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CONCLUSIONI Terminata la nostra analisi sulla previdenza complementare italiana, cogliamo lo spunto per fare alcune riflessioni conclusive

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Academic year: 2021

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7. CONCLUSIONI

Terminata la nostra analisi sulla previdenza complementare italiana, cogliamo lo spunto per fare alcune riflessioni conclusive.

E’ un fenomeno acclarato, seppur anch’esso non esente da critiche, che il livello della pensione pubblica che le giovani generazioni riceveranno in futuro sarà molto inferiore rispetto a quello percepito dai loro padri e dai loro nonni e dunque ci pare condivisibile lo sforzo di formare un sistema di previdenza complementare che riesca a supplire a tale mancanza, e questa del resto è la strada suggerita anche in ambito UE.

Ciò che però non possiamo non sottoporre ad alcune critiche, è il modo con cui si è proceduto a tale riforma, in particolare riguardo l’istituto del conferimento del TFR alla previdenza complementare.

Da un punto di vista qualitativo, previsioni come quelle del “silenzio – assenso”, della irreversibilità della scelta, dell’indisponibilità immediata della posizione maturata in caso di licenziamento, della non completa portabilità del contributo del datore di lavoro, non possono non destare perplessità, in quanto fonti di una rigidità che può compromettere seriamente lo sviluppo del settore e sfavorirne peraltro anche la concorrenzialità; ci auguriamo perciò una loro modifica in tal senso.

Da un punto di vista quantitativo, i vantaggi finanziari sono comunque di natura aleatoria e di difficile previsione; quanto poi a quelli fiscali e contributivi, seppur apprezzabili nell’intenzione, non si può non notare come essi, nella loro struttura attuale, non risultino decisivi, specie per le categorie che dovrebbero essere le più agevolate dalla riforma e che invece risultano essere le meno favorite rispetto alle altre.

Tra le varie forme di destinazione del TFR, la più favorevole è indubbiamente quella ai fondi negoziali, sia perché le commissioni di gestione sono mediamente più basse sia perché ci si può avvalere del contributo datoriale: ma anche in quel caso, abbiamo visto che piccoli differenziali di rendimento possono annullare i vantaggi.

Si potrebbe discutere persino sul perché della scelta che rappresenta il titolo di questo lavoro:

in definitiva, perché obbligare a scegliere tra TFR e fondo pensione? Si sarebbe potuto prevedere di conservare il TFR e aggiungere poi una struttura di contribuzione volontaria sulla base degli accordi collettivi a un fondo negoziale anziché porre un bivio netto oltre che irreversibile.

Inoltre, non è vero neppure il messaggio che tenersi il TFR significhi rinunciare a una pensione integrativa: giunti al pensionamento, la liquidazione può comunque essere convertita

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in una rendita vitalizia, cosa fattibile con una qualunque compagnia di assicurazione sulla vita; oppure semplicemente investita in titoli di Stato che offrono cedole a intervalli regolari come i BTP o i CCT.

Alla luce di tutte queste osservazioni, riteniamo che l’approccio alla previdenza complementare dovrebbe essere rivisto e migliorato, nel senso di una maggiore trasparenza, correttezza nell’informazione, libertà di scelta ed equità di trattamento fiscale e contributivo;

tutto questo dovrebbe poi essere accompagnato da una maggiore educazione finanziaria dei lavoratori, che li aiuti a compiere le loro scelte in maniera più consapevole ed autonoma, anziché essere indirizzati con modalità che possono apparire paternalistiche e non del tutto disinteressate.

Comunque la scelta cruciale resta appannaggio esclusivo del lavoratore; noi abbiamo solo cercato nel nostro lavoro di offrire una panoramica su quelli che sono gli elementi fondamentali per addivenire ad una decisione consapevole, il lavoratore sceglierà poi sulla base di quella che è la sua più o meno alta propensione al rischio, le sue aspettative, le sue condizioni economico – sociali, l’osservazione della gestione, dei risultati e dei costi delle varie forme di previdenza complementare a sua disposizione.

A titolo di cronaca, la COVIP (2008) informa che il tasso di adesione alla previdenza complementare da parte dei lavoratori dipendenti del settore privato è passato dal 15% di fine 2006 al 24.6% di fine 2007: un risultato visto con molta soddisfazione dai fautori della previdenza complementare, ma lontano dall’obiettivo del 40% ventilato dal ministro del lavoro Cesare Damiano; inoltre tale dato comprende anche le adesioni con modalità tacita (eccetto quelle per FONDINPS) per cui sarebbe interessante invece conoscere precisamente il numero di coloro che hanno aderito espressamente.

Sul “Corriere della Sera”, inserto “Finanza”, del 15/04/2008, si legge che la performance dei fondi pensione del primo trimestre 2008, a causa dell’andamento avverso dei mercati finanziari, sono state piuttosto deludenti: i peggiori sono stati i comparti azionari (ad esempio -11.3% del fondo Previvolo bilanciato azionario, -10.2% dell’azionario Fopen) e anche gli obbligazionari e monetari hanno risentito delle perdite sulle obbligazioni societarie ( -2.3%

fondo Fonchim monetario), meglio sono andate le linee garantite, dove almeno non si registrano delle perdite.

Inoltre si dice che “i rendimenti deludenti non aiutano l’incremento delle adesioni che nei primi tre mesi sono aumentate solo dell’1.7%.... la spinta propulsiva della riforma del TFR sembra essersi esaurita e alcuni fondi registrano addirittura un saldo negativo: le nuove adesioni non compensano le uscite”.

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A quali riflessioni giunge il presidente della COVIP, Luigi Scimia?

Eccolo: “Il bilancio dei primi tre mesi è inevitabilmente negativo, anche se le performance degli strumenti previdenziali devono essere valutate nel lungo periodo”.

Poi se la prende con l’avidità dei gestori: “In uno scenario di rendimenti bassi, se non negativi, non è ammissibile che i compensi dei gestori finanziari siano fissi, a prescindere dai risultati ottenuti...” e ipotizza processi di fusione fra i fondi rivolti alla stessa categoria perché

“una dimensione maggiore permette di ottenere economie di scala e ridurre i costi”.

Per finire, suggerisce dei cambiamenti strutturali alla riforma Maroni: “Bisogna pensare a qualche misura per aumentare la convenienza della previdenza complementare. Per esempio consentire a chi conferisce il TFR di cambiare successivamente idea, o migliorare ulteriormente il trattamento fiscale...”.

In questo caso, evidentemente, siamo perfettamente d’accordo con lui.

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