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Introduzione Fin dai suoi albori il processo d’integrazione europea, nel periodo post

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Academic year: 2021

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Introduzione

Fin dai suoi albori il processo d’integrazione europea, nel periodo post-bellico, si caratterizza per un carattere di forte unicità ed innovazione. La possibilità – o l’onere – oggi più che mai, di un’organizzazione sovra-statale capace di unire esigenze economiche, fiscali, politiche, ma soprattutto ideologiche profondamente differenti, rappresentava un forte azzardo e, contemporaneamente, un coraggioso tentativo di garantire pace e stabilità economica. La creazione di una comunità unica, con tutti i suoi risvolti geo-politici, ma anche economici, si è sostanzialmente configurata per molti anni come un vero e proprio successo. Per quanto riguarda un’analisi esclusivamente economica, emblematico risulta essere non tanto l’abbattimento delle barriere commerciali, doganali e degli ostacoli al libero scambio di merci e persone (fenomeno questo che proprio in questi mesi sta dividendo l’opinione pubblica europea), quanto soprattutto, l’adozione di una moneta unica. Scopo del presente lavoro è quello di analizzare i principali costi e benefici nell’adozione di una valuta comune, partendo proprio dall’interrogativo che lo stesso padre fondatore della teoria delle aree valutarie ottimali, Robert Mundell – già nei primi anni Sessanta del XX° secolo – si poneva. Egli si domandò quali condizioni dovessero essere soddisfatte affinché per un paese non fosse eccessivamente costoso rinunciare all’indipendenza monetaria, e quali possano essere i mezzi con i quali stimolare variabili fondamentali come produzione e domanda aggregata. Al fine di definire l’area geografica coincidente con quella valutaria ottimale è, dunque, necessario verificare la presenza di una serie di connotati economici ben precisi.

L’obiettivo che mi sono posto è quello di individuare in primo luogo, i pensieri fondamentali dei principali autori in materia di aree valutarie e, sulla base di tali teorie, rispondere alla domanda se l’Eurozona è un’area valutaria “ottimale, oppure ci possono essere delle misure correttive che la possono rendere tale. In secondo luogo, come tali teorie vennero confutate e criticate dalla letteratura economica degli anni Ottanta e Novanta che prese il passo alla corrente tradizionale: la teoria della credibilità. Tale filone di pensiero sembrava rappresentare la ‘nuova’ teoria delle aree valutarie ottimali,

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ma rinunciare alla discrezionalità monetaria per stabilire delle regole fisse, come l’adesione ad un’Unione monetaria, è una strada che condurrà, sempre e comunque, a dei benefici superiori ai costi? È sempre così anche di fronte ad uno shock asimmetrico dell’economia? Sono questi gli interrogativi da cui siamo partiti per sviluppare questo ‘nuovo’ filone teorico. C’è da precisare come, nella letteratura economica, sia presente ambiguità e confusione nel definire i concetti di “unione monetaria” ed “unione valutaria”. Un paese che fissa il tasso di cambio della propria valuta e permette la libera circolazione dei capitali rinuncia al controllo sulla politica monetaria nazionale. Questo sacrificio è un esempio dell’impossibilità per un paese di conseguire più di due tra i seguenti obiettivi:

a) Stabilità del tasso di cambio;

b) Politica monetaria orientata agli obiettivi interni; c) Libertà dei movimenti internazionali di capitali.

La necessità di scegliere solo due caratteristiche su tre è un trilemma per i policy maker. È un “trilemma” anziché un dilemma perché le opzioni disponibili sono 3: a) e b), a) e c) o b) e c). Ciò che uno dei padri fondatori dell’euro, Tommaso Padoa-Schioppa, ha voluto sottolineare, è che un mercato in cui vi sia contemporaneamente la libera circolazione di materie prime (input) e di prodotti finiti (output) non è un mercato ‘sostenibile’. Potrebbe rappresentare un ostacolo all’unione valutaria se le politiche macroeconomiche non fossero sostenute da qualche istituto sovranazionale. Ecco che, le osservazioni da fare diventano due. In primo luogo, il trasferimento della sovranità delle politiche economiche dalle autorità nazionali alle autorità sovranazionali (come il Sistema Europeo di Banche Centrali). In secondo luogo, la libera circolazione di materie prime e di prodotti finiti in contemporanea, potrebbe giocare un ruolo chiave sull’unione valutaria a seconda del contesto istituzionale di riferimento. Guardando all’evoluzione dell’Eurozona, negli ultimi anni sembra che le osservazioni di Padoa-Schioppa non siano state totalmente rispettate.

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Affrontare la tematica delle aree valutarie ottimali in un’ottica storica, significa soffermarsi su uno dei temi più dibattuti in Europa, e proprio per tale importanza, il margine di errore deve essere bassissimo. D’altro lato, c’è da sottolineare che il processo di armonizzazione europeo non ha trovato certo una strada ‘percorribile’. La presenza di forti dislivelli tra Paesi all’interno dell’Unione Europea in termini di effetti della crisi economica, tanto sulla sfera finanziaria quanto su quella più reale, rappresentano una delle maggiori fonti d’incertezza riguardanti il destino dell’unione monetaria europea. È proprio in questo contesto che il presente lavoro vuole essere inserito. Dopo un’attenta analisi dei costi, dei benefici e un oculato confronto tra essi, il focus è rivolto sulle unioni monetarie “incomplete”. Considereremo due tipologie di scenari in cui è presente il problema dell’incompletezza, e ci porremo l’interrogativo – a cui risponderemo puntualmente – su come renderle complete. Termineremo il lavoro approfondendo i principali risultati che, grazie alla teoria delle aree valutarie ottimali, sono visibili con l’adozione di una valuta comune. E, oltre ai risultati ottenuti, delineeremo i principali scenari in ottica prospettica.

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