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CAPITOLO 4 LA CONVERSIONE DEL PERMESSO DI SOGGIORNO AL RAGGIUNGIMENTO DELLA MAGGIORE ETÀ.

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CAPITOLO 4

LA CONVERSIONE DEL PERMESSO DI SOGGIORNO AL RAGGIUNGIMENTO DELLA MAGGIORE ETÀ.

Il raggiungimento della maggiore età è sicuramente un momento di stress per il minore, e anche per la Comunità e le istituzioni che lo hanno accolto. Al di là dei problemi legati all’autonomia economica ed abitativa ai quali abbiamo fatto riferimento nel capitolo precedente, un’ulteriore questione cruciale è quella che riguarda il possesso di un titolo di soggiorno.

Lungi dall’essere soltanto un aspetto burocratico ed amministrativo, la possibilità di convertire il permesso una volta compiuti i diciotto anni ha sicuramente delle implicazioni forti nella costruzione di tutto il percorso di accoglienza ed autonomia, fin dal suo inizio, in quanto permette di progettare ed immaginare la possibilità di un’ effettiva integrazione nel lungo periodo. Viceversa, qualora non fosse possibile la conversione, l’accoglienza dovrà essere soltanto emergenziale e alloggiativa, in modo tale da rispettare il diritto all’inespellibilità del minore, ma senza prevederne poi una sua stabilizzazione in Italia durante la vita adulta.

È facile immaginare come questa seconda ipotesi, benché forse sia più semplice da realizzare nel breve periodo, e sia legata ad una concezione del diritto dell’immigrazione attenta alla tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza piuttosto che all’integrazione, presenti tuttavia il limite di essere, per il ragazzo e per gli operatori, scarsamente motivazionale e facilmente soggetta ad abbandoni e fughe.

Vista quindi l’importanza e l’attualità dell’argomento, analizzeremo in prima battuta l’evoluzione normativa al riguardo, per poi passare a esporre quella che è la situazione attuale ed alcune pronunce giurisprudenziali meritevoli di attenzione al riguardo.

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4. 1 L’evoluzione normativa.

4. 1. 1 Il D. L. ivo n. 286/1998, la Legge “Bossi – Fini” e la Sentenza Corte Costituzionale n. 198/2003.

La disciplina riguardante la conversione del permesso di soggiorno una volta raggiunti diciotto anni è contenuta all’articolo 32 del D. L. ivo n. 286/1998, denominato “Disposizioni concernenti minori affidati al compimento della maggiore età”.

Al contrario di quanto il titolo dell’articolo possa far pensare, esso non si preoccupa di disciplinare la materia solo relativamente ai minori destinatari di un provvedimento formale di affidamento (e quindi titolari di un permesso di soggiorno per affidamento), bensì, a seguito anche di una evoluzione legislativa di non poco conto, riguarda, con modalità diverse, anche MSNA titolari di altri titoli di soggiorno, primo fra tutti quello per minore età.

Nella sua versione originale tale articolo si limitava a prevedere che:

“Al compimento della maggiore età, allo straniero nei cui confronti sono state applicate le disposizioni di cui all'articolo 31, commi 1 e 2, e ai minori comunque affidati ai sensi dell'articolo 2 della legge 4 maggio 1983, n. 184, può essere rilasciato un permesso di soggiorno per motivi di studio di accesso al lavoro, di lavoro subordinato o autonomo, per esigenze sanitarie o di cura. Il permesso di soggiorno per accesso al lavoro prescinde dal possesso dei requisiti di cui all'articolo 23.”

Grazie a questa previsione, era pressoché scontato che la permanenza regolare del MSNA in Italia si sarebbe protratta anche dopo la maggiore età, attraverso il rilascio di un permesso di soggiorno che permetteva di continuare il processo formativo e di accedere al mondo del lavoro.

Una serie di problemi iniziano però a sorgere dopo l’entrata in vigore della c. d. Legge Bossi-Fini, Legge 30 luglio 2002, n. 189, che introduce, al citato articolo 32 del T.U.I., i commi 1 bis, 1 ter e 1 quater:

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“1-bis. Il permesso di soggiorno di cui al comma 1 può essere rilasciato per motivi di studio, di accesso al lavoro ovvero di lavoro subordinato o autonomo, al compimento della maggiore età, sempre che non sia intervenuta una decisione del Comitato per i minori stranieri di cui all’articolo 33, ai minori stranieri non accompagnati che siano stati ammessi per un periodo non inferiore a due anni in un progetto di integrazione sociale e civile gestito da un ente pubblico o privato che abbia rappresentanza nazionale e che comunque sia iscritto nel registro istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri ai sensi dell’articolo 52 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394.

1-ter. L’ente gestore dei progetti deve garantire e provare con idonea documentazione, al momento del compimento della maggiore età del minore straniero di cui al comma 1-bis, che l’interessato si trova sul territorio nazionale da non meno di tre anni, che ha seguito il progetto per non meno di due anni, ha la disponibilità di un alloggio e frequenta corsi di studio ovvero svolge attività lavorativa retribuita nelle forme e con le modalità previste dalla legge italiana, ovvero è in possesso di contratto di lavoro anche se non ancora iniziato.

1-quater. Il numero dei permessi di soggiorno rilasciati ai sensi del presente articolo è portato in detrazione dalle quote di ingresso definite annualmente nei decreti di cui all’articolo 3, comma 4”

Il nuovo articolo 32, così come risultato dalla riforma introdotta dalla Legge Bossi-Fini, introduce, potremmo dire, la tematica e la disciplina riguardante i MSNA veri e propri, ovvero coloro che, non essendo affidati con procedimento formale, non hanno in Italia figure giuridicamente responsabili e di riferimento, e per le quali l’unico titolo di soggiorno rilasciabile è quello per minore età, con i limiti e le caratteristiche che esso contiene.

Ad esclusione dei minori affidati, quindi, che continuavano ad essere ricompresi nel primo comma, gli altri MSNA ricadevano entro i commi successivi, dalla cui rapida lettura possiamo sin da subito osservare come vengano aggiunte delle clausole di poco conto alla possibilità di conversione del permesso.

Tale scelta, frutto di una concezione del diritto dell’immigrazione più incline a collocare anche l’immigrazione minorile irregolare nel più ampio gruppo dell’immigrazione

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illegale1, cercava quindi di limitare nel tempo la presenza in Italia di questi stranieri, prevedendone il rimpatrio a 18 anni, a meno che non fossero state soddisfatte una serie non indifferente di condizioni.

Infatti, alla luce di tale normativa, per ottenere un nuovo titolo di soggiorno che permettesse di accedere allo studio, al lavoro, o a particolari cure sanitarie, era necessario trovarsi in Italia da almeno tre anni, oppure aver preso parte a un progetto di integrazione sociale e civile almeno biennale.

L’introduzione di questo requisito, oltre ai rischi legati alla clandestinità, in cui di fatto i neo maggiorenni si trovavano allo scadere del permesso di soggiorno per minore età, faceva sorgere però un effetto perverso, sottolineato da molti autori, ovvero quello di abbassare drasticamente l’età media dei MSNA che giungevano nel nostro Paese (al fine naturalmente di soddisfare il requisito della residenza da almeno tre anni), con tutte le conseguenze negative, legate soprattutto al viaggio, e ai rischi di sfruttamento, che ciò può implicare2.

Le novità introdotte inducevano inoltre a riflettere anche sulla natura del permesso di soggiorno per minore età, che consuetudinariamente viene rilasciato ai MSNA.

Già abbiamo parlato nel secondo capitolo della sua residualità, e del fatto che esso dovrebbe essere legato solo a quelle situazioni per le quali non è immediatamente rilasciabile un permesso di soggiorno per affidamento piuttosto che per integrazione del minore.

Qui possiamo rilevare come esso debba avere anche la caratteristica della temporaneità e se vogliamo dell’emergenza, in attesa quindi di poterlo convertire in altro tipo di permesso che possa poi garantire una maggiore stabilità nel percorso di integrazione3.

Inoltre, la Circolare del Ministero dell’Interno del 13 novembre 2000, la quale chiarisce alcuni punti sulle caratteristiche di questo titolo di soggiorno, prevede, proprio in ragione della temporaneità del titolo, che esso non consenta di svolgere attività lavorativa, la quale sicuramente, oltre ad essere una delle principali aspirazioni dei MSNA, è anche un vettore di integrazione molto forte.

1

Morozzo della Rocca P., I minori d’età nel diritto dell’immigrazione, in Morozzo della Rocca P. (a cura di), Immigrazione, asilo e cittadinanza. Discipline ed orientamenti giurisprudenziali, Ravenna, 2015, Maggioli Editore, pag. 170.

2 Miazzi L. , Minori non accompagnati in Morozzo Della Rocca P. (a cura di ), Immigrazione e cittadinanza,

Roma, 2009, UTET Giuridica, pag. 73.

3 Miazzi L. , Minori non accompagnati in Morozzo Della Rocca P. (a cura di ), Immigrazione e cittadinanza,

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La prassi molto spesso applicata tuttavia, vista anche la ristrettezza dei tempi per quel consistente numero di grandi minori che giungono in Italia ormai prossimi alla maggiore età, non va in questa direzione. Il più recente rapporto ANCI sui MSNA riferisce che nell’anno 2012 ben il 62,9% dei minori accolti in seconda accoglienza era titolare di un permesso di soggiorno per minore età, mentre solo l’11,3% era in possesso di un permesso di soggiorno per affidamento o motivi familiari4.

Oltre a questa novità normativa del 2002, un’importante principio è stato affermato pochi mesi più tardi da una sentenza della Corte Costituzionale, che influenzerà gran parte della giurisprudenza successiva.

La sentenza in questione è la n. 198/ 2003, che ha permesso un’interpretazione più elastica del dettato del primo comma dell’articolo 32 T. U. I. .

Nel caso in esame, il T.A. R. per l’Emilia Romagna aveva sollevato l’illegittimità costituzionale dell’articolo citato, in quanto esso non permetteva la conversione del permesso di soggiorno per quei minori non accompagnati sottoposti a tutela, ma solo per quelli affidati in base alla L. n. 184/1983.

La Corte Costituzionale, con questa sentenza, respinge il dubbio di costituzionalità sollevato, pur riconoscendo la lacunosità di quanto previsto dall’articolo 32, comma 1, ma sottolinea come esso possa essere “integrato in via analogica sulla base della

comparazione fra i presupposti e le caratteristiche del rapporto di tutela del minore e del rapporto di affidamento”.

Infatti, in considerazione del fatto che entrambi gli istituti, l’affido e la tutela, hanno come scopo quello della cura del minore privo di un adeguato ambiente familiare, e che la differenza consiste, più che nella finalità, piuttosto nei presupposti (ovvero, continua la sentenza, “la tutela si apre con la morte o l’assenza di entrambi i genitori o l’impossibilità

di questi di esercitare la potestà, l’affidamento può essere disposto allorché la famiglia di origine sia temporaneamente inidonea ad offrire al minore un adeguato ambiente familiare”), la Corte considera irragionevole una interpretazione che escluda la possibilità

del rilascio del permesso di soggiorno a quanti sono sottoposti a tutela, sia per l’analogia tra gli istituti, sia per il rispetto del principio di uguaglianza5.

4 La parte restante era in possesso di un permesso di soggiorno per protezione internazionale (22,3%),

protezione sociale (0,2%), integrazione (1,2%), o altro (2,1%). Fonte: A cura di Giovannetti M., I minori

stranieri non accompagnati in Italia, V rapporto ANCI/CITTALIA, Roma, 2014, Fondazione ANCI Ricerche,

pag. 90.

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Questa sentenza delle Corte Costituzionale, assieme a una vasta produzione giurisprudenziale ad opera dei Tribunali Amministrativi Regionali6, nei fatti mette in evidenza quindi la differenza tra due categorie di neo maggiorenni stranieri.

In primis quelli sottoposti a tutela o affidamento, la cui disciplina normativa è da

riscontrarsi al primo comma dell’articolo 32 T. U. I., che in un certo senso quindi, in virtù di tali provvedimenti, hanno perso lo status di non accompagnati.

I minori stranieri non accompagnati, ovvero coloro che non hanno in Italia figure per loro giuridicamente responsabili, al contrario, sono sottoposti, una volta divenuti maggiorenni, a quanto previsto dai commi 1 bis e 1 ter, dovendo essere quindi in possesso del requisito o della presenza in Italia da almeno tre anni o della partecipazione a percorsi di integrazione da almeno due7.

Nonostante l’ interpretazione offerta dalla sentenza n. 198/2003 della Corte Costituzionale, la legge continuava comunque ad essere piuttosto restrittiva, con i possibili effetti negativi dei quali già abbiamo in parte parlato, e con la possibilità di alimentare ulteriormente la clandestinità per gli stranieri neo maggiorenni.

6

Capparello Stefania “Minori stranieri sottoposti a tutela” in “Famiglia e Diritto”, 2008, 2, 181 (nota a sentenza).

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4.1. 2 La L. 15 luglio 2009, n. 94.

A restringere ulteriormente il campo di azione per la convertibilità del permesso di soggiorno contribuisce, pochi anni dopo, la L. 15 luglio 2009, n. 94, il c.d. “pacchetto

sicurezza”.

La norma, all’articolo 1, comma 22, lettera v), andando a modificare ulteriormente l’articolo 32 del T.U.I., precisa che, per ciò che attiene la conversione dei permessi di soggiorno di quei minori che “sono stati affidati ai sensi dell’articolo 2 della legge 4

maggio 1983, n. 184, ovvero sottoposti a tutela8”, occorre prendere in considerazione

quanto previsto dal successivo comma 1 bis. Esso, a sua volta, verrà così modificato: “Il permesso di soggiorno di cui al comma 1 può essere rilasciato per motivi di

studio, di accesso al lavoro ovvero di lavoro subordinato o autonomo. Al compimento della maggiore età sempre che non si intervenuta una decisione del Comitato per i minori stranieri di cui all’articolo 33, ai minori stranieri non accompagnati, affidati ai sensi dell’articolo 2 della legge 184/83, ovvero sottoposti a tutela, che siano stati ammessi per un periodo non inferiore a due anni in un progetto di integrazione sociale e civile gestito da un ente pubblico o privato che abbia rappresentanza nazionale e che comunque sia iscritto nel registro istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri ai sensi dell’articolo 52 decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n.394.”

Facilmente si intuiscono quelli che sono gli effetti di questa previsione normativa, e le criticità, sia di ordine teorico che pratico che essa presenta.

Si afferma infatti che per tutti i minori non accompagnati, e quindi anche per coloro che sono in possesso di un decreto di affidamento o di tutela, è necessario rispettare il requisito dei tre anni di presenza in Italia o della partecipazione a progetti di integrazione almeno biennali.

8 Pur con tutti i limiti che questa riforma possiede, e che tra poco esamineremo, un merito è tuttavia quello di

aver incluso entro questo gruppo di minori anche quanti sono destinatari di un provvedimento di tutela, escludendo quindi ogni dubbio interpretativo e adeguandosi a quanto espresso dalla citata Sentenza della Corte Costituzionale n. 198/2003, che di fatto li equiparava a quanti erano destinatari di un procedimento di affidamento. Nei fatti però questa uguaglianza ha conseguenze negative.

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Le conseguenze che abbiamo esposto a commento della riforma del 2002 sono facilmente applicabili anche a questa novità normativa, e si allargano ulteriormente fino a ricomprendere pressoché tutto il gruppo dei minori non accompagnati (o che arrivano sul territorio italiano non accompagnati e vengono poi affidati regolarmente)9.

Si pone inoltre un’altra problematica di natura anche puramente pratica: nel periodo immediatamente successivo all’entrata in vigore di questa normativa, si pone il quesito riguardante la sua retroattività, ovvero, ci si chiede come comportarsi nei confronti di quei minori entrati in Italia precedentemente alla legge, ma che diventeranno maggiorenni dopo. A questo proposito si è espresso significativamente il Consiglio di Stato (oltre che diversi Tribunali Amministrativi Regionali), con la Sentenza sez. III, 27 luglio 2012, n. 4277, nella quale, richiamando anche alcune pronunce precedenti, ha affermato:

“La Sezione, in fattispecie analoga, con sentenza n. 3987 del 4 luglio 2011 si è espressa nel senso che la disciplina modificativa dell’articolo 32 del D. Lgs. n. 286 del 1998, da ultimo introdotta con l’articolo 1, della legge n. 94 del 2009, non può trovare applicazione nei confronti dei minori non accompagnati già in Italia prima della sua entrata in vigore (8 agosto 2009) e che compiono il diciottesimo anno di età, non avendo la possibilità di completare il progetto di integrazione sociale e civile di durata biennale, condizioni che ricorrono nei confronti dell'odierno ricorrente.

Ha inoltre rilevato che nei confronti dei minori entrati in Italia prima della sopradetta novella introdotta dalla legge n. 94 del 2009, non deve configurarsi come esigibile il nuovo requisito della permanenza nel territorio nazionale da almeno tre anni (Cons. Stato, Sez. III, n. 3987 del 2011 cit.; Sez. III, 1785, 27

marzo 2012).

In tal senso si era già espressa la Sezione VI di questo Consiglio di Stato con decisi oni n. 2951 del 13 maggio 2009 e n. 3690 del 27 giugno 2007, in ordine a fattispecie ricadenti nel quadro normativo derivante dall'originaria formulazione del comma 1 bis dell'art. 32 del d.lgs. n. 286 del 1998 quale introdotto dall'art. 25 della legge n. 189 del 2002 che, con riguardo ai minori non accompagnati, anch'esso condizionava il rilascio del permesso di soggiorno al raggiungimento del

9 A cura di Save the Children Italia ONLUS “L’impatto della Legge 94/2009 nei confronti dei minori

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la maggiore età alla previa partecipazione ad un progetto di integrazione sociale e civile di durata non inferiore a due anni. “

Nonostante questa precisazione, che di fatto ha sancito l’irretroattività della norma, questa novità introdotta dalla riforma del 2009, come già abbiamo accennato, ha notevolmente ridotto le possibilità di conversione del permesso di soggiorno per i MSNA, sia titolari di un permesso per minore età che per affidamento; infatti, una volta compiuti diciotto anni, a meno che non abbiano i requisiti previsti all’articolo 32, comma 1 bis, del T. U. I., essi hanno di fronte sostanzialmente due strade: il rientro nel Paese d’origine oppure la clandestinità.

Per tutti questi motivi, è condivisibile affermare come la norma si sia mossa in una direzione restrittiva, finendo per porre esigenze di sicurezza di fronte a quelle della tutela del minore.

Alcuni effetti, facilmente intuibili, sono: l’abbassamento dell’età degli arrivi (a cui già in parte abbiamo accennato), il rischio di fughe dai centri di accoglienza e la relativa clandestinità, la scarsa motivazione che animerà il minore, ed anche operatori e istituzioni, nella realizzazione del progetto di accoglienza data la precarietà della condizione.

Questa situazione è stata lucidamente analizzata e descritta dal Magistrato Lorenzo Miazzi

10

che in una saggio del 2009, scritto proprio a commento della riforma che ha coinvolto l’articolo 32 si è così espresso:

“Anche in questo caso, quindi, la politica di riforma nei confronti dei minori non accompagnati non solo non è in linea con gli interessi superiori dei medesimi, ma neppure con le esibite esigenze di sicurezza della collettività nazionale, dato che il riversarsi in clandestinità di alcune migliaia di ragazzi senza punti di riferimento e la presenza sul territorio di bambini soli, possibili vittime di sfruttamento, non accresce certo la sicurezza del nostro paese.”11

10

Magistrato, prima sostituto procuratore presso il Tribunale per i minorenni di Venezia, poi giudice civile e giudice delegato a Rovigo, giudice penale ad Adria, dal 2011 consigliere presso la Corte d'appello penale di

Venezia; compone anche la Sezione per i minori.

Ha scritto articoli per varie riviste, e ha contribuito a diverse pubblicazioni, in materia minorile, penale e della legislazione sugli stranieri. (Fonte: http://www.penalecontemporaneo.it/gliautori/529-lorenzo_miazzi/)

11 Miazzi L. , “Minori non accompagnati”, in Morozzo Della Rocca P. (a cura di ), Immigrazione e

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4. 2 La L. 2 agosto 2011, n . 129 e la situazione attuale.

Nel 2011, con il D. L. 23 giugno 2011, n. 89, poi convertito con modificazioni nella L. 2 agosto 2011, n. 129, vengono aggiunte ulteriori modifiche alla normativa, che ad oggi è quella di riferimento in materia.

Infatti, il rinnovato comma 1 bis dell’ articolo 32 ha previsto e dettagliato due possibili percorsi12 che si aprono di fronte alla straniero che ha appena compiuto diciotto anni13, e che in larga parte dipendono dal progetto migratorio e di accoglienza a cui ha preso parte durante gli anni precedenti.

Il primo percorso riguarda i MSNA presenti in Italia da tre anni, e che hanno seguito un percorso di integrazione sociale e civile almeno biennale. Nel caso in cui un neo maggiorenne straniero possegga questi requisiti, stia frequentando un corso di studi o svolgendo regolarmente attività lavorativa, ed abbia a disposizione un alloggio, può richiedere un permesso di soggiorno per studio, accesso al lavoro, lavoro subordinato o autonomo.

Il secondo percorso (introdotto appunto dalla nuova normativa del 2011) coinvolge invece i MSNA che sono in possesso di un permesso di soggiorno per affidamento oppure che sono sottoposti a tutela14: questi neo maggiorenni possono ottenere un titolo valido per studio, accesso al lavoro, lavoro subordinato o autonomo, previo parere del Comitato Minori Stranieri (oggi Direzione Generale dell’Immigrazione e delle Politiche di Integrazione presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali). Per questo gruppo quindi, a differenza di quanto previsto dalla riforma del 2009, non è necessario aver compiuto il percorso di integrazione biennale (o essere presenti da almeno tre anni).

12

Accorinti M., Politiche e pratiche sociali per l’accoglienza dei minori non accompagnati in Italia, Roma, 2014, CNR Edizioni, pagg. 60-61.

13Il rinnovato testo del comma 1 bis dell’articolo 32 T.U.I. è il seguente: “Il permesso di soggiorno di cui al comma 1 può essere rilasciato per motivi di studio, di accesso al lavoro ovvero di lavoro subordinato o autonomo, al compimento della maggiore età, ai minori stranieri non accompagnati affidati ai sensi dell’articolo 2 della legge 4 maggio 1983, n. 184, ovvero sottoposti a tutela, previo parere positivo del Comitato per i minori stranieri di cui all'articolo 33 del presente testo unico, ovvero ai minori stranieri non accompagnati che siano stati ammessi per un periodo non inferiore a due anni in un progetto di integrazione sociale e civile gestito da un ente pubblico o privato che abbia rappresentanza nazionale e che comunque sia iscritto nel registro istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri ai sensi dell'articolo 52 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394.”

14

L’equiparazione tra affidamento e tutela, rilevata dalla citata sentenza della Corte Costituzionale n. 198/2003, era stata introdotta a livello normativo, al medesimo articolo 32 comma 1 bis dalla L. 15 luglio 2009, n. 94.

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L’introduzione del parere, che è appunto necessario richiedere all’ex Comitato Minori Stranieri, e che riguarda un cospicuo numero di minori, vista anche l’età media (molto vicina ai diciotto anni) a cui i MSNA arrivano in Italia, presenta tuttavia sia alcuni meriti che alcune ambiguità.

Le Linee Guida sui Minori Stranieri Non Accompagnati (delle quali abbiamo parlato nel secondo capitolo) affrontano la questione riprendendo quanto previsto dall’articolo 32 del T. U. I. e precisando che “in seguito al rilascio del parere da parte della Direzione

Generale, la conversione del permesso di soggiorno deve essere richiesta alla Questura, allegando opportuna documentazione”. Si prevede inoltre la necessità di acquisire tale

documentazione prima di presentarsi in Questura per chiedere la conversione del titolo di soggiorno.

Nei fatti quindi, onde evitare che si crei un buco temporale tra la richiesta del parere alla Direzione Generale e la sua ricezione, tale da non poter far richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno, è necessario che, prima ancora del compimento dei diciotto anni, i soggetti che lo hanno in carico (famiglia affidataria, Comunità, Ente Locale) si attivino per richiederlo.

Le Linee Giuda prevedono infatti espressamente che “tale documentazione può essere

precedentemente acquisita dal soggetto che ha in carico il minore, per essere opportunamente posta a corredo della domanda di conversione del titolo di soggiorno”15. Senza dubbio, la previsione introdotta dalla L. n. 89/2011 ha comportato per il Comitato Minori Stranieri, e dal 2012 per la Direzione Generale, un carico di lavoro notevole, che, talvolta, può ulteriormente appesantire la macchina burocratica per il rilascio del titolo di soggiorno, con conseguenze negative che ricadono in primo luogo sul neo maggiorenne straniero, come vedremo poco più avanti attraverso alcune pronunce giurisprudenziali. Basti pensare che nell’anno 2014 sono stati 2.188 i pareri emessi, cresciuti ulteriormente a 2.685 nel 201516.

15 La richiesta di parere deve essere preferibilmente inoltrata nei tre mesi antecedenti il compimento della

maggiore età, ma non prima di novanta giorni. La Direzione Generale ha 20 giorni per comunicare la risposta, con la possibilità di sospendere la richiesta per un massimo di 30 giorni al fine di integrare ulteriore comunicazione.

16 Fonte: “I Minori Stranieri non Accompagnati (MSNA) in Italia – Report di Monitoraggio. Dati al 31

dicembre 2015” Ministero del Lavoro e Delle Politiche Sociali- Direzione generale dell’Immigrazione e delle

politiche di integrazione. Il report, a cadenza quadrimestrale, aggiornato ad aprile 2016, rileva che nei primi quattro mesi del 2016 i pareri rilasciati ammontano a 654.

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Tuttavia, la previsione di un parere, che potremmo dire ha funzione di nulla osta, emesso da un unico organismo a livello centrale, rappresenta un passo importante nel riconoscimento dei compiti e del ruolo del Comitato, così come espressamente previsto dal D. L. ivo n. 286/1998 all’articolo 33, il quale prevede che il Comitato vigili “sulle modalità

di soggiorno dei minori stranieri temporaneamente ammessi sul territorio dello Stato” e

che coordini “le attività delle amministrazioni”.

La necessità di un parere per la conversione del permesso di soggiorno può veramente essere un elemento di coordinamento, e anche di uguaglianza, che metta al riparo il minore dalla diversificazione delle prassi amministrative che le singole Questure possono mettere in atto, nonché delle modalità di presa in carico e integrazione attuate dagli Enti Locali17. Nonostante l’importanza di questa disposizione, non mancano però importanti criticità. Né la legge né le Linee Guida più recenti della Direzione Generale offrono l’elencazione o la spiegazione di possibili criteri che guidino l’emissione di parere positivo o meno. In tal modo, quello che poteva essere un elemento di garanzia di uguaglianza per tutti i minori rischia invece di ricadere nell’ambito della più ampia discrezionalità dei componenti del gruppo che lo emetterà. Inoltre, data la composizione di natura anche politica della Direzione Generale18, l’esito del parere può essere a sua volta il frutto di ideologie e approcci politici che di volta in volta sono rappresentati dal Governo in carica, e che possono a loro volta interpretare in maniera differente, e magari contrastante, il fenomeno migratorio e il principio del superiore interesse del minore19.

A tale problematicità va aggiunto poi una difficoltà procedurale : il rischio, infatti, è quello di porre il minore in balia delle possibili negligenze di due diverse Pubbliche Amministrazione (Ente Locale che ha in carico il minore e Direzione Generale), o di altri soggetti della società civile quali famiglia affidataria e Comunità.

Quella prevista all’articolo 32, comma 1 bis, relativamente ai minori affidati o sottoposti a tutela, è infatti una procedura peculiare e scarsamente rispettosa dei principi generali del

17 Della necessità di un coordinamento nell’accoglienza abbiamo già parlato anche nel capitolo terzo.

18 Per ciò che attiene alla sua composizione infatti, l’ex Comitato Minori Stranieri, oggi Direzione Generale,

in base all’articolo 3, comma 1, del D.P.C.M. n. 535/1999, è nominato con D.P.C.M. e si compone di nove rappresentanti: uno del Dipartimento per gli affari sociali della Presidenza del Consiglio dei Ministri; uno del Ministero degli affari esteri; uno del Ministero dell’Interno; uno del Ministero della Giustizia; due dell’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI); uno dell’Unione province italiane (UPI); due delle organizzazioni maggiormente rappresentative operanti nel settore dei problemi della famiglia e dei minori non accompagnati.

19 Salimbeni O., Storie minori. Realtà ed accoglienza per i minori stranieri in Italia, Pisa, 2011, Edizioni

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diritto amministrativo italiano in quanto rischia, appunto, nel caso in cui i tempi non siano rispettati, di costringere il minore a presentare comunque una domanda di conversione del titolo di soggiorno (scaduto perché venuta meno la minore età) con una documentazione incompleta, oppure di non presentarla, con tutti i rischi connessi alla clandestinità20. Alla luce di queste considerazioni, si è affermato un orientamento giurisprudenziale che ha considerato illegittimo il diniego della conversione del titolo avente causa nella mancata esibizione del parere della Direzione Generale.

In particolare, tale orientamento è stato affermato da alcune sentenze di Tribunali Amministrativi Regionali21, ma, nonostante questo, ancora è frequente il diniego della conversione del permesso di soggiorno da parte di alcune Questure in assenza appunto del parere, tanto che, anche recentemente, vi sono state delle pronunce.

Con la sentenza T. A. R. Emilia Romagna, 11 febbraio 2015, n. 145, è stato infatti ribadito che:

“quella del pronunciamento del Comitato per i minori stranieri costituisce fase endoprocedimentale facente capo all’Amministrazione procedente e non anche di formalità posta a carico dell’istante, sicché non spetta a quest’ultimo richiedere il relativo parere”

La Sentenza in questione riguardava infatti un cittadino albanese che, nel 2014, si era visto negare dalla Questura di Modena il rilascio del permesso di soggiorno per attesa occupazione ai sensi dell’articolo 32 del D. L. ivo n. 286/1998, poiché la richiesta era priva del parere favorevole del Comitato Minori Stranieri.

In accordo con quanto citato poco sopra, il T. A. R. accoglie il ricorso, motivandolo con queste parole:

“[…] si presenta pertanto illegittimo il diniego fondato unicamente sulla mancata esibizione, in allegato alla domanda, del parere favorevole del Comitato per i minori stranieri, con conseguente accoglimento del ricorso, salve le ulteriori

20 Morozzo della Rocca P., I minori d’età nel diritto dell’immigrazione, in Morozzo della Rocca P. (a cura

di), Immigrazione, asilo e cittadinanza. Discipline ed orientamenti giurisprudenziali, Ravenna, 2015, Maggioli Editore, pag. 173-174.

21 Ad esempio, la sentenza T. A. R. Liguria, sez. II, 15 novembre 2012, n. 1441, oppure la T.A.R.

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determinazioni dell’Amministrazione, chiamata ad acquisire il parere in questione e ad effettuare tutte le ulteriori verifiche necessarie;[...]”

Nonostante le modifiche introdotte dalla legge del 2011, la normativa che regola la permanenza del MSNA in Italia oltre il diciottesimo anno va comunque in una direzione restrittiva.

È comunque meritevole lo sforzo messo in atto per costruire strade più adeguate alla realtà delle cose e delle situazioni, per raggiungere l’uguaglianza tra minori affidati e sottoposti a tutela, e per offrire elementi unitari di riferimento, che non lascino la materia all’interpretazione della prassi amministrativa del singolo Ente.

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4. 3 La conversione del permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale.

Nel secondo capitolo abbiamo avuto modo di accennare al permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale che, nell’ordinamento italiano, è disciplinato dall’articolo 18 del D. L. ivo n. 286/1998.

Essendo rivolto a quelle categorie di persone che si trovano implicate in situazioni di violenza e sfruttamento, ed avendo in primo luogo funzione di protezione nei loro confronti, è intuibile quindi che i MSNA, essendo sicuramente un gruppo debole entro il circuito migratorio, facilmente può trovarsi in circostanze simili.

Raramente però ciò emerge, anche in ragione della scarsa formazione sul tema che Forze dell’Ordine ed altri soggetti implicati nel rintraccio e nell’accoglienza dei minori stranieri ricevono, nonché della maggiore complessità della procedura per il rilascio di questo titolo22, e quindi, generalmente, si segue, anche per questi MSNA, il circuito classico dell’accoglienza, procedendo quindi al rilascio di un permesso di soggiorno per minore età, eventualmente poi convertito in uno per affidamento23.

Tuttavia, sarebbe di estrema importanza saper riconoscere queste ben più drammatiche condizioni, in modo da poter applicare procedure amministrative e giuridiche adeguate, quali, in primo luogo, il rilascio del titolo di soggiorno per motivi di protezione sociale. Infatti, a differenza di quello per minore età, esso consente di lavorare e, per questo motivo, anche alla sua scadenza naturale (che, ricordiamo, è di sei mesi, prorogabile eventualmente per un altro anno o per un maggior periodo24), può essere convertito in un permesso di soggiorno per lavoro che ha la durata del contratto di lavoro stesso, oppure, se a tempo indeterminato, con le modalità stabilite per tale soggiorno. Inoltre, nel caso in cui il titolare del permesso sia iscritto ad un corso di studi, può essere convertito in un permesso di soggiorno per motivi di studio25.

In questo caso quindi, il MSNA che abbia ricevuto il permesso di soggiorno previsto all’articolo 18 del T. U. I., per poterlo convertire una volta divenuto maggiorenne, non deve né soddisfare i requisiti previsti per i titolari di permesso di soggiorno per minore età

22 Il procedimento e le modalità per il rilascio vengono descritte nel Regolamento Attuativo del T. U. I. , il D.

P. R. 31 agosto 1999, n. 394, all’articolo 27.

23 Salimbeni O., Storie minori. Realtà ed accoglienza per i minori stranieri in Italia, Pisa, 2011, Edizioni

ETS, pag. 202.

24 Art. 18, comma 4, T. U. I.. 25 Art. 18, comma 5, T. U. I.,

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(presenza in Italia da almeno tre anni o partecipazione a un percorso di integrazione almeno biennale) né ottenere parere positivo dalla Direzione Generale, ma può, in via pressoché automatica, ottenere il rilascio di un titolo diverso che consenta appunto di studiare e/o lavorare, e continuare così un percorso di integrazione, e quindi, di emersione dalla situazione di irregolarità.

È facilmente immaginabile infatti che per questo gruppo di migranti, proveniente appunto da circuiti di violenza, la mancanza di regolarizzazione una volta neo maggiorenni (che, come abbiamo visto, è un’ipotesi tutt’altro che scontata per tutti i MSNA) può facilmente divenire il vettore per riaprire una storia di clandestinità e sfruttamento.

Una previsione ulteriore e specifica riguardante gli stranieri minori di età (o che erano minorenni al momento del fatto) che hanno compiuto un reato è contenuta al comma 6 del medesimo articolo 18.

Esso prevede che, a questo gruppo di minori, o, come spesso accade, neo maggiorenni, al momento delle dimissioni dall’istituto di pena26

, possa essere rilasciato un permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale, a patto che abbiano dato prova di partecipare a un programma di assistenza e integrazione sociale.

In questo modo, tale percorso può continuare, e permettere una maggiore efficacia in termini rieducativi e di stabilizzazione regolare in Italia.

Non mancano però, anche in questo caso, alcune difficoltà.

L’articolo 18, comma 6, non chiarisce infatti quale tipo di titolo di soggiorno debba essere rilasciato a uno straniero che, avendo compiuto reati durante la minore età, diviene maggiorenne durante il periodo della pena. Senza dubbio infatti, non solo egli può, ma deve, continuare il proprio soggiorno in Italia, in ragione appunto della pena che deve scontare. Questo però può diventare problematico nel caso in cui il programma rieducativo e di integrazione preveda l’uscita del ragazzo dall’istituto di pena, magari per svolgere attività formative o di avviamento al lavoro. Una soluzione possibile potrebbe essere quella del rilascio di un permesso di soggiorno che preceda quello per motivi umanitari di cui

26 L’interpretazione giurisprudenziale di questo comma è andata in una direzione estensiva, ovvero, vi ha

ricompreso anche quelle situazioni in cui il minore sia stato sottoposto a misure alternative alla detenzione oppure alla messa alla prova. In Morozzo della Rocca P., I minori d’età nel diritto dell’immigrazione, in Morozzo della Rocca P. (a cura di), Immigrazione, asilo e cittadinanza. Discipline ed orientamenti

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all’articolo 18, comma 6, ma ciò richiede una collaborazione importante tra le varie istituzioni27.

Infine, un’ultima questione di non poco conto attiene a chi siano i soggetti legittimati a richiedere il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale per gli stranieri che hanno compiuto reati durante la minore età.

Nel testo del comma 6 dell’articolo 18 si prevede che la richiesta possa essere fatta “anche

su proposta del procuratore della Repubblica o del giudice di sorveglianza presso il Tribunale per i minorenni”. Si sottintende quindi che ci siano “anche” altri soggetti

legittimati.

Possiamo integrare facendo riferimento al D. P. R. n. 394/1999, articolo 27, comma 1, in base al quale la proposta può essere effettuata:

“a) dai servizi sociali degli enti locali, o dalle associazioni, enti ed altri organismi iscritti al registro di cui all’articolo 52, comma 1, lettera c), convenzionati con l’ente locale, che abbiano rilevato situazioni di violenza o di grave sfruttamento nei confronti dello straniero;

b) dal procuratore della Repubblica nei casi in cui sia iniziato un procedimento penale relativamente a fatti di violenza o di grave sfruttamento di cui alla lettera a), nel corso del quale lo straniero abbia reso dichiarazioni.”

Il comma in questione tuttavia, non fa riferimento esplicito alla circostanza di cui al comma 6 articolo 18: la normativa quindi è poco chiara, ma è da ritenersi che non sia comunque legittima una richiesta che provenga dal difensore del minore. Quest’ultimo, piuttosto, sarà chiamato a sollecitare il servizio di giustizia minorile perché promuova la richiesta all’autorità giudiziaria (in modo che emetta il decreto necessario per effettuare la proposta al Questore) o a presentare direttamente istanza al Procuratore minorile o al giudice di sorveglianza28.

27 Morozzo della Rocca P., I minori d’età nel diritto dell’immigrazione, in Morozzo della Rocca P. (a cura

di), Immigrazione, asilo e cittadinanza. Discipline ed orientamenti giurisprudenziali, Ravenna, 2015, Maggioli Editore, pag. 187.

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4. 4 Conclusioni

A conclusione di questa analisi dell’evoluzione normativa dell’articolo 32 T. U. I. è possibile cogliere come essa riveli l’intenzione del legislatore di regolamentare sempre più, talvolta ponendo dei limiti anche molto ampi (come ad esempio nel caso della necessità di risiedere in territorio italiano da almeno tre anni), la materia della conversione del titolo di soggiorno una volta divenuti maggiorenni in un permesso per motivi di studio, accesso al lavoro, lavoro subordinato o autonomo o per motivi di studio, e poter quindi continuare la permanenza in Italia e il progetto migratorio. Un discorso analogo vale per l’interpretazione, a sua volta piuttosto restrittiva, data dalle Questure nella prassi a livello amministrativo29.

In questo capitolo, dato l’argomento della tesi, mi sono soffermata solo sulla parte dell’articolo 32 che riguarda, direttamente o indirettamente, i MSNA. Nel suo dettato però, il presente articolo si rivolge a tutti i minori affidati, quindi anche quelli, la cui disciplina di soggiorno è contenuta nell’articolo 31 del T. U. I., che si trovano in Italia a seguito del genitore e risultano quindi possedere un permesso di soggiorno per motivi familiari. Forse è proprio questa sovrapposizione di norme e di possibili casi concreti ai quali si riferiscono ad aver generato molta confusione nell’interpretazione e, soprattutto, nell’applicazione.

La questione del permesso di soggiorno, quindi, per tutti questi motivi, è paradigmatica di come la materia dei MSNA avrebbe necessità di una normativa apposita, chiara ed organica che la disciplini e che, nel nostro ordinamento, è attualmente assente.

29 Accorinti M., Politiche e pratiche sociali per l’accoglienza dei minori non accompagnati in Italia, Roma,

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