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Cosa intendiamo per pronome? La grammatica tradizionale (Serianni 1989) definisce il pronome un elemento che fa le veci del nome rappresentandolo negli stessi valori grammaticali di genere e numero

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2. I PRONOMI IN ITALIANO

2.1. Perché studiare i pronomi?

Lo studio sull’acquisizione del sistema dei pronomi personali georgiani e albanesi, da cui derivano i dati che formano l’oggetto di questo lavoro.

L’ipotesi di studio verte sull’acquisizione dei sistemi pronominali, in una prospettiva sincronica, con una comparazione tra l’italiano ed il georgiano prima, e dopo dell’italiano e l’albanese.

Nello specifico, l’obiettivo del percorso che vorremmo di dimostrare è introdurre lo studio dei pronomi che tenga conto del loro aspetto morfologico, del loro comportamento sintattico e dell’interazione tra i due livelli di analisi. In particolare introdurrò poi in seguito la categoria di

“pronome debole”, facendo particolare riferimento ai lavori di Cardinaletti e colleghi (Cardinaletti 1991; Cardinaletti 1996; Cardinaletti e Starke 1999, per citare i principali).

2.2. Cosa intendiamo per pronome?

La grammatica tradizionale (Serianni 1989) definisce il pronome un elemento che fa le veci del nome rappresentandolo negli stessi valori grammaticali di genere e numero.

La grammatica tradizionale, poi, suddivide la classe dei pronomi in pronomi personali, riflessivi, possessivi, dimostrativi, interrogativi, relativi, indefiniti, rendendola molto eterogenea.

La grammatica generativa, modello teorico elaborato da Chomsky e dai suoi allievi, si propone di ridimensionare questa eterogeneità e considera pronomi solamente quelli personali in cui comprende la classe dei pronomi riflessivi in quanto anch’essi, come i pronomi personali, sono differenziati in base alla persona grammaticale.

2.2.1. Rapporti di referenzialità

Proprietà intima dei pronomi è la possibilità di assumere una referenza diversa ogni volta che vengono usati. Per recuperare il contenuto

(2)

semantico che il pronome ha temporaneamente assunto su di sé, bisogna rintracciare l’elemento cui si riferisce.

Questo elemento designato dai pronomi, che chiameremo referente, fa parte del reale (dove con reale intendiamo tutto ciò che è pensabile, oltre a ciò che è tale in senso stretto); il pronome può designarlo in due modi diversi: o direttamente (ad esempio vedo un uomo e dico È lui!), oppure può legarsi all’espressione pienamente referenziale, presente nel contesto linguistico (come in ho comprato la carne ma non la cucinerò stasera), che ha già designato o evocato questo elemento: da questa espressione referenziale desume il significato semantico pieno che esso non sarebbe in grado di fornire (abbiamo visto che i pronomi si limitano a fornirci un paio di coordinate relative a genere e numero).

I pronomi possono quindi assumere un contenuto semantico con due modalità differenti: rinviando esoforicamente al referente, designandolo direttamente; oppure legandosi ad un’espressione referenziale che designa un oggetto del reale (modalità di rinvio endoforico, comunemente detta di rinvio anaforico).

In lingue quali l’italiano e lo spagnolo per esempio dove è ammessa l’omissione del soggetto (che segneremo con Ø). Ciò è reso possibile dalla loro ricca morfologia verbale. L’espressione del soggetto non è tuttavia definibile come “facoltativa”. Se osserviamo le frasi (5), (6) e (7) ci accorgiamo infatti che l’espressione del soggetto è sì in alcuni casi facoltativa, ma in altri impossibile e in altri ancora obbligatoria.

(1) Voi/Ø volete venire in montagna?

(2) *Esso piove.

(3) Ø Piove.

ll sistema pronominale di molte lingue indoeuropee mantiene la caratteristica morfologica della distinzione di caso. Tra le lingue studiate in questa classe, quelle che marcano i casi con morfologia nominale (ovvero tramite desinenze) sono il latino e il tedesco, ma se allarghiamo il raggio d’analisi scopriamo che il francese antico distingueva morfologicamente

(3)

due casi e tra le lingue vive con flessione nominale possiamo ricordare le lingue slave e il rumeno.

Sistematicamente queste lingue distinguono i pronomi in una serie nominativa (pronomi soggetto) e una (per alcune lingue anche più di una) obliqua, dove per pronome obliquo intendiamo “non soggetto” (abbiamo lingue che distinguono oggetto diretto/indiretto, altre che hanno invece un’unica serie di pronomi complemento, che usano senza preposizione per il caso diretto e con preposizione per gli altri casi).

2.3. Acquisizione del sistema pronominale nella L2

Nelle prime fasi dell’apprendimento dell’italiano i clitici non compaiono; essi vengono acquisiti lentamente in quanto costituiscono un

“sottosistema morfologico di alta complessità e ‘marcatezza’.

Il primo studio che propone una sequenza di apprendimento per l’italiano L2 è quello di Monica Berretta1 sui pronomi clitici (cioè atoni; es:

mi, ti, si, gli, lo), un sottosistema morfologico piuttosto complesso, marcato, caratteristico di alcune lingue romanze e comprendente forme con collocazione sintattica varia (pre o post- verbale: ti scrivo; scrivimi), bassa salienza fonica, il cui paradigma è talora semplificato nella stessa lingua parlata dei nativi (usi di gli come clitico dativale di 3a persona sing. e plur., anche al posto di le f. e loro pl.); lo statuto dei clitici è oggi incerto, oscillando fra quello di pronome e quello di marca sul verbo di suoi argomenti (spesso oggetto diretto o indiretto).

Si comprende allora perché i clitici non compaiono nelle prime fasi dell’apprendimento dell’italiano e vengano acquisiti lentamente (pure nell’italiano L1 si constatano omissioni ed errori nelle forme scelte; più rari, in cui vi sono gli errori di collocazione); nell’italiano L2 si evidenzia la seguente scala implicazionale per l’acquisizione dei clitici, che risulta molto simile a quella relativa alla loro acquisizione nell’italiano L1 dei bambini e, si noti, diversa dall’ordine della loro frequenza nell’italiano parlato:

1 Berretta 1986; cit. in Giacalone Ramat (a cura di).

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ci (+ essere) forse inanalizzato > mi dativo > mi riflessivo > si impersonale/passivante > si riflessivo > ti > lo flesso (lo>la>li>le) > nessi di clitici come me lo/te lo (non sempre analizzati) > ci locativale > dativi di 3° persona > ci/vi di 1° persona plurale e di 2° persona plurale > ne in nessi > ne partitivo > ne accusativo genitivale > ne locativo.2

I clitici compaiono come forme analizzate nelle fasi più avanzate e solo allora iniziano ad essere parte del sistema linguistico acquisito dagli apprendenti.

Mentre i pronomi tonici non destano negli apprendenti particolari problemi, i pronomi atoni sono di difficile acquisizione. La spiegazione proviene dalla loro scarsa salienza fonica, dalla loro marcatezza formale e sintattica. Questa marcatezza spinge coloro che stanno imparando l’italiano come seconda lingua a evitarne l’uso per lungo tempo o a sostituirli con forme pronominali piene (ad esempio principe ha visto lei), Berretta 1990e;

cit. in Giacalone Ramat 2003, p. 62.

A spiegazione della sequenza sopra indicata, nell’input si invocano più della frequenza fatti semantici e pragmatici e gerarchie tipologiche universali di “basicità” (o viceversa di marcatezza): per esempio, la minor marcatezza dei pronomi di 1a e 2a persona, dei casi dativo e accusativo rispetto a genitivo e locativo, del maschile sul femminile, del singolare sul plurale.

Infatti nello schema precedente, a parte il primo clitico (presente in c’è), troviamo clitici differenti riferiti alla 1a persona (al dativo e poco dopo alla 2a, clitici oggetto della terza (nellì’ordine: lo>la>li>le, conforme alle gerarchie di basicità di genere e numero), mentre sono più tardive forme locati vali (ci abito) o genitivali (non ne vedo l’ora) più marcate per caso.

L’interferenza da L1 è marginale, ma può esservi un effetto facilitante nel caso di L1 vicine all’italiano dotate di clitici (spagnolo).

I clitici compaiono come forme analizzate nelle fasi più avanzate e solo allora iniziano ad essere parte del sistema linguistico acquisito dagli apprendenti.

Dal punto di vista morfosintattico, l’evoluzione del processo di grammaticalizzazione è visibile nello sviluppo del sistema pronominale, che

2M. Chini, Che cos’è la linguistica acquisizionale, 2005, pp. 95.

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nelle interlingue prebasiche e basiche era ridotto essenzialmente ai pronomi tonici di tipo deittico di 1a e 2a persona singolare io e tu e all’anaforico di 3a persona lui. Nelle interlingue intermedie, invece, si consolidano i mezzi di coesione discorsiva attraverso fenomeni di coreferenza ed emergono i pronomi tonici e clitici, soprattutto di prima, seconda e terza persona singolare, sia all’accusativo che al dativo; mi e ti compaiono anche associati a lo, pur tra difficoltà di flessione di genere e numero, già documentate nelle forme isolate di lo flesso3.

Per quanto riguarda i pronomi tonici il loro uso appare di solito nei contesti contrastivi. Caratteristica dei contesti contrastivi è proprio quella di coinvolgere un’informazione nuova sugli elementi contrastati. Essi data questa caratteristica, coinvolgono un’informazione nuova, nello specifico vuol dire che l’antecedente a cui si riferiscono non è quello che normalmente si sarebbe atteso. Il pronome tonico, rispetto a quello atono indica che l’antecedente non è quello che si sarebbe normalmente atteso, cioè il dato, ma quello non atteso, il nuovo.

2.4. Distribuzione sintattica e morfologica: caratteristiche generali dei pronomi personali

2.4.1. Le due serie pronominali

Caratteristica principale del sistema pronominale italiano è la presenza di due serie caratterizzate da una diversa distribuzione sintattica e da una diversa interpretazione semantica. Una delle principali caratteristiche morfologiche che distingue le due serie pronominali dell’italiano è la presenza o l’assenza dell’accento: i pronomi dell’italiano si distinguono cioè in: la serie libera (detta anche, meno precisamente, tonica), se possiede l’accento; e la serie clitica (detta anche, meno propriamente, atona), se non possiede l’accento. Queste due serie sono distinte dal punto di vista fonetico e morfologico, per una diversa distribuzione sintattica (differente posizione nella frase) e per una diversa interpretazione semantica.

3 M. Chini, (2003). “Morfologia del nome”. In Giacalone Ramat (a cura di), Verso l’italiano: percorsi e strategie di acquisizione. Carocci, Roma, 2003.

(6)

I pronomi tonici portano un accento indipendente; quando assolvono la funzione di soggetto della frase, possono occorrere sempre e ovunque e si comportano come veri e propri sintagmi nominali; essi vengono espressi nelle forme illustrate in (9):

(4)

I II III I II III

(io) (tu) (lui)/(lei) (noi) (voi) (loro)

Per la 3a pers. sing. esistono come forme pronominali alternative egli e ella; analogamente, per la 3 pers. plur., accanto a loro è possibile trovare le forme differenziate per il maschile e per il femminile essi e esse. Si tratta però di pronomi rari nella lingua parlata, impiegati prevalentemente in alcune varietà (scientifica, burocratica, letteraria) o in varietà della lingua parlata stilisticamente alte.

Considerazioni simili valgono anche per il pronome di 3a pers. sing.

riferito ad oggetti non umani: esso, essa. Nella lingua corrente tale pronome ha un uso estremamente limitato, essendo spesso sostituito da un pronome dimostrativo.

I pronomi egli, ella, esso, essa, essi, esse, pur non essendo clitici, hanno proprietà particolari che li distinguono dagli altri pronomi liberi.

Per distinguerli sia dai pronomi clitici che dai pronomi liberi, questi pronomi possono essere detti “deboli”.

In funzione di complemento i pronomi personali liberi differiscono dalle forme date in (4) solo nella 1a e nella 2 a pers. sing.:

(5)

I II III I II III

(me) (te) (lui)/(lei) (noi) (voi) (loro)

Tra i pronomi in funzione di complemento si registra anche la forma esso/essa, usata per il riferimento ad oggetti non animati. Si noti che, nel caso di coordinazione tra un sintagma nominale (o un pronome) e un pronome di 2a pers. sing., entrambi in funzione di soggetto, la forma

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impiegata per il pronome di 2a pers. è quella nominativa, se il pronome precede l’altro sintagma, ma quella del complemento, se il pronome segue l’altro sintagma:

(6) (a) Tu ed io andremo insieme a Roma.

(b) Io e te andremo insieme a Roma.

(c) * Io e tu andremo insieme a Roma.

(7) (a) Tu e Giorgio dipingerete la libreria.

(b) Giorgio e te dipingerete la libreria.

(c) *Giorgio e tu dipingerete la libreria.

Le forme pronominali atone, in quanto forme che non possono avere occorrenza indipendente nella catena parlata mancando di accento e che, quindi, devono sempre occorrere insieme ad una forma munita di accento, devono sempre appoggiarsi al verbo della frase in cui occorrono e formare con questo una frase complessa.

Essi appaiono, in funzione di complemento oggetto (pronomi accusativi), nelle forme seguenti:

(8)

I II III I II III

(mi) (ti) (lo)/(la) (ci) (vi) (li)/(le)

In funzione di oggetto indiretto (pronomi dativi) essi appaiono, invece, nelle forme illustrate in (9):

(9)

I II III I II III

(mi) (ti) (gli)/(le) (ci) (vi) (gli)/(loro)

I pronomi clitici locativi sono ci e vi: quest’ultimo appartiene alla lingua scritta. La forma partitiva è ne. Ci, vi, ne, non esprimono differenze di persona, genere e numero.

(8)

Se il complemento contenente il pronome personale è retto da una preposizione, il pronome può essere espresso solo in forma libera: l’ho fatto per te; è uscito con lei, ecc.

I pronomi clitici in funzione di soggetto. Quando il soggetto pronominale non è espresso da una forma personale libera, nella frase non viene realizzato foneticamente alcun pronome; i tratti di numero e di persona che servono per l’interpretazione del soggetto sono contenuti nella flessione verbale. La posizione del soggetto viene indicata con il simbolo Ø:

(10)

I II III I II III

Ø vengo Ø vieni Ø viene Ø veniamo Ø venite vengono

2.5. I pronomi tonici

Esistono determinati contesti nei quali si usa necessariamente la forma libera del pronome personale. I casi principali in cui appare il pronome libero sono illustrati nei successivi punti.

- messa in rilievo del referente cui il pronome si riferisce:

(11) LEI ha meritato il premio, non Franco!

* Ø ha meritato il premio, non Franco!

- messa in rilievo del referente cui il pronome si riferisce attraverso una costruzione scissa (“verbo essere + SN + “frase”), dove il pronome occupa la posizione del SN successivo al verbo essere:

(12) Era TE che volevo invitare a cena.

- inversione del soggetto pronominale:

(13) Vengo io!

- assenza del verbo:

(9)

(14) Tu qui?

- coordinazione con un altro sintagma nominale:

(15) Luca ed io siamo usciti a fare una passeggiata.

*Luca e Ø siamo usciti a fare una passeggiata.

- precisazione del referente cui si riferisce il pronome per mezzo di:

SN:

(16) Noi, scrittori moderni pensiamo che i libri…

*Ø scrittori moderni, pensiamo che i libri…

(17) Invidiano noi, scrittori moderni, perché pensiamo che…

*Ci invidiano, scrittori moderni, perché pensiamo che…

aggettivo:

(18) Noi stessi abbiamo promesso di rimanere.

*Ø stessi abbiamo promesso di rimanere.

frase relativa:

(19) Tu, che amavi le cose semplici, ti sei messo in un bel pasticcio.

*Ø, che amavi le cose semplici, ti sei messo in un bel pasticcio.

quantificatore:

(20) Voi due resterete a casa a lavorare.

*Ø due resterete a casa a lavorare.

avverbio focalizzante:

(10)

(21) Anche/ nemmeno/ almeno/ proprio/ soprattutto voi avete lavorato per questa scuola.

*Anche/ nemmeno/ …Ø avete lavorato per questa scuola.

riferimento a un referente la cui occorrenza non è attesa dai partecipanti:

(22) Se Mario non gioca con Elena, lei fa i capricci.

*Se Mario non gioca con Elena, Ø fa i capricci.

In questo caso infatti l’espressione del pronome impedisce di riferire il soggetto pronominale al soggetto della frase subordinata, con cui inizia l’enunciato.

2.6. Uso deittico dei pronomi personali

2.6.1. Pronomi di 1a e2a persona

I pronomi di 1a e2a persona hanno per eccellenza un uso deittico4. Il referente, infatti viene loro assegnato in base alla conoscenza del contesto situazionale in cui avviene l’atto della comunicazione, o meglio, in base alla conoscenza dei partecipanti all’atto della comunicazione stessa (parlante e ascoltatore).

Deittico è dunque il pronome di 1a pers. sing., che ha come referente il parlante, così come è deittico il pronome di 2a pers sing., che ha come referente l’ascoltatore, e il pronome di 1a pers. plur., che include nell’interpretazione del referente il parlante e, insieme a lui, un’altra o altre persone, tra le quali può essere compreso o meno l’ascoltatore.

Deittico è, infine, il pronome di 2a persona plur., che ha come referenti più ascoltatori: schematicamente, voi = «tu + tun».

Quasi tutti questi pronomi possono essere anche impiegati diversamente rispetto a quanto ora illustrato; il pronome di 2a pers. sing., ad

4 L. Renzi, G. Salvi, A. Cardinaletti, (a cura di): Grande Grammatica Italiana di Consultazione. Volume I, La frase. I sintagmi nominali e la formazione di parole, Bologna, Il Mulino, 2001, p. 556.

(11)

esempio, invece di avere come referente l’ascoltatore, può fare riferimento ad un impersonale (in un certo senso, l’ascoltatore viene interpretato come rappresentante di una categoria generica):

(23) Quando ti fissano, pensi sempre di avere addosso qualcosa di sbagliato.

(Quando fissano una qualsiasi persona, questa pensa di…)

Analogamente, il pronome di 1a pers. plur. può assumere un valore generico, quando viene usato per rappresentare una categoria alla quale il parlante si sente accomunato:

(24) (Parla una donna):

Ci è stata connessa la parità dei diritti; tuttavia, contro di noi ci sono ancora forti discriminazioni.

Infine, il pronome di 2a pers. plur. è usato per rivolgersi ad un individuo singolo destinatario del messaggio; si tratta di una forma di cortesia usata in registri letterari della lingua scritta, e regionalmente:

(25) Ø state meglio oggi?

Anche la forma di 1a pers. plur. è usata talora per rivolgersi ad un destinatario singolo, con un senso di partecipazione personale e di confidenza:

(26) Ø stiamo meglio oggi?

(12)

2.6.2. Pronomi di 3a persona

A differenza dei pronomi di 1a e 2a persona, che sono intrinsecamente deittici, i pronomi di 3a5 possono, ma non necessariamente, avere impiego deittico. Essi vengono usati deitticamente quando indicano uno o più referenti presenti fisicamente o, comunque, presupposti della situazione in cui si svolge l’atto comunicativo:

(27) È per lui che ho fatto questo disegno. (lui = «un amico uscito da poco dalla classe»)

Finalmente Ø sono partiti. (Ø = «persone antipatiche al centro dell’attenzione dei presenti sino a quel momento»).

2.7. Uso anaforico dei pronomi

I pronomi di 3a persona sono largamente impiegati come pronomi anaforici, come pronomi, cioè, il cui referente non viene interpretato in base alla conoscenza della situazione in cui l’atto comunicativo si svolge, ma in base al riferimento ad un individuo che è stato menzionato nel discorso attraverso un’espressione linguistica, che viene definita antecedentemente del pronome. Usiamo il termine antecedente per indicare il sistema cui il pronome si riferisce, sia nel caso che esso preceda, che nel caso, un po’

meno frequente, che esso segua il pronome.

2.8. I pronomi clitici

2.8.1. Sintassi dei pronomi clitici

Le principali caratteristiche della serie pronominale clitica6 sono:

- un pronome clitico non può occupare la stessa posizione che occupa un pronome tonico oppure un gruppo nominale:

5L. Renzi, G. Salvi, A. Cardinaletti, (a cura di): Grande Grammatica Italiana di Consultazione. Volume I, La frase. I sintagmi nominale e preposizionale. Collana Strumenti, Bologna, Il Mulino, 2001, p. 557.

6 Calabrese Andrea,«La sintassi dei pronomi atoni», in Schwarze C., Bausteine für eine italienische Grammatik, vol. II, Tübingen, 1985, pp. 118-179.

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(28) *Maria conosce lo.

Maria conosce Antonio.

Maria lo conosce.

- un pronome clitico deve sempre occorrere congiunto ad una forma verbale chiameremo questa congiunzione “cliticizzazione” – e non può essere in alcuna maniera separato da questa da elementi linguistici che non siano pure pronomi clitici:

(29) *Gli ieri hai regalato un libro.

Gli hai regalato un libro.

Glielo hai regalato.

- l’ordine dei clitici è comunque rigidamente fissato:

(30) *Lo gli hai regalato

- ad un pronome clitico non si può assegnare un accento contrastivo.

In questi casi è obbligatorio l’uso dei pronomi tonici, oppure dei nomi:

(31) *Gianni la preferisce.

Gianni preferisce lei.

- i pronomi clitici non possono apparire in assenza di un verbo.

(32) Chi hai visto l’altra sera? *Lo!/*La

Chi hai visto l’altra sera? - Lui!/Lei…Anna/Giacomo…

- i pronomi clitici non possono essere coordinati tra loro e non possono essere legati a verbi coordinati:

(33) *Gianni lo e la vede.

Gianni vede Mario e Maria.

(14)

- un pronome clitico non può corrispondere all’oggetto di una interrogazione; alla domanda (32) non si può rispondere con (33), ma si deve usare il pronome libero (es. (34)):

(34) Chi hai visto?

(35) *L’ho visto.

(36) Ho visto lui.

2.8.2. Posizione dei pronomi clitici

Il fatto che i pronomi clitici non possiedono un accento proprio, richiede che essi occorrono sempre insieme ad una forma verbale del cui accento possano usufruire. I pronomi clitici sono infatti cliticizzati a questa forma verbale. Ci sono due possibilità: il pronome può apparire o in posizione preverbale o in posizione postverbale. Si ha la prima possibilità (posizione proclitica) nel caso in cui la forma verbale con cui il pronome occorre abbia tempo finito, la seconda (posizione enclitica) quando la forma verbale presenti un tempo non finito. L’unica eccezione a questa generalizzazione è rappresentata dall’imperativo che, pur essendo una forma finita, colloca i pronomi in enclisi.

La prima possibilità è esemplificata dalle seguenti frasi:

(37) Lo vedo spesso.  forma finita

(38) Potresti telefonarmi?  forma non finita

2.9. Il pronome clitico «ne»

Il pronome clitico ne rappresenta un SP la cui preposizione è di ( o da, per lo più in cui occorre un verbo di moto). Questo SP può essere un complemento partitivo, un complemento di argomento, un complemento di paragone, un complemento di materia ecc. Ne è il pronome clitico del SP ‘di + SN’, sia complemento di un verbo, nome o aggettivo, che partitivo, e del SP ‘da + SN’.

(15)

Il clitico ne può essere usato sia per riferirsi a umani che a non umani. Esso corrisponderà a ‘di/da + pronome personale’ nel caso di un referente umano, a ‘di/da + pronome’ nel caso di un referente non umano.

2.10. Differenze semantiche tra la serie pronominale clitica/atona e tonica/libera

Le due serie pronominali atona e tonica hanno usi diversi in rapporto a caratteristiche semantiche differenti.

Un pronome libero si usa, come si è detto nei paragrafi precedenti, solo quando si ha un’interpretazione semantica differente da quella che si ha con il pronome clitico. Le due serie sono complementari: non si può usare un pronome libero al posto di uno clitico senza una modificazione di un significato e viceversa.

Un pronome clitico viene usato se il pronome si riferisce ad un referente la cui occorrenza è attesa dai partecipanti alla situazione comunicativa. Data la complementarietà tra le due serie pronominali, si deve usare la forma libera del pronome se questo si riferisce ad un referente la cui occorrenza non è attesa dai partecipanti alla situazione comunicativa.

Considerando ad esempio l’espressione nominale in posizione di soggetto, ci si aspetta che si continui a parlare del suo referente all’interno della stessa frase complessa. Solo però un pronome clitico e non un pronome libero potrà allora essere usato per far riferimento al referente del soggetto. Si veda infatti per esempio: (39) vs (40):

(39) Marioi ha avuto un incidente dopo che li’ho incontrato.

(40) * Marioi ha avuto un incidente dopo che ho incontrato luii.

In (40) il referente «Mario» è atteso, in quanto è il referente del soggetto, per cui si deve usare il pronome clitico e non la forma libera; se si

(16)

usa la forma tonica, o essa è deittica7, o con essa ci si riferisce ad un referente diverso da quello atteso, cioè diverso dal soggetto.

Si consideri ora il referente extra-linguistico, cioè il caso in cui il pronome è usato deitticamente. Usando la forma clitica, il referente del pronome sarà l’entità più saliente nella situazione comunicativa, poiché l’attesa è che il discorso riguardi il referente saliente della situazione extra- linguistica. Se si usa la forma tonica, si vorrà indicare che non ci si riferisce al referente saliente, ma ad un referente meno in vista, della situazione extra-linguistica. Si consideri così la differenza tra (41) e (42):

(41) L’ho visto ieri sera a casa di Maria.

(42) Ho visto lui a casa di Maria.

Se in (41) ci riferiamo ad un referente della situazione extra- linguistica, questo referente deve essere quello saliente nella situazione pragmatica. Se usiamo la forma libera (42), il referente del pronome deve essere rappresentato da qualche referente del contesto extra-linguistico meno in vista nella situazione pragmatica. Nelle frasi seguenti il pronome tonico si può riferire al soggetto, cosa che era impossibile nel caso della frase (40):

(43) Marioi l’ha fatta sedere con luii. (44) Sandrai li ha fatti partire senza di leii.

In questo caso però il pronome non è pronunciato con l’accentuazione normale, ma è fuori accento. Se infatti la frase ha un’intonazione normale, per cui il pronome riceve accento, i rapporti di coreferenza che abbiamo visto in (43) e (44) sono impossibili, come si può vedere in (45) e (46), dove viene indicata l’assegnazione dell’accento:

(45) *Marioi l’ha fatta sedere con luii. (46) *Sandrai li ha fatti partire senza di leii.

7 L. Renzi, G. Salvi, A. Cardinaletti, (a cura di): Grande Grammatica Italiana di Consultazione. Volume III, Tipi di frasi, deissi, formazione delle parole. Collana Strumenti, Bologna, Il Mulino, 2001, pp. 266- 267.

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