di segno. L’operazione è semplificata nel caso in cui si costruisca il modello direttamente inserendo nodi ed elementi, in quanto si conoscono i numeri che identificano i nodi all’incastro.

E’ importante ricordare che, qualora si effettui un’analisi a “buckling” non-lineare con carico perfettamente “in piano”, come accade nel caso del carico assiale per il palo incastrato, è possibile che il carico critico non venga ottenuto. Ciò è dovuto al fatto che la struttura definita nel modello, a differenza della realtà, è ideale, priva di difetti, e la risultante del carico è perfettamente centrata rispetto all’asse. Di conseguenza la struttura non subisce quel piccolo spostamento in direzione traversa necessario per innescare il “buckling”. In pratica un piccolo spostamento dall’asse si verrebbe inevitabilmente a creare a causa di una disomogeneità del materiale o di un carico leggermente eccentrico. Si può riprodurre nel modello queste disomogeneità del materiale e del carico, ad esempio aggiungendo una piccola forza fittizia trasversa instabilizzante (con modulo tre o quattro ordini di grandezza inferiore al carico imposto), in modo da non pregiudicare l’esito dell’analisi.

La procedura da seguire per effettuare un’analisi a “buckling” non-lineare è questa:

1. Definizione dei parametri. Necessaria qualora si voglia creare un’analisi di tipo parametrico.

2. Creazione del modello. La creazione del modello consiste nelle seguenti operazioni: Nel pre-processore, si costruisce della geometria, si definisce l’elemento, le proprietà del materiale, si esegue la“mesh” e infine si definisce vincoli e carichi (con carico si intende

(31)

o un carico effettivo (forza, momento, pressione, etc.) o uno spostamento imposto, l’importante è che sia maggiore del “buckling load”). Si esce dal pre-processore.

3. Analisi a “buckling” non-lineare. Nel solutore, si specifica che si sta compiendo un’analisi statica, si attiva la modalità di grandi spostamenti e l’ “automatic time stepping” e si definisce il numero di “substeps”. Si risolve e si esce dall’ambiente di soluzione.

4. “Load/deflection history”. Nel “time-history post-processor” (comando /POST26), si definisce il numero massimo di variabili in modo che sia maggiore del numero effettivamente impiegato (comando NUMVAR) e si specifica di memorizzare come variabile lo spostamento di un nodo della sezione libera in direzione del carico (comando NSOL). Questo spostamento coincide con la freccia. Poi si definiscono come variabili tutte le reazioni dei nodi della sezione di incastro in direzione del carico (comando RFORCE) e le si sommano fino ad ottenere un’unica variabile (comando ADD). Si cambia il segno alla somma delle reazioni, essendo opposte al carico, moltiplicandola per -1 (comando PROD). Il valore di quest’ultima variabile coincide con quello del carico applicato. Si stampano i valori numerici del carico applicato e della freccia (comando PRVAR). Infine, volendo “plottare” l’andamento load/deflection, si definicono le etichette dei due assi (comando AXLAB), si definisce la variabile (freccia) da mettere in ascisse (comando XVAR) e si comanda di graficare l’andamento del carico rispetto alla freccia (comando PLVAR).

I limiti di questa analisi, derivanti proprio dal modo in cui è costituita, sono quello di trovare solo il primo carico critico (che comunque è quello più interessante) e quello di non poter visualizzare direttamente la deformata associata al carico critico, come invece è possibile fare nell’analisi a “buckling” lineare. Qualora fosse necessario visualizzare la deformata, una volta ottenuti il carico e la freccia critici dall’analisi a “buckling” non-lineare, è necessario compiere un’analisi statica non-lineare in controllo di carico o di spostamento con moduli del carico o dello spostamento imposto leggermente inferiori a rispettivi valori critici.

Riferimenti

Documenti correlati

Aggiudicazione provvisoria dell’affidamento del servizio di ingegneria per la redazione e attestazione di prestazione energetica (APE) presso 115 unità

Precisato che la limitazione del funzionamento degli apparecchi in oggetto dalle ore 12.30 alle ore 14.30 e dalle ore 23.00 alle ore 10.00 ha come obiettivo la riduzione dei

Valutato di garantire, dal 12 al 25 marzo 2020, il pieno svolgimento delle sole attività e dei soli servizi ritenuti indifferibili da rendere in presenza, come elencato

ritorna infatti il carattere premuto sulla tastiera al momento della sua chiamata; quando non è premuto (o non è stato premuto) alcun tasto, INKEY$ assegna alla

[r]

[r]

[r]

[r]