Capitolo III
Le vicende edilizie della chiesa e del convento di San
Giuliano (XV‐XXI secolo)
III.1 ”Là piace a Dio che noi abitiamo”: la costruzione del Conventino
Quando nel 1415 fra Giovanni da Stroncone fu condotto nel luogo designato dal messaggio divino1 i suoi occhi videro un paesaggio incontaminato in cui solaemergeva la piccola chiesa di San Giuliano immersa tra acqua e boschi.
Proprio l’abbondante presenza boschiva e la ricchezza d’acqua del colle di Santanza giocarono un ruolo fondamentale per sopperire ai bisogni primari della nascente comunità Osservante e quindi iniziare lì, vicino l’esistente chiesetta, la costruzione di un piccolo convento2; tali peculiarità, insieme
all’“arcadica” visione del fondatore possono essere confermate da due documenti inediti rinvenuti nell’Archivio Notarile Aquilano e nell’Archivio del convento francescano di San Bernardino3 che, anche se non contemporanei agli
eventi, danno la prova di come lo scenario sembra essere rimasto immutato a distanza di secoli (tav. I, figg. 5‐6).
1 Sul titolo del paragrafo e sulla leggendaria fondazione vedi FALCONIO 1913, p. 228.
2 ANTONINI 1993, p. 67; ROSATI 2008, nota 4, p. 17, nei dintorni del convento è ancora
possibile trovare l’affiorare di acque sorgive e la presenza di una condotta idrica realizzata nel XVIII secolo che riforniva di acqua corrente il complesso conventuale. È inoltre visibile un fosso per la raccolta delle acque del bacino circostante percorrendo la valle che dal Santuario della Madonna dei Sette Dolori o Madonna Fore si apre verso i quartieri di Santa Barbara e San Sisto (Tav. I; fig. 6) cfr. Idem, p. 227.
Le proprietà del convento sono state nei secoli frutto di usurpazioni e danneggiamenti da parte dei paesi limitrofi o di privati cfr. L’Aquila, Archivio Diocesano, Monasteri e Conventi, San Giuliano, Rapporti con autorità ecclesiastica, S. Sede, b. 41, Monitorio di scomunica papale, a. 1631; L’Aquila, Archivio di Stato, Prefettura, serie I, cat. X, b. 5495, f. 74, Danni alla selva e usurpazioni, aa. 1865‐1872.
3 L’Aquila, Archivio Notarile, Notai Aquilani, Francesco Nicola Panosetti, b. 1893, c. 8 allegato, a.
1783; L’Aquila, Archivio del convento francescano di San Bernardino, San Giuliano I, b. 44, [sec. XIX?].
Dal minuscolo cantiere, organizzato sul terreno ceduto da Nunzio della Fonte4
ai frati, solo un anno dopo l’inizio dei lavori si diede forma al “Conventino”. Il modesto edificio fu il fulcro intorno al quale nei secoli si costituirà l’intero complesso conventuale e si è conservato, fino ai nostri giorni, mantenendo complessivamente la sua forma originaria (tav. I, fig. 7). Esso si sviluppa su due livelli al piano inferiore un piccolo ambiente voltato aveva (forse) la funzione di refettorio5 (fig. 4) e tramite una scala in legno è possibile accedere al piano
superiore (tav. I, fig. 8). Quest’ultimo è raggiungibile anche dall’esterno attraverso una scala in muratura, che immette su un ballatoio e attraverso una porticina si entra nella prima cella con pareti in legno. Tramite uno strettissimo corridoio si unisce a un secondo ambiente, lo studiolo, anch’esso con pareti in legno (tav. I, fig. 9). Quindi di nuovo un’altra apertura permette l’accesso su un secondo ballatoio, che fa da diaframma, prima dell’accesso all’esigua cappella voltata a botte (fig. 4).
La costruzione poggia in parte sulla roccia naturale ed è un richiamo diretto ai dettami dello spirito originario del francescanesimo, di umiltà e semplicità, tanto promossi dai primi osservanti, che qui si materializza: nell’essenziale muratura portante e nella suddivisione degli ambienti interni con semplici tramezzi in legno6 (tav. I, fig. 9). Ciò poneva la piccola fabbrica osservante in
antitesi con il grandioso convento dei Conventuali, nel centro cittadino, facendola apparire come un semplice eremo posto sul pendio del monte e
4 BARTOLINI SALIMBENI 1993, p. 100, le nobili famiglie incoraggiavano le fondazioni
minoritiche perché rappresentavano fattori di stabilità economica e sociale: i della Fonte all’Aquila, i Gaglioffi ad Arischia, gli Orsini a Caramanico e Orsogna, i conti di Celano a Capestrano, i de Sterlich a Castilenti, i d’Afflitto a Nocciano, i Piccolomini a Carapelle, i Caracciolo a S. Buono furono promotori dei conventi dell’Osservanza.
5 Idem, p. 114.
6 Ibidem, lo studioso basandosi su quanto scritto da SALVATORI 1984, pp. 103‐105, confronta il
Conventino, con i suoi ambienti, con il “dormitorio di San Bonaventura” nel primitivo convento di Greccio. Per altri confronti su coevi conventi abruzzesi dell’Osservanza vedi ROSATI 2008, pp. 28‐31.
accessibile solo dall’Aquila e da Collebrincioni mediante sentieri piccoli e poco agevoli7 (tav. I, fig. 10).
Questa situazione però era destinata a cambiare, poiché il successo dell’iniziativa Osservante portò nel piccolo convento di San Giuliano ulteriori vocazioni e incrementò la piccola comunità di frati, tanto da indurre il papa Martino V a concedere la “recezione”8, già undici anni dopo la fondazione
(1426). Ciò rese necessario dei lavori di ampliamento, adattando la primitiva costruzione al tradizionale impianto quadrilatero dei conventi francescani, con chiostri e loggiati.
III.2 Gli sviluppi architettonici e le decorazioni pittoriche dei secc. XVI e
XVII
Dopo una fase di stretta povertà, anche architettonica, l’Antonini chiarisce che già nella seconda metà del Quattrocento la struttura formale del convento dovesse apparire secondo l’attuale schema: due lunghi edifici paralleli collegati alla preesistente chiesa di San Giuliano dal vano intermedio tra i due chiostri (tav. I, fig. 11) e dal breve passaggio loggiato visibile dal lato del Conventino9(fig. 2, tav. I, fig. 12). L’aspetto propriamente quattrocentesco è possibile rilevarlo dai peducci di foggia conica delle crociere del vano, che collega i due chiostri e identificato come il secondo refettorio, aventi un disegno e un ornato tipicamente proto‐rinascimentali come quelli di chiostri coevi di: Santa Maria del Soccorso, Santa Maria di Collemaggio e San Domenico10. L’elemento
7 Idem, p. 27.
8 BASCIANI MARINI.
9 ANTONINI 1993, p. 67 cfr. ROSATI 2008, p. 36.
10 Idem, pp. 69, 71, il vano è stato identificato come refettorio proprio per la sua conformazione
architettonica più ad acconcio, piuttosto che come la primitiva chiesa di San Giuliano come sostenuto in BASCIANI MARINI.
stilistico riproposto anche nelle continue crociere del chiostro grande (per poi cedere il posto a peducci di altro tipo, più aggiornato) farebbe pensare che il convento visitato dalla regina Giovanna nel 1493 sia stato, nella pianta e nei criteri architettonici, simile all’attuale11.
I necessari lavori di ampliamento si protrassero lungo tutto il Cinquecento e interessarono sia la chiesa, sia il chiostro grande. Della prima fu sostituita la sua primitiva struttura con un’aula unica voltata a botte e due cappelle su un lato (fig. 2), mentre il chiostro fu completato con archi a tutto sesto, poggianti su bassi pilastri rettangolari in pietra concia e decorati da semplici cornici listellate a smusso; sul lato nord‐occidentale è stato aggiunto un piano con un elegante passaggio loggiato con archi a tutto sesto sorrette da colonnine tuscaniche, avente la medesima funzione deambulatoria del loggiato sul lato del Conventino12 (tav. I, figg. 12‐14). L’intero complesso si andava organizzando
secondo la tipica architettura funzionale francescana della metà del XVI secolo, ma sia la planimetria del chiostro maggiore, sia già quella del chiostro piccolo, si sono dovute adattare al generale andamento longitudinale del complesso come riscontrabile nel medesimo orientamento dei loro assi maggiori13 (fig. 2,
tav. I, figg. 13‐14).
Nei primi anni del Seicento fu chiamato il pittore aquilano Giovanni Paolo Cardone, allievo di Pompeo Cesura, che insieme ai suoi seguaci affrescò in diciotto lunette le principali vicende storiche della vita di Giovanni da
11 Ibidem; un’analisi dettagliata della struttura architettonica è stata affrontata da ROSATI 2008,
pp. 32‐39.
12 Sulla chiesa cfr. BARTOLINI SALIMBENI 1993, p. 115, ASCANI 2004, p. 677; sul chiostro cfr.
BASCIANI 2001, pp. 253‐254, ROSATI 2008, p. 37, la forma rettangolare del chiostro di San Giuliano è comune ad altri conventi abruzzesi: San Bernardino a Campli, San Francesco di Capestrano, nel Sant’Onofrio di Vasto. La percepibile irregolarità di pianta del chiostro maggiore è da rimandare ai prolungati tempi di costruzione cfr. BARTOLINI SALIMBENI 1993, p. 36.
Capestrano, accompagnate da racconti miracolosi desunti dalle principali biografie circolanti sul Santo14 (tav. I , fig. 11).
Oltre il chiostro maggiore, anche la chiesa subì importanti lavori di sistemazione e di decorazione degli interni nel XVII secolo. Il primo ambiente a essere interessato fu la cappella, sulla sinistra della grande navata, intitolata al beato Vincenzo dell’Aquila e dove riposa il suo corpo (tav. I, fig. 15). Sembra che proprio il ritrovamento nel 1518 (quattordici anni dopo la sua morte, avvenuta il 7 agosto 1504) dei suoi resti incorrotti ed emananti “un soavissimo profumo”, abbiano indotto la nuova costruzione ecclesiastica e la seguente sistemazione del feretro sulla mensa in pietra calcarea che divide le due cappelle15 (tav. I , fig. 15). Proprio su questo deposito interno, opera di inizio
Cinquecento, avente basamento in pietra e zampe di leone, nel 1634, per volontà del vescovo Gaspare de Gayoso, sarà collocato un ricco armadio in noce per proteggere meglio il corpo del beato16. L’opera lignea si presenta in tutto il
14 Sugli affreschi del chiostro maggiore cfr. ROSATI 2008, pp. 77‐109; ROSATI 2009, pp. 415‐416,
sono visibili su tre dei quattro lati del chiostro e sono abbinate da quartine di endecasillabi che spiegano gli episodi rappresentati; MACCHERINI 2010b, p. 194; per un’esaustiva bibliografia sulla vita di Giovanni da Capestrano cfr. PEZZUTO 2010b, nota 2, p. 39.
Il Leosini attribuisce tali affreschi all’allievo del Cesura, Giovanni Paolo Mausonio, ma a causa di interventi successivi non è possibile ricondurre con certezza tale paternità al pittore aquilano cfr. LEOSINI 1848, p. 181; MONINI 2006c, p. 45.
Gli affreschi tendono a essere attribuiti alla mano di Giovanni Paolo Mausonio, allievo del Cesura cfr. MONINI 2006c.
15 L’ipotesi è di ANTONINI 1993, p. 79, e si basa sulla perizia architettonica eseguita nel 1785
dall’architetto aquilano Giovan Francesco Leomporra, durante il processo di beatificazione di Vincenzo dell’Aquila e raccolta nel Summarium, testo a stampa del 1785, segnalato allo studioso dall’allora guardiano, padre Damiano di Stefano OFM. Ulteriori elementi (contenuti nella perizia) hanno fatto ipotizzare all’Antonini che l’antica chiesa di San Giuliano, del 1418, possa identificarsi nello spazio occupato dalle due cappelle poi messe in comunicazione, con i lavori del 1518, con l’aula unica della nuova chiesa. Il successivo periodo barocco andò a reinterpretare totalmente gli interni, senza lasciare a vista alcun elemento architettonico delle precedenti epoche cfr. Idem, pp. 79‐81; In seguito ai lavori di restauro sono riemersi dei lacerti di affresco Quattrocentesco, ancora da restaurare e valutare, che appoggerebbero la tesi dellʹAntonini cfr. CORRIDORE 2011; prima dell’intitolazione al beato Vincenzo dell’Aquila la cappella era dedicata alla Pietà cfr. MARINANGELI 1987, p. 21.
16 SUSI 2007, nota 61, p. 136, committenza ricordata anche in Anton Ludovico Antinori, Annali,
suo splendore barocco fatto di motivi floreali e a nastro intagliati nel legno, poi dorati. Sulle vele dell’arco sono stati lavorati sia lo stemma francescano, che il trigramma bernardiniano “IHS”, quest’ultimo si ripete anche nella chiave di volta dell’arco intradosso, decorato da cassettoni inquadranti delle rosette. All’interno degli sportelli dell’armadio sono stati inseriti due importanti episodi della vita del beato e dipinti olio su tela da mano ignota: a destra, il Colloquio con
Alfonso I di Calabria, figlio di re Ferdinando I d’Aragona, mentre a sinistra il
beato è vicino al capezzale del vescovo di Sulmona, Bartolomeo Scala17. Sull’esterno
degli stessi sono collocati dentro cornici dorate due piccoli dipinti su rame, forse di Francesco Bedeschini, rappresentanti una Madonna con Bambino, a destra, e la Madonna che legge, a sinistra18. La parete di fondo è occupata da un
altare, ricco di stucchi, con colonne scanalate e a spirale, coronate da uno scenografico fastigio trapezoidale affiancato da putti, volute e cartiglio finale; al
dell’Aquila e del committente ricorda la sistemazione monumentale: D.O.M./SEDENTE URBANO VIII PONTIFICE MAX. ET PHILIPPO IV/REGE CATHOLICO REGNANTE AC NEAP. REGNI PROREGE/EXC. MO D°. EMANUELE DE FONSECA, ET ZUNICA/COMITE MONTIS REY ET FUENTES/ BEATI VINCENTII AQUILANI CORPUS, POST AN[N]OS CXXX/ INTEGUM ET INCORRUPTV[M]. IAMPRIDEM CAPSA/CHRYSTALLINA INCLUSUM,
EMINENTIORIQUE LOCO/REPOSITV, ATQ. AB IMMEMORABILI IN MAXIMA
SEMPER/VENERATIONE, ET DEVOTIONE HABITVM/ILLM[US] ET RE. MVS D.D. GASPAR DE GAYOSO EP[ISCOP]VS AQVILANVS/REGIUSQ. CONSILARIUVS SERAPHICI ORDINIS
DEVOTISSIMVS/ET ERGA PAVPERCVLOS HVIVS COENOBII FRATES
REFORMAT.S/PIENTISSIMVS PATER PRO SVA PIETATE, ET RELIGIONE/ SINGVLARI, HONORIFICENTIS, ET TVTIVS CONSERVANV[M]/ATQ OBSERVANDV[M] CVRAVIT. ET PIIS, AC LIBERALIBVS/ ELEMOSYNIS ALTARE, SEPVLCHRVM. ATQ. SACELLUM/ AD DECENTIOREM, ET MAGNICENTIOREM FORMAM/ REDEGIT AC VENERABILIORA
REDDIT/ ANNO M. CC. XXXIV cfr. DI VIRGILIO 2004, p. 29.
17 Tali episodi sono raccolti in SUSI 2007, pp. 136‐140.
18 Lʹiscrizione SINE PECCA[TO] OR[I]G[INALE] CON[CEPI]TA contenuta nella seconda
ramina permette di identificarla come la Vergine, piuttosto che una Santa in abito monacale cfr. Emidio Mariani, Memorie Istoriche della città di Aquila, 195v‐196r; sui Bedeschini cfr. CHIERICI 1965, pp. 519‐520, furono una famiglia di artisti che vennero dal Piemonte a seguito di Margherita d’Austria. Giulio Cesare e il fratello Giambattista furono allievi del Cigoli. Francesco, figlio di Giulio Cesare, si distinse nell’incisione e nell’architettura e le sue ramine furono apprezzate anche a Roma e a Venezia.
Per le singole personalità artistiche di Giulio Cesare e Francesco Bedeschini cfr. MONINI 2006a; MONINI 2006b.
centro risalta l’immagine del Beato Vincenzo, dipinta su tavola nei primi anni del Cinquecento, da Saturnino Gatti19 (tav. I, fig. 15).
Più raccolto e sobrio è lo spazio della seconda cappella dedicata al Crocifisso rinchiuso nella nicchia al centro dell’altare con ai lati delle cariatidi, che reggono dei tondi dipinti, e terminante ancora con un fastigio trapezoidale che fa da cornice alla grande finestra (tav. I, fig. 16)20. Ai lati della cappella due armadi in
noce, eseguiti poco dopo quello del beato Vincenzo, ne seguono lo stile e sono stati utilizzati per contenere reliquie e oggetti sacri21. Quindi sull’esterno si
ripetono i dipinti su rame, chiusi nelle cornici dorate e rappresentanti, nell’armadio di sinistra, Madonna con il Bambino e SantʹAndrea di Avellino e
Sant’Antonio da Padova mentre in quello di destra, l’Annunciazione e la Madonna di Loreto, forse sempre per mano di Francesco Bedeschini. L’Antonini attribuisce
a quest’ultimo la scenografica opera lignea dell’altare maggiore, eseguita intorno al 1655, in cui si rifletterebbe tutta la sua straordinaria inventiva22 (tav. I,
fig. 17). La forma a baldacchino e gli intensi raggi che si sprigionano dall’ovale,
19 Sulla cappella cfr. ANTONINI 1993, p. 75; sul dipinto l’attribuzione è di BOLOGNA 1950, p.
61 cfr. MACCHERINI 2010c, pp. 124‐127, secondo lo studioso il 1504, anno di morte del beato, sia da considerare un termine post quem per la datazione dell’opera, realizzata quindi in un momento non molto lontano dal ciclo di affreschi nella chiesa di San Panfilo a Tornimparte (1490‐1494).
20 Sulla cappella dedicata anche a San Pasquale Baylon cfr. Ibidem; il Crocifisso fu portato come
insegna da Giovanni da Capestrano durante la battaglia di Belgrado del 1456. Quello attuale è una copia dell’originale trafugato nel 1985 cfr. FIORE 2011, p. 55.
21 BASCIANI 2001, p. 253; FIORE 2011, p. 55, nell’armadio di destra erano conservate preziose
reliquie, da oltre quattrocento anni: abito, cordone e sandali del beato Vincenzo, una tavola dipinta con il Monogramma di Gesù, una pace con una preziosa miniatura del XIII sec., rappresentante la Crocifissione, l’abito indossato da san Bernardino, il cappuccio di san Giacomo della Marca, le tre borse per il calice, gli oggetti liturgici e il corporale portato a tracolla da san Giovanni da Capestrano durante il suo apostolato in Europa. Durante una ricognizione della soprintendenza, nel 1998, per fini conservativi tutti questi oggetti sacri sono stati restaurati ed esposti nel museo interno; sulle reliquie cfr. FALCONIO 1913, pp. 230‐231.
22 ANTONINI 1993, pp. 83, 407‐426, attribuito sulla base di confronti di altre opere coeve
realizzate nel ventennio 1655‐1673. Un periodo estremamente produttivo per la trasformazione e reinterpretazione degli interni di altre chiese aquilane, per opera di maestri locali e forestieri, come: la Misericordia, Collemaggio, Santa Lucia, San Biagio, Santa Maria Paganica, la Cattedrale e la Cappella di San Bernardino.
contenente il dipinto dell’Assunta (d’ignoto autore locale), inquadrato da due angeli richiamano gli alti modelli berniniani; sono altrettanto teatrali, nelle loro pose, le statue lignee di san Giuliano Falconiere, sulla destra, e san Pietro d’Alcantara, sulla sinistra, collocate ai lati dell’altare e sopra le porte di passaggio al coro23. Quest’ambiente, ricavato successivamente alla costruzione
ecclesiastica del XVI secolo, è stato sopraelevato e coperto da una volta modellata a lunette sulle finestrature. Gli stucchi eseguiti all’interno si differenziano da quelle stuccature delicate, filiformi e meramente decorative presenti nell’aula e nelle cappelle, proprio per la loro densità plastica e l’inesauribile fantasia compositiva che rimandano ancora una volta alla mano dell’artista aquilano, Francesco Bedeschini; le stesse invenzioni ornamentali a stucco si ripetono anche nell’adiacente sagrestia, ma data la loro inferiore tecnica sono da attribuire agli allievi del maestro24.
III.3 Ampliamenti e restauri: dal post‐sisma del 1703 al 1960
Ulteriori interventi architettonici riguardarono la modificazione della facciata cinquecentesca che, forse per i gravi danni subiti durante il terremoto del 170325,
fu demolita nel 1712 e prolungata per potervi costruire un coretto sopraelevato per i frati, posto al di sopra del portico d’ingresso alla chiesa (tav. I, fig. 19).
23 Idem, p. 75, l’efficace scenografia barocca deve essersi ispirata a quella del 1610 ca. del capo‐
altare di Santa Giusta, superandola però in dinamismo, gioco illuministico ed evocazione prospettica degli spazi illusori cfr. Idem, p. 408; il riferimento è alla Gloria del Bernini cfr. BASCIANI 2001, p. 253, MONTANARI 2004, pp. 162‐169.
24 Idem, pp. 81, 83, l’uso di un tipico motivo ornamentale, quello del serto vegetale a commento
delle linee maestre del disegno, rinviano all’identica maniera delle stuccature absidali di Collemaggio del 1673, dei lunettoni della Misericordia, nella cappella secentesca in Santa Lucia e nell’abside minore di San Biagio; BASCIANI 2001, p. 253, all’interno degli sportelli degli armadi in noce qui contenuti un’ingenua mano di pittore ha raffigurato città, campagne, giardini.
L’occasione avrebbe permesso di procedere al rimodernamento della navata con delle stuccature, per opera di artisti milanesi, troppo delicate e filiformi da essere paragonate alla qualità e alla ricchezza delle decorazioni bedeschiniane nel coro26.
Due altari in legno dorato, sul lato destro, dirimpetto alle due cappelle, furono completati nel settecento e ospitano le tele di Vincenzo Damini rappresentanti
San Giovanni da Capestrano alla battaglia di Belgrado e San Diego d’Alcalà. La prima
tela datata 1737 è l’opera d’esordio dell’artista veneziano all’Aquila (tav. I, fig. 17), dopo il suo ritorno dall’Inghilterra, mentre di qualche anno più tardo è l’affresco, olio su muro, eseguito nel 1743 dell’Adorazione dei Magi che domina la concava parete di fondo del coro, considerata inoltre il capolavoro del pittore veneziano27 (tav. I, fig. 18).
Non si registrarono modificazioni alla struttura se non nel 1827 quando, dopo aver dimenticato i drammatici momenti della soppressione francese del 1798, per volontà di padre Andrea da Sandonato il complesso subì nuovi restauri e ampliamenti28. Nel luglio del 1866 il convento fu costretto alla chiusura a causa
delle soppressioni italiane degli Ordini religiosi, ma già nel 1878 fu riaperto e qualche anno dopo, nel 1885, gli fu concessa la facoltà di potervi riattivare il Noviziato29. Il crescente aumento di nuove vocazioni fu d’impulso per la
creazione di nuovi spazi che in un primo momento furono trovati con la chiusura della loggia soprastante il chiostro maggiore (tav. I, fig. 14), e in un
26 ANTONINI 1993, nota 12, p. 83, il Leomporra, nel Summarium, attribuisce agli stuccatori
milanesi Bossi la decorazione della sola aula grande, mentre rimanda al periodo 1705‐1710 le differenti stuccature delle cappelle.
27 PALLUCCHINI, 1960, pp. 125‐126, l’articolata composizione su vari piani, si risolve con un
andamento decorativo che, nel fluttuare dei panneggi, ricorda ancora i modi del suo maestro Giovanni Antonio Pellegrini; ROSATI 2009, p. 414, l’opera è stata restaurata nel 1991; sulle vicende biografiche cfr. COMPAGNONE 1986.
28 ROSATI 2008, p. 20.
secondo momento fu costruito, tra il 1886 e il 1889, un nuovo corpo di fabbrica per la formazione della gioventù. Il fabbricato senza particolari pretese estetiche, posto nella porzione di terreno più a monte, marcava le già accentuate linee orizzontali dei profili delle due costruzioni a minor quota30 (tav. I, fig. 20).
Nel corso del Novecento furono dedicati al convento delle cure continue, a seconda delle necessità, per renderlo più funzionale sia ai frati stessi, che ai fedeli31. Nel 1930 fu restaurata e affrescata la volta della navata della chiesa
dalla mano dell’artista aquilano Luigi Catalano. Egli rappresenta tre scene, San
Francesco riceve le stimmate, Sacra Famiglia, Resurrezione di Cristo che
rispettivamente accompagnano lo sguardo del fedele dall’ingresso fino all’altare maggiore32 (tav. I, fig. 17).
Radicali interventi sia di restauro, sia di ampliamento sono stati eseguiti dall’architetto Augusto Angelini e dall’ingegner Pier Luigi Inverardi, negli anni 1958‐1960, e hanno modellato l’attuale aspetto del convento (figg. 1‐2, tav. I, figg. 21‐22).
Il progetto prevedeva la demolizione e la ricostruzione dell’ala meridionale a causa di vecchi e gravi problemi statici presentati già diverso tempo dalla struttura. Si procedette allo sbancamento del piazzale antistante il vecchio corpo di fabbrica, che provocò un conseguente abbassamento del piano di campagna e accentuò sempre più il dislivello tra i vari i corpi di fabbrica (tav. I, fig. 21). Tali drastici cambiamenti non hanno però alterato l’obbligata e
30 Idem, p. 229; ANTONINI 1993, p. 71, un fabbricato senza pretese estetiche che commenta bene
ed eleva le orizzontali linee di profilo dei due fabbricati a minor quota (fig. 20).
31 BASCIANI 2001, p. 257, furono compiuti svariate opere, dall’erogazione dell’acqua e della
luce alla sistemazione della strada d’accesso cfr. L’Aquila, Archivio del convento francescano di San Bernardino, San Giuliano I, b. 44; L’Aquila, Archivio del convento francescano di San Giuliano, Carteggio generale, faldone I.
caratteristica impostazione longitudinale assunta nei secoli e dovuta alla forte aderenza del convento, al declivio del monte33 (fig. 2, tav. I, fig. 22).
La facciata con la sua semplice forma a capanna, che emerge rispetto alle piane linee laterali del tetto, è stata eseguita nel medesimo periodo insieme all’angolare portico ligneo e alle strutture del parapetto, in pietra rusticana, e alla scalinata d’accesso alla chiesa34, che cancellarono definitivamente quanto
realizzato nel 1712 (cfr. tav. I, figg. 19‐23). Al centro della facciata è stata collocata una moderna trifora, chiusa da vetrate policrome raffiguranti San
Francesco, San Giovanni da Capestrano e il Beato Vincenzo dell’Aquila; un oculo
sovrapposto ad essa, è forse una riproduzione di quello posto sull’originale facciata cinquecentesca (tav. I, fig. 23).
Ben più grave risultò la demolizione del refettorio, successivo a quello identificato nel vano intermedio tra i due chiostri e collocato anch’esso nel corpo di fabbrica abbattuto durante gli ultimi lavori di ristrutturazione del complesso conventuale, in cui un artista locale aveva affrescato un’Ultima
Cena35.
Gli ultimi interventi architettonici si rivolsero, alla fine degli anni Novanta del XX secolo, all’edificio collocato sul lato settentrionale del convento, ma isolato da esso (tav. I, fig. 22). Secondo quanto rilevato dal Rosati il piccolo fabbricato avrebbe avuto in precedenza la funzione di legnaia e di fienile, ma anche un ambiente forse adibito alla rimessa di attrezzi e all’alloggio degli animali36
33 ROSATI 2008, p. 22.
34 Idem, p. 32, per recuperare maggiore spazio negli ambienti interni fu demolito e ricostruito, in
posizione più avanzata, il prospetto originale su cui si aprivano i quattro archi vicino al Conventino, come percepibile dall’accentuata asimmetria degli stessi (fig. 12) cfr. ANTONINI 1993, p. 71.
35 Non si possiede nessuna traccia dell’affresco (che forse sarebbe stato importante ai fini di
questo lavoro). Desumo tuttavia tale notizia dal Rosati, a lui riferita da un frate testimone degli eventi cfr. Idem, p. 39.
(come farebbe pensare la vicinanza al grande orto e la presenza sul fianco laterale di pietre, con apertura ad anello, quali sedi per legare animali da trasporto).
I lavori tardo novecenteschi lo hanno sopraelevato, dotato di una nuova copertura e rivisitato negli spazi interni, affinché ospitasse al proprio interno il Museo di Scienze Naturali ed Umane che fino a quel momento era accolto negli ambienti ricavati al pian terreno dal precedente ammodernamento degli anni Sessanta, e occupati poi dalla Biblioteca37 (fig. 2).
III.4 I danni subiti la notte del 6 aprile 2009
Il terremoto del 6 aprile 2009 ha mutato questo stato di cose procurando ingenti danni strutturali sia al Convento, sia al Museo. La tempestiva messa in sicurezza dell’edificio, da parte dei Vigili del Fuoco e dei volontari di Legambiente, non ha permesso il peggioramento delle lesioni soprattutto all’interno della chiesa che appariva l’ambiente più compromesso (tav. I, fig. 24). Sotto la direzione della Soprintendenza BSAE per l’Abruzzo, si è quindi intervenuti fasciando i pilastri di sostegno alle nervature della volta e puntellando i muri perimetrali pericolanti38. Le puntellature hanno riguardato
anche la struttura del chiostro maggiore e alcuni archi del loggiato cinquecentesco soprastante, anche gli affreschi presentano gravi crepe nel campo figurato e cadute di colore (tav. I, fig. 11‐14).
37 ROSATI 2009, p. 418, l’allestimento è stato realizzato nel 1997 da padre Gabriele Marini,
direttore e conservatore del Museo fino alla morte, avvenuta nel luglio 2008.
38 Idem, p. 420, il Rosati lamentava la presenza di una soletta in cemento al di sopra della volta
dell’aula principale che influirebbe negativamente sulle strutture già lesionate così come il muro delle cappelle di sinistra, vistosamente inclinato verso l’esterno, potrebbe cedere per effetto delle ulteriori sollecitazioni dinamiche.
La nuova ala meridionale presenta molti danni soprattutto nelle murature interne ed esterne di alcuni locali, al secondo e terzo piano, e della cucina e del refettorio al pian terreno; sarebbe migliore la situazione del Conventino e della Biblioteca39. Oltre la chiesa, i danni maggiori riguardano il Museo con numerose
e gravi lesioni nelle murature e in alcune collezioni ospitate40.
Il 15 novembre 2010 sono iniziati i lavori di restauro della chiesa e sono state risarcite le lesioni delle volte, con le relative decorazioni pittoriche, e gli stucchi seicenteschi del coro e della sacrestia; nel seguente anno e mezzo, il 21 aprile 2011 i restauri sono terminati e la chiesa è stata riaperta al culto41 (cfr. tav. I,
figg. 17‐24).
39 Idem, p. 422.
40 Sui danni alle collezioni cfr. Ibidem.
41 IULIANO 2010; CORRIDORE 2011, i lavori di restauro sono stati eseguiti grazie al
finanziamento offerto dalla Reale Mutua Assicurazioni e riguardano la sola chiesa. Per il resto del complesso conventuale è stato stimato dal Ministero dei Beni Culturali dei tempi d’intervento dai tre ai cinque anni con una stima economica di quattro milioni di euro cfr. L’Aquila. Una città da salvare 2009, pp. 175‐177.
In quella data la chiesa è stata temporaneamente riaperta per permettere la celebrazione della Pasqua; la riapertura definitiva si avrà il 15 luglio 2011.