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Academic year: 2021

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CAPITOLO II

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§ 1. Le cause di scioglimento e le varie classificazioni prospettate dalla dottrina.

L'art. 191 c.c. ci elenca le ipotesi in cui la comunione legale si scioglie. In particolar modo, vengono annoverate tra le cause di scioglimento: la dichiarazione di assenza o di morte presunta, l'annullamento, lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, la separazione personale, la separazione giudiziale dei beni, il mutamento convenzionale del regime patrimoniale e il fallimento di uno dei coniugi.

Questa elencazione viene generalmente considerata tassativa, comportando quindi l'impossibilità per i coniugi di derogare a quanto previsto dal suddetto articolo, aggiungendo o modificando a loro piacimento le cause o i loro effetti.

La dottrina ci propone varie possibili classificazioni di queste cause di scioglimento, che andremo a riassumere in tre orientamenti.

Il primo63 distingue le cause di scioglimento in due categorie a seconda che queste dipendano o meno dallo scioglimento del rapporto matrimoniale.

Per cui nella prima categoria andremo a comprendervi l'annullamento, lo scioglimento, la morte presunta e l'assenza, mentre nella seconda troveremo la separazione personale, la separazione dei beni, il mutamento convenzionale e il fallimento.

63)

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Un'altra parte di autori64, invece, le suddivide nella seguente maniera:

 cause in cui viene meno il rapporto di coniugio: annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio;

 fattispecie in cui viene a mancare la reciproca collaborazione e partecipazione alle necessità della famiglia: separazione personale, dichiarazione di assenza o di morte presunta;

 fattispecie nelle quali si presenta la necessità di cessazione dell'unità patrimoniale, sia nell'interesse della famiglia che in quello dei singoli: separazione giudiziale dei beni;

 scioglimento conseguente alla volontà dei coniugi di mutare convenzionalmente la regolamentazione dei loro rapporti: mutamento convenzionale del regime patrimoniale;

 scioglimento derivante dalla necessità, a tutela dei terzi, di una distinzione tra i patrimoni dei coniugi: fallimento.

Infine altra parte della dottrina65 distingue lo scioglimento convenzionale (che si ha con il mutamento pattizio del regime patrimoniale), dallo scioglimento legale (che comprenderebbe assenza, morte presunta, annullamento, scioglimento, separazione personale e fallimento) e dallo scioglimento giudiziale previsto dall'art. 193 c.c.

Questo orientamento ritiene inoltre che l'ipotesi dell'esclusione dell'azienda coniugale dalla comunione disciplinata al III comma dell'art. 191 c.c. sia da qualificare come scioglimento parziale.

64)

A. e M. FINOCCHIARO, op. cit., p. 1122.

65)

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Tuttavia si deve segnalare che tali suddivisioni proposte dalla dottrina non sono rilevanti ai fini della disciplina della cessazione degli effetti della comunione legale, ma sono soltanto frutto di ipotesi, nate dalle considerazioni svolte dai vari autori che si sono espressi in materia.

§ 2. Assenza e morte presunta di uno dei coniugi.

Con la riforma di diritto di famiglia del 197566, il legislatore non ha inserito nell' art. 191 c.c. la morte naturale, in quanto ricompresa nelle cause di scioglimento del matrimonio ai sensi dell'art. 149 c.c. e quindi implicitamente considerata anche causa di scioglimento del regime di comunione legale.

Inoltre non viene fatto alcun riferimento neanche alla fattispecie della scomparsa, in quanto non ritenuta sufficiente per far venir meno il regime di comunione legale67.

Per capire meglio come operano queste due cause di scioglimento, è necessario individuare il momento a partire dal quale si producono i loro effetti.

In caso di dichiarazione di assenza o morte presunta, è condivisibile l’opinione secondo la quale lo scioglimento si concreta al momento in cui la relativa sentenza passa in giudicato e sono stati compiuti tutti gli adempimenti previsti all'art. 730 c.p.c.68 Questa constatazione, però, non è del tutto

66)

Prima della riforma, l’art. 225 c.c. annoverava tra le cause di scioglimento “la morte di uno dei coniugi”; tale dizione era comprensiva sia della morte naturale che di quella presunta.

67)

A. CECCHERINI, I rapporti patrimoniali nella crisi della famiglia e nel fallimento, Milano, 1996, p. 112; A. e M. FINOCCHIARO, op. cit., p. 1127.

68)

Si riferisce al fatto che la sentenza che dichiara l’assenza o la morte presunta non può essere eseguita prima che sia passata in giudicato e che sia compiuta l’annotazione prevista ex art. 729 c.c.,

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risolutiva, dal momento che ci potrebbe essere la possibilità di far retroagire le conseguenze della dichiarazione di assenza o morte presunta a un momento precedente a quello del passaggio in giudicato della sentenza e della relativa annotazione.

Proprio per questo, alcuni autori69 si sarebbero orientati nel dover collocare alla data indicata del decesso nel caso di morte presunta ed alla data dell'ultima notizia in caso di dichiarazione di assenza, il punto in cui far retrodatare il momento di cessazione della comunione legale.

Per quanto riguarda la dichiarazione di morte presunta non abbiamo alcun dubbio, perché la pronuncia giudiziale accerta il fatto naturale della morte e quindi sarebbe tra l'altro problematico giustificare la continuazione del regime patrimoniale di comunione per un periodo successivo al momento nel quale il soggetto dovrebbe aver cessato di esistere. Tra l’altro si tenga presente che la prevalente opinione dottrinale fissa l’apertura della successione, conseguente alla morte presunta, al momento della morte determinato nel provvedimento del giudice70.

Stesse considerazioni possono essere svolte per la dichiarazione di assenza: infatti si ritiene che si debba ritenere cessata la convivenza tra i due

secondo il quale suddetta sentenza deve essere inserita per estratto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica e pubblicata nel sito internet del Ministero della giustizia.

69)

A. CECCHERINI, op. cit., pp. 105-118; L. BARBIERA, Il regime patrimoniale della famiglia, 1979, p. 591; M. PALADINI, op. cit., p. 397. In giurisprudenza la questione non è pressoché presente. Si segnala solamente Trib. Chieti, 22 settembre 1987, in Giur. merito, 1988, 257, in cui si adotta l’unica soluzione, ma decidendo sulla collocazione temporale degli effetti generalmente collegati alla dichiarazione di morte presunta e non rispetto allo specifico problema dello scioglimento della comunione.

70)

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coniugi dalla data dell'ultima notizia. Sarebbe pressoché inutile continuare il regime di comunione71.

§ 2.1. La morte del coniuge e i relativi problemi connessi all’apertura della successione mortis causa.

Altra questione da esaminare, in caso di dichiarazione di morte presunta e, ovviamente, in quello di morte naturale, riguarda i problemi di natura successoria. Infatti la fattispecie in esame ci presenta non solo la contemporaneità del momento perfezionativo con quello di efficacia, ma anche l’ulteriore contemporaneità tra estinzione della comunione e apertura della successione mortis causa del coniuge defunto. Per cui sono evidenti le problematiche che nascono dalla combinazione di questi due fenomeni, tra cui quello della identificazione dei beni che compongono l’asse ereditario, tra i quali non si può non comprendere la quota pro indiviso dell’universitas costituita dai beni comuni72.

In dottrina si è affermato che, in tale evenienza, l’oggetto della successione ereditaria sia costituito solo dai beni formalmente intestati (in tutto o in parte) al coniuge defunto73.

71)

Una ulteriore tesi riguardante la dichiarazione di assenza, invece, farebbe coincidere il momento di cessazione della comunione con quello di eventuale richiesta di separazione giudiziale dei beni, a fronte delle difficoltà di amministrazione riscontrate a causa della situazione di assenza. Vedi F. MASTROPAOLO e P. PITTER, op. cit., p. 315; A. GALASSO e M. TAMBURELLO, Regime

patrimoniale della famiglia, in Commentario Scialoja-Branca, Zanichelli, Bologna – Roma, 1999, I, p.

687.

72)

F. MASTROPAOLO e P. PITTER, op. cit., p. 315.

73)

M. PALADINI, op. cit., p. 391 ss., secondo il quale nell’eredità di un coniuge in comunione legale sarebbero compresi i medesimi beni che si devolverebbero nel caso in cui lo stesso coniuge fosse in separazione dei beni.

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Secondo altra tesi74, invece, è opportuno esaminare separatamente le problematiche connesse ai rapporti tra lo scioglimento della comunione legale e la successione mortis causa, a seconda che il coniuge superstite sia l’unico erede oppure concorra con altri eredi.

Nella prima ipotesi, in caso di pura e semplice accettazione dell’eredità, la confusione del patrimonio dell’erede e del de cuius elimina alla radice non tanto le problematiche riguardanti l’identificazione dei cespiti già facenti parte della comunione legale, sia immediata che de residuo, quanto quelle relative ai rapporti obbligatori, non solo tra coniugi, pur se relativi a rimborsi ex art. 192 c.c., ma anche tra de cuius e terzi, lasciando in piedi quelli più strettamente fiscali connessi alle varie imposizioni relative ai trasferimenti delle relative situazioni soggettive.

Nell’ipotesi in cui, invece, il coniuge superstite sia l’unico erede ed accetti l’eredità con beneficio d’inventario, la conseguente separazione dei due patrimoni impedirà qualsiasi fenomeno di compensazione tra reciproci debiti e crediti già esistenti tra i due coniugi.

Rimane invece opportuno effettuare una distinzione tra i debiti riconducibili ex artt. 186 ss. c.c. alla comunione legale dai debiti personali del de cuius. Dal momento che il patrimonio già in comunione, al momento dell’accettazione dell’eredità con beneficio di inventario, costituisce per metà posta attiva dell’asse ereditario, costituirà di conseguenza idonea garanzia per

74)

Tale tesi sottolinea l’esistenza di un rapporto di pregiudizialità del procedimento di divisione dei beni facenti parte della comunione legale, sia immediata che de residuo, rispetto a quello della divisione ereditaria. In giurisprudenza si segnala Pret. Bari, 6 febbraio 1982, cit.

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il soddisfacimento dei debiti del de cuius. Per quanto riguarda i debiti della comunione, invece, viene meno ogni limitazione di responsabilità prevista dall’art. 190 c.c. per l’ipotesi di vigenza del regime di comunione, non sussistendo più i presupposti normativi che legittimano quelle previsioni di responsabilità sussidiaria75.

Seguendo tale ricostruzione, più complesse risultano, le vicende legate alle sorti del patrimonio già in comunione legale, nei casi in cui il coniuge superstite concorra con altri eredi. Infatti l’identificazione delle poste attive e passive della comunione costituisce momento prodromico all’individuazione dei diritti non solo agli altri eredi, quanto al coniuge superstite76. Quest’ultimo, non solo sarò titolare iure proprio di metà dell’attivo riconducibile alla cessata comunione legale, ma sarà titolare di una quota della residua metà iure successionis ed in comunione con gli altri eredi. Pertanto, il coniuge superstite è legittimato ad esercitare i poteri e le azioni che gli competono sul proprio territorio.

§ 3. L'annullamento del matrimonio

L'annullamento del matrimonio è stato introdotto come causa di scioglimento della comunione dei beni dalla riforma del 1975, perché prima di questa l'art. 225 c.c. non la prevedeva come tale.

A differenza delle altre cause di cessazione del regime di comunione, l’annullamento si caratterizza per la sua singolarità, in quanto è connesso non a

75)

T.V. RUSSO, op. cit., p. 37 ss.

76)

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un evento logicamente e cronologicamente successivo al rapporto coniugale, bensì ad un evento che è considerato dal legislatore idoneo a incidere sul momento genetico di quest’ultimo, così da travolgerne gli effetti retroattivamente.

L'annullamento costituisce una delle cause più discusse per tutta una serie di ragioni.

Prima di tutto dobbiamo chiarire il significato del termine annullamento. In dottrina c’è chi ha ritenuto che, nel caso in cui il vincolo coniugale sia colpito da un vizio che, per previsione normativa espressa o per interpretazione dottrinale, ne importi radicale nullità, sarebbe inappropriato discutere di scioglimento della comunione, in quanto questa non sarebbe neanche mai sorta77.

Altri, invece, avrebbero riferito quanto stabilito dall’art.191 c.c. al solo caso in cui ricorrano i presupposti del matrimonio putativo78. A tale proposito, rimane insoluta l’antinomia79

per la quale il matrimonio putativo può valere anche per uno solo dei coniugi, mentre non è possibile che la comunione si sia costituita solo in relazione a uno di essi80. Non può ritenersi risolutivo nemmeno considerare instaurata per entrambi i coniugi la comunione anche quando sia in buona fede solo uno di essi, perché allora sembrerebbe non avere

77)

A. CECCHERINI, op. cit., pp. 120-123.

78)

F. MASTROPAOLO e P. PITTER, op. cit., pp. 300-301; A. GALASSO e M. TAMBURELLO,

op. cit., pp. 674-675.

79)

Vedi P. SCHLESINGER, op. cit., p. 442.

80)

Di contrario avviso è M. PALADINI, op. cit., pp. 402-403, per il quale la comunione può valere anche per uno solo dei coniugi. Tuttavia tale tesi sembrerebbe poco condivisibile.

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più senso prendere come punto di riferimento la disciplina del matrimonio putativo della quale sarebbero negati i presupposti razionali81.

Quindi la soluzione più ragionevole apparirebbe quella per la quale l’espressione normativa debba essere intesa come comprendente qualsiasi invalidità matrimoniale82, con la sola esclusione delle poche fattispecie che vengono tradizionalmente ricondotte al novero della inesistenza83.

Anche per il caso dell’annullamento si deve chiarire quale sia il momento a partire dal quale si ritiene che decorrano gli effetti dello scioglimento.

Non vi è dubbio che sia necessaria una sentenza passata in giudicato, ma, come per l'assenza e la morte presunta, non è detto che il momento perfezionativo della fattispecie coincida con quello di decorrenza degli effetti.

In particolar modo ci si chiede se lo scioglimento abbia effetto da quando il matrimonio è stato celebrato oppure da quando è stato pronunciato l'annullamento.

Una parte della dottrina riterrebbe che l'annullamento del matrimonio comporti lo scioglimento della comunione ex tunc84, ma sembrerebbe una soluzione fin troppo rigida85. A smentire una lettura di questo tipo è anche la

81)

Si intende la tutela del solo coniuge in buona fede.

82)

Vi sono ricondotte non solo le sentenze pronunciate dai tribunali statali, ma anche le pronunce di esecutorietà dei provvedimenti ecclesiastici di declaratoria di nullità dei matrimoni religiosi o di dispensa per matrimonio rato e non consumato. Vedi G. SANTARCANGELO, La volontaria giurisdizione

nell’attività negoziale, IV, Regime patrimoniale della famiglia, Giuffrè, Milano, 1989, p. 548; A. e M.

FINOCCHIARO, op. cit., p. 1125.

83)

Confrontare F. ANELLI, Il matrimonio, Giuffrè, Milano, 1998, pp. 63-64, per cui di inesistenza si parlerebbe in caso di matrimonio tra persone dello stesso sesso ovvero di totale mancanza del consenso o della celebrazione.

84)

F. SANTOSUOSSO, op. cit., pp. 299-300, secondo il quale “per l’ipotesi di annullamento del

matrimonio, la decorrenza retroattiva della cessazione della comunione legale dei beni trova conferma nell’efficacia ex tunc della pronuncia giudiziale, salvi gli effetti del matrimonio putativo.

85)

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considerazione che l’annullamento opera come una causa di scioglimento ope legis e non per effetto di una sentenza. Inoltre si deve rilevare che la scelta del legislatore di annoverare l’invalidità matrimoniale tra le cause di scioglimento sembra non voler trascurare il fatto che, nonostante l'invalidità del vincolo c'è stata comunque sia una comunanza di risorse ad sustinenda onera matrimonii che sarebbe arduo considerare come mai esistita.

Secondo altra autorevole dottrina86 si dovrebbe distinguere l'ipotesi in cui la proposizione della domanda di annullamento è accompagnata dalla contestuale separazione personale dei coniugi, da quella in cui tale separazione non vi sia stata: nel primo caso gli effetti della pronuncia di annullamento risalirebbero al momento della notifica dell'atto introduttivo, nel secondo caso al momento della pronuncia stessa.

Altro autore87, invece, esegue una distinzione tra i rapporti interni tra i coniugi e quelli esterni con i terzi e sostiene che la comunione tra i coniugi viene meno quando si “rompe” la convivenza coniugale e pertanto dalla data di proposizione della domanda di annullamento da parte di uno dei coniugi, mentre nei confronti dei terzi ciò che rileva è solo l'annotazione della sentenza di matrimonio a margine dell'atto di matrimonio.

Detto questo, si ritiene preferibile l'orientamento, condiviso dalla maggior parte degli autori88, secondo il quale l'annullamento opera come causa di scioglimento della comunione legale ex nunc, cioè dal momento del

86)

F. CORSI, op. cit., pp. 177-178.

87)

L. BARBIERA, op. cit., p. 500.

88)

A. VENDITTI, op. cit., p. 249; V. DE PAOLA, op. cit., p. 649; A. e M. FINOCCHIARO, op. cit., p. 1126.

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passaggio in giudicato della sentenza di annullamento e questo sia per la tutela dei terzi che per l'obiettiva difficoltà di ricostruire, specialmente dopo molti anni, la situazione patrimoniale quale sarebbe stata se, in realtà i coniugi non avessero contratto matrimonio.

Quest'ultima ricostruzione appare l'unica accettabile ed in armonia con tutto il sistema, posto che la comunione legale ha il proprio fondamento in quell'intima collaborazione, sul piano patrimoniale, che caratterizza, o dovrebbe, caratterizzare ogni unione matrimoniale89.

In tal senso segnaliamo anche la Suprema Corte90 secondo la quale “ la divisione dei beni oggetto della comunione legale fra coniugi, conseguentemente allo scioglimento di essa, con effetto ex nunc, per annullamento del matrimonio o per una delle altre cause indicate dall’art. 191 c.c., si effettua in parti uguali, secondo il disposto del successivo art. 194 c.c., senza possibilità di prova di un diverso apporto economico dei coniugi all’acquisto del bene in comunione, non essendo applicabile la disciplina della comunione ordinaria, nella quale l’eguaglianza delle quote dei partecipanti è oggetto di una presunzione semplice (art. 1101 c.c.), superabile mediante prova del contrario”.

89)

A. e M. FINOCCHIARO, op. cit., pp. 1125-1126.

90)

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42 § 4. La separazione personale.

Tra le cause di scioglimento della comunione legale previste dall’art. 191 c.c. la separazione personale, sia essa convenzionale o giudiziale, è senza dubbio una delle più ricorrenti.

Anche in merito a questa fattispecie di scioglimento non sono mancati vari dibattiti dottrinali e giurisprudenziali.

Per prima cosa si è discusso circa la possibilità di considerare o meno come causa di scioglimento anche la separazione di fatto.

Il primo orientamento, sostenuto da una parte minoritaria della dottrina91, è favorevole, nonostante un po' di scetticismo a riguardo, poiché è difficile determinare con certezza il momento in cui il distacco o la lontananza si trasformino in vera e propria separazione di fatto. Questa tesi positiva è sostenuta anche sulla considerazione secondo la quale, in particolar modo per le coppie meno agiate, la separazione di fatto costituisce la via tipica per far cessare definitivamente la convivenza ed ogni tipo di rapporto tra i coniugi con il rischio che, ritenendo perdurante la comunione legale, possano insorgere tra i coniugi, anche a distanza di molti anni, rivendicazioni economiche di tipo assurdo.

Secondo altri autori92, invece, la separazione di fatto sarebbe inopponibile nei confronti dei terzi, mentre sarebbe rilevante nei rapporti interni, soprattutto in riferimento ai proventi dell'attività separata, ai frutti non consumati e agli acquisti compiuti separatamente.

91)

P. SCHLESINGER, op. cit., pp. 440-442.

92)

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Infine, la dottrina prevalente93 è del tutto contraria a ritenere la separazione di fatto una causa di scioglimento della comunione. Infatti non sembra che si possa giustificare la sua rilevanza in questa materia per venire incontro alle coppie meno agiate94: questo non solo a causa della limitatezza del fenomeno, visti anche gli scarsi beni di queste coppie, ma anche per gli inconvenienti nella tutela dei terzi e le liti dannose per le coppie stesse, oltre alle difficoltà nel determinare quale siano i requisiti per aversi separazione di fatto e da quale momento esatto essi si siano integrati nella fattispecie. Proprio per evitare tutto ciò, si ritiene decisivo fare riferimento a quanto stabilito dall’art. 150 c.c., che usa l’espressione “separazione personale” a riguardo di quella giudiziale e consensuale, senza quindi menzionare la separazione di fatto95.

Anche la giurisprudenza prevalente96 esclude la separazione di fatto dalle cause di scioglimento della comunione legale poiché lo scioglimento si realizza soltanto con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione o con l'emissione del decreto di omologazione della separazione consensuale, non rilevando quindi per nulla la separazione di fatto.

93)

V. DE PAOLA e A. MACRÌ, op. cit., p. 203; F. CORSI, op. cit., p. 179; F. SANTOSUOSSO, op.

cit., pp. 294-295.

94)

P. SCHLESINGER, op. loc. ult. cit..

95)

F. SANTOSUOSSO, op. loc. ult. cit.

96)

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§ 4.1. La decorrenza degli effetti dello scioglimento della comunione legale: le varie tesi proposte dalla dottrina e dalla giurisprudenza prima della c.d. legge sul divorzio breve97.

Anche per la separazione si ripropone il dilemma dell'individuazione del momento esatto in cui abbia effettivamente luogo lo scioglimento, con annessi dibattiti dottrinali e un’ingente partecipazione della giurisprudenza, alla luce anche delle ultime novità legislative.

Per quanto riguarda la dottrina, una parte di autori98 riteneva che la sentenza che chiude il giudizio di separazione giudiziale o il decreto che omologa la separazione consensuale producessero i loro effetti ex tunc, cioè dalla data di notifica del ricorso introduttivo  nel caso di separazione giudiziale - o dalla data di deposito in cancelleria del ricorso  in caso di

97)

Legge 6 maggio 2015, n. 55 – Disposizioni in materia di scioglimento o di cessazione degli effetti

civili del matrimonio nonché di comunione tra i coniugi, in G.U., n. 107 del 11.5.2015 ed entrata in

vigore il 26.5.2015: “La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica hanno approvato; IL

PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA promulga la seguente legge: Art. 1:1. Al secondo capoverso della lettera b), del numero 2), dell'articolo 3 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni, le parole: «tre anni a far tempo dalla avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale» sono sostituite dalle seguenti: «dodici mesi dall'avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale e da sei mesi nel caso di separazione consensuale, anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale». Art. 2 1. All'articolo 191 del codice civile, dopo il primo comma è inserito il seguente: «Nel caso di separazione personale, la comunione tra i coniugi si scioglie nel momento in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati, ovvero alla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale dei coniugi dinanzi al presidente, purché omologato. L'ordinanza con la quale i coniugi sono autorizzati a vivere separati è comunicata all'ufficiale dello stato civile ai fini dell'annotazione dello scioglimento della comunione». Art. 3:1. Le disposizioni di cui agli articoli 1 e 2 si applicano ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, anche nei casi in cui il procedimento di separazione che ne costituisce il presupposto risulti ancora pendente alla medesima data. La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato. Data a Roma, addì 6 maggio 2015 MATTARELLA. Renzi, Presidente del Consiglio dei ministri. Visto, il Guardasigilli: Orlando”.

98)

P. SCHLESINGER, op. cit., p. 439; F. SANTOSUOSSO, op. cit., p. 294; L. BARBIERA, op. cit., p. 500.

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separazione consensuale. Lo scioglimento avrebbe avuto efficacia retroattiva anche nei confronti dei terzi poiché si riteneva che dal momento della proposizione della domanda di separazione, la rottura della convivenza rifletta i suoi effetti anche all'esterno.

La tesi preferibile99, però, sarebbe stata quella che sosteneva che lo scioglimento della comunione legale fra i beni si verificasse con efficacia ex nunc solo con il passaggio in giudicato della sentenza che pronuncia la separazione o con l'omologa della separazione consensuale.

Per ciò che concerne gli interventi giurisprudenziali in materia, presso le corti di merito, il dibattito è stato vivo per un certo periodo di tempo durante il quale, a fianco di coloro che consideravano lo scioglimento prodotto solo dal momento del passaggio in giudicato della sentenza di separazione100, vi erano altri giudici che ritenevano sufficiente la pronuncia, alla udienza fissata dall'art. 708 c.p.c. per la comparizione dei coniugi davanti al Presidente del Tribunale, del provvedimento presidenziale con cui si autorizzano i coniugi a vivere separatamente101.

Quest'ultimo atteggiamento si ispirava senz'altro a certe meritevoli considerazioni che si basavano sulla singolarità della situazione in cui venivano

99)

A. e M. FINOCCHIARO, op.cit., pp. 1128-1129.

100)

Trib. Trieste, 24 luglio 1981, in Dir. fam., 1983, p. 121, con nota di BONAMORE; Trib. Genova, 16 gennaio 1986, in Dir. fam., 1986, p. 622; Trib. Verona, 29 settembre 1987, in Dir. fam., 1988, p. 999; Pret. Molfetta, 22 dicembre 1988, in Arch. civ., 1988, p. 293.

101)

Trib. Milano, 22 maggio 1985, in Dir. Fam. e pers., 1985, p. 975; Trib. Milano, 20 giugno 1985, in Foro pad., 1986, p. 102; Trib. Genova, 17 luglio 1986, cit., p. 257; Trib. Milano, 20 luglio 1989, in

Dir. Fam. e pers., 1990, p. 161; Trib. Ravenna, 17 maggio 1990, in Rass. dir. civ., 1991, p. 209, con nota

di FINOCCHIARO. Tuttavia nonostante questo indirizzo sia pressoché del tutto superato, viene ancora seguito dai giudici di appello del capoluogo ligure; confronta App. Genova, 10 novembre 1997, in Dir.

fam. e pers., 1999, p. 106, con nota di BARDI e App. Genova, 1° ottobre 1998, in Fam. Dir., 1999, p.

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a trovarsi i coniugi, che avendo deciso di cessare la convivenza con il benestare del giudice, rischiavano poi di trovarsi ancora legati, magari per anni, ad un regime patrimoniale di comunione divenuto ormai privo di significato.

Proprio per questo, tale tesi è stata molto criticata, perché non si riesce a capire come sia possibile collegare all'udienza presidenziale gli stessi effetti che la legge fa derivare dall'evento “separazione”, che in questa fase ancora non c'è stata e addirittura potrebbe non arrivare mai102.

Il problema è stato posto anche al vaglio della Corte Costituzionale103: questa, infatti, ha dovuto pronunciarsi sulla questione di incostituzionalità riguardante l'art. 191 c.c., laddove non contempla come causa di scioglimento della comunione i provvedimenti presidenziali ex art. 708 c.p.c.

Tale questione era stata sollevata perché si riteneva che la suddetta parte dell’art. 191 c.c. fosse in contrasto con l’art. 3 Cost. e quindi con il principio di eguaglianza, perché sottopone allo stesso regime situazioni tra loro difformi, come quella di coniugi conviventi e quella di coniugi autorizzati a vivere separatamente in virtù di uno specifico provvedimento autorizzativo da parte dell’autorità giudiziaria.

La Corte Costituzionale, dal canto suo, ha motivato la scelta del legislatore dicendo che i provvedimenti temporanei ex art. 708 c.p.c. non fanno

102)

Lo conferma Trib. Genova, 17 luglio 1986, cit.

103)

Corte cost. ord., 7 luglio 1988, n. 795, Foro it., 1989, I, p. 928, che recita “è manifestamente

inammissibile, in quanto implica scelte discrezionali riservate al legislatore, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 191 c.c., nella parte in cui non consente che, con l’emanazione dei provvedimenti presidenziali ai sensi dell’art. 708 c.p.c., che autorizzano i coniugi a vivere separatamente nelle more del procedimento di separazione, cessi il conferimento alla comunione degli acquisti successivamente compiuti, nonché dei frutti dei beni e dei proventi dell’attività separata di ciascuno dei coniugi, in riferimento all’art. 3 Cost.”.

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cessare il regime legale degli acquisti, in quanto non sono provvedimenti di carattere definitivo e quindi la situazione di coloro che sono stati provvisoriamente autorizzati a vivere separati non è equiparabile a quella di coloro legalmente separati.

Pertanto non ci sarebbe nessuna violazione dell’art. 3 Cost. e ha ritenuto manifestamente inammissibile tale questione di legittimità costituzionale, perché comporterebbe una sentenza che introduca, a riguardo della comunione legale dei beni, un nuovo istituto normativo, andando quindi ad invadere il “campo” esclusivamente riservato al legislatore.

La Corte di Cassazione104, a sua volta, quando si è espressa la prima volta su tale questione, ha seguito l'orientamento della Corte Costituzionale.

Ha affermato, infatti, che dal provvedimento emesso dal presidente del Tribunale ex art. 708 c.p.c. non deriva alcun effetto: questo non solo perché il provvedimento ha carattere provvisorio e la sua esecutività dura finché non sia concluso il processo di separazione oppure nel caso in cui non venga modificato, ma anche perché per il suo stesso contenuto non è in grado di incidere nel regime della comunione legale, il cui scioglimento potrà avvenire, a tutela dei terzi, in virtù di quanto previsto dall’art. 191 c.c. e volendo al passaggio in giudicato della sentenza.

104)

Cass. 29 gennaio 1990, n. 560, cit. , I, p. 2238, secondo la quale “nessun effetto può derivare dal

provvedimento emesso, ex art.708 c.p.c., dal Presidente del Tribunale nel procedimento di separazione, non solo per il carattere provvisorio di questo provvedimento la cui esecutività, per il combinato disposto dell'art. 474 c.p.c. e art.189 disp.att., dura finché non sia concluso il processo di separazione ovvero non intervenga una sua modifica, ma anche perché incapace, per il suo stesso contenuto, di incidere comunque nel regime della comunione legale, il cui scioglimento, a tutela dell'affidamento dei terzi, è collegato nella previsione normativa (art. 191 c.c.) e secondo un'interpretazione sistematica, al passaggio in giudicato della relativa sentenza”.

(19)

48

Successivamente, la Cassazione ha voluto chiarire alcune conseguenze di ordine procedurale105. La Suprema Corte ha infatti affermato che posto che lo scioglimento della comunione legale si verifica ex nunc solo con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione e che quindi in pendenza del procedimento di separazione, il diritto allo scioglimento della comunione stessa non è ancora sorto, allora non esisterebbe nemmeno un interesse concreto da parte del coniuge di reclamarne la sua tutela. Inoltre la declaratoria di scioglimento della comunione non può essere richiesta prima della formazione del giudicato sulla separazione dei coniugi e la relativa domanda eventualmente formulata prima di tale data deve essere ritenuta inammissibile, non potendosi neppure richiedere la sospensione del procedimento perché non compatibile con quanto dettato dall’art. 295 c.p.c.

105)

Cass. 23 giugno 1998, n. 6234,in Mass. giur. it., 1998, nella quale si afferma “lo scioglimento

della comunione legale dei beni fra i coniugi si verifica ex nunc soltanto con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione, non spiegando effetti — al riguardo — il precedente provvedimento presidenziale (provvisorio e funzionalmente limitato) con cui i coniugi siano stati autorizzati ad interrompere la convivenza. Da ciò consegue, fra l’altro: 1) che, se in pendenza del procedimento di separazione personale il diritto allo scioglimento della comunione legale dei beni dei coniugi non è ancora sorto (per non essersi compiutamente realizzata la correlativa vicenda costitutiva), neppure — evidentemente — esiste un interesse, attuale e concreto del coniuge a reclamarne la tutela giudiziale; 2) che la declaratoria di scioglimento della comunione non possa essere quindi richiesta antecedentemente alla formazione del giudicato sulla separazione dei coniugi, e la domanda in tale senso eventualmente formulata prima di tale data va dichiarata — come tale — improponibile, non potendosi d’altronde — neppure — farsi ricorso al provvedimento di sospensione del relativo procedimento, in quanto un provvedimento di tal fatta si porrebbe estraneo al paradigma normativo di cui all’art. 295 c.p.c., il quale rende ricollegabile l’istituto della sospensione solo ad un rapporto «sincronico» di interdipendenza logica tra due coevi giudizi, suscettibili di proseguire altrimenti in modo autonomo, e giammai ad un rapporto «diacronico» di succedaneità logico — giuridica tra due giudizi il secondo dei quali (quello — in tesi — pregiudicato), proprio perché subordinato, nella sua promuovibilità, ad un determinato esito dell’altro, non possa — per definizione — entrare con quello in contraddizione”.

(20)

49

La Suprema Corte, inoltre, ha avuto anche l’occasione di precisare quali fossero le differenze tra la fattispecie in oggetto e quella della separazione giudiziale dei beni, disciplinata all'art. 193 c.c., affermando quanto segue: «mentre in caso di separazione personale dei coniugi lo scioglimento della comunione legale di beni si verifica con effetto ex nunc, solo con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione o con l’omologa degli accordi di separazione consensuale — non spiegando alcun effetto al riguardo il provvedimento presidenziale ex art. 708 c.p.c. — in caso di separazione giudiziale dei beni gli effetti dello scioglimento della comunione retroagiscono invece al giorno in cui è stata proposta la domanda, secondo quanto espressamente prevede il co. quarto dell’art. 193 c.c., il quale, così disponendo, deroga al principio in forza del quale, allorché la pronuncia del giudice ha, come nella specie, valenza costitutiva, gli effetti di tale sentenza non possono prodursi se non dal passaggio in giudicato106».

In una successiva pronuncia107 ha poi ulteriormente ribadito la propria posizione, affermando che lo scioglimento della comunione legale dei beni fra coniugi si verifica, con effetto ex nunc, dal momento del passaggio in giudicato della sentenza di separazione ovvero dell'omologazione degli accordi di separazione consensuale, non spiegando, per converso, alcun effetto, al

106)

Cass. 27 febbraio 2001, n. 2844, in Mass. giur. it., 2001. Una trattazione più ampia della separazione giudiziale dei beni sarà eseguita nel § 7.

107)

Cass., ord. 12 gennaio 2012, n. 324, secondo la quale “per giurisprudenza costante di questa

Corte, lo scioglimento della comunione legale tra i coniugi si verifica, con effetto ex nunc, dalla data del passaggio in giudicato della sentenza di separazione, ovvero dell'omologazione degli accordi di separazione consensuale: non spiegando, per converso, alcun effetto il provvedimento presidenziale di cui all'art. 708 cod. di rito, autorizzativo dell'interruzione della convivenza, atteso il suo contenuto limitato e la sua funzione meramente provvisoria (Cass. 5 ottobre 1999, n. 11.036; Cass 18 settembre 1998, n. 9325; Cass 2 settembre 1998, n. 8707)”.

(21)

50

riguardo, il provvedimento presidenziale di cui all'art. 708 c.c. del codice di rito autorizzativo dell'interruzione della convivenza tra i coniugi, visto il contenuto del tutto limitato e la funzione meramente provvisoria.

§ 4.2. (Segue): La risoluzione del problema della decorrenza degli effetti dello scioglimento della comunione, secondo le innovazioni apportate dalla Legge 6 maggio 2015, n. 55.

La Legge 6 maggio 2015, n. 55, cioè la c.d. legge sul divorzio breve108, apportando delle modifiche al diritto di famiglia, ha novellato in particolar modo anche la disciplina dello scioglimento della comunione legale, mettendo un punto finale all’ annosa questione della decorrenza degli effetti dello scioglimento del regime legale.

L’art. 2 della L. 55/2015 ha comportato delle modifiche all’art. 191 c.c., prevedendo infatti che la comunione si sciolga, oltre ai casi previsti dal I comma dell’art. 191 c.c., anche quando il Presidente del Tribunale autorizza i coniugi a vivere separati ovvero alla data del firma del verbale di separazione consensuale dinanzi al Presidente, purché omologato.

In particolar modo sono stati posti degli interrogativi sul significato dell’espressione “purché omologato” relativo al verbale di separazione consensuale.

108)

(22)

51

Secondo un’ autorevole opinione109

, tale inciso infatti andrebbe a proporre il problema di un’eventuale introduzione di una vera e propria condizione sospensiva, ma se così stessero le cose, non si potrebbe dire che ci sia stata un’innovazione rispetto a prima, dato che non è mai stato messo in dubbio che in caso di separazione consensuale il momento di cessazione del regime legale coincidesse con quello in cui diveniva definitivo il decreto d’omologazione emesso dal tribunale in camera di consiglio.

Pertanto si ritiene opportuno optare per la soluzione secondo la quale l’effetto di cessazione del regime si produce immediatamente, come conseguenza della mera «sottoscrizione del verbale di separazione consensuale dei coniugi dinanzi al presidente, purché omologato». L’inciso «purché omologato» dovrà intendersi come descrittivo di una condizione risolutiva, collegata all’emanazione di un  tendenzialmente assai improbabile  provvedimento collegiale di rigetto dell’istanza d’omologazione.

A questo punto viene da chiedersi come comportarsi nei confronti di atti medio tempore posti in essere con un terzo, cioè nel periodo che intercorre tra la firma del verbale di separazione e l’omologazione dell’atto.

La soluzione migliore che saremmo portati a seguire sarebbe quella secondo la quale la comunione cessa al momento della sottoscrizione del verbale di separazione, ma in virtù di quanto detto sull’inciso “purché omologato” si potrebbero fare alcune riflessioni.

109)

G. OBERTO, Divorzio breve, separazione legale e comunione legale tra coniugi, in Fam. dir., n. 6/2015, passim.

(23)

52

Infatti, se venisse effettivamente considerato come una condizione risolutiva, gli atti medio tempore dovrebbe essere riferiti alla comunione e non al singolo, in quanto il regime non si sarebbe ancora sciolto.

Inoltre, tale soluzione potrebbe comportare anche ulteriori problematiche tra i coniugi stessi.

Come ci ha fatto notare autorevole autore110, data la facilità con la quale oggi si possono compiere transazioni di vario genere, grazie anche all’utilizzo delle nuovo tecnologie, che velocizzano tali procedure, anche quei pochi giorni intercorrenti tra la firma del verbale e l’omologazione dell’atto potrebbero servire ad un soggetto, ipoteticamente istruito dal proprio legale, per trasferire parte delle finanze in conti all’estero o comunque difficili da reperire, così da vanificare le aspettative del coniuge sui beni che ricadono in comunione de residuo.

Pertanto, a maggior ragione, non si può fare altro che comprendere quelle interpretazioni del nuovo art. 191 c.c. che vorrebbero anticipare il più possibile il momento in cui il regime legale cessa.

§ 4.3. Le sentenze Cass. 16 aprile 2012, n. 5972 e Cass. 26 febbraio 2010, n. 4757: due casi particolari.

Ci sono anche altre due questioni riguardanti la separazione personale, prese in esame dalla giurisprudenza, che si ritiene opportuno segnalare.

110)

(24)

53

La prima riguarda il caso in cui i coniugi abbiano ottenuto una decisione di primo grado sulla separazione personale ed il giudizio prosegua in grado di appello, non sulla separazione ma solo sull’addebitabilità della stessa e sull’affidamento dei figli. A questo punto ci si è chiesti se possa ritenersi passata in giudicato la separazione con conseguente scioglimento della comunione legale ed il passaggio alla comunione ordinaria che legittima il coniuge a vendere la propria quota.

La Suprema Corte111, a tale riguardo, ha stabilito che se l'appello viene proposto con esclusivo riferimento all'addebito, all'affidamento dei figli ed all'assegno di mantenimento, questo comporterà acquiescenza alla pronuncia, in quanto parte autonoma della decisione.

Quindi, si deve escludere che la pendenza del gravame su aspetti di questo tipo precluda il passaggio in giudicato della separazione stessa e impedisca la cessazione del regime legale. Questo a sua volta comporterà la disapplicazione degli artt. 177 ss. c.c. e l’automatica instaurazione delle regole della comunione ordinaria, tra cui quella che permette a ciascun titolare di disporre del suo diritto nei limiti della quota senza il consenso dell’altro comunista, ex art. 1103 c.c.

111)

Cass. 16 aprile 2012, n. 5972, secondo la quale “lo scioglimento della comunione legale dei beni

tra i coniugi si verifica ex nunc con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione personale; e poiché l'appello proposto con esclusivo riferimento all'addebito, all'affidamento dei figli e agli aspetti economici della separazione segna acquiescenza alla pronuncia sulla separazione, e quindi definitività della stessa, quale parte autonoma della decisione, deve escludersi che la pendenza del gravame su tali aspetti precluda il passaggio in giudicato della separazione stessa e impedisca la cessazione del regime di comunione legale, cessazione alla quale si riconnettono l'inoperatività del complesso normativo di cui agli artt. 177 e ss. c.c. e l'automatica instaurazione delle regole proprie della comunione ordinaria, ivi compresa quella, ex art. 1103 c.c., che abilita ciascun contitolare a disporre del suo diritto nei limiti della quota senza il consenso dell'altro comunista”.

(25)

54

La seconda questione, invece, riguarda la possibilità di proporre domanda di scioglimento di comunione legale in pendenza della causa di separazione personale112.

In passato, la Suprema Corte si era pronunciata costantemente a sfavore della proponibilità della domanda di scioglimento della comunione legale e relativa divisione dei beni prima del passaggio in giudicato della pronuncia di separazione personale, qualificando pertanto tale giudicato come presupposto processuale o, meglio, condizione di procedibilità dell’azione113.

In virtù di questo costante orientamento giurisprudenziale, per anticipare il momento di scioglimento della comunione ed evitare soprattutto che l’altro coniuge compisse atti idonei a pregiudicare le ragioni con riferimento ai beni destinati a cadere in comunione de residuo, l’unico rimedio esperibile era la proposizione della domanda volta ad ottenere la separazione giudiziale dei beni prevista dall’art. 193 c.c., non preclusa dalla pendenza del giudizio di separazione personale tra gli stessi coniugi, né dall’avvenuta pronuncia, da parte del Presidente del Tribunale, dei provvedimenti temporanei ed urgenti di cui all’art. 708 c.p.c., che la stessa Corte114

riteneva non idonei a rendere procedibile la domanda.

Con la decisione qui analizzata, la Suprema Corte ha ritenuto di riesaminare la questione, sulla spinta soprattutto della particolare fattispecie ad

112)

Cass. 26 febbraio 2010, n. 4757, secondo cui “il passaggio in giudicato della sentenza di

separazione giudiziale (o di omologa di quella consensuale) non è condizione di procedibilità della domanda giudiziaria di scioglimento della comunione legale e relativa divisione dei beni, ma condizione dell’azione; di conseguenza, è sufficiente che tale condizione sussista al momento della pronuncia”.

113)

Si ricordano Cass. 7 marzo 1995, n. 2652; Cass. 23 giugno 1998, n. 6234; Cass. 18 settembre 1998, n. 9325; Cass. 25 marzo 2003, n. 4351; Cass. 6 ottobre 2005, n. 19442.

114)

(26)

55

essa sottopostagli, ovvero: introduzione del giudizio di scioglimento della comunione in pendenza della causa di separazione personale e relativa decisione di primo grado dopo il passaggio in giudicato della relativa sentenza di separazione personale.

A tale proposito, la Corte di Cassazione è partita dalla nota distinzione, tra presupposti del processo e condizioni dell’azione.

I primi riguardano l’esistenza stessa del processo, nonché la sua validità e procedibilità, e devono sussistere prima della proposizione della domanda, e si tratta dunque della giurisdizione, della competenza e della legittimazione processuale; le condizioni dell’azione sono, invece, i requisiti di fondatezza della domanda, necessari affinché l’azione possa raggiungere la finalità concreta alla quale è diretta.

La mancanza delle condizioni dell’azione non esclude ab origine l’esistenza del processo, ma impedisce che questo si concluda con una pronuncia favorevole all’attore. Sono condizioni dell’azione l’interesse ad agire (art. 100 c.p.c.), la legittimazione ad agire e a contraddire (art. 81 c.p.c.) e l’esistenza del diritto. È sufficiente pertanto che tutte le condizioni di legge sussistano al momento della pronuncia, e non necessariamente a quella della domanda.

Dunque, sulla base di questa distinzione e seguendo il proprio costante orientamento che afferma che lo scioglimento della comunione si perfeziona con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione giudiziale (o l’omologa di quella consensuale), la Suprema Corte è giunta a qualificare come

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condizione dell’azione, e non più come presupposto processuale, il passaggio in giudicato della relativa sentenza, in quanto è ritenuto sia fatto costitutivo del diritto ad ottenere lo scioglimento e la conseguente divisione sia momento in cui sorge l’interesse ad agire per lo scioglimento della comunione e la divisione.

Pertanto, stando a quest’ultimo e recente orientamento della Cassazione, oggi è possibile proporre domanda di scioglimento della comunione legale e relativa divisione in pendenza della causa di separazione personale.

§ 5. Lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Lo scioglimento del matrimonio civile o la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario rappresentano un’ulteriore ipotesi di scioglimento della comunione, sempre che, essendo precedentemente intervenuta separazione legale  ipotesi di gran lunga più probabile  la comunione legale non sia già cessata.

Anche in questo caso ciò che si discute è il momento a partire dal quale decorrono gli effetti dello scioglimento.

Secondo alcuni115 in caso di divorzio, lo scioglimento della comunione dovrebbe decorrere dalla data di notificazione del ricorso introduttivo del giudizio; infatti nella domanda di scioglimento, deve ritenersi implicita quella di separazione giudiziale dei beni, applicando alla fattispecie in esame l'art. 193, IV comma, c.c.

115)

F. CORSI, op. cit., p. 176; T. V. RUSSO, op. cit., p. 51; contra, per la stretta applicazione della

(28)

57

Tale conclusione non è però condivisa da altra parte della dottrina116 che ritiene che la pronuncia di divorzio produca effetti, sia tra i coniugi che nei confronti dei terzi, solo dal giorno dell'annotazione della sentenza ai sensi dell'art. 10 della L. 898/1970117.

Altro autore118 invece presenta un' ulteriore opinione, secondo il quale tra le parti gli effetti si produrrebbero dalla data di presentazione della domanda, mentre nei confronti dei terzi dalla data dell'annotazione negli atti dello stato civile.

In giurisprudenza, la Suprema Corte ha espresso un orientamento costante, volto a distinguere gli effetti personali e patrimoniali tra i coniugi dagli effetti erga omnes. In particolare ha precisato che l'art.10 della L. 898/1970 stabilisce che lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio hanno efficacia, a tutti gli effetti civili, dal giorno dell'annotazione della sentenza di divorzio. Questo ci porterebbe alla conclusione che il momento in cui diventa efficace la sentenza va individuato nell'annotazione e non nella formazione del giudicato, ma tale lettura non può essere condivisa. Infatti è necessario individuare il legame tra la sentenza costitutiva dello status e l'atto dello stato civile che la recepisce, facendo riferimento alla funzione tipica dei registri di stato civile. Quest'ultimi hanno una funzione dichiarativa e non costitutiva dello status che con essi viene attestato, il quale per effetto della pubblicità, è reso opponibile a tutti. Per cui se è proprio in relazione a questa

116)

A. e M. FINOCCHIARO, op. cit., pp. 1124-1125.

117)

Legge 1 dicembre 1970, n. 898 - Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio, in G.U., n. 36 del 3.12.70 ed entrata in vigore il 18.12.1970.

118)

(29)

58

funzione che la legge richiede l'annotazione, non ci sarà alcun rapporto con la decorrenza tra le parti degli effetti personali e patrimoniali della sentenza, i quali si producono invece con il passaggio in giudicato.

Di conseguenza, ecco che l'annotazione attiene unicamente agli effetti erga omnes della pronuncia, solo in considerazione della efficacia dichiarativa e non costitutiva dello status delle persone fisiche che è propria dei registri dello stato civile, mentre per la decorrenza degli effetti personali e patrimoniali tra le parti si fa riferimento al passaggio in giudicato della sentenza119.

Successivamente la Corte di Cassazione120, analizzando gli effetti del divorzio sulla successione tra i coniugi, ha sostenuto che la pronuncia di divorzio, passata in giudicato, come fatto costitutivo di un diverso status reciproco tra i coniugi, determina i suoi effetti solo nei rapporti tra i coniugi

119)

Cass. 4 agosto 1992, n.9244, in Mass. giur. it., 1992, secondo la quale “ l’art. 10 della legge 1°

dicembre 1970, n. 898 stabilisce che lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio hanno efficacia, a tutti gli effetti civili, dal giorno dell’annotazione della sentenza.

Non vi è dubbio che un’interpretazione della disposizione legata ad mero dato letterale potrebbe indurre alla conclusione che il momento in cui diventa efficace la sentenza di divorzio va individuato nell’annotazione, non nella formazione del giudicato, e questa sarebbe una delle anomalie riscontrabili nella legge, secondo quanto ha sostenuto parte della dottrina.

Osserva in contrario il collegio, con ciò conformandosi ad un orientamento già espresso da questa Corte, che una tale lettura della norma non può essere condivisa.

Ed invero, per determinare la concreta portata, è necessario individuare il legame tra la sentenza costitutiva dello status e l’atto dello stato civile che la recepisce, facendo riferimento alla funzione tipica dei registri dello stato civile. Questi hanno indubbiamente efficacia dichiarativa e non costitutiva dello status che con essi viene attestato, il quale, per effetto della pubblicità, è reso opponibile a tutti. Se, quindi, è proprio in relazione a questa funzione che la legge richiede l’annotazione, ne consegue che questa non si pone in alcun modo in rapporto con la decorrenza fra le parti, degli effetti personali e patrimoniali della sentenza i quali si producono dal passaggio in giudicato, mentre l’annotazione attiene unicamente agli effetti erga omnes della pronuncia stessa, in considerazione dell’indicata efficacia dichiarativa e non costitutiva dello stato delle persone fisiche che è propria dei registri dello stato civile”.

120)

Cass. 9 giugno 1992, n. 7089, in Giust. civ. mass., 1993, I, p. 427, in cui è stato sostenuto che “ la

sola pronunzia di divorzio, passata in giudicato, come fatto costitutivo di un reciproco diverso status tra i coniugi, è sufficiente a determinare  nei rapporti tra i medesimi  gli effetti suoi propri, in primo luogo quello della dissoluzione del vincolo matrimoniale, mentre altri effetti  quelli erga omnes, con la conseguente opponibilità della nuova situazione ai terzi  sono ricollegabili soltanto ai successivi adempimenti della trascrizione e dell’annotazione nei registri dello stato civile”.

(30)

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stessi, mentre per quanto riguarda gli effetti erga omnes e quindi l’opponibilità ai terzi della nuova situazione, questi saranno ricollegabili soltanto alla successiva trascrizione ed annotazione nei registri dello stato civile.

In applicazione di questo principio, la Suprema Corte ha confermato quanto affermato dai giudici di merito, secondo cui al coniuge superstite non spetta la qualità di erede dell’altro, deceduto successivamente al passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, ma anteriormente all’annotazione della sentenza nei registri civili dello stato121.

§ 6. Le convenzioni matrimoniali: quando i mutamenti operati dai coniugi sciolgono la comunione.

Il nostro ordinamento consente ai coniugi di modificare il regime patrimoniale della comunione legale attraverso le convenzioni matrimoniali, che sono dei veri e propri contratti attraverso i quali si può sostituire al regime patrimoniale legale della comunione legale, dei regimi atipici non previsti della legge o previsti dalla legge.

Non tutte però comportano lo scioglimento della comunione.

La costituzione di alcuni beni in fondo patrimoniale e la costituzione di un’ impresa familiare infatti non comportano lo scioglimento della comunione.

121)

App. Genova 19 novembre 1982, in Giur. mer., 1985, p. 120, nel quale è stato affermato che “gli

effetti inter partes della pronunzia di scioglimento del matrimonio decorrono dalla data del passaggio in giudicato della sentenza e non dalla sua annotazione nei registri dello stato civile; conseguentemente non acquista la qualità di erede l’ex coniuge del divorziato che sia deceduto dopo il decorso dei termini per impugnare la sentenza e prima della sua annotazione”.

(31)

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Sono invece causa di scioglimento la separazione dei beni, ai sensi dell’art. 215 c.c., e la comunione convenzionale, ai sensi dell’art. 210 c.c.122

. Proprio su quest'ultima si deve porre attenzione, in quanto, come affermato in dottrina123, a seconda dei casi, può comportare uno scioglimento totale della pregressa comunione, uno scioglimento limitato ad alcuni beni, oppure anche nessuna modifica al patrimonio già in comunione immediata. Infatti tale opinione si fonda sull’esame delle diverse soluzioni che i coniugi possono attuare stipulando una comunione convenzionale.

In particolare vengono individuate tre ipotesi.

Il primo caso prevede che la comunione si sciolga nell’ipotesi in cui i coniugi decidano lo scioglimento della comunione per i beni acquistati prima della convenzione e l'adozione di una comunione convenzionale per i beni acquistati successivamente.

Per cui per i beni precedentemente acquistati cessa l'applicazione delle norme riguardante l'amministrazione dei beni comuni, cessa la responsabilità dei beni comuni per le obbligazioni contratte in futuro, i beni diventano oggetto di comunione ordinaria e si verificano gli effetti della comunione de residuo.

Per quanto riguarda il regime di comunione convenzionale questo avrà efficacia dal momento in cui viene stipulata la convenzione comportando una serie di effetti: i beni acquistati successivamente saranno oggetto di comunione immediata e gli verranno applicate le norme sull'amministrazione dei beni

122)

A. e M. FINOCCHIARO, op. cit., p. 1122.

123)

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comuni. Inoltre risponderanno delle obbligazioni che da quel momento saranno contratte con effetto sul patrimonio comune.

La seconda ipotesi considera, invece, che nel caso in cui i coniugi convengano di escludere dalla comunione immediata soltanto alcuni dei beni immobili da loro acquistati in regime di comunione legale, il regime di comunione prosegue per tutti gli altri beni, continuando quindi ad applicarsi le norme riguardanti l'amministrazione dei beni comuni e non si verificano gli effetti della comunione de residuo. Pertanto, lo scioglimento si verificherà soltanto per i beni immobili, che diventeranno oggetto della comunione ordinaria.

Infine, l'ultimo caso prevede che se i coniugi convengano di assoggettare a comunione, oltre ai beni già acquistati e a quelli che acquisteranno in futuro, anche i beni acquistati per successione e che in futuro acquisteranno a titolo gratuito, all'oggetto della comunione immediata, regolato dalla disciplina legale, verranno aggiunti altri beni. Questo senza che si verifichi lo scioglimento della comunione, neppure limitatamente ad alcuni beni.

Per quanto riguarda l'operatività del nuovo regime, questo sarà valido nei confronti delle parti dal momento in cui si perfeziona l'atto notarile, mentre avrà efficacia erga omnes solamente a seguito dell'annotazione della convenzione a margine dell'atto di matrimonio.

(33)

62 § 7. Separazione giudiziale dei beni.

Nel caso della separazione giudiziale dei beni, disciplinata all’art. 193 c.c., ci troviamo di fronte a una causa giudiziale di cessazione del regime di comunione legale, in quanto opera a seguito di una sentenza del giudice.

Questo perché a seguito di comportamenti sbagliati nell'amministrazione dei beni da parte di uno dei due coniugi, il nostro ordinamento dà la possibilità all'altro coniuge di tutelare i propri diritti grazie a questo strumento.

Ecco quindi che, come fa notare autorevole dottrina124, si riscontrano subito delle differenze con le altre cause di scioglimento previste all'art. 191 c.c., perché quest'ultime infatti coincidono con fattispecie che prevedono lo scioglimento solo come effetto secondario. Invece la sentenza che ha per oggetto la separazione dei beni ha lo scioglimento come oggetto diretto e principale e avremo come effetto ulteriore l'instaurazione del regime di separazione dei patrimoni.

I casi in cui si può richiedere separazione giudiziale dei beni sono indicati ai commi I e II dell’art. 193 c.c.:

 l'interdizione e l'inabilitazione di uno dei coniugi125;

 l’ “inefficiente amministrazione della comunione”. Tale espressione va intesa, non solo come amministrazione inefficiente dovuta a mala fede, ma anche a negligenza o inettitudine, comprendendo gli abusi dei diritti di amministrazione, come nel caso di alienazioni a titolo gratuito

124)

G. GABRIELLI, op. cit., p. 373.

125)

Queste due ipotesi non creano particolari problemi, ma preme segnalare che l’interdizione è già causa automatica di esclusione dalla amministrazione ex art. 183 c.c.

(34)

63

di beni della comunione oppure anche il compimento di atti di straordinaria amministrazione senza il consenso dell'altro coniuge, nel caso in cui questi atti siano di un'importanza tale da creare pregiudizio alla comunione stessa126;

 il “disordine degli affari” di uno dei coniugi. In questo caso l’attenzione si sposta dall’amministrazione dei beni comuni a quella dei beni facenti parte del patrimonio personale di ciascun coniuge. Per disordine si vuole intendere una situazione di dissesto dovuta a negligenza o trascuratezza. Per ottenere la separazione è necessario verificare che il comportamento denunciato metta concretamente in pericolo gli interessi dell’altro coniuge o della famiglia, cosa che per esempio si verifica quando per l’incapienza del patrimonio personale del coniuge disordinato, si abbia fondato timore di un’ aggressione dei beni comuni ex art. 189, II comma, c.c.;

 la “condotta del coniuge nell'amministrare i beni”. Non è semplice attribuire a tale fattispecie un autonomo ambito applicativo. Infatti la lettura più immediata del testo normativo farebbe pensare che si tratti di una formula coordinata con quella del disordine degli affari di uno dei coniugi127. Tuttavia, c’è anche chi ha voluto riferire tale condotta non alla gestione dei beni personali, bensì a quella dei beni comuni, distinguendo dal caso precedente della amministrazione inefficiente

126)

A. e M. FINOCCHIARO, op. cit., p. 1168; F. MASTROPAOLO e P. PITTER, op. cit., pp. 362- 363.

127)

A. e M. FINOCCHIARO, op. cit., pp. 1168-1169; E. VITALI, Commentario al diritto delle

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perché si avrebbe a che fare con atti di amministrazione non intrinsecamente negativi, ma che comunque sia esporrebbero a possibili pregiudizi il patrimonio comune.128Ad ogni modo, lo scioglimento rimane subordinato alla sussistenza, in concreto, di un pericolo per gli interessi dell’altro coniuge o della famiglia;

 il caso in cui uno dei due coniugi non contribuisca ai bisogni della famiglia in base alle proprie sostanze e capacità di lavoro129. Tale fattispecie viene considerata come un valido temperamento contro possibili simbiosi parassitarie, nelle quali uno dei due coniugi pretenda, non tanto di vivere alle spalle dell’altro coniuge, quanto di destinare tutti i propri guadagni ai bisogni e interessi personali, lasciando all’altro coniuge l’onere di provvedere all’andamento della famiglia e di costituire, solo con i propri sacrifici, il patrimonio comune.

Le suddette ipotesi vengono ritenute dalla dottrina130 tassative per cui non è possibile che il giudici pronunci la separazione per cause diverse da quelle sopra elencate.

La giurisprudenza131 ha voluto inoltre evidenziare quale sia la differenza di effetti tra la separazione personale dei coniugi e la separazione giudiziale dei beni.

128)

F. MASTROPAOLO e P. PITTER, op. cit., p. 363. Per F. SANTOSUOSSO, op. cit., pp. 182-183, la “condotta” riguarderebbe sia i beni personali che quelli comuni e si differenzierebbe dalla cattiva amministrazione perché quest’ultima concerne una situazione obiettivamente negativa dovuta ad entrambi i coniugi.

129)

A. e M. FINOCCHIARO, op. cit., p. 1169.

130)

A. e M. FINOCCHIARO, op. cit., p. 1168, F. CORSI, op. cit., p. 181.

131)

Cass. 27 febbraio 2001, n. 2844, in Fam .dir., 2001, p. 441 secondo la quale: “premesso infatti

che, a norma dell’art. 191, primo comma, c.c., la comunione legale tra coniugi si scioglie, tra le cause, vuoi per la separazione personale vuoi per la separazione giudiziale dei beni, si osserva al riguardo che, nel primo caso, lo scioglimento medesimo si verifica in realtà, con efficacia ex nunc, soltanto a seguito

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In presenza della prima, lo scioglimento avviene ex nunc, soltanto a seguito del passaggio in giudicato della sentenza di separazione giudiziale o dell'omologazione degli accordi in caso di separazione consensuale, dato che il provvedimento presidenziale ex art. 708 c.p.c. non dispiega alcun effetto in tal senso e non può essere richiesta la declaratoria di scioglimento della comunione in pendenza del procedimento di separazione personale.

Nel secondo caso, invece, l'efficacia della sentenza retroagisce al giorno in cui è stata proposta la domanda, derogando al principio secondo il quale, quando la pronuncia del giudice ha valenza costitutiva come in questo caso, gli effetti di tale sentenza non possono prodursi se non dal momento in cui questa passa in giudicato.

§ 7.1. (Segue): I legittimati a proporre l’azione di separazione.

Per l’ipotesi in esame è significativo anche l’analisi dei legittimati a

richiedere l’azione di separazione dei beni.

del passaggio in giudicato della sentenza di separazione giudiziale (o dell’omologazione degli accordi di separazione consensuale), non spiegando alcun rilievo in proposito il provvedimento presidenziale di cui all’art. 708 c.p.c. (autorizzativo dell’interruzione della convivenza tra gli stessi coniugi) e non potendo quindi la declaratoria di scioglimento della comunione, a pena di inammissibilità della relativa domanda, venire richiesta in pendenza del procedimento di separazione personale. Nell’altro caso, all’opposto, anche a non voler considerare la previsione contenuta nel quarto comma dell’art. 192 c.c. che conferisce al giudice la possibilità, se l’interesse della famiglia lo esige o lo consente, di autorizzare i rimborsi e le restituzioni in un momento anteriore rispetto a quello dello scioglimento della comunione, dal disposto del quarto comma dell’art. 193 c.c., ai sensi del quale la sentenza che pronunzia la separazione giudiziale dei beni retroagisce al giorno in cui è stata proposta la domanda, è lecito trarre il convincimento che la norma, a differenza di quanto accennato in ordine all’efficacia ex art. 191 della sentenza di separazione personale dei coniugi, abbia inteso derogare al principio in forza del quale, quando la pronuncia del giudice ha valenza costitutiva (come nella specie), gli effetti di tale sentenza non possono prodursi se non dal momento in cui questa passa in giudicato, sulla falsariga, del resto, di quel che accade in tema di assegno di divorzio, là dove, indipendentemente dal passaggio in giudicato della statuizione circa lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio (ovvero circa il nuovo status della parti dal quale il diritto all’assegno dipende), ne sia stata disposta dal giudice del merito la decorrenza dal momento della domanda, ex art. 4, decimo comma, della legge 1 dicembre 1970, n. 898, come novellato dall’art. 8 della legge 6 marzo 1987, n. 74”.

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