• Non ci sono risultati.

Capitolo Secondo SCARICHI DI ACQUE REFLUE. TIPOLOGIE E DIVIETI 2.1 La nuova definizione di scarico

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Capitolo Secondo SCARICHI DI ACQUE REFLUE. TIPOLOGIE E DIVIETI 2.1 La nuova definizione di scarico"

Copied!
26
0
0

Testo completo

(1)

31

Capitolo Secondo

SCARICHI DI ACQUE REFLUE.

TIPOLOGIE E DIVIETI

2.1 La nuova definizione di scarico

La formulazione originaria dell’art. 74, 1° comma, lett. ff) del d.lgs. n. 152/2006 definisce lo scarico come «qualsiasi immissione di acque reflue in acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione», omettendo, a differenza di quanto previsto dalla normativa previgente, ogni riferimento all’immissione diretta tramite condotta e riaprendo, perciò, il dibattito su molte questioni che avevano trovato soluzione con la definizione contenuta nel d.lgs. n. 152/1999. La reiterazione della nozione di scarico indiretto effettuata con il Codice dell’ambiente viene giustificata come adeguamento ad una contestazione della Commissione europea, che aveva censurato la mancata previsione di una disciplina degli scarichi indiretti, menzionati espressamente nelle direttive. In realtà, con la soluzione legislativa adottata dal decreto del 1999 non solo non vi era una carenza di disciplina, ma veniva data piena attuazione all’art. 2 della Direttiva 75/442/CEE, che escludeva le acque reflue di scarico dall’applicazione della disciplina relativa ai rifiuti liquidi1.

L’intervento correttivo operato dall’art. 2, 5° comma, del d.lgs. n. 4/2008 ripristina la precedente nozione, definendo lo scarico come

1 P. DELL’ANNO, Diritto dell’ambiente. Commento sistematico al d.lgs. 152/2006,

integrato con le nuove norme sul SISTRI, sull’autorizzazione unica ambientale e sul danno ambientale, Cedam, Padova, 2014, pp. 42-43.

(2)

32

«qualsiasi immissione di acque reflue effettuata esclusivamente tramite

un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore acque

superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione» (art. 74, 1° comma, lett. ff). Pertanto, dovrebbe ritenersi chiusa in modo definitivo la discussione sul regime giuridico da applicare alle acque reflue che vengono scaricate off site e smaltite in un diverso impianto di trattamento, le quali, divenute rifiuti liquidi, sono disciplinate dalla normativa sui rifiuti.

Gli elementi costitutivi della nuova nozione di scarico sono tre2:

a) un sistema stabile di collettamento, espressione che risulta più flessibile rispetto a quella di «condotta», lasciando all’interprete la valutazione caso per caso;

b) il collegamento senza soluzione di continuità del ciclo di

produzione del refluo con il corpo ricettore, che costituisce il

discrimine tra la disciplina dei rifiuti liquidi e quella sulle acque; c) l’immissione del refluo in uno dei seguenti corpi ricettori: acque

superficiali, suolo, sottosuolo e rete fognaria.

A proposito del primo elemento, trattandosi di un sistema «stabile», restano escluse le immissioni occasionali, mentre vi rientrano senz’altro quelle discontinue; in tal senso si era pronunciata, già nella vigenza del d.lgs. 152/1999, la Corte di Cassazione, che aveva definito lo scarico discontinuo di reflui come lo scarico che «sia pure qualificato dai requisiti della irregolarità, dell’intermittenza e della saltuarietà, risulta tuttavia collegato ad un determinato ciclo

2 G. LE PERA, Inquinamento idrico, in P. DELL’ANNO-E. PICOZZA (diretto da),

Trattato di diritto dell’ambiente, Vol. II: Discipline ambientali di settore, Cedam,

(3)

33

produttivo industriale, ancorché di carattere non continuativo»3. Non è previsto, pertanto, alcun legame temporale tra l’attività che origina il refluo, la sua produzione, la sua conduzione e lo scarico nel corpo ricettore, ma esclusivamente un legame di causa-effetto, nel senso che le varie fasi devono essere consequenziali, ma non necessariamente immediate. L’irrilevanza del nesso temporale continuo è provata dalla legge stessa che, nel regolare le modalità di compimento dei controlli sulle acque di scarico degli insediamenti produttivi, fissa le tempistiche di rilevamento «in relazione alle caratteristiche di continuità o meno» dello scarico (cfr. Allegato 1 alla Parte terza del d.lgs. n. 152/2006), ammettendo, così, la configurabilità di uno scarico «non continuo»4.

Per quanto riguarda il secondo elemento, e cioè il collegamento senza soluzione di continuità tra il ciclo di produzione del refluo e il corpo ricettore, affinché si abbia uno «scarico» occorre che il sistema di collettamento non sia oggetto di alcuna interruzione o soluzione di continuità che impedisca il collegamento diretto; come già accennato, qualora ciò si verifichi troverà applicazione la disciplina sui rifiuti, contenuta nella Parte quarta del d.lgs. n. 152/2006. Dunque, non rientra nella disciplina delle acque, ma in quella dei rifiuti, l’immissione effettuata mediante autobotti e quella che si origina per percolamento o tracimazione da una vasca in cui sono stati stoccati rifiuti liquidi5.

2.2 Le diverse tipologie di acque reflue

Il Codice dell’ambiente classifica gli scarichi in base all’origine del refluo, secondo le seguenti definizioni:

3

Cass. pen., sez. III, 7 novembre 2000, n. 12974.

4 F. BRUNO, Tutela e gestione delle acque. Pluralità di ordinamenti e governance

multilivello del mare e delle risorse idriche, Giuffrè, Milano, 2012, pp. 119-120.

5 G. LE PERA, Inquinamento idrico, in P. DELL’ANNO-E. PICOZZA (diretto da),

(4)

34

a) acque reflue domestiche: «acque reflue provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche» (art. 74, 1° comma, lett. g);

b) acque reflue industriali: «qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici o impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento» (art. 74, 1° comma, lett. h); c) acque reflue urbane: «acque reflue domestiche o il miscuglio di

acque reflue domestiche, di acque reflue industriali ovvero meteoriche di dilavamento convogliate in reti fognarie, anche separate, e provenienti da agglomerato» (art. 74, 1° comma, lett. i); non si tratta, dunque, di un tertium genus, bensì della somma di varie tipologie di acque.

La natura del refluo scaricato costituisce il criterio di discrimine tra il regime punitivo di tipo amministrativo e quello strettamente penale. Infatti, nel caso in cui lo scarico abusivo abbia ad oggetto acque reflue domestiche si configurerà l’illecito amministrativo ex art. 133, 2° comma, mentre si concreterà il reato di cui all’art. 137, 1° comma, qualora lo scarico abbia ad oggetto acque reflue industriali6.

La Corte di Cassazione7, a proposito della distinzione tra acque reflue domestiche e acque reflue industriali, ricorda che «entrambe le tipologie possono derivare da attività di servizi, con la conseguenza che l’elemento determinante di distinzione va individuato nella derivazione prevalente delle acque reflue dal metabolismo umano e da attività domestiche» e, di conseguenza, «la nozione di acque reflue industriali va ricavata dalla diversità del refluo rispetto alle acque domestiche ed in essa rientrano tutti i reflui derivanti da attività che

6 R. DIPACE, L’inquinamento delle acque, in R. FERRARA-M. A. SANDULLI (a

cura di), Trattato di diritto dell’ambiente, Vol. II: I procedimenti amministrativi per

la tutela dell’ambiente, Giuffrè, Milano, 2014, p. 516.

7

(5)

35

non attengono strettamente alla coabitazione ed alla convivenza di persone, al prevalente metabolismo umano ed alle attività domestiche (Sez. III n. 42932, 2 dicembre 2002)»; inoltre, la Corte afferma che «l’indicatore della provenienza dei reflui da attività domestiche è un concetto chiaramente riferito alla convivenza e coabitazioni di persone, ma non può prescindere, specie quando riguarda grandi comunità (alberghi, ospedali ecc.), da una considerazione anche delle effettive caratteristiche chimiche e fisiche delle acque reflue che devono essere corrispondenti non tanto per quantità, quanto per qualità a quelli derivanti dai comuni nuclei abitativi».

La Suprema Corte si è espressa nello stesso senso in numerose altre sentenze, in particolare facendo rientrare nella nozione di scarico industriale tutti gli scarichi provenienti da insediamenti in cui si svolgono attività artigianali e di prestazione di servizi aventi caratteristiche qualitative diverse da quelle delle acque reflue domestiche (attività di pasticceria, bar e ristorazione8; studi odontoiatrici privati9; attività di lavanderia industriale10; attività di verniciatura e lavaggio di automezzi pesanti11; attività di lavaggio di inerti estratti da cava12).

2.2.1 Acque reflue industriali. Assimilabilità delle acque meteoriche di dilavamento

La definizione di acque reflue industriali attualmente contenuta nell’art. 74, 1° comma, lett. h) del Codice dell’ambiente è quella

8

Cass. pen., sez. III, 7 luglio 2011, n. 36982; id., 31 gennaio 2013, n. 4844; id., 24 maggio 2013, n. 22436; id., 25 giugno 2015, n. 26706; id., 1° luglio 2015, n. 27552.

9 Cass. pen., sez. III, 17 gennaio 2013, n. 2340.

10 Cass. pen., sez. III, 10 giugno 2014, n. 24330; id., 2 luglio 2015, n. 27887. 11 Cass. pen., sez. III, 3 novembre 2015, n. 44353.

(6)

36

risultante dalla modifica apportata dall’art. 2 del d.lgs. n. 4/2008. La versione precedente faceva riferimento a «qualsiasi tipo di acque reflue provenienti da edifici o installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, differenti qualitativamente dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento, intendendosi per tali anche quelle venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non connessi con le attività esercitate nello stabilimento».

Secondo la nuova definizione, invece, le acque reflue industriali non sono più quelle semplicemente provenienti da edifici o impianti industriali, ma esclusivamente quelle scaricate tramite un sistema di collettamento. Inoltre, non è più indicata la differenza qualitativa dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento13.

Le acque reflue industriali sono caratterizzate dal fatto che provengono da attività di tipo produttivo e sono costantemente individuate in via residuale dalla giurisprudenza, cioè per differenza rispetto a quelle domestiche, in quanto non attengono prevalentemente al metabolismo umano e alle attività domestiche14.

La Corte di Cassazione, a proposito delle acque di falda provenienti dall’attività di escavazione, ha escluso che esse possano essere assimilate tout court alle acque reflue industriali, essendo necessario che siano contaminate dai residui dei lavori di scavo e di cantiere, affinché possano essere sottratte al regime più blando delle acque reflue domestiche; pertanto, la mancata autorizzazione comunque prescritta per tali acque scaricate in superficie, non implica l’assoggettamento a sanzione penale15

. Viceversa, laddove le acque di

13 AA. VV., Manuale Ambiente 2014, IPSOA, Milano, 2014, p. 260.

14 Cass. pen., sez. III, 5 febbraio 2009, n. 12865; id., 1° luglio 2004, n. 35870. 15 Cass. pen., sez. III, 22 marzo 2011, n. 11494.

(7)

37

falda siano intorbidite da residui dei lavori, esse sono qualificabili come reflui industriali16.

La Suprema Corte ha considerato come scarico industriale anche il lavaggio di cassette di uva durante la vendemmia con conseguente immissione dell’acqua di lavaggio in un canalone per la raccolta delle acque piovane17.

Quanto alle acque meteoriche di dilavamento, esse non sono oggetto di specifica definizione da parte del d.lgs. n. 152/2006, ma sono menzionate nell’ambito della disciplina delle acque reflue urbane (art. 74, 1° comma, lett. i) e per definire, in contrapposizione, la tipologia delle acque reflue industriali (art. 74, 1° comma, lett. h); inoltre, sono sottoposte a regolamentazione regionale, ai fini della prevenzione di rischi idraulici ed ambientali, nei casi previsti dall’art. 113, 1° comma: per gli scarichi provenienti da reti fognarie separate (cioè adibite a raccogliere esclusivamente le acque meteoriche di dilavamento) la Regione ha il potere di disciplinare le forme di controllo, mentre nel caso di scarichi provenienti da altre condotte (diverse dalle reti fognarie separate) la Regione può prevedere particolari prescrizioni, compresa l’eventuale autorizzazione. Al di fuori di questi casi, le acque meteoriche non sono soggette a vincoli o prescrizioni (2° comma), fermo restando il divieto di scarico o immissione diretta nelle acque sotterranee (4° comma). E’ rimessa alla potestà regionale anche la disciplina delle acque di prima pioggia e di lavaggio delle aree esterne, ove sussista il rischio che sostanze pericolose possano confluire nei corpi idrici, arrecando pregiudizio per il raggiungimento degli obiettivi di qualità (3° comma).

Sul tema della assimilabilità delle acque meteoriche di dilavamento ai reflui industriali si è pronunciata più volte la Cassazione, dando luogo, recentemente, ad orientamenti contrastanti.

16 Cass. pen., sez. III, 21 giugno 2006, n. 29126; id., 28 novembre 2011, n. 44062. 17 Cass. pen., sez. III, 24 gennaio 2013, n. 2313.

(8)

38

La nuova definizione di acque reflue industriali introdotta con il d.lgs. n. 4/2008 ha, infatti, eliminato il riferimento alle acque meteoriche di dilavamento «venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non connessi con le attività esercitate nello stabilimento»; tale prima formulazione dell’art. 74, 1° comma, lett. h) aveva indotto gli interpreti a ritenere che «quando le acque meteoriche siano, invece, contaminate da sostanze impiegate nello stabilimento, non debbano più essere considerate come “acque meteoriche di dilavamento”, con la conseguenza che dovrebbero essere considerate reflui industriali»18.

Dopo la modifica del 2008, la problematica sulla assimilabilità ai reflui industriali ha dato luogo a nuovi interrogativi. Ci si è chiesti, infatti, se il legislatore con la soppressione di tale inciso avesse intenzione di: a) escludere sempre e comunque la qualifica di acque meteoriche, anche nel caso in cui la contaminazione riguardasse sostanze o materiali non connessi con le attività esercitate nello stabilimento, oppure b) sopprimere una volta per tutte il criterio della assimilabilità, per cui le acque meteoriche, comunque contaminate, non sarebbero più assimilabili alle acque reflue industriali19.

La Sezione III penale della Corte di Cassazione, con sentenza del 22 gennaio 2014, n. 2867, ha preso atto della sopravvenuta abrogazione del parametro della assimilabilità, superando i suoi precedenti indirizzi. Secondo la Suprema Corte, infatti, la nuova formulazione dell’art. 74 «esclude ogni riferimento qualitativo alla tipologia delle acque, dal momento che è stato eliminato dal dato normativo sia il riferimento alla differenza qualitativa dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento, sia l’inciso “intendendosi per tali (acque meteoriche di dilavamento) anche quelle

18 In tal senso Cass. pen., sez. III, 4 settembre 2007, n. 33839; id., 30 ottobre 2007, n.

40191.

19 P. GIAMPIETRO, Le acque meteoriche di dilavamento non sono più

(9)

39

venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non connesse con le attività esercitate nello stabilimento”, di talché sembrerebbe non più possibile oggi assimilare, sotto un profilo qualitativo, le due tipologie di acque (reflui industriali e acque meteoriche di dilavamento) né sembrerebbe possibile ritenere che le acque meteoriche di dilavamento (una volta venute a contatto con materiali o sostanze anche inquinanti connesse con l’attività esercitata nello stabilimento) possano essere assimilate ai reflui industriali». Inoltre, la Corte, ricordando che l’art. 113 del d.lgs. n. 152/2006 prevede che «le Regioni, “ai fini della prevenzione di rischi idraulici ed ambientali”, emanino una disciplina delle acque meteoriche che dilavano le superfici e si riversano in differenti corpi recettori», ha stabilito che le acque meteoriche sono assoggettate alla disciplina regionale e non statale.

Nonostante questo indirizzo interpretativo sia stato apprezzato dalla maggior parte della dottrina, tanto da essere considerata questa una decisione che per chiarezza e profondità di argomenti pareva destinata a risolvere la questione20, la medesima Sezione della Cassazione è ritornata sul tema, contraddicendo palesemente se stessa, con sentenza 22 gennaio 2015, n. 2832. La Corte, infatti, afferma che «l’eliminazione dell’inciso, frutto di una precisa scelta del legislatore, sta ad indicare proprio l’intenzione di escludere qualunque assimilazione delle acque contaminate con quelle meteoriche di dilavamento: l’eliminazione dell’inciso, insomma, non ha affatto ampliato il concetto di “acque meteoriche di dilavamento”, ma, al contrario, lo ha ristretto in un’ottica di maggior rigore, nel senso di operare una secca distinzione tra la predetta categoria di acque e quelle reflue industriali o quelle reflue domestiche»; da tale constatazione, dunque, la Suprema Corte trae il principio secondo cui «le acque

20 C. MELZI D’ERIL, Nota a Cassazione penale, sez. III, 22 gennaio 2014, n. 2867,

(10)

40

meteoriche, comunque venute a contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non possono essere più incluse nella categoria di acque meteoriche di dilavamento, per espressa volontà di legge»; questa teoria, sempre a dire della Corte, consentirebbe di riaffermare il principio di diritto secondo cui «le acque meteoriche di dilavamento sono costituite dalle acque piovane che, depositandosi su un suolo impermeabilizzato, dilavano le superfici ed attingono indirettamente i corpi ricettori (cfr. Cass. pen., sez. III, n. 33839/2007)», nonché di sostenere che «per acque meteoriche di dilavamento si intendono quindi solo quelle che cadendo al suolo per effetto di precipitazioni atmosferiche non subiscono contaminazioni di sorta con altre sostanze o materiali inquinanti. Una tale impostazione esclude logicamente ogni interferenza con la competenza regionale fissata dall’art. 113 D. Lvo n. 152/2006 perché essa ha ad oggetto, per espresso dettato normativo, le acque meteoriche di dilavamento, le acque di prima pioggia e le acque di lavaggio delle aree esterne».

Questo nuovo orientamento è stato fortemente criticato da una parte della dottrina21, ad avviso della quale, secondo le disposizioni di legge vigenti dal 2008, le acque meteoriche di dilavamento, contaminate o meno e, nel caso lo siano, contaminate da sostanze connesse o non connesse con le attività esercitate nello stabilimento, non potranno mai venire ricondotte alle acque reflue industriali perché è lo stesso legislatore che dal 2008 ci dice che sono altra cosa rispetto a quelle. Viene ribadito che le acque reflue industriali, per essere qualificate come tali, devono essere anzitutto scaricate e quindi, come affermato dal Consiglio di Stato in una nota sentenza22, «per il legislatore assume importanza dirimente, ai fini della qualificazione in parola, la circostanza che le acque reflue siano immesse nel ciclo

21 A. L. VERGINE, L’evanescente certezza del diritto. La “marcia indietro” della

Cassazione in tema di acque meteoriche di dilavamento, in Rivista giuridica dell’ambiente, 2015, n. 1, pp. 62-74.

(11)

41

produttivo in conseguenza dell’iniziativa umana ascrivibile all’attività economica esercitata, risultando cioè l’immissione un momento costitutivo del processo produttivo, come conferma altresì la pari eccettuazione dal regime prevista per le acque reflue domestiche (oltre che, appunto, per quelle meteoriche di dilavamento)». Inoltre, si dice, le acque di dilavamento non possono certamente perdere la loro natura di «acque scese dal cielo» per il sol fatto che siano venute in contatto, una volta a terra, con sostanze o materiali connessi con le lavorazioni industriali; ciò, peraltro, in coerenza con quanto sostenuto dal Consiglio di Stato nella citata sentenza, cioè che «nel concetto normativo di “acque meteoriche di dilavamento”, -posto in relazione di contrapposizione con l’enunciato delle “acque reflue industriali” […]- , è insito e connaturato sia che le acque “dilavino”, cioè entrino in contatto e trascinino i materiali che si trovano sul suolo, sia che questi materiali possano essere quelli risultanti da attività industriali svolte presso l’impianto di volta in volta considerato».

Secondo altra dottrina23, invece, tra i due orientamenti completamente contrastanti espressi a distanza di un anno esatto, è preferibile quello della seconda sentenza, anche se con qualche precisazione. Appare chiaro, si dice, che il legislatore del 2006, nel delineare le varie categorie di acque, si è basato soprattutto sulla loro qualità e sul livello di contaminazione, perché è questo che conta ai fini della tutela ambientale, tanto che l’acqua reflua industriale è quella

diversa da quelle domestiche e meteoriche di dilavamento; pertanto, se

un’acqua originariamente meteorica, per effetto del dilavamento non è più da considerare qualitativamente diversa rispetto ad un’acqua reflua industriale, non può che essere considerata acqua reflua industriale essa stessa, e non più meteorica.

23 G. AMENDOLA, Acque meteoriche di dilavamento: la Cassazione tentenna, in

(12)

42

A conferma di questa teoria viene richiamato l’art. 113, i cui primi due commi parlano di «acque meteoriche di dilavamento» senza fare alcun cenno alla possibilità di contaminazione, mentre, quando si profila nel terzo comma questa possibilità, si parla di «acque di prima pioggia e di lavaggio delle aree esterne»; inoltre, ulteriore conferma deriva dalla previsione della diversa sanzione (amministrativa per i primi due commi e penale per il terzo) e dall’esclusione dalla disciplina della Parte terza (sull’inquinamento idrico) riferita solo alle acque meteoriche di cui al primo comma. Dunque, i primi due commi («acque meteoriche di dilavamento») si riferirebbero ad acque non contaminate (o comunque scarsamente contaminate, quindi non preoccupanti), mentre il terzo comma («acque di prima pioggia e di lavaggio delle aree esterne») riguarderebbe acque contaminate e potenzialmente inquinanti. Infatti, le acque di prima pioggia, identificate da diverse normative regionali con i primi cinque millimetri delle acque piovane24, sarebbero quelle meteoriche particolarmente inquinanti perché dilavano superfici da tempo asciutte.

24 Ad esempio, l’art. 2, 1° comma, lett. g), L.R. Toscana 31 maggio 2006, n. 20

definisce le acque meteoriche di prima pioggia come le «acque corrispondenti, per ogni evento meteorico, ad una precipitazione di cinque millimetri uniformemente distribuita sull’intera superficie scolante servita dalla rete di drenaggio; ai fini del calcolo delle portate si stabilisce che tale valore si verifichi in quindici minuti»; per la Regione Lombardia sono tali «quelle corrispondenti, nella prima parte di ogni evento meteorico, ad una precipitazione di 5 mm uniformemente distribuita sull’intera superficie scolante servita dalla rete di raccolta delle acque meteoriche» (art. 2, lett. c), R.R. Lombardia 24 marzo 2006, n. 4); per la Regione Emilia-Romagna le acque di prima pioggia sono «i primi 2,5-5 mm di acqua meteorica di dilavamento uniformemente distribuita su tutta la superficie scolante servita dal sistema di drenaggio. Per il calcolo delle relative portate si assume che tale valore si verifichi in un periodo di tempo di 15 minuti» (art. 2, 5° comma, D.G.R. Emilia-Romagna 14 febbraio 2005, n. 286); per la Regione Veneto sono «i primi 5 mm di acqua meteorica di dilavamento uniformemente distribuita su tutta la superficie scolante servita dal sistema di collettamento» (art. 6, 1° comma, lett. d), D.G.R. Veneto 15 maggio 2012, n. 842).

(13)

43

Pertanto, fermo restando che le acque meteoriche di dilavamento escluse dalla normativa generale sulle acque possono essere solo quelle «pulite» del primo comma non disciplinate dalle Regioni, tutte le acque, anche di dilavamento, contaminate o potenzialmente inquinanti non sono considerate acque meteoriche di dilavamento e sono soggette alla disciplina sulle acque di cui alla Parte terza del d.lgs. n. 152/2006.

La conclusione è la stessa raggiunta dalla Cassazione nella seconda sentenza, ma si fa una precisazione: la modifica dell’art. 74, 1° comma, lett. h) apportata nel 2008 era in realtà finalizzata ad eliminare ogni dubbio in ordine alla differenza tra acque di scarico e rifiuti liquidi, con la sostituzione di acque reflue provenienti da con

scaricate; quindi, anche se un’acqua originariamente meteorica, per

effetto di contaminazione da dilavamento non può essere considerata diversa da un’acqua reflua industriale, tuttavia sarà soggetta alla disciplina della Parte terza sull’inquinamento idrico prevista per i reflui industriali solo se incanalata in uno scarico diretto. Altrimenti, spetta alle Regioni intervenire per stabilire l’obbligo di convogliamento e depurazione, in modo da farle rientrare nel concetto di scarico di acque reflue industriali. Ma se ciò non avviene e l’immissione nell’ambiente avviene in modo diverso, non vi è uno scarico e, pertanto, non è applicabile la normativa sugli scarichi della Parte terza del d.lgs. n. 152/2006; al massimo, se si tratta di rifiuti liquidi sarà applicabile, ricorrendone i presupposti, la relativa disciplina sui rifiuti contenuta nella Parte quarta.

2.2.2 Acque reflue assimilate a quelle domestiche e acque reflue urbane

L’art. 101, 7° comma del Codice dell’ambiente delinea una categoria di transizione, costituita dalle acque reflue assimilate a

(14)

44

quelle domestiche, della quale fanno parte due gruppi di acque reflue:

uno tipizzato, comprendente reflui provenienti da attività agricole, zootecniche, termali, di acquacoltura e piscicoltura; un altro la cui definizione è affidata alle Regioni, le quali indicano le caratteristiche qualitative di equivalenza (lett. e)25.

Secondo un orientamento ormai consolidato della Cassazione26, lo scarico di acque reflue derivanti dall’attività di molitura delle olive non è assimilabile agli scarichi domestici in base all’art. 101, 7° comma, lett. c); pertanto, dovendo considerare detti reflui industriali a tutti gli effetti, lo scarico senza autorizzazione integra il reato di cui all’art. 137, 1° comma.

Ulteriori criteri di assimilazione, limitatamente alle piccole e medie imprese, sono stati introdotti dal D.P.R. 19 ottobre 2011, n. 227, recante «Regolamento per la semplificazione di adempimenti amministrativi in materia ambientale gravanti sulle imprese»27. Ai sensi dell’art. 2, 1° comma, fermo restando quanto previsto dall’art. 101 e dall’Allegato 5 alla Parte terza del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, sono assimilate alle acque reflue domestiche:

a) le acque che prima di ogni trattamento depurativo presentano le caratteristiche qualitative e quantitative di cui alla Tabella 1 dell’Allegato A28

;

b) le acque reflue provenienti da insediamenti in cui si svolgono attività di produzione di beni e prestazione di servizi i cui

25 P. DELL’ANNO, Diritto dell’ambiente. Commento sistematico al d.lgs. 152/2006,

integrato con le nuove norme sul SISTRI, sull’autorizzazione unica ambientale e sul danno ambientale, cit., p. 37.

26

Cass. pen., sez. III, 2 luglio 2008, n. 26524; id., 25 gennaio 2012, n. 3087; id., 14 ottobre 2013, n. 42149; id., 6 maggio 2015, n. 18657.

27 G. LE PERA, Inquinamento idrico, in P. DELL’ANNO-E. PICOZZA (diretto da),

Trattato di diritto dell’ambiente, Vol. II, cit., pp. 85-86.

28 Si tratta di parametri come la portata, il pH, la temperatura, il colore e la presenza

(15)

45

scarichi terminali provengono esclusivamente da servizi igienici, cucine e mense;

c) le acque reflue provenienti dalle categorie di attività elencate nella Tabella 2 dell’Allegato A29

, con le limitazioni indicate nella stessa tabella.

Detti criteri di assimilazione, ai sensi del 2° comma, si applicano in assenza di disciplina regionale di cui all’art. 101, 7° comma, lett. e) del d.lgs. n. 152/2006.

Per quanto riguarda la tipologia delle acque reflue urbane, è evidente che esse possono avere caratteristiche diverse, se costituite esclusivamente da reflui provenienti da insediamenti di tipo abitativo, che derivano essenzialmente dal metabolismo umano o da attività domestiche, ovvero se costituite dal miscuglio di reflui domestici e industriali provenienti da attività produttive e/o da acque meteoriche di dilavamento.

Le acque reflue urbane, quindi, riflettono la composizione dell’agglomerato di provenienza, definito come «l’area in cui la popolazione, ovvero le attività produttive, sono concentrate in misura tale da rendere ammissibile, sia tecnicamente che economicamente in rapporto anche ai benefici ambientali conseguibili, la raccolta e il convogliamento delle acque reflue urbane verso un sistema di trattamento o verso un punto di recapito finale» (art. 74, 1° comma, lett. n) del d.lgs. n. 152/2006)30.

29 Ad esempio, attività alberghiera, attività di ristorazione, attività sportiva, bar,

stabilimenti balneari, ambulatori medici, ospedali, asili nido, grandi magazzini, ecc.

(16)

46

2.3 La disciplina degli scarichi in relazione al corpo

ricettore

Il d.lgs. n. 152/2006 detta un diverso regime giuridico degli scarichi in base alla natura del corpo ricettore, distinguendoli in:

d) scarichi in acque superficiali; e) scarichi sul suolo;

f) scarichi nel sottosuolo; g) scarichi in rete fognaria.

L’art. 103 prevede un divieto generalizzato di scarico sul suolo e negli strati superficiali del sottosuolo, tranne in alcune ipotesi tipizzate elencate nello stesso articolo, nello specifico:

a) nei casi previsti dall’art. 100, 3° comma, ossia per insediamenti, installazioni o edifici isolati che producono acque reflue domestiche, per i quali le Regioni devono individuare sistemi individuali o altri sistemi pubblici o privati adeguati che raggiungano lo stesso livello di protezione ambientale, indicando anche i tempi di adeguamento degli scarichi a detti sistemi;

b) per gli scaricatori di piena a servizio delle reti fognarie; c) in caso di scarichi di acque reflue urbane e industriali per i quali sia accertata l’impossibilità tecnica o l’eccessiva onerosità, a fronte dei benefici ambientali conseguibili, a recapitare in corpi idrici superficiali, purché gli stessi siano conformi ai criteri e ai valori-limite di emissione fissati a tal fine dalle Regioni ai sensi del 2° comma dell’art. 101, in mancanza dei quali si applicano i valori-limite di emissione della Tabella 4 dell’Allegato 5;

d) per gli scarichi di acque provenienti dalla lavorazione di rocce naturali nonché dagli impianti di lavaggio delle sostanze minerali, purché i relativi fanghi siano costituiti esclusivamente da acqua e inerti naturali e non comportino danneggiamento delle falde acquifere o instabilità dei suoli;

(17)

47

e) per gli scarichi di acque meteoriche convogliate in reti fognarie separate;

f) per le acque derivanti dallo sfioro dei serbatoi idrici, dalle operazioni di manutenzione delle reti idropotabili e dalla manutenzione dei pozzi di acquedotto.

L’ipotesi di cui alla lettera c), in particolare, costituisce una deroga significativa, che richiede tre condizioni.

Anzitutto, il rispetto dei valori-limite che devono essere esattamente indicati dalle Regioni per tale specifico scarico sul suolo e che, ai sensi del 3° comma dell’art. 103, devono rispettare i limiti indicati nella Tabella 4 dell’Allegato 5, fermo restando il divieto di scarico delle sostanze indicate al punto 2.1 del medesimo Allegato.

Le altre due condizioni, ossia l’impossibilità tecnica e l’eccessiva onerosità rispetto ai benefici ambientali conseguibili con lo scarico in altro corpo ricettore, sembrerebbero alternative tra loro. Ma in dottrina31 si afferma che, a ben vedere, le due prescrizioni si pongono una come specificazione dell’altra: l’impossibilità tecnica consiste in un criterio oggettivo, nel senso che non è attuabile sotto il profilo tecnico un altro scarico; l’eccessiva onerosità a fronte dei benefici ambientali di un’altra tipologia di scarico sarebbe un’impossibilità tecnica collegata all’utilizzo delle «migliori tecniche disponibili». Solo con questa interpretazione – si dice – si può dare un criterio univoco, certo e razionale alle Autorità per il rilascio delle autorizzazioni di uno scarico sul suolo, e si può anche comprendere la disposizione del punto 2 dell’Allegato 5, contenente uno schema riferito sia agli scarichi di acque reflue urbane sia agli scarichi industriali, in cui vengono indicate le distanze (rapportate al volume del refluo) dal più vicino corpo idrico superficiale oltre le quali è permesso lo scarico sul suolo.

31 F. BRUNO, Tutela e gestione delle acque. Pluralità di ordinamenti e governance

(18)

48

Con una norma di chiusura, l’art. 103, 2° comma, prevede che «al di fuori delle ipotesi previste al comma 1, gli scarichi sul suolo esistenti devono essere convogliati in corpi idrici superficiali, in reti fognarie ovvero destinati al riutilizzo in conformità alle prescrizioni fissate con il decreto di cui all’art. 99, comma 132. In caso di mancata ottemperanza agli obblighi indicati, l’autorizzazione allo scarico si considera a tutti gli effetti revocata».

A proposito di quest’ultima disposizione, si discute se si tratti di un’ipotesi di revoca ex lege dell’autorizzazione, che renderebbe lo scarico illecito alla scadenza o al non adempimento dell’obbligo, ovvero di una situazione di autotutela della p.a., che richiederebbe un atto amministrativo adeguatamente motivato33. In proposito sembra preferibile la tesi per cui non si configura un’ipotesi di revoca ex lege, in quanto l’Amministrazione appare vincolata ad un duplice accertamento: da una parte, che l’autorizzazione non rientri già tra i casi in cui è ammessa l’autorizzazione in deroga (ciò si desume dalla clausola di salvezza «al di fuori delle ipotesi previste al comma 1») e, dall’altra, che il soggetto che effettua lo scarico non più consentito si sia attivato per ottemperare agli obblighi di legge, per esempio presentando domanda di autorizzazione in corpo idrico superficiale34.

Gli scarichi nel sottosuolo e nelle acque sotterranee sono vietati, tranne nelle ipotesi eccezionali elencate nell’art. 104, che riguardano, in generale, acque con un limitato impatto ambientale per quantità e qualità, come le acque utilizzate per scopi geotermici, le acque di infiltrazione di miniere o cave, le acque pompate nel corso di

32 Ai sensi dell’art. 170, 3° comma, lett. b), d.lgs. n. 152/2006, «fino all’emanazione

del decreto di cui all’art. 99, comma 1, continua ad applicarsi il DM 12 giugno 2003, n. 185».

33 F. BRUNO, Tutela e gestione delle acque. Pluralità di ordinamenti e governance

multilivello del mare e delle risorse idriche, cit., p. 139.

34 G. LE PERA, Inquinamento idrico, in P. DELL’ANNO-E. PICOZZA (diretto da),

(19)

49

determinati lavori di ingegneria civile, ivi comprese quelle degli impianti di scambio termico; le acque risultanti dall’estrazione di idrocarburi; le acque utilizzate per il lavaggio e la lavorazione degli inerti ecc. Si tratta, comunque, di scarichi che devono essere sempre autorizzati da specifiche Autorità, previa approfondita istruttoria sulle caratteristiche delle acque e della loro compatibilità con le acque profonde.

Al di fuori dei casi contemplati, gli scarichi nel sottosuolo e nelle acque sotterranee devono essere convogliati in corpi idrici superficiali ovvero destinati, ove possibile, al riciclo, al riutilizzo o all’utilizzazione agronomica; in caso di mancata ottemperanza agli obblighi indicati, l’autorizzazione è revocata (art. 104, ultimo comma).

La modalità ordinaria per scaricare i reflui è indirizzarli nelle acque superficiali (oltre che in fognatura)35. L’art. 105 del Codice dell’ambiente prevede, al primo comma, che gli scarichi di acque reflue industriali debbano rispettare i valori-limite di emissione fissati dalle Regioni in funzione del perseguimento degli obiettivi di qualità, rinviando alla disciplina disposta dall’art. 101, 1° e 2° comma.

Nei commi seguenti la norma tratta degli scarichi di acque reflue urbane, prevedendo che quelli che confluiscono nelle reti fognarie, provenienti da agglomerati con meno di 2.000 abitanti e recapitanti in acque dolci e di transizione, nonché provenienti da agglomerati con meno di 10.000 abitanti, recapitanti in acque marino-costiere, siano sottoposti ad un trattamento appropriato, in conformità con le indicazioni dell’Allegato 5 (2° comma); inoltre, le acque reflue urbane devono essere sottoposte, prima dello scarico, ad un trattamento secondario o ad un trattamento equivalente, sempre in conformità con quanto indicato nell’Allegato 5 (3° comma), oltre a dover rispettare i

35 L’art. 74, 2° comma, lett. h) definisce un corpo idrico superficiale come «un

elemento distinto e significativo di acque superficiali, quale un lago, un bacino artificiale, un torrente, fiume o canale, parte di un torrente fiume o canale, acque di transizione o un tratto di acque costiere».

(20)

50

limiti di cui all’art. 101, 1° e 2° comma (4° comma); alle Regioni, poi, è riservato il potere di dettare una disciplina distinta per gli scarichi in reti fognarie provenienti da agglomerati a forte fluttuazione stagionale, fermo restando il conseguimento degli obiettivi di qualità (5° comma); infine, in caso di scarichi di acque reflue urbane in acque situate in zona di alta montagna al di sopra dei 1500 metri sul livello del mare, dove, a causa delle basse temperature, è difficile effettuare un trattamento biologico efficace, il trattamento può essere meno restrittivo rispetto a quello disposto nel 3° comma, purché studi dettagliati comprovino che non vi siano ripercussioni negative sull’ambiente (6° comma)36

.

La rete fognaria costituisce un corpo ricettore intermedio, di transizione fino alla destinazione finale, normalmente costituita da acque superficiali. Essa è definita dall’art. 74, 1° comma, lett. dd) come «un sistema di condotte per la raccolta e il convogliamento delle acque reflue urbane» e, ai sensi dell’art. 100, 1° comma, è obbligatoria per lo smaltimento delle acque reflue urbane provenienti da agglomerati superiori ai 2.000 abitanti. Il secondo comma dell’art. 100 stabilisce che la fognatura deve essere progettata, costruita e mantenuta adottando le migliori tecniche disponibili che comportino costi economicamente ammissibili, tenendo conto di tre parametri: a) la portata media, il volume annuo e le caratteristiche delle acque reflue urbane; b) la prevenzione di eventuali fenomeni di rigurgito che comportino la fuoriuscita delle acque reflue dalle sezioni fognarie; c) la limitazione dell’inquinamento dei ricettori, causato da tracimazioni originate da particolari eventi meteorici.

36

Un trattamento più spinto è previsto per le acque reflue urbane provenienti da agglomerati con oltre 10.000 abitanti che scaricano in corpi idrici ricadenti in aree sensibili, salvo dimostrare che la percentuale minima di riduzione del carico complessivo in ingresso a tutti gli impianti di trattamento delle acque reflue urbane è pari almeno al 75% per il fosforo totale oppure per almeno il 75% per l’azoto totale (art. 106 d.lgs. n.152/2006).

(21)

51

Riguardo agli scarichi in rete fognaria, l’art. 107 prevede, al primo comma, che gli scarichi di acque reflue industriali siano sottoposti alle norme tecniche, alle prescrizioni regolamentari e ai valori-limite adottati dall’Autorità d’ambito competente, in base alle caratteristiche dell’impianto di depurazione e in modo da assicurare la tutela del corpo idrico ricettore e il rispetto delle regole disposte dall’art. 101, 1° e 2° comma. Sono comunque inderogabili i valori-limite di emissione di cui alla Tabella 3/A dell’Allegato 5, nonché quelli elencati nella Tabella 3, limitatamente ai parametri di cui alla nota 2 della Tabella 5 dello stesso Allegato37.

Le Regioni, sentite le Province, possono stabilire norme integrative per il controllo degli scarichi degli insediamenti civili e produttivi allacciati alle pubbliche fognature, per la funzionalità degli impianti di pretrattamento e per il rispetto dei limiti e delle prescrizioni previsti dalle relative autorizzazioni (art. 107, 4° comma).

2.4 Scarichi di sostanze pericolose

Le sostanze pericolose sono definite dall’art. 74, 2° comma, lett. ee) del d.lgs. n. 152/2006 come «le sostanze o gruppi di sostanze tossiche, persistenti e bio-accumulabili e altre sostanze o gruppi di sostanze che danno adito a preoccupazioni analoghe».

In vigenza della legge Merli, gli scarichi contenenti sostanze pericolose erano disciplinati dalla normativa speciale disposta dal

37 Per completezza, si può ricordare che l’art. 107, al secondo comma disciplina gli

scarichi domestici in rete fognaria, i quali sono sempre ammessi, purché osservino i regolamenti fissati dal gestore del servizio idrico integrato ed approvati dall’Autorità d’ambito competente.

(22)

52

d.lgs. n. 133/1992, emanato in attuazione di specifiche direttive comunitarie38, poi abrogato e sostituito dal d.lgs. n. 152/1999.

Oggi il riferimento normativo per gli scarichi di determinate sostanze, considerate particolarmente nocive, è l’art. 108 del Codice dell’ambiente, al cui primo comma è delimitato l’ambito di applicazione: in primo luogo, deve trattarsi di stabilimenti nei quali si svolgono attività che comportano la produzione, la trasformazione o l’utilizzazione delle sostanze di cui alle Tabelle 3/A e 5 dell’Allegato 5; inoltre, negli scarichi dello stabilimento deve essere accertata la presenza di tali sostanze in quantità o concentrazioni superiori ai limiti di rilevabilità consentiti dalle metodiche di rilevamento.

Si tratta di due presupposti oggettivi che devono coesistere. In particolare, riguardo al primo, non è sufficiente la mera presenza negli scarichi delle sostanze pericolose, ma è necessario che tali sostanze siano collegate al ciclo produttivo. Pertanto, non è considerato «scarico pericoloso» quello in cui le acque vengono prelevate già inquinate dal corpo ricettore in cui poi vengono nuovamente rimesse. Ciò è confermato dalle modalità con cui sono individuati i limiti nella Tabella 3/A dell’Allegato 5: essi sono fissati per unità di prodotto e riferiti a specifici cicli produttivi, attraverso uno schema che prevede la correlazione tra il settore produttivo, la quantità di sostanza scaricata per unità di prodotto (o capacità di produzione), la media mensile e la media giornaliera dei valori scaricati39.

Il secondo comma dell’art. 108 stabilisce che l’Autorità competente, tenendo conto della tossicità, della persistenza e della bioaccumulazione della sostanza considerata nell’ambiente in cui è effettuato lo scarico, è tenuta a fissare nell’autorizzazione valori-limite più restrittivi di quelli fissati dalle Regioni, nei casi in cui risulti

38 Direttiva 76/464/CEE e successive modifiche.

39 F. BRUNO, Tutela e gestione delle acque. Pluralità di ordinamenti e governance

(23)

53

accertato che tali limiti regionali impediscano o pregiudichino il conseguimento degli obiettivi di qualità previsti nel Piano di tutela delle acque, anche per la compresenza di altri scarichi di sostanze pericolose.

Per gli scarichi che contengono le sostanze di cui alla Tabella 3/A dell’Allegato 5, derivanti dai cicli produttivi indicati nella medesima tabella, il quarto comma prevede che debba essere stabilita nell’autorizzazione la quantità massima della sostanza espressa in unità di peso per unità di elemento caratteristico dell’attività inquinante e cioè per materia prima o per unità di prodotto, in conformità con quanto indicato nella stessa tabella. Al punto 1.2.3 dell’Allegato 5, sono dettate particolari prescrizioni che riguardano, ad esempio, la costruzione, l’esercizio e la manutenzione degli impianti, il sistema degli autocontrolli ecc.

Per le acque reflue industriali, il quinto comma dell’art. 108 stabilisce che il punto di misurazione dello scarico sia fissato secondo quanto previsto dall’autorizzazione integrata ambientale oppure, nel caso di attività non rientranti nel campo di applicazione di tale disciplina, subito dopo l’uscita dallo stabilimento o dall’impianto di trattamento che serve lo stabilimento medesimo. Ciò in deroga a quanto disposto dall’art. 101, 3° comma, che prevede, quale regola di applicazione generale, che la misurazione avvenga nel punto assunto a riferimento per il campionamento, e cioè immediatamente a monte dell’immissione nel recapito in tutti gli impluvi naturali, le acque superficiali e sotterranee, interne e marine, le fognature, sul suolo e nel sottosuolo.

Sempre il quinto comma dell’art. 108 dispone che qualora l’impianto di trattamento di acque reflue industriali che tratta le sostanze pericolose di cui alla Tabella 5 dell’Allegato 5 riceva, tramite condotta, acque reflue provenienti da altri stabilimenti industriali o acque reflue urbane, contenenti sostanze diverse non utili ad una

(24)

54

modifica o ad una riduzione delle sostanze pericolose, in sede di autorizzazione l’Autorità competente ridurrà opportunamente i valori-limite di emissione indicati nella Tabella 3 del medesimo Allegato 5 per ciascuna delle predette sostanze pericolose indicate nella Tabella 5, tenendo conto della diluizione operata dalla miscelazione delle diverse acque reflue.

Infine, il quinto comma prevede anche che l’Autorità competente possa richiedere che gli scarichi parziali contenenti le sostanze della Tabella 5 dell’Allegato 5 siano tenuti separati dallo scarico generale e disciplinati come rifiuti. Si tratta di un potere che implica un condizionamento importante nella sfera giuridica del privato, in quanto l’Amministrazione può imporre di gestire il refluo non come scarico, bensì come rifiuto, e l’impresa, di conseguenza, se ne deve disfare rispettando la disciplina della Parte quarta del d.lgs. n. 152/2006. Inoltre, non essendo specificato nella norma il momento in cui può essere esercitato tale potere, non è chiaro se l’Autorità possa imporre la gestione dei reflui come rifiuti al momento in cui il titolare dello scarico richiede l’autorizzazione, ovvero anche successivamente, ad esempio in sede di controllo.

In dottrina40 si è precisato che tale potere discrezionale può essere correttamente esercitato solo in sede autorizzatoria, alla luce dei principi di buona fede, correttezza e non contraddittorietà; che la possibilità di vietare lo scarico e imporne il trattamento come rifiuto liquido sarebbe in contraddizione con le norme comunitarie, le quali non prevedono per le sostanze pericolose un divieto assoluto di scarico; inoltre, vi sarebbe una potenziale disparità di trattamento da parte dell’Amministrazione davanti a situazioni analoghe: infatti, il quarto comma dell’art. 101 dispone che l’Autorità competente possa richiedere, in caso di scarichi parziali contenenti sostanze pericolose,

40 F. BRUNO, Tutela e gestione delle acque. Pluralità di ordinamenti e governance

(25)

55

un pretrattamento prima della confluenza nello scarico generale, quindi, teoricamente, due scarichi contenenti le medesime sostanze possono essere assoggettati ad un regime giuridico differente; infine, la richiesta di gestire i reflui come rifiuti liquidi dovrebbe essere l’ultima opportunità, impiegata solo in mancanza di alternative, oltre a dover essere adeguatamente motivata.

Il d.lgs. 13 ottobre 2015, n. 172, attuativo della Direttiva 2013/39/UE, che modifica le Direttive 2000/60/CE e 2008/105/CE relativamente alle sostanze prioritarie nel settore della politica delle acque, aggiunge 12 nuove sostanze inquinanti alle 33 sostanze cosiddette «prioritarie» già individuate per la loro pericolosità, provvedendo anche alla revisione dei livelli di concentrazione di alcune sostanze già incluse nell’elenco. Le sostanze prioritarie sono definite dall’art. 74, 2° comma, lett. ff) del d.lgs. n. 152/2006 come «le sostanze individuate con disposizioni comunitarie ai sensi dell’articolo 16 della direttiva 2000/60/CE»; si tratta di sostanze chimiche con un rischio significativo per l’ambiente acquatico, nei cui confronti l’Unione europea stabilisce priorità di intervento ai fini della progressiva riduzione dell’inquinamento causato da esse.

Il d.lgs. n. 172/2015 modifica il Codice dell’ambiente intervenendo sugli articoli 74 (Definizioni) e 78 (Standard di qualità ambientale per le acque superficiali), nonché sull’Allegato 1 alla Parte terza, con l’obiettivo di raggiungere un buono stato chimico delle acque entro il 2021 con riferimento alle sostanze individuate in passato ed entro il 2027 per le sostanze nuove41. Gli standard di qualità ambientale (SQA) sono finalizzati al raggiungimento di un buono stato chimico delle acque superficiali, definito come «lo stato chimico richiesto per conseguire gli obiettivi ambientali per le acque superficiali fissati dalla presente sezione secondo le modalità previste

41 Sul d.lgs. n. 172/2015 cfr. F. PETRUCCI, Acque. Dall’11 novembre 2015 nuove

(26)

56

all’art. 78, comma 2, lettere a) e b), ossia lo stato raggiunto da un corpo idrico superficiale nel quale la concentrazione degli inquinanti non superi gli standard di qualità ambientali fissati per le sostanze dell’elenco di priorità di cui alle tabelle 1/A e 2/A del paragrafo A.2.6 dell’allegato 1 alla parte terza» (art. 74, 2° comma, lett. z)42

.

Riferimenti

Documenti correlati

planimetria generale dell’impianto, in opportuna scala con specificazione del processo depurativo e di affinamento adottato, delle installazioni da realizzare e

indicazione della destinazione d’uso delle acque trattate destinate al riutilizzo;. specificazione delle quantità destinate al recupero rispetto alle quantità totali

152 “Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della

Il notevole aumento del numero degli scarichi di acque reflue urbane e domestiche (462) rispetto al numero complessivo di scarichi civili (363) riportato nella 3a Relazione

Impianto comunale di trattamento delle acque di scarico Trasferimento dei fanghi alle pompe centrifughe. Pompa autoadescante 6

Penale Sent.. La Smalto Design S.r.l. ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte di appello di Milano del 22/02/2019 che ha confermato la sentenza del Tribunale della

(1) Il gestore del servizio integrato di fognatura e depurazione effettua, in attuazione dell'articolo 56, comma 6, della legge provinciale, il controllo degli scarichi di acque

113 prevede che le Regioni previo parere del Ministero dell’Ambiente disciplinino, tra l’altro, “…i casi in cui può essere richiesto che le acque di prima pioggia e di