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Academic year: 2021

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Il parto eutocico nella cavalla

Si definisce eutocico il parto fisiologico della cavalla che avviene spontaneamente, in modo del tutto naturale, e non richiede l’intervento medico. Il parto si suddivide in tre fasi, di cui si discorrerà a breve analiticamente, rispettivamente fase dilatativa, fase espulsiva e fase del secondamento, ed è stimolato ed innescato dallo sviluppo e dalla maturazione fetale che dà luogo alle variazioni ormonali che contribuiscono all’espulsione del feto. Una corretta attività dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene è indispensabile affinché si possa realizzare un parto fisiologico e per l’adattamento del neonato alla vita extra-uterina. Il suo sviluppo durante la vita fetale è strettamente correlato con i cambiamenti ormonali che si riscontrano nella cavalla gravida.

I fattori che maggiormente condizionano il buon esito del parto e la nascita di un puledro vivo e vitale derivano dalla coordinazione degli eventi endocrini che regolano lo sviluppo fetale e materno. Gli ormoni coinvolti nella formazione di un idoneo

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Parto eutocico nella cavalla

ambiente uterino sono numerosi ed intervengono in un ordine ben preciso. In linea generale, il profilo endocrino della fattrice a termine è caratterizzato da concentrazioni plasmatiche crescenti di progestageni e decrescenti di estrogeni. In realtà la maggior parte degli ormoni materni circolanti é metabolizzata dal feto e dall’unità utero-placentare che, insieme, possiedono gli enzimi necessari per la trasformazione dei precursori nei derivati biologicamente attivi. Gli ormoni steroidei della gravidanza sono pertanto prodotti a partire da precursori materni e fetali, metabolizzati dalla placenta ed esplicano la loro azione a livello dell’utero materno (Ousey, 2004).

Endocrinologia della gravidanza e del parto

Figura 1. Sommario dei maggiori cambiamenti endocrinologici nella cavalla durante la gravidanza (Equine reproduction, II edizione, O. McKinnon et al.).

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Gli ormoni che partecipano al parto, sono: - Cortisolo; - Progestinici; - Estrogeni; - Relaxina; - Ossitocina; - Prostaglandina F2alfa.

Esaminandoli nello specifico preme sottolineare il ruolo primario svolto dal cortisolo durante il parto. L’aumento di livelli di cortisolo viene determinato dalla maturazione fetale; difatti, il feto crescendo e maturando, rapidamente e in maggior misura durante l’ultimo periodo di gestazione, viene a trovarsi in un ambiente che non soddisfa più le sue esigenze vitali, ponendosi quale fonte di stress da cui deriva il conseguente rilascio di cortisolo, responsabile delle variazioni ormonali caratterizzanti il parto (Silver et al., 1984).

Il suddetto ormone riveste un ruolo molto importante durante l’evento parto; la sua produzione si verifica nelle 24-48 ore precedenti l’espulsione del feto e il suo relativo aumento dipende sia

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dalla maturazione delle ghiandole surrenali del feto che dalla loro capacità di reagire agli stimoli che fanno loro produrre cortisolo.

Proprio dalla capacità del feto di rispondere alle stimolazioni dell’ACTH e di produrre cortisolo dipende la sopravvivenza del neonato al di fuori dell’ambiente uterino. Inoltre, gli aumentati livelli di cortisolo alterano le capacità produttive di steroidi da parte della placenta e la stimolano a secernere estrogeni invece di progestinici, invertendone il meccanismo (Asbury, 1982 e

Vandeplassche, 1980).

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Il precursore (P5) non viene convertito in cortisolo fino agli ultimi giorni che precedono il parto poiché il surrene fetale non possiede fino a quel momento l’enzima necessario per tale via metabolica (17_-idrossilasi). Dal momento in cui il surrene fetale comincia a produrre quantità crescenti di cortisolo, la secrezione del pregnenolone diminuisce e ciò avviene in concomitanza con la riduzione della produzione placentare dei progestageni e dei loro livelli ematici nella fattrice; pertanto questi eventi sono presumibilmente correlati (Thorburn, 1993).

Infine, il cortisolo risulta essere responsabile della completa maturazione degli apparati respiratorio e gastrointestinale del puledro (Fowden et al. 1998).

Il Progesterone (P4), considerato ormone della gravidanza, è responsabile del rilassamento miometriale e costituisce fattore stimolante la produzione del secreto delle ghiandole uterine, ossia il cosiddetto “latte uterino”.

Il rilassamento del miometrio e la presenza del latte uterino nel lume permettono e favoriscono, nelle prime fasi della

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gravidanza, l’annidamento e la sopravvivenza del giovane embrione disceso nel lume uterino dall’ovidutto.

Il progesterone, nei primi 100 giorni di gravidanza, viene prodotto dal corpo luteo che si forma sulle ovaie, come dimostrato dagli aborti indotti dalla rimozione chirurgica delle ovaie compiuta in tale periodo(Holtan et al. 1979).

Il corpo luteo, che si forma dopo l’ovulazione (cd. corpo luteo primario), costituisce la fonte di secrezione del progesterone fino a circa 40 giorni di gestazione; in seguito alla formazione delle coppe endometriali (ghiandole secretorie eCG “Equine Chorionic Gonadotropin”) , intorno al 35° giorno di gestazione, si sviluppano i corpi lutei accessori che si aggiungono al corpo luteo primario per la secrezione di progesterone. Il rilascio di eCG, ormone ad azione sia follicolo stimolante che luteinizzante, promuove lo sviluppo follicolare e la luteinizzazione di follicoli anovulatori, che andranno a formare i corpi lutei accessori mantenendo alti i livelli di progesterone, necessari per il prosieguo della gravidanza, fino, all’incirca, al giorno 100 di gestazione (Ghayee HK et al. 2007,

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La produzione placentare di P4 inizia a circa 50-70 giorni, quando la placenta acquisisce il pattern enzimatico (3_-idrossisteroido-deidrogenasi) necessario alla sua sintesi (Ginther,

1992); con il tempo, in seguito alla cessazione dell’attività del corpo

luteo a circa 150-200 giorni, la placenta diventa l’unica fonte di questo ormone (Vaala, 2003).

Il progesterone (P4) è presente nella circolazione periferica materna, in concentrazioni misurabili per tutto il primo trimestre di gestazione (180-220 giorni), ma successivamente la sua concentrazione non è più rilevabile poiché inferiore a 1ng/ml. Oltre al progesterone, a livello dell’unità feto-placentare, vengono prodotti anche i suoi metaboliti (progestageni) che contribuiscono a sostenere la gravidanza dopo i 60 giorni (Vaala, 2003).

La concentrazione plasmatica materna dei progestageni rimane bassa fino a 15-21 giorni dal termine; poi aumenta rapidamente per diminuire, altrettanto repentinamente, nelle ultime 24h che precedono il parto (LeBlanc, 2004).

L’incremento che si riscontra nell’ultimo mese è concomitante allo sviluppo della mammella e del suo secreto; la caduta che si

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verifica a 24h dal parto è invece parallela all’aumento della cortisolemia fetale (Ousey, 2004).

Si ipotizza che, nella seconda metà della gestazione, i progestageni siano sintetizzati dall’unità feto-placentare e dall’endometrio, a partire dal precursore pregnenolone (P5) di derivazione surrenalica fetale (Thorburn, 1993; Silver, 1994).

Studi in vitro hanno dimostrato che la stimolazione indotta dall’ACTH sul surrene fetale equino a termine porta alla produzione di P5 e che l’endometrio è in grado di convertire il P5 nei derivati progestageni (Chavatte et al. 1997).

Fig. 3: Trasformazione metabolica del colesterolo in progestageni operata dall’unità feto-placentare durante la gravidanza (Equine reproduction, II edizione, O. McKinnon et al.).

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Il pregnenolone viene infatti convertito dai tessuti utero-placentari in progesterone, 5 α -diidroprogesterone (5 α -DHP) e 20 α -idrossi-5 α pregnan-20-one (20 α 5P).

Il P4 è riversato esclusivamente nella circolazione ombelicale, mentre il 20 α 5P e il 5 α -DHP sono immessi sia nella circolazione ombelicale che in quella uterina; quest’ultima è la via escretoria

principale fino a circa 260-270 giorni di gestazione,

successivamente le priorità si invertono divenendo predominante la via ombelicale (Ousey et al 2003).

Il ruolo fisiologico/funzionale svolto dai progestageni non è stato ancora completamente chiarito (Chavatte et al. 1997); in particolare, il 5 α -diidroprogesterone (5 α -DHP) sembra giocare un ruolo determinante nel mantenere la gravidanza come suggerisce l’aumento della sua concentrazione nella tarda gestazione a livello della circolazione ombelicale (Hamon et al. 1991; Ousey et al.

2003).

Questa molecola sembra essere l’unica in grado di competere con il progesterone per il legame con i recettori uterini specifici, che peraltro non aumentano in modo significativo con l’avanzare della gravidanza (Chavatte-Palmer et al. 2000).

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Il 5a-DHP potrebbe quindi agire come antagonista del P4 e degli altri progestageni a livello dell’utero e, in seguito al suo incremento a termine, promuovere l’attività del miometrio rimuovendone l’azione inibitoria (miorilassante) esercitata dal progesterone.

Chavatte e collaboratori ( 1997) hanno ipotizzato che i

progestageni possano inibire l’enzima 3a-HSD e quindi la metabolizzazione feto-placentare del P5 nei suoi derivati; ciò sarebbe compatibile con la riduzione della concentrazione di tali ormoni a termine.

I tentativi sperimentali di indurre il parto attraverso il blocco del 3α- HSD, hanno ottenuto l’esito atteso nella specie bovina, suina e nei primati, ma non nella cavalla; infatti nel plasma equino, fetale e materno, si ottiene una riduzione di P4 non misurabile e una riduzione dei progestageni solo transitoria (Silver and Fowden, 1988;

Schutzer e Holtan 1996).

Alla luce di questi risultati, Schutzer e Holtan (1996) hanno suggerito un modello alternativo del metabolismo del pregnenolone,

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dove l’enzima chiave della sua trasformazione in 5 α -DHP e 20 α 5P sarebbe la 5 α - reduttasi.

Gli Estrogeni sono ormoni prodotti dalle gonadi fetali e raggiungono la loro massima concentrazione all’ottavo mese di gestazione, mentre durante l’ultimo trimestre vi è una diminuzione degli stessi.

La presenza degli estrogeni non è essenziale per il mantenimento della quiescenza uterina durante la gravidanza, ma lo è per il determinismo del parto.

L’andamento della concentrazione ematica degli estrogeni ed il tipo di ormoni appartenenti a questa classe sono caratteristici della specie equina.

Nella cavalla, si individuano due tipi di estrogeni circolanti: estrogeni fenolici (estrone, 17α-estradiolo e 17α-estradiolo) ed estrogeni insaturi a struttura ciclica, caratteristici della specie (equilina ed equilenina); sono infine presenti anche alcuni idrossi-derivati (es: 17 α -idrossiequilenina) e sulfo-coniugati (es: estrone solfato). Il precursore di tutti gli estrogeni è il deidroepiandrosterone (DHA) prodotto dalle gonadi fetali in accrescimento, grazie alla

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presenza a questo livello degli enzimi che lo sintetizzano a partire dal colesterolo (P450scc e 17 α -idrossilasi) (Pashen et al. 1982).Il DHA viene successivamente riversato nell’arteria ombelicale e convertito, da aromatasi placentari, negli estrogeni derivati.

Poiché la biosintesi degli estrogeni totali richiede l’intervento sia del feto che della placenta, il dosaggio di questi ormoni, in particolare dell’estrone solfato, può essere utilizzato per il monitoraggio della vitalità dell’unità feto placentare (Sist et al.

1987).

Per quanto riguarda l’andamento, nella cavalla gravida, la concentrazione di estrogeni totali comincia ad aumentare intorno ai 100 giorni di gestazione e rimane elevata fino agli ultimi 2-3 mesi (livelli massimi a circa 200-250giorni), diminuendo poi gradualmente fino al parto (J.C Ousey, 2004).

Questo profilo riflette quello dei precursori la cui concentrazione aumenta e diminuisce in rapporto all’ipertrofia e successiva regressione delle gonadi fetali (Pashen and Allen, 1979;

Raeside et al. 1997). La stretta interdipendenza tra vitalità fetale e

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fetale compiuta nella tarda gestazione comporta una repentina caduta della concentrazione plasmatica materna degli estrogeni totali, deboli ed inefficaci contrazioni durante l’espulsione, associate a bassi livelli di prostaglandine e l’eventuale nascita di puledri dismaturi (Silver, 1990; Egarter e Husslein, 1992).

Durante la gravidanza, gli estrogeni promuovono

l’accrescimento uterino, placentare e fetale.

A termine, l’incremento di estrogeni, come dimostrato in altri mammiferi domestici, stimola la produzione di prostaglandine e la sintesi di recettori per l’ossitocina, promuovendo indirettamente la contrattilità del miometrio (Silver, 1990; Egarter e Husslein, 1992).

Nei primati è stato inoltre osservato che gli estrogeni mediano l’incremento dell’ossitocina e quindi il passaggio dalle contrazioni deboli ed inefficaci, presenti per tutta la gestazione, a quelle energiche e frequenti proprie della fase espulsiva del parto

(Nathanielsz et al. 1995).

Nella specie equina è stata evidenziata un’attività elettromiografica crescente nelle ultime settimane di gestazione,

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soprattutto di notte, in relazione all’incremento del 17_-estradiolo circolante (Haluska and Currie, 1988; O’Donnell et al. 2003); pertanto si ipotizza che, a prescindere dal declino nella circolazione periferica materna degli estrogeni totali, ci siano degli estrogeni specifici in grado di agire localmente sui tessuti utero-placentari promuovendo il rilascio di prostaglandine e ossitocina e la conseguente attività contrattile del miometrio.

Vi è poi l’ormone Relaxina, parzialmente responsabile sia del rilassamento della cervice e dei legamenti pelvici e anche dei cambiamenti che si verificano a fine gravidanza a carico di perineo, vulva e coda della cavalla (Haluska et al. 1987).

La relaxina è un ormone prodotto durante la gravidanza principalmente dai trofoblasti placentari (Klonisch and

Hombach-Klonisch, 2000); pertanto la sua concentrazione nel plasma materno

comincia ad aumentare a circa 80 giorni di gestazione quando la placenta, a sua volta, inizia ad espandersi e a diventare autonoma per quanto riguarda la secrezione di un’ampia varietà di ormoni.

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Il tasso plasmatico di relaxina tende a rimanere elevato fino al termine della gestazione.

Sebbene si ritenga che la sua funzione sia quella di favorire la quiescenza uterina, paradossalmente durante la fase attiva del parto la sua concentrazione subisce un ulteriore incremento (Stewart et al.

1984; Ousey, 2004); per giustificare tale andamento è stato

ipotizzato che l’incremento della relaxina a termine contribuisca al breve periodo di quiescenza uterina (2-4h) che si verifica prima dell’espulsione, preparando il miometrio alla successiva fase di energica attività contrattile (Haluska et al. 1987).

Haluska e collaboratori (1987) hanno inoltre suggerito che

sia necessaria un’elevata concentrazione locale di PGF2α, perché la relaxina possa esercitare il proprio effetto miorilassante.

Dopo il parto la concentrazione plasmatica materna di relaxina diminuisce gradualmente, ma può rimanere elevata in caso di ritenzione placentare.

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Ossitocina e Prostaglandina

L’ossitocina e le prostaglandine (PGF2α) sono i principali responsabili nel dare inizio all’attività contrattile del miometrio al momento del parto, in presenza di adeguate concentrazioni ematiche di estrogeni e progesterone (Rossdale et al. 1979; Ousey et al.

2000a).

Nella pratica clinica, soprattutto l’ossitocina può essere utilizzata per indurre il parto; tuttavia se il parto viene indotto prima che siano presenti i segni della gravidanza a termine (adeguato stato di riempimento della mammella, presenza delle “perle” al capezzolo, giusta composizione elettrolitica del secreto mammario…), il puledro nascerà probabilmente prematuro con tutte le conseguenze cliniche che ciò comporta. La sensibilità materna a questi agenti utero-tonici aumenta con l’avanzare della gestazione, pertanto l’induzione al momento opportuno potrà essere ottenuta con dosi particolarmente basse (Camillo et al. 2000; Chavatte-Palmer et al.

2002).

Le prostaglandine prodotte dai tessuti utero-placentari sono di due tipi: le PGF2α, che all’inizio della gravidanza hanno un’attività

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luteolitica e che a termine stimolano la contrazione del miometrio e le PGE2 che al momento del parto promuovono la dilatazione della cervice. Entrambe sono sintetizzate dal tessuto utero placentare e mantenute a basse concentrazioni ematiche durante la seconda metà della gravidanza.

L’inibizione delle PGF2α, mediante inattivazione

endometriale, ha lo scopo di prevenirne gli effetti potenzialmente abortigeni legati ad un’attivazione precoce rispetto al completamento della maturazione fetale.

La concentrazione di PGF2α comincia ad aumentare durante la prima fase preparatoria del parto e subisce un ulteriore incremento durante la fase espulsiva (Vivrette et al. 2000).

Nella donna, la sintesi di prostaglandine è stata correlata all’incremento della secrezione di glicocorticoidi e di estrogeni dai tessuti utero-placentari (Challis and Hooper, 1989).

Infatti da studi condotti sulla specie umana è emerso che l’incremento della cortisolemia fetale a termine agisce, con un meccanismo diretto sulla placenta, promuovendo la sintesi e la secrezione di prostaglandine e che a sua volta l’incremento delle

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prostaglandine stimola: l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, l’up-regulation recettoriale verso l’11β-HSD di tipo 1 a livello placentare (che promuove la conversione del cortisone in cortisolo) e la produzione di estrogeni (Challis et al. 2001; Alfaidy et al. 2001;

Challis et al. 2002).

Nella cavalla sicuramente gli estrogeni ed il progesterone rivestono un ruolo importante nel preparare il miometrio all’attività contrattile inducendo un incremento dei recettori per l’ossitocina ed il suo rilascio durante il parto; i progestageni sono inoltre coinvolti nella regolazione dell’enzima 15-idrossiprostaglandina-deidrogenasi (PGDH) responsabile dell’inattivazione delle PGF2α e presente nell’endometrio a partire da circa 150 giorni di gestazione; pertanto il declino dei progestageni a termine potrebbe agire con meccanismo paracrino, inibendo l’enzima e quindi stimolando, indirettamente, la sintesi delle prostaglandine necessarie per dare inizio all’attività contrattile del miometrio al momento del parto (Han et al. 1995a). L’Ossitocina viene prodotta dalla porzione posteriore dell’ipofosi e rimane a livelli molto bassi fino al secondo stadio del parto.

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Durante questa fase, la presenza del feto nel canale del parto, comporta una pressione sulla volta del canale, provocando un feedback neuroendocrino positivo (Riflesso di Ferguson) causa di un considerevole rilascio di ossitocina da parte del sistema nervoso centrale della fattrice, il quale, a sua volta, agisce sul miometrio e provoca significative contrazioni uterine, fondamentali per l’espulsione fetale.

La concentrazione plasmatica dell’ossitocina segue un andamento simile a quello delle prostaglandine: livelli basali per tutta la gravidanza e significativo incremento solo al momento della rottura dell’allantocorion, con valori massimi indotti dal riflesso di Ferguson durante la fase espulsiva (Vivrette et al. 2000).

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Predire il parto

Il parto della cavalla, ed in particolare il momento in cui avverrà, è un evento variabile ed imprevedibile dipendente da alcuni fattori quali la data di ovulazione della fattrice, il metodo di allevamento utilizzato dai suoi proprietari e dal grado di maturità del feto che la cavalla porta in grembo, fattori questi, che incidono proprio sulla durata della gestazione. Malgrado l’imprevedibilità dell’evento stesso, si può ritenere che il verificarsi di alcuni eventi (cambiamenti fisici) e/o la presenza di determinati fattori (secrezioni mammarie), che si manifestano durante l’ultimo periodo delle gravidanza, consentono di formulare previsioni, circa il momento del parto, verosimilmente attendibili, quali manifestazioni indicati in letteratura veterinaria da (Jeffcott e Whitwell, 1993) e (Rossdale, 1967), come “Indici di parto imminente”. I quali sono:

1. l’edema ventrale;

2. il rilassamento dei legamenti pelvici;

3. il rilassamento cervicale e la posizione del feto; 4. lo sviluppo mammario;

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5. il secreto mammario;

6. gli elettroliti nel secreto mammario (Ousey et al. 1984).

Inoltre sono visibili sulla punta di ogni capezzolo dei residui di colostro che in questo periodo riempie le ghiandole mammarie, fuoruscendone e formando appunto dei residui cerosi noti come “perle”.

Si tratta di segni fisici soggettivi, variabili ed imprevedibili, soprattutto in cavalle primipare, che possono verificarsi in un numero di giorni molto variabile precedenti il parto.

In considerazione dell’aleatorietà dei cambiamenti fisici e della variabilità della durata della gestazione, dai 320 ai 365 giorni (Koterba,1990), con una media di 340 (Rossdale et al. 1991) fino all’1% dei casi in cui si è osservata una durata superiore ai 365 giorni di gestazione (Vandeplassche,1980), sono stati individuati altri parametri predittivi del momento del parto, quali le misurazioni delle concentrazioni di elettroliti nelle secrezioni mammarie.

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Si è osservato che durante il periodo immediatamente precedente il parto la concentrazione di calcio, nelle secrezioni mammarie della cavalla, aumenta.

Si tratta di uno studio svolto utilizzando delle strisce reattive - analoghe a quelle utilizzate per misurare la durezza dell'acqua e parimenti utilizzabili per la valutazione della concentrazione di calcio in dette secrezioni - e a seguito dell’analisi dei campioni non è stato possibile affermare quando la cavalla partorisce ma quando, certamente, non partorisce (Ousey JC et al. 1998).

Ciò in quanto la concentrazione di calcio nelle secrezioni può rimanere relativamente elevata durante i giorni che precedono il parto ma è meno probabile che la nascita del puledro possa avvenire in presenza di concentrazioni di calcio molto basse. Mentre le fattrici primipare possono fare eccezione a quanto detto.

Un test colorimetrico quantitativo (FoalWatchTM;

CHEMetrics, Inc., Calverton, VA) si è dimostrato più attendibile (LeyWB, 1993).

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Questo test fornisce una valutazione quantitativa delle

concentrazioni di calcio nelle secrezioni mammarie in parti per milione (ppm).

La maggior parte delle cavalle (98%) che presentano concentrazioni di calcio nelle secrezioni mammarie, pari o inferiori a 200 ppm, non partoriranno entro 24 ore dalla prova.

I risultati falsi negativi (2%) sono ancora una volta riferiti a cavalle primipare (LeyWB, 1993).

La maggior parte delle cavalle (99%) con concentrazioni di calcio nelle secrezioni mammarie superiori a 200 ppm partoriranno entro 72 ore dalla prova.

La percentuale di cavalle (1%) che vanno oltre le 72 ore, sono fattrici pluripare note per la produzione di latte con concentrazioni elevate di elettroliti, nella lattazione precedente (LeyWB 1993).

Altri studi hanno dimostrato che la concentrazione di calcio

nelle secrezioni mammarie è rimasta costante intorno alle 5 mmol/L in media, fino a 3 giorni prima del parto, per poi

aumentare a più di 10 mmol/L nel giorno antecedente il parto (Rook

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Oltre alla presenza di calcio nelle secrezioni mammarie si è rilevata la presenza e la concentrazione di altri elettroliti: sodio e potassio, presenze queste che possono dire molto in merito all’atteso e imminente momento del parto della cavalla. Dati scientifici hanno dimostrato che immediatamente prima del parto le concentrazioni di sodio diminuiscono di circa 87 mmol /L, tre giorni prima del parto, fino a 37 mmol /L il giorno antecedente al parto (Rook JS et

al.1997), mentre i livelli di potassio aumentano significativamente

(Bennet DG 1990), in maniera graduale fino a raggiungere il valore medio di 30 mmol/L, tre giorni prima del parto, per poi aumentare rapidamente fino a raggiungere il valore medio di 47 mmol /L il giorno antecedente il parto.

Dal periodo di inversione, cioè, quando il valore di potassio diventa maggiore del valore del sodio, le cavalle tendono a partorire entro 24-36 ore (Rook JS et al.1997).

Queste correlazioni, tra il momento del parto della cavalla e le concentrazioni degli elettroliti nelle secrezioni mammarie preparto non sono affidabili in cavalle con patologie, come le placentiti (Rook JS et al.1997).

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A seguito del verificarsi di questi segni e/o cambiamenti fisici si può, e si deve, predisporre una sorveglianza che permette il continuo e costante monitoraggio della fattrice, così da poter intervenire nei modi e nei tempi utili per apportare il giusto e pronto aiuto alla stessa, qualora si renda necessario.

I metodi di sorveglianza della cavalla prossima al parto, che ci permettono di presenziare a tale evento, sono:

- la sorveglianza diretta ad opera del personale di scuderia o altre persone, soprattutto nelle ore notturne;

- la sorveglianza indiretta mediante apparecchiature, quali impianti di videosorveglianza installati nei box da parto;

- l’applicazione di un dispositivo di allarme “foal-allert” alle labbra vulvari della fattrice, che al momento della fuoriuscita delle acque si dilatano e staccano i fili del dispositivo, attivando il segnale acustico del sistema di allarme collegato al telefono cellulare dell’operatore e/o del Veterinario.

- l’induzione del parto della cavalla con l’ossitocina (Camillo et al. 2000; Chavatte-Palmer et al. 2002).

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Parto eutocico nella cavalla

E’ importante e necessario, per fornire puntuale e utile ausilio, alla cavalla ed al puledro, al momento del parto, che il personale di sorveglianza intuisca e colga ogni cambiamento dell’animale, per tempo, per affrontare, con consapevolezza, gli eventuali problemi che si possono verificare.

Fasi del parto

Come anticipato, le fasi del parto sono 3: la fase dilatativa,la fase espulsiva e la fase del puerperio e del secondamento.

I cambiamenti ormonali, nel feto e nella cavalla, costituiscono la causa scatenante il parto; il loro intervento consente l’espulsione del feto dal lume uterino, sancendo l’inizio della sua nuova vita extra uterina, e delle membrane fetali garantendo in tal modo l’integrità riproduttiva della cavalla in previsione di una nuova gravidanza.

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Fase I “dilatativa”

La prima fase del parto, la cosiddetta fase dilatativa, ha inizio con lievi contrazioni uterine, causate da minime secrezioni di ossitocina da parte dell’ipofisi posteriore e dall’aumentata produzione di prostaglandine (PGE).

Le contrazioni permettono al feto di posizionarsi in modo corretto per impegnare ed attraversare il canale del parto.

Quando inizia la fase I il feto viene a trovarsi in posizione dorso-pubica nell’utero della cavalla; a seguito delle lievi contrazioni miometrali, esso ruota su se stesso ponendosi in una posizione dorso-sacrale, con arti anteriori e testa estesa.

Questa posizione gli consente di impegnare e attraversare il canale del parto, per poi fuoriuscire dal lume uterino e raggiungere l’esterno. In contemporanea alla rotazione fetale, si ha il rilascio dell’ormone relaxina, il quale induce il rilassamento dei legamenti pelvici e della cervice. Le sollecitazioni/spinte fetali, di conseguenza, provocano la dilatazione della cervice, consentendo, in tal modo, il passaggio del feto insieme ai suoi invogli.

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Parto eutocico nella cavalla

La prima fase del parto dura 1-4 ore e la cavalla è in grado di rallentarla in modo da poter partorire quando si sente più a proprio agio, generalmente durante la notte.

Questa fase è solitamente più breve nelle cavalle che hanno partorito più volte e termina con la rottura della membrana corion- allontoidea (“rottura delle acque”).

Fase II “espulsiva”

Nella cavalla la seconda fase del parto si verifica molto velocemente, a differenza di quanto accade nelle altre specie animali (Holdstock, 2005).

Il primo tessuto che fuoriesce dalla vulva della cavalla è una membrana bianco-grigiastra (amnion) che viene poi seguita dai piedi anteriori, dal naso e dalle spalle del puledro, che costituiscono la regione anatomica che più difficilmente attraversa il canale pelvico.

La fase II del parto inizia con la rottura della membrana corion-allantoidea in seguito all’introduzione dei piedi del feto nella cervice con conseguente dilatazione di questo organo e della parte

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anteriore della vagina. Generalmente, quando il feto impegna il canale del parto, compare sempre prima un arto anteriore e poi l’altro in modo da facilitare il passaggio nel canale, grazie alla diminuzione del diametro del torace (bis-acromiano) determinato dal mancato allineamento delle spalle.

Quando il feto nel suo passaggio nel canale del parto occupa il lume cervicale si ha un aumento della secrezione di ossitocina ad opera dell’ipofisi posteriore della cavalla; questo aumento di produzione/rilascio neuroendocrina viene denominato Riflesso di

Ferguson, che provoca contrazioni uterine molto forti, le quali

insieme a quelle addominali caratterizzano la forza propulsiva che permette l’espulsione del feto attraverso il canale del parto.

Di norma, dopo il massimo sforzo espulsivo, che culmina con il passaggio del bacino fetale attraverso il canale pelvico, la cavalla si riposa, molto spesso con i piedi posteriori del puledro ancora dentro la vulva, per poi alzarsi ed involontariamente strappare il cordone ombelicale in un punto dello stesso caratterizzato da una minore resistenza (Massey et al. 1991).

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Parto eutocico nella cavalla

A questo punto terminata la fase espulsiva (II fase del parto) avrà inizio la III ed ultima fase del parto.

Dato caratterizzante il parto della cavalla nonché sua peculiarità consiste nel fatto che la fase II del parto presenta una breve durata, 20 massimo 40 minuti (Holdstock, 2005).

Occorre sottolineare che nell’ipotesi in cui la fase II dovesse presentare una durata superiore ai 40 minuti le probabilità che si verifichino complicazioni sia per la sopravvivenza del feto che per la fattrice, aumentano considerevolmente.

Nel caso in cui, dopo 20 minuti dalla rottura delle acque, nessuna parte del feto compare attraverso la vulva, è assolutamente consigliabile valutare la possibilità che si sia verificato un malposizionamento del feto che comporta una distocia. Questa situazione richiede l’intervento urgente di un Medico Veterinario.

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34

Fase III “espulsione della placenta”o “secondamento”

La terza fase del parto inizia nel momento in cui il puledro si trova completamente al di fuori della fattrice e consiste nell’espulsione delle membrane fetali (placenta).

Le membrane fetali dovrebbero essere espulse entro 3 ore dalla nascita del puledro e, nel caso in cui ciò non si verifichi, la situazione deve essere considerata un’urgenza che richiede l’intervento del Veterinario (Asbury 1982).

E’ utile ricordare che le secrezioni di ossitocina susseguenti al parto provocano la fuoriuscita di latte dalle mammelle e, altresì, le contrazioni uterine che aiutano l’espulsione delle membrane fetali.

Subito dopo il parto, compito del veterinario è quello di esaminare la placenta, in particolare il peso, per stabilire innanzitutto se la gravidanza si sia svolta correttamente e il feto si sia sviluppato completamente; verificare, sempre attraverso l’analisi della stessa placenta, la presenza di anomalie patologiche sulla sua superficie, indici di malattie concomitanti della gestazione, e, infine, accertare che la placenta sia stata espulsa totalmente per fugare l’ipotesi di una possibile infezione, invalidante per l’apparato

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Parto eutocico nella cavalla

riproduttivo della cavalla in prospettiva di future gravidanze, causata dal frammento di placenta non espulso dall’utero (Vandeplassche,

1980).

Un puledro sano e vitale, entro 30 minuti, dovrà assumere la posizione sternale; entro 60-90 minuti dovrà assumere una posizione eretta; entro 2 ore, dovrà essere in grado di assumere il colostro, sostanza fondamentale che gli consentirà di acquisire dalla madre

l’immunità passiva (Wagner et al. 2006).

Inoltre, al fine di evitare infezioni e minare lo stato di salute del puledro, le prime cure da praticare riguardano la pulizia, la disinfezione e la medicazione del moncone ombelicale (Koterba,

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