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UN’UNIONE MALIZIOSA.

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Academic year: 2021

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PARTE SECONDA: NIETZSCHE E SOCRATE:

UN’UNIONE MALIZIOSA.

Capitolo Primo: La nascita della tragedia

1. Apollineo e dionisiaco.

La Nascita della tragedia è stata la mia prima trasvalutazione di tutti i valori: così torno a collocarmi ancora una volta sul terreno da cui cresce il mio volere, il mio potere – io, l’ultimo discepolo del filosofo Dioniso – io, il maestro dell’eterno ritorno …

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Nel mondo greco Nietzsche scorge la stagione spiritualmente più alta di tutta l’umanità e vuole restaurare la grandezza dell’antica Grecia, realizzare un ritorno del passato. Ciò è possibile tramite la creazione dell’arte: non si tratta di un’arte qualsiasi ma dell’arte somma, l’arte tragica che placa il dolore degli uomini facendo loro ritrovare la gioia. La Nascita della tragedia può essere un nuovo modo di interpretare la Grecità.

Come abbiamo accennato a conclusione della prima parte di questo lavoro, il Socrate dialettico di Platone è il Socrate bersaglio di Nietzsche. Per meglio comprendere l’arduo rapporto che Nietzsche ha instaurato negli anni con Socrate, occorre partire dalla sua concezione di tragico.

All’inizio del 1870, Nietzsche tiene a Basilea due conferenze: Il dramma musicale greco e Socrate e la tragedia; entrambe costituiranno il nucleo della

1 F. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli ovvero come si filosofa col martello, p.138.

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Nascita della tragedia. Nella prima conferenza si accentuava la dipendenza della

rappresentazione tragica dall’esperienza musicale; la rappresentazione tragica appare a Nietzsche come una sublimazione piuttosto che come un superamento dell’esperienza musicale cioè esperienza diversa a livelli diversi della stessa verità. Quella verità che l’esperienza musicale, la musica drammatica delle feste dionisiache, coglieva in modo pieno, e che le rappresentazioni tragiche ripropongono solo in forma sublimata. Bisogna saper leggere in loro un sapere più profondo; questo stesso tema sarà ripetuto nella seconda conferenza ma questa volta in termini polemici perché colpiva la figura di Socrate: Socrate viene accostato ad Euripide, simboli di decadenza e di malattia. È proprio questo spirito socratico che ha segnato la fine dell’arte tragica dello spirito della musica.

Perciò scopo della Nascita della tragedia è di dimostrare la ricchezza della cultura greca.

Avremo acquistato molto per la scienza estetica, quando saremo giunti non soltanto alla comprensione logica, ma anche alla sicurezza immediata dell’intuizione che lo sviluppo dell’arte è legato alla duplicità dell’apollineo e del dionisiaco, similmente a come la generazione dipende dalla dualità dei sessi, attraverso una continua lotta e una riconciliazione che interviene solo periodicamente. Questi nomi noi li prendiamo a prestito dai Greci (…) Alle loro due divinità artistiche, Apollo e Dioniso, si riallaccia la nostra conoscenza del fatto che nel mondo greco sussiste un enorme contrasto, per origine e per fini, fra l’arte dello scultore, l’apollinea, e l’arte non figurativa della musica, quella di Dioniso: i due impulsi così diversi procedono l’uno accanto all’altro, per lo più in aperto dissidio fra loro e con un’eccitazione reciproca a frutti sempre nuovi e più robusti, per perpetuare in essi la lotta di quell’antitesi, che il comune termine

«arte» solo apparentemente supera; finché da ultimo, (…) appaiono accoppiati l’uno all’altro e

in questo accoppiamento producono finalmente l’opera d’arte altrettanto dionisiaca che

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apollinea della tragedia attica .

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Nell’opera Nietzsche sottolinea l’importanza dell’esperienza greca e una reinterpretazione della grecità; descrive anche il malessere della propria epoca che considera come effetto del “socratismo” cioè rinuncia alla vita, vittoria razionale sul pensiero occidentale. E tutto ciò ruota intorno all’analisi di apollineo e dionisiaco, che Nietzsche si preoccupa di delineare da subito ad inizio opera. A questi due impulsi corrispondono due mondi artistici diversi: a quello apollineo il sogno e a quello dionisiaco l’ebbrezza.

L’istinto apollineo è legato al dio Apollo, dio dell’armonia e dell’equilibrio;

l’impulso apollineo è un impulso di bellezza, che genera un mondo illusorio e trova la sua espressione sul piano artistico nelle arti figurative, in particolare nella scultura. Apollo era il simbolo dell’apparenza trasparente, è il rappresentante del principium individuationis, precisamente ciò che vale a conferire ad una realtà un suo aspetto specifico, e nel caso di Apollo rappresenta il trionfo del principium individuationis e della saggezza ad esso connesso, quel principio di misura e moderazione che i Greci hanno tanto amato. L’istinto apollineo rimanda ad una esperienza originaria che la comprende e soggetto di questa esperienza è la Natura: quindi sia l’ apollineo che il dionisiaco sono esperienze che la natura fa ed impone di sé stessa.

Accanto ad esso coesiste il dionisiaco, rappresentato da Nietzsche come esperienza negativa cioè come una caduta del principio di individuazione, perdita

2 F. Nietzsche, La nascita della tragedia, Adelphi, Milano, 2012, p.21.

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di quelle regole della conoscenza intellettuale. A ciò segue l’orrore dell’uomo per la violazione di quel principio, subito sostituito da un «estetico rapimento che (…) sale dall’intima profondità dell’uomo, anzi della natura»

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Esso corrisponde all’ebbrezza che spinge ad immergersi senza freni nel caos della vita; sul piano artistico trova espressione nella musica. Nietzsche rievoca esperienze di ebbrezza collettiva, come l’uso di bevande narcotiche, l’arrivo della primavera in cui si svegliano tutti gli impulsi dionisiaci, il ballo di San Vito, etc.

un’ebbrezza che trascina tutti quelli che si lasciano trascinare , che va oltre i limiti del proprio “io” e in questo stato di ebbrezza collettiva non solo si avvera un legame tra uomo e uomo ma tra l’uomo e la natura.

Ma qual è stata l’importanza di questi due principi del mondo greco antico? In tutti i confini del mondo antico è possibile scovare tracce di feste dionisiache, che consistevano in una sfrenatezza sessuale che spazza via ogni senso di famiglia e tutti i suoi corrispettivi canoni, come se durante quelle feste si liberassero le forze più selvagge della natura, simbolo di un’esperienza di degradazione verso una pura animalità.

Secondo Nietzsche l’antico Greco è cosciente della dualità di apollineo e dionisiaco, di questa dualità del mondo: vita e morte, verità e illusione e ha il coraggio di guardarla in faccia, di provare il sogno e l’ebbrezza. Alla base dell’esistenza c’è il dolore, la sofferenza stessa dell’esistenza e di cui resta in una consapevole permanenza nell’uomo. Questa consapevolezza i Greci l’hanno proiettata nel mito, l’antica leggenda narra che il re Mida inseguì il saggio Sileno,

3 Ivi, p. 24.

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seguace di Dioniso e quando finalmente riuscì a prenderlo, il re gli chiese quale fosse la cosa migliore per l’uomo e quale quella che più desiderava. Il demone alla fine rispose, fra stridule risa:

Stirpe miserabile ed effimera, figlio del caso e della pena perché mi costringi a dirti ciò che per te è vantaggiosissimo non sentire? Il meglio è per te assolutamente irraggiungibile: non essere nato, non essere, essere niente. Ma la cosa in secondo luogo migliore per te è – morire presto.

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Di fronte alla tremenda verità del Sileno i Greci, per poter vivere e sopportare le atrocità dell’esistenza, dovettero creare gli dei, e lo hanno fatto divinizzando l’esistenza individuale, ma costringendosi ad osservare anche i limiti della natura umana, cioè la misura, rappresentante della quale è Apollo. Da quel momento tutto ciò che era esaltazione di sé ed eccesso fu considerato effetto di demoni avversari della misura apollinea. Il “titanico” e il “barbarico” appariva al Greco apollineo altresì effetto provocato dal dionisiaco ma senza poter negare di essere egli stesso affine a quegli eroi, anzi tutta la loro esistenza si basava su un fondamento mascherato di sofferenza e svelato dal dionisiaco: «Ed ecco che Apollo non poteva vivere senza Dioniso!».

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Alla fine il titanico e il barbarico si rivelarono una necessità proprio come lo era l’apollineo. E secondo Nietzsche, in realtà, l’effetto dirompente che ebbe l’arrivo del dionisiaco non era del tutto estraneo allo spirito greco, ma riattivava dei sentimenti che stavano al fondo di essi, come la creazione degli dell’Olimpo, si

4 Ivi, pp. 31-32.

5 Ivi, p. 37.

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tratta infatti, di una creazione artistica, un mondo prodotto dall’istinto apollineo, dal principio della bellezza, ordine e compostezza, anteposto dal greco alle atrocità dell’esistenza.

Questi due istinti, associati ai due stati umani del sogno e dell’ebbrezza, attraversano continuamente l’universo culturale umano; Nietzsche racconta perciò di diversi periodi della storia a partire dall’età del bronzo dei titani, per passare poi alla bellezza apollinea del mondo omerico, e ancora al dionisiaco successivamente indebolito dalla rigidità dorica dell’apollineo.

Si assiste all’irruzione del dionisiaco, musica e danza, nella civiltà omerica, apollinea per eccellenza. A rappresentare questa fase, ci sono Omero e Archiloco: Omero è il primo poeta a trascrivere in versi. La poesia che era nata come esperienza plastica di immagini che fissano figure e aspetti della vita, dando alla loro individualità definita, il massimo rilievo possibile. La poesia omerica è una sorta di scultura mediante parole, arte plastica e dunque apollinea.

In contrapposizione ad Omero, c’è Archiloco che secondo gli antichi, entrambi sono rappresentanti emblematici di due modi di esperienza poetica, opposte ma originali: l’una dettata dall’istinto apollineo e l’altra da quello dionisiaco.

Nietzsche propone perciò la contrapposizione antica tra Omero e Archiloco,

immaginando lo stupore di Omero (vissuto verso la metà del VIII sec. a. C.) se

avesse potuto conoscere Archiloco (metà del VII sec.) e la sua lirica. Archiloco è

infatti il primo lirico dionisiaco, storicamente è colui che ha conferito dignità

letteraria al canto popolare. Per Nietzsche il canto popolare è un perpetuum

vestigium di un’unione tra apollineo e dionisiaco, un’unione intesa come

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assorbimento dell’apollineo nel dionisiaco, come un suo momento subalterno. Il linguaggio del poeta lirico è imitazione del mondo della musica, così come il linguaggio del poeta epico è imitazione del mondo delle immagini. Il poeta lirico nasce come genio dionisiaco perché esperienza primaria per lui è quella della musica; l’espressione prima di questo istinto dionisiaco è il canto in onore di Dioniso, cioè il ditirambo: esso è canto, musica e danza insieme. Fu proprio questo a fare la sua apparizione nel mondo omerico e immediata fu la reazione di repulsione, che si manifestò sotto forma di un rigido apollineo nell’arte dorica.

Tutta la Nascita della tragedia è un’alternarsi e contrapporsi di queste due forze e si forma da questi tutto l’universo culturale greco. Ma se i Greci hanno scelto il mondo apollineo della forma e della misura, devono però anche capire che questa perfezione poggia sulle basi vive del dionisiaco. L’apice della cultura greca è presentata da Nietzsche dalla tragedia, la tragedia delle origini di Eschilo e Sofocle, dove è possibile scorgere un equilibrio tra le due forze. Infatti in questo tipo di tragedia, gli aspetti dionisiaci della danza, musica e canto si uniscono alla recitazione e mito, tipici dell’apollineo. In questo modo lo spettatore assiste alla rappresentazione della tragedia, del mito e del sogno che permettono di attingere all’essenza dionisiaca della vita senza che egli ne venga distrutto. Qual è allora l’origine della tragedia?

La tragedia è sorta dal coro tragico, e che originariamente essa era soltanto coro e nient’altro che coro (…).

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6 Ivi, p. 50.

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Questa visione della tragedia nasce proprio dall’opposizione apollineo - dionisiaco : il coro infatti, da cui prende avvio la tragedia è una processione religiosa dei seguaci di Dioniso. Quest’ultimi, nell’esaltazione mistica si trasformano in coro di Satiri: l’uomo durante questo rito si trasforma, è insieme l’uomo allo stato originario e qualcosa di divino, infatti il Satiro è per il greco l’immagine primigenia dell’uomo, in cui si ripete la sofferenza del dio, come simbolo dell’onnipotenza sessuale della nativa che il Greco guarda con stupore.

Successivamente questa esaltazione si diffonde nel corteo e l’uomo vede Dioniso e avviene qui una trasformazione: si rompono tutte le regole. Lo spettatore che assisteva alla rappresentazione tragica, vedeva nei coreuti Satiri, gli invasati di Dioniso e ne assumeva la prospettiva:

Secondo questa prospettiva possiamo chiamare il coro, nel suo studio arcaico della tragedia originaria, un rispecchiamento di sé dell’uomo dionisiaco: fenomeno che si può rendere chiarissimo mercé il processo dell’attore che, se ha vero talento, vede fluttuare davanti ai suoi occhi in modo quasi materialmente tangibile la figura del personaggio che deve rappresentare. Il coro dei Satiri è prima di ogni altra cosa una visione della massa dionisiaca, come a sua volta il mondo della scena è una visione di questo coro di Satiri.

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Si crea quello che Nietzsche chiama “fenomeno drammatico originario”, che è il prodotto dell’eccitazione dionisiaca e che il coro dionisiaco , erede del corteo dionisiaco, della sua musica e delle danze, tende a rievocare:

vedere se stessi trasformati davanti a sé e agire poi come se si fosse davvero entrati in un altro corpo, in un altro carattere8.

7 Ivi, p. 58.

8 Ivi, p. 60.

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È qui che Nietzsche sottolinea la differenza tra il ditirambo dionisiaco e la rapsodia (è un canto utilizzato per la presentazione della poesia epica): nel ditirambo avviene quasi un annullamento dell’individuo per fare ingresso in una natura estranea; ma ciò si espande quasi come un’epidemia. Si crea quindi una schiera di attori inconsci, visionari, estraniati: questa è la condizione stessa dell’esperienza dionisiaca, cioè quella esperienza al di là del proprio sé, dei propri limiti. E il coro della tragedia, il coro ditirambico, la rievoca e la ripropone.

Nietzsche ritiene che questa sua spiegazione sia l’unica in grado di spiegare il primato del coro sull’azione scenica, importanza ribadita da tutte le fonti. Scopo della tragedia è di rendere sopportabile ciò che è orribile e assurdo per gli uomini, una via d fuga dal dolore. Questo è quello che accade nella tragedia attica, il dionisiaco diviene componente essenziale dell’azione tragica.

Nella tragedia di Eschilo e Sofocle, e in particolare nei personaggi, rispettivamente di Prometeo ed Edipo, Nietzsche scorge degli elementi di tipo dionisiaco. Sia Prometeo che Edipo sono dei volti di un’esperienza dionisiaca, ecco allora che Nietzsche ricorda:

è tradizione incontestabile che la tragedia greca, nella sua forma più antica, aveva per oggetto solo i dolori di Dioniso, e che per molto tempo l’unico eroe presente in scena fu appunto Dioniso. Con la stessa sicurezza peraltro si può affermare che fino a Euripide Dioniso non cessò mai di essere l’eroe tragico, e che tutte le figure famose della scena greca, Prometeo, Edipo, eccetera, sono soltanto maschere di quell’eroe originario .

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9 Ivi, p. 71.

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Prometeo era già stato definito da Nietzsche “maschera dionisiaca”, nel senso che è una rappresentazione e dunque proiezione apollinea di un’esperienza dionisiaca: tutti gli eroi tragici sono per Nietzsche, maschere di Dioniso, rappresentazioni di aspetti diversi che si collocano in un’unica dimensione:

quella divina. L’eroe tragico è una delle tante maschere di Dioniso, del Dioniso sofferente.

Per Nietzsche la tragedia è la chiave di lettura dell’essenza del mondo e perciò la tragedia è l’accettazione della vita in tutto e per tutto. Essa è insieme musica e forma, sogno ed ebbrezza. Il pubblico della tragedia si immerge nel flusso delle passioni, opera ed artista diventano un’unica cosa e lì si scorge dio. Lo spettatore dunque che andava a teatro apprendeva qualcosa di nuovo sulla natura della vita.

Ma dopo la questione della nascita si pone adesso un altro problema: come e

perché la tragedia è morta?

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