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6 Analisi di Laboratorio

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Academic year: 2021

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Analisi di Laboratorio

6.1 Analisi microscopica

6.1.1 Metodologia dell’analisi microscopica

Il riconoscimento delle fasi mineralogiche di una roccia è possibile tramite l’osservazione delle stesse al microscopio polarizzatore. Per il presente lavoro di tesi sono state eseguite sezioni sottili di ciascun campione.

La procedura per la preparazione delle sezioni sottili prevede il taglio dei campioni di roccia mediante sega diamantata fino ad ottenere dei prismi di dimensioni pari a 0,5x2x4 cm di cui una superficie viene levigata su una mola utilizzando smeriglio inumidito con acqua a granulometria progressivamente decrescente. I mattoncini e vetrini vengono quindi incollati con una resina bicomponente, dopo aver smerigliato anche la superficie del vetrino. I mattoncini incollati al vetrino vengono tagliati mediante sega elettrica fino a far loro raggiungere uno spessore di circa 1mm; si procede quindi con un’ulteriore levigazione fino ad ottenere una sezione sottile dello spessore di circa 30 µm. Su ogni sezione sottile si incolla infine un vetrino copri-oggetto che consente una migliore visione al microscopio polarizzatore.

Il microscopio Polarizzatore o da mineralogia/petrografia è un microscopio avente due filtri posti sul percorso della luce, il polarizzatore prima degli obiettivi e l'analizzatore (un altro filtro polarizzatore, ma che per la sua funzione viene detto analizzatore) posto dopo il campione e prima degli oculari e il sistema di rilevamento ottico. Per mezzo di questo dispositivo è possibile identificare i minerali presenti in una sezione sottile sfruttando l’interazione tra la luce polarizzata e la struttura cristallina: una specie mineralogica è messa in evidenza tramite la sua peculiare birifrangenza, cioè l'anisotropia del mezzo rispetto alla luce. (Donatio, Amianto nelle rocce a problematiche ambientali: metodologie integrate per la valutazione qualitativa e quantitativa dei minerali fibrosi 2007)

6.1.2 Risultati dell’analisi Microscopica Poggione

In sezione sottile il basalto (Figura 57) è caratterizzato da una struttura intersertale in cui microliti di plagioclasio e di pirosseno formano una trama complessa tipo feltro. L’originaria paragenesi era costituita da plagioclasio, clinopirosseno, olivina, spinello cromifero, ossidi di Fe e vetro. I plagioclasi sono stati interamente trasformati in albite, clorite, pumpellyte e prehnite. Presente anche calcite come prodotto di alterazione.

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L’olivina è stata completamente trasformata in clorite, magnetite e actinolite. Il clinopirosseno augitico, che rappresenta assieme agli ossidi di Fe gli unici relitti dell’originaria paragenesi, è parzialmente alterato in clorite e actinolite. La mesostasi vetrosa è stata interamente trasformata in clorite.

Figura 57 - Basalto dell’affioramento di Poggione. Il basalto presenta una struttura intersertale con cristalli di plagioclasio, olivina e pirosseno. (lato lungo 4.4. mm)

Gineprone 1

Si tratta di una serpentinite (Figura 58) in cui i relitti delle paragenesi primaria sono rappresentati da ben preservati pirosseni e da spinello immersi in una matrice costituita da minerali di serpentino e di clorite. La struttura è di tipo mesh costituita da una maglia poligonale di fratture che si sviluppano attorno ai cristalli relitti di pirosseno e di spinello cromifero. I cristalli di pirosseno presentano strutture coronitiche di anfibolo bruno. Sono presenti vene di spessore sub-millimetrico caratterizzate da riempimento di serpentino fibroso. Si tratta di vene caratterizzate con fibre all’incirca ortogonali alle pareti della vena e con una median line ben sviluppata. Si tratta di strutture che si sono sviluppate mediante un meccanismo del tipo crack and seal.

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Figura 58 - Serpentiniti dell’affioramento di Gineprone. La serpentinitite presenta una struttura tettonica con relitti di pirosseno. Presenti due vene di serpentino con diversa tessitura. (lato lungo 8.8. mm) Gineprone 2

Si tratta di una serpentinite (Figura 59) derivata da una lherzolite tettonitica in cui i relitti delle paragenesi primaria sono rappresentati da pirosseni e da spinello immersi in una matrice costituita da minerali di serpentino e di clorite. Il grado di serpentinizzazione è alto. La struttura è di tipo mesh costituita da una maglia poligonale di fratture che si sviluppano attorno ai cristalli relitti di pirosseno e di spinello cromifero. E’ presente una grossa vena di spessore millimetrico con riempimento costituito da serpentino non fibroso che taglia la struttura di tipo mesh. Questa vena è a sua volta tagliata da vene di spessore sub-millimetrico caratterizzate da riempimento di serpentino fibroso. Si tratta di vene caratterizzate con fibre all’incirca ortogonali alle pareti della vena e con una median line ben sviluppata. Si tratta di strutture che si sono sviluppate mediante un meccanismo del tipo crack and seal.

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Figura 59 - Serpentiniti dell’affioramento di Gineprone. Dettaglio di una vena di crisotilo con tessitura fibrosa (lato lungo 1.76 mm)

Breccia

Breccia a matrice carbonatica (Figura 60). I frammenti sono costituiti da serpentiniti fortemente alterate in cui i relitti dell’originaria paragenesi sono rappresentati principalmente da cristalli di spinello cromifero. Presenti rari relitti di pirosseno. Le serpentiniti si presentano come aggregati di ossidi di Fe, clorite e minerali di serpentino. Sono presenti anche frammenti costituiti interamente da vene di serpentino fibroso, sviluppate prima della loro inclusione nella breccia. Si tratta di vene caratterizzate con fibre all’incirca ortogonali alle pareti della vena e con una median

line ben sviluppata. Si tratta di strutture che per le loro caratteristiche sono interpretabili come originatesi mediante un meccanismo del tipo crack and seal. Il cemento è costituito da cristalli di calcite con geminazioni di tipo I e II di Burkhard (1993). Presenti anche vene di calcite con caratteristiche dei cristalli analoghe a quelle del cemento.

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Figura 60 - Cataclasite dell’affioramento di Cava del Nero con frammenti di serpentiniti e di carbonati in matrice carbonatica. (lato lungo 8.8. mm)

Le Ville

Si tratta di una serpentinite (Figura 61) in cui i relitti delle paragenesi primaria sono rappresentati da pirosseni e da spinello immersi in una matrice costituita da minerali di serpentino e di clorite. Il grado di serpentinizzazione è alto. La struttura è di tipo mesh costituita da una maglia poligonale di fratture che si sviluppano attorno ai cristalli relitti di pirosseno e di spinello cromifero. Sono assenti vene di serpentino, sia fibroso che isotropo.

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Figura 61 - Serpentiniti dell’affioramento di Le Ville. Struttura mesh con relitti di spinello cromifero (lato lungo 4.4. mm)

Gabbro Sud

Gabbro a grana fine. Struttura mesocumulitica (Figura 62) costituita originariamente da plagioclasio, componente principale, e da olivina, pirosseno ed ossidi di Fe-Ti. Il plagioclasio risulta completamente trasformata in aggregati aciculari di prehnite e pumpellyte mentre l’olivina è completamente trasformata in minerali di serpentino e clorite. I soli relitti dell’originaria paragenesi sono rappresentati dagli ossidi di Fe-Ti e da rari pirosseni con bordi e fratture riempite da clorite e da minerali del serpentino.

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Figura 62 - . Gabbro dell’affioramento di Gabbro Sud. Struttura cumulitica con minerali magmatici completamente alterati (lato lungo 8.8. mm)

Cava del Nero

Si tratta di una serpentinite (Figura 63) in cui i relitti delle paragenesi primaria sono rappresentati da pirosseni e da spinello immersi in una matrice costituita da minerali di serpentino e di clorite. Il grado di serpentinizzazione è alto. La struttura è di tipo mesh costituita da una maglia poligonale di fratture che si sviluppano attorno ai cristalli relitti di pirosseno e di spinello cromifero. Sono presente vene di spessore sub millimetrico con riempimento costituito da serpentino fibroso che taglia la struttura di tipo mesh. Si tratta di vene caratterizzate con fibre all’incirca ortogonali alle pareti della vena e con una median line ben sviluppata. Si tratta di strutture che per le loro caratteristiche sono interpretabili come originatesi mediante un meccanismo del tipo crack and seal.

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Figura 63 - Serpentiniti dell’affioramento di Cava del Nero. Struttura mesh (lato lungo 4.4. mm) Cava del Nero - Vena

Si tratta di una porzione di una vena di serpentino (Figura 64) caratterizzata da uno spessore di 6-7 cm. In sezione sottile la vena appare suddivisa in bande di spessore millimetrico intervallate da frammenti della roccia incassante, anche essi allungati e paralleli ai bordi delle bande. Le vene appartengono a due tipologie. La tipologia meno diffusa è caratterizzata da un riempimento isotropo con ben sviluppate median lines parallele alle pareti della vene. La tipologia più diffusa è caratterizzata da un riempimento fibroso con le fibre disposte perpendicolarmente o subperpendicolarmente alle pareti della vena. Anche in questa tipologia, che è prevalente come estensione, sono presenti le median lines parallele alle pareti della vena. Non è possibile stabilire una cronologia, anche se alcune carateristiche sembrerebbero indicare che la tipologia con riempimento isotropo è precedente a quella con riempimento fibroso.

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Figura 64 - Vena di serpentino dell’affioramento di Cava del Nero con tessitura fibrosa che ingloba frammenti della roccia incassante (lato lungo 8.8. mm)

6.2 Diffrattometria a raggi X

6.2.1 Metodologia della difrattometria a raggi X

I raggi X furono scoperti da W.C. Roentgen nel 1895, e ha portato a tre utilizzi principali:

• Radiografia a raggi X; • Fluorescenza a raggi X; • Cristallografia a raggi X.

L'uso più diffuso della difrattometria a raggi X (XRD) è quello dell’identificazione di composti cristallini e dal loro modello di diffrazione.

Un fascio monocromatico di raggi X che attraversa un minerale è spostato dagli atomi che costituiscono il minerale stesso. Ad uno specifico angolo di incidenza, i raggi X sono in fase e producono una fascio secondario intensificato. Questo fenomeno si conosce con il nome di diffrazione che può essere rappresentata come una riflessione del fascio di raggi X sul piano degli atomi.

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presenta anche quando la differenza della distanza percorsa dai raggi X spostati da due strati di atomi adiacenti uguaglia due lunghezze d’onda. Il fascio risultante si chiama riflessione del secondo ordine (Figura 65 - B). Riflessioni di ordine maggiore si hanno ogni volta che la differenza di percorso è pari ad un numero multiplo intero della lunghezza d’onda.

Figura 65 – A: Riflessione del primo ordine, B:Riflessione dei secondo ordine

L’equazione generale che spiega tale fenomeno è l’equazione di Bragg (Equazione 1). 2 sin

Equazione 1 - Equazione di Bragg Dove:

• n = numero intero; • λ= lunghezza d’onda RX;

• d = distanza tra i piani di atomi (Å); • ϑ= angolo di incidenza

La diffrattometria delle polveri è il metodo generale usato nello studio dei materiali sedimentari.

Il campione si riduce in polvere (Figura 66) sottile (1-50 micron) e si pone nel diffrattometro. La direzione del fascio primario di RX rimane costante perché il campione ruota intorno ad un asse normale al fascio primario. I fasci diffratti che arrivano sul detector, solidale con un goniometro, sono riportati come picchi su una carta. Il diffrattometro è disegnato in modo che il braccio del goniometro ed il detector solidale con esso, ruotino il doppio rispetto alla direzione del campione.

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Figura 66 - Campione polverizzato

Così, mentre il campione ruota di un angolo ϑ, il detector ruota di angolo 2ϑ.

La geometria del diffrattometro (Figura 67) è tale che soltanto i grani dei minerali, i cui piani di reticolo sono paralleli alla superficie del portacampione, potranno contribuire al fascio secondario di riflessione che arriverà al detector. È per questa ragione che le particelle della polvere devono essere piccole per assicurare la presenza di un gran numero di grani ben posizionati.

Figura 67 – A:Schema del XRD B:Diffrattometro sito presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Pisa

Quando abbiamo una polvere di un campione costituito da un solo minerale, si ha la diffrazione per ogni angolo di incidenza che soddisfi l’equazione di Bragg.

Ogni angolo è relativo ad un reticolo cristallino che ha un distanza “d” tra i diversi piani. Ogni minerale ha un suo numero particolare di reticolo, quindi la diffrazione produce un’unica serie di riflessioni (i picchi) sulla striscia. Si ottiene un grafico detto

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diffrattogramma. Questo carattere è dovuto dalla posizione di ogni riflessione misurata con l’angolo 2ϑ e con l‘intensità di ogni riflessione.

Generalmente campioni di composizione mineralogica sconosciuta sono esaminati al diffrattometro con un intervallo di 2ϑ tra 2 o 3° e 40°. Il 2ϑ di ogni riflessione maggiore è misurato e comparato con analisi di un standard. Molte volte non vi è un esatta corrispondenza tra i valori misurati e quello dello standard, in quanto, riflessioni deboli, a volte, non vengono rivelate anche in campioni con un solo minerale. Il problema diventa si amplifica con campioni formati da molti minerali: il segnale delle riflessioni deboli può essere non abbastanza forte da essere registrato sul diffrattogramma o deboli riflessioni di un minerale nascondono le riflessioni più forti di altri minerali.

Il metodo diffrattometrico a raggi X risolve anche il problema di discriminare la composizione chimica di una soluzione solida.

6.2.2 Risultati della difrattometria a raggi X

Come descritto nel precedente sottoparagrafo, la difrattometria a raggi X è stata impiegata per il riconoscimento del tipo di amianto presente nei campioni prelevati.

Cava del Nero

Presso il sito è stata raccolto un campione di peridotite e tre campioni di vene. In tutti e quattro è emersa la presenza di amianto da serpentino, quindi crisotilo. Dagli spettri (Grafico 1; Grafico 2; Grafico 3; Grafico 4) derivanti dal XRD emerge vistosamente la presenza del serpentino, in quanto questo gruppo è caratterizzato dal generare il primo picco ad un valore di diffrazione intorno ai 7 Å.

Grafico 1 - Difrattogramma del campione di peridotite di Cava del Nero

0 100 200 300 400 500 600 0 10 20 30 40 50 60 70 In te n si Angolo

Cava del Nero

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Grafico 2 - Difrattogramma delle vene di Cava del Nero 1

Grafico 3 – Difrattogramma delle vene di Cava del Nero 2a

0 100 200 300 400 500 600 700 800 900 1000 0 10 20 30 40 50 60 70 In te n si Angolo

Cava del Nero Vena 1

0 200 400 600 800 1000 1200 1400 0 10 20 30 40 50 60 70 In te n si Angolo

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Grafico 4 - Difrattogramma delle Vene di cava del Nero 2b

Poggione

Presso il sito di Poggione è stato prelevato un campione di basalto. Dallo spettro (Grafico 5) derivante dal XRD è emerso che il campione contiene amianto del gruppo del serpentino, quindi il crisotilo, ed abbondanti quantità di cloriti, prevalentemente camosite. La presenza della clorite si evince dall’esistenza del primo picco a 14 Å, tipico delle cloriti.

Grafico 5 - Difrattogramma del campione di basalto di Poggione

Le Ville

Presso l’affioramento di Le Ville è stato raccolto un campione di peridotite. Dallo spettro (Grafico 6) ricavato dal XRD è emerso che il campione contiene crisotilo.

0 50 100 150 200 250 300 350 0 10 20 30 40 50 60 70 In te n si Angolo

Cava del Nero Vena 2b

0 50 100 150 200 250 300 350 400 450 0 10 20 30 40 50 60 70 In te n si Angolo

Poggione

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Grafico 6 - Difrattogramma del campione di peridotite di Le Ville

Gineprone

Presso l’affioramento di Gineprone è stato raccolto un campione di peridotite. Dallo spettro (Grafico 7) ricavato dal XRD è emerso che il campione contiene crisotilo.

Grafico 7 - Difrattogramma del campione di peridotite di Gineprone

Gabbro Sud

Presso il sito di Gabbro Sud è stato prelevato un campione di gabbro. Dallo spettro (Grafico 8) derivante dal XRD è emerso che il campione contiene amianto del gruppo dell’anfibolo, nel dettaglio tremolite ed amosite, ed abbondanti quantità di cloriti, prevalentemente camosite. La presenza degli anfiboli si evince dall’esistenza del primo evidente picco intorno a 9 Å, tipico di questo gruppo.

0 50 100 150 200 250 300 350 400 450 0 10 20 30 40 50 60 70 In te n si Angolo

Le Ville

0 50 100 150 200 250 300 350 400 0 10 20 30 40 50 60 70 In te n si Angolo

Gineprone

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Grafico 8 - Difrattogramma del campione di gabbro di Gabbro Sud

Colloriotto

Presso l’affioramento di Colloriotto è stato raccolto un campione di peridotite. Dallo spettro (Grafico 9) ricavato dal XRD è emerso che il campione contiene crisotilo.

Grafico 9 - Difrattogramma del campione di peridotite di Colloriotto

Poggio Pela

Presso il sito di Poggio Pela è stato prelevato un campione di gabbro. Dallo spettro (Grafico 8) derivante dal XRD è emerso che il campione contiene amianto del gruppo dell’anfibolo, nello specifico tremolite, ed abbondanti quantità di cloriti, prevalentemente camosite. 0 50 100 150 200 250 300 0 10 20 30 40 50 60 70 In te n si Angolo

Gabbro Sud

0 100 200 300 400 500 600 0 10 20 30 40 50 60 70 In te n si Angolo

Colloriotto

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Grafico 10 - Difrattogramma del campione di gabbro di Poggio Pela

6.3 Indice di Rilascio

6.3.1 Metodologia dell’Indice di Rilascio

Il Ministro della Sanità, di concerto con il Ministro dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato, ha decretato che gli interventi di estrazione e l’uso delle pietre verdi, nonché gli interventi di bonifica dei materiali costituiti da pietre verdi contenenti amianto devono essere attuati in base ai criteri riportati in allegato 4 del DM 14 Maggio 1996. Secondo quanto riportato nell’allegato in oggetto la classificazione delle pietre verdi in funzione del loro contenuto d’amianto deve essere eseguita sulla base d’informazioni di natura petrografica disponibili in letteratura.

Il tenore d’amianto (di serpentino e/o di anfibolo) non può essere definito a priori in modo assoluto ma dovrà essere determinato caso per caso.

I controlli da eseguire sulle pietre verdi, al fine di un loro utilizzo come rocce ornamentali o come inerti, riguardano:

• la valutazione del contenuto di amianto nel giacimento e i controlli durante l’attività estrattiva;

• la valutazione del contenuto di amianto nei materiali estratti.

In particolare la valutazione del contenuto d’amianto nei materiali ottenuti dall’attività estrattiva deve essere eseguita con metodi che permettano di determinare la misura media del contenuto di fibre “liberabili”.

Questa distinzione è importante ai fini della protezione dell’ambiente in quanto le fibre

-100 0 100 200 300 400 500 600 0 10 20 30 40 50 60 70 In te n si Angolo

Poggio Pela

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libere, anche se in aggregati di grosse dimensioni e quindi non solo non respirabili, ma nemmeno sollevabili da correnti d’aria, sono unite tra di loro da forze di coesione così modeste che possono essere sufficienti debolissime azioni meccaniche per dare origine a fibre respirabili.

La valutazione del contenuto di amianto nei materiali estratti deve tenere conto dei seguenti fattori:

• le caratteristiche petrografiche del materiale;

• l’usurabilità del materiale in funzione delle condizioni di preparazione d’uso. I materiali sono distinti in:

• materiali in breccia; • materiali in lastre;

• materiali in blocchi destinati a costituire barriere costiere o massicciate.

Per quanto concerne i materiali in breccia il D.M. 14 Maggio 1996 definisce un indice, l’indice di rilascio (I.R.), dato dal rapporto tra la percentuale di amianto liberato e la densità relativa percentuale:

L’I.R. si calcola con la formula:

%

% à

con:

% à à à

dove la densità apparente di un materiale solido secco è la sua densità considerando anche il volume dei vuoti, eventualmente presenti, mentre la densità assoluta di un materiale solido secco è la sua densità escludendo i vuoti, eventualmente presenti, dovuti alla porosità del materiale.

L’introduzione del parametro densità relativa, nella formula per il calcolo dell’IR, è dovuto al fatto che i materiali con densità relativa minore di 1 sono porosi e quindi presentano una matrice con minor resistenza meccanica di quelli con densità relativa prossima ad 1. Più il materiale è poroso e più piccola sarà la densità relativa.

Della resistenza meccanica si tiene conto, indirettamente, nella prova di automacinazione, minore è la resistenza meccanica di una roccia contenente amianto, più fibre vengono liberate con l’abrasione.

Il materiale è definito non pericoloso quando l’indice di rilascio sarà inferiore o uguale a 0.1.

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Queste considerazioni sono valide nel caso di campioni omogenei. L’indice di rilascio aumenta quando:

• la % di amianto liberato aumenta; • la densità relativa diminuisce.

Per la valutazione del contenuto di amianto nei minerali estratti la procedura suggerita prevede:

• il prelievo dei campioni in breccia secondo un opportuno criterio statistico, ordinariamente non inferiore a un campione ogni 1000 m3; nel caso in cui il controllo del fronte di cava evidenzi l’affioramento di filoni contenenti amianto il campionamento sul materiale in breccia dovrà avvenire con frequenza di un campione ogni 100 m3;

• la pesatura del materiale;

• una prova di sfregamento tramite automacinazione a secco per 4 ore mediante un’apposita apparecchiatura;

• il recupero del materiale fine mediante lavaggio, filtrazione del liquido di lavaggio e raccolta della polvere su filtro;

• Il riconoscimento del campione, necessario per il confronto con i risultati ottenuti dall’analisi spettrofotometrica, viene effettuato tramite difrattometria a raggi X.

Per la prova di automacinazione il materiale viene posto all’interno di un cilindro rotante in acciaio con tappo a chiusura ermetica. Il cilindro viene fatto ruotare su rulli gommati collegati ad un motore elettrico. La quantità di materiale immesso è di 500 g per pezzature da 5 mm a 5 cm.

La pesatura del materiale

Il campione viene frantumato in parti con dimensioni che vanno da 5 mm a 5 cm (Figura 68). Per ottenere questo risultato si martella il campione, che viene costantemente inumidito per evitare la dispersione delle eventuali fibre d’amianto presenti.

Dopo tale procedura il materiale viene posto in stufa a 110 °C, per circa 4 ore, per eliminare l’acqua derivante dal sopracitato trattamento. Una volta che il campione è completamente asciutto ne vengono pesati circa 500 g tramite una bilancia tecnica. Dopo di che il materiale è pronto per la prova di automacinazione.

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Figura 68 - Campione dopo la pezzatura La prova di automacinazione

La prova di automacionazione (Figura 69) consiste nell’abrasione del campione facendolo rotolare su se stesso entro un molino, senza aggiunta di corpi macinanti. Al termine del rotolamento vengono separati i prodotti derivanti dalla procedura sui quali si determinerà il tenore di amianto.

Figura 69 - Strumento per l'automacinazione

Il molino è costituito da un corpo cilindrico (giara) rotante attorno al suo asse orizzontale.

campione in breccia: granulometria 5÷50 mm I parametri del processo sono:

• il volume della giara;

• la velocità di rotazione della giara; • il diametro interno ed esterno della giara; • il volume totale della carica;

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• le dimensioni e la forma dei frammenti; • la durezza dei frammenti;

• la durata della macinazione.

Il comportamento dinamico della carica macinante all’interno della giara è stato studiato da Davis nel 1919 il quale ha sviluppato una descrizione fisica e matematica della carica sferica in moto. In pratica i frammenti non hanno forma sferica ma per frammenti di forma “rotondeggiante” è possibile ammettere che la descrizione fisica e matematica del fenomeno, sviluppata da Davis, sia ancora valida.

In un molino di macinazione cilindrico rotante attorno al suo asse orizzontale con diametro interno Di viene introdotto (Figura 70) un corpo sferico isolato (corpo rigido) di diametro d che sarà soggetto alla forza peso (Equazione 2) diretta perpendicolarmente verso il basso, e ad una forza centrifuga (Equazione 3) dove v è la velocità tangenziale della sfera e r è espresso dall’Equazione 4.

Equazione 2 - Forza Peso

Equazione 3 - Forza Centrifuga !"#

2

Equazione 4 - Calcolo del raggio

Figura 70 - Traiettorie di un corpo solido all’interno di un molino cilindrico ruotante attorno al suo asse orizzontale supponendo che non vi è né rotolamento né scivolamento (Testut 1958)

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formato dal raggio del cerchio con la verticale, nel punto in cui la sfera inizia a staccarsi dalla parete interna del cilindro), mentre β è l’angolo di collisione.

La traiettoria di un sfera all’interno di un molino si compone di una parte circolare PAB e di una parte parabolica BSP (corpo in caduta libera nel campo gravitazionale terrestre).

Le coordinate del punto di impatto della sfera possono essere calcolate dalla condizione che la traiettoria della sfera in caduta libera interseca la traiettoria circolare nel punto di impatto.

Durante la prova sono presenti molte sfere all’interno della giara ma solo un numero limitato di esse si muove restando a contatto con le pareti interne del cilindro.

Il luogo geometrico dei punti B, dove le sfere abbandonano le loro traiettorie circolari, è dato dall’equazione di una circonferenza che passa per il punto O, con centro sull’asse OY(Equazione 5).

$

Equazione 5 - Cerchio di Davis

La relazione tra l’angolo di distacco α e l’angolo di collisione β e data dall’Equazione 6. % 3 ' (

Equazione 6 - Relazione tra α e β

Il luogo geometrico dei punti di impatto è dato dall’equazione della lumaca di Pascal (Equazione 7; Figura 71).

4 ' *+ , - . # 3 ' *+ , - . # /- 0

Equazione 7 - Lumaca di Pascal

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L’Equazione 7 interseca l’asse delle Y nei punti:

• - 0 (origine del sistema cartesiano ortogonale), • - #1(punto doppio);

• - (punto nel quale la lumaca di Pascal si raccorda con il cerchio luogo geometrico dei punti dove le sfere abbandonano le loro traiettorie circolari).

La traiettoria teorica delle sfere all’interno di un molino che ruota alla velocità critica secondo le ipotesi di Davis è visibile nella Figura 72.

Figura 72 - Traiettorie teoriche delle sfere secondo Davis (Testut 1958).

Un parametro importante da considerare, nella prova di automacinazione, è la velocità critica.

Per determinare la velocità critica di un molino devono essere considerate le forze che agiscono su un frammento sferico posto all’interno del molino in rotazione. Queste forze sono: la forza centrifuga e la forza di gravità. La forza centrifuga è una forza “apparente” che spinge la sfera verso l’esterno, contro la parete del cilindro. La risultante (Equazione 8) tra la forza di gravità e la forza centrifuga determina il comportamento del frammento all’interno del molino.

Quando il modulo della forza centrifuga è maggiore della componente radiale della forza di gravità il corpo resta aderente alla parete interna della giara, mentre, quando il modulo della forza centrifuga è inferiore alla componente radiale della forza di gravità la sfera cadrà all’interno della giara.

cos ( cos (

Equazione 8 - Risultante tra forza centrifuga e forza di gravità Dall’Equazione 8 si ottiene:

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cos ( =

La forza peso rimane costante in modulo durante tutto il moto ma la sua componente radiale e tangenziale alla traiettoria, e le altre forze, variano a seconda della posizione assunta dal corpo.

Assumendo che la forza centrifuga è uguale alla forza di gravità quando α = 0 (e cos0 = 1) si ottiene la velocità critica per un dato raggio del molino e della sfera.

Poiché v =ωr, dove ω è la velocità angolare. Da ciò si ricava l’Equazione 9.

$ = 4!2

"−

Equazione 9 - Velocità angolare critica dove:

• Di e d sono rispettivamente il diametro interno del cilindro e il diametro della sfera (in metri);

• ωc è la velocità angolare critica (in rad / s ); • g è l’accelerazione di gravità pari a 9.8 m/ s 2 .

Le velocità di rotazione sono inferiori alla velocità critica. La velocità angolare si esprime in giri/min da cui si ricava la velocità critica del molino ηc (Equazione 10).

: = 42.3 <!"−

Equazione 10 - Velocità critica del molino

Poiché il massimo di efficacia di comminuzione c’è per velocità di rotazione comprese tra il 75 e l’85% della velocità critica si ha l’Equazione 11.

: = 0.75 ×<@? ./ AB1= /C.D <@AB1 e : = 0.85 × ? ./ <@AB1= /F.G <@AB1 Equazione 11 − Velocità critica al 75 e al 85 %

Dal punto di vista dell’azione meccanica si realizzano tre tipi di movimento.

1. Quando la velocità di rotazione è lenta, inferiore al 40% della velocità critica, la carica ha un movimento o rotazione cascading (Figura 73) subendo un continuo rimescolamento. Si genera un rotolamento dei frammenti l’uno sull’altro senza azione di caduta; la sollecitazione meccanica è essenzialmente un’abrasione

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della superficie dei frammenti (i frammenti non si separano mai dalla carica in movimento limitandosi a rotolare su se stessi).

2. Quando la velocità di rotazione è elevata, per velocità di rotazione comprese tra il 50 e il 90% della velocità critica, la carica risale lungo la parete interna del molino per effetto della forza centrifuga e degli attriti. I frammenti, raggiunta una certa altezza alla quale la componente centripeta della forza di gravità è maggiore della forza centrifuga, ricadono liberamente sulla carica. In tal caso l’automacinazione del materiale avviene per:

• compressione tra i costituenti della carica; • azioni di mutuo attrito;

• impatto dei frammenti ricadenti.

Questo movimento è detto rotazione cateracting. Per il movimento in

cateracting (Figura 73) si origina una maggiore risalita dei frammenti lungo la parete interna del cilindro, con conseguente distacco e caduta secondo traiettorie paraboliche. Si crea un’azione d’urto dovuta alla caduta oltre all’azione di abrasione delle superfici dovuta al rotolamento. L’azione meccanica è molto più energica e quindi la comminuzione è molto più efficace. La massima efficacia di comminuzione si ha per velocità di rotazione comprese tra il 75 e l’85% della velocità critica.

3. Per velocità maggiori o uguali alla velocità critica l’effetto della forza centrifuga fa si che i frammenti non possano più ricadere all’interno del molino.

Figura 73 - Tipi di rotazione. a) cascading; b)cateracting (Testut 1958)

Le ipotesi e i calcoli di Davis danno una rappresentazione semplice di quanto accade all’interno di un molino durante la rotazione in cateratta.

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• una zona vuota; • una zona morta;

• una zona delle traiettorie approssimativamente circolari; • una zona delle traiettorie approssimativamente paraboliche.

Figura 74 - Zone all’interno di un molino durante la rotazione cateracting (Wills 1979).

Queste ipotesi, tuttavia, trascurano dei fattori importanti e non permettono di ricavare delle conclusioni quantitative pratiche.

Svariati autori hanno cercato di correggere le traiettorie di Davis nella loro parte ascendente BS. Davis ha supposto che la sfera è libera quando lascia la sua traiettoria circolare nel punto B, la velocità della sfera deve dunque diminuire tra il punto B e la sommità della parabola causando una contrazione della carica del molino in questa regione che però non è reale. Joisel ha determinato la forma delle traiettorie BS in modo tale che il volume della carica non vari. Le traiettorie così calcolate sono rappresentate nella Figura 75.

Figura 75 - Traiettorie teoriche delle sfere secondo Joisel (Testut 1958).

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matematica effettuata da Joisel trascura, tuttavia, alcuni importanti fattori come, ad esempio, lo scivolamento della carica sulla parete interna del molino e degli strati successivi di sfere le une sulle altre.

Tralasciando i calcoli teorici delle traiettorie della carica macinante la pratica ha mostrato che il massimo di efficacia dell’azione macinante si ha quando il molino ruota al 75÷80 % della velocità critica.

Recupero del materiale fine mediante lavaggio, filtrazione del liquido di lavaggio e raccolta della polvere su filtro.

Ultimata la prova di automacinazione il campione, che avrà un diametro inferiore a 1 mm, verrà prelevato con l’ausilio di un costante getto d’acqua.

Dopo il completo svuotamento il materiale verrà filtrato con filtro a 1 mm, poi posto in un recipiente dove decanterà per 12 ore.

Conclusa la decantazione saranno filtrati, con un filtro da 0,45 µm con l’ausilio di una pompa a vuoto (Figura 76), circa 200 mm di campione

Figura 76 - Pompa a vuoto

Ultimato il filtraggio il materiale sarà posto in stufa a 60°C per 12 ore.

Preparazione del campione per l’analisi

Il campione da analizzare viene preventivamente macinato omogeneamente con mortaio e pestello di agata, successivamente viene messo in un crogiolo di porcellana e posto per un’ora nella muffola a 400 °C; tale operazione permette di eliminare

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l’eventuale presenza di leganti o sostanze organiche senza apportare all’amianto, eventualmente presente, sostanziali modifiche spettrali dovute alla temperatura.

Dopo il trattamento termico del campione e dopo il raffreddamento in essiccatore, viene presa un’aliquota di circa 3 µg della polvere che viene miscelata e macinata in un mortaio di agata con 300 µg di Bromuro di potassio (KBr) anidro (Figura 77). Successivamente viene preparata la pasticca (Figura 78), inserendo la miscela di polvere e KBr nello stampo del pasticcatrice (Figura 79) che esercita una pressione di 10 tonnellate.

Figura 77 - Preparazione del campione per la macinazione nel mortaio di agata

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Figura 79 - Pasticchiere Analisi XRD.

La procedura prevista per effettuare la tecnica difrattometrica a raggi X è stato descritta nel precedente paragrafo 6.2.

Analisi spettrofotometrica

Lo spettrofotometro FT-IR (Figura 80) è costituito da una base (o banco ottico) sulla quale sono assemblati: una sorgente ad incandescenza (IR), un laser He-Ne (che emette una radiazione IR con lunghezza d’onda pari a 633 nm) con relativo elemento fotosensibile, l’interferometro, il rivelatore dello strumento stesso (detector) ed un ADC Converter per trasformare il segnale analogico del rivelatore in segnale digitale da elaborare al computer.

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Figura 80 - Spettrofotometro FT-IR

L’interferometro è il componente fondamentale dello spettrofotometro FT-IR, è un dispositivo ottico nel quale un raggio, emesso da una sorgente, viene diviso equamente in due raggi, normalmente perpendicolari tra loro. Tra questi viene provocata una differenza di cammino ottico per effetto del movimento di uno specchio mobile. Vengono poi ricombinati e si genera un interferogramma. La presenza del campione fa sì che alcune lunghezze d’onda vengano in parte o totalmente assorbite dalle molecole che lo compongono, che trasformano l’energia associata a tali radiazioni in energia vibrazionale. Dato che ogni molecola è in grado di assorbire solo radiazioni a determinate lunghezze d’onda, si avrà un diverso interferogramma per ogni sostanza analizzata.

Un’interferogramma però non è in grado di fornire informazioni utili all’interpretazione della sostanza in esame, è necessario quindi trasformarlo in una curva più comprensibile, come lo spettro infrarosso. L’algoritmo matematico che viene utilizzato per trasformare un’interferogramma in uno spettro è la Trasformata di Fourier, grazie alla quale è possibile passare da una curva avente come ordinata il tempo, o lo spazio, ad una avente come ordinata la frequenza, o lo spazio-1.

Per quanto riguarda la taratura dello strumento questo deve essere preparato secondo le seguenti indicazioni:

• range analitico: 4000 – 400 cm-1 • apodizzazione: strong

• risoluzione: 1 cm-1

• numero di scansioni del fondo: 32 • numero di scansioni del campione:32.

La calibrazione dello strumento deve quindi coprire i valori compresi nel range tra il 5 e l’80% di crisotilo.

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La misura quantitativa del crisotilo nel serpentino viene eseguita utilizzando le seguenti bande:

• la banda a 3642 cm-1, solitamente utilizzata per quantificazioni comprese tra il 5 e il 100% di crisotilo in miscela;

• la banda a 1054 cm-1, utilizzata invece nella quantificazione tra il 20 e il 100%, in quanto spesso coperta da altre vibrazioni di silicati.

Viene selezionata la banda compresa tra 3651 e 3620 cm-1 e calcolata l’area racchiusa tra i due estremi della banda stessa. L’area di tale picco viene attribuita alla percentuale di crisotilo presente nel campione e viene quindi effettuata una regressione lineare sui risultati relativi ai vari standard.

Determinazione della densità relativa

Come sopra descritto la densità relativa è data da:

% à à à

Per tanto risulta necessario misurare i valori di densità apparente (γapp) e di densità

assoluta (γass). Entrambe hanno come unità di misura g/cm3.

• Densità apparente (γapp):

La γapp viene determinata tramite pesata idrostatica.

La procedura prevede la scelta di un frammento del campione con dimensioni che variano da 5 mm a 5 cm di cui si determina:

o Peso secco (P1) in g, calcolato mediante bilancia tecnica;

o Peso del campione paraffinato (P2) in g, calcolato mediante bilancia

tecnica;

o Peso in acqua del campione paraffinato (P3) in g, calcolato mediante

bilancia idrostatica (Figura 81), cioè immergendo in campione paraffinato in acqua mediate un cestello collegato allo strumento.

(32)

Figura 81 - Bilancia Idrostatica

Il campione viene è soggetto a paraffinatura in modo da renderlo impermeabile. Ultimate le pesate si procede con la determinazione della γapp:

Volume del Campione:

N = OP R− /Q

S T − NS

Dove:

• V= Volume del campione in cm3;

• γp= Densità della paraffina in g/cm3 ( valore compreso tra 0,87-0,90 g/cm3);

• Vp= Volume della paraffina in cm3.

Volume della Paraffina:

NS= OP R− CQ S T

Dove:

• γp= Densità della paraffina in g/cm3 ( valore compreso tra 0,87-0,90 g/cm3);

• Vp= Volume della paraffina in cm3.

Densità Apparente:

RUSS= NC

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La γass viene determinata tramite l’utilizzo del picnometro a elio (Figura 82).

Figura 82 - Picnometro a Elio

L’analisi consiste nell’applicazione dell’Elio (He) all’interno di una capsula, di volume noto, contenente il campione polverizzato, ciò permette la misurazione del volume effettivamente occupato dal campione.

La scelta dell’He è dettata dal fatto che essendo molto leggero e le sue molecole molto piccole penetra all’interno dei vuoti di qualsiasi materiale.

Per effettuare la misurazione vengono posti da 7-10 g, misurati con bilancia analitica, di campione prepolverizzato, tramite mortaio, all’interno della capsula.

La γass viene ricavata automaticamente, la prova ha una durata che varia dai 10 ai 15 minuti.

6.3.2 Risultati dell’Indice di Rilascio

Gli spettri derivati dalla FT-IR (Figura 83) sono stati analizzati per individuare la percentuale di fibre rilasciate (A%) da ogni campione in modo da poter effettuare il calcolo dell’IR. Per effettuare tale operazione è stata misurata l’area che si origina tra gli estremi generati dai picchi a 3620 cm-1

e 3651 cm-1

, collegati attraverso una regressione lineare. Questo a permesso di stimare il valore corrispondente ad una concentrazione di amianto nel campione che può variare dal 5 al 100%.

(34)

Figura 83 - A: Spettro di Cava del Nero. B: Spettro di Colloriotto. C:Spettro di Gabbro Sud. D: Spettro di Gineprone. E: Spettro di Le Ville. F: Spettro di Poggio Pela

I valori di A% sono:

• Cava del Nero: 23.9; • Colloriotto: 15.68; • Gabbro Sud: 33.28; • Gineprone: 18.9; • Le Ville: 14.7; • Poggio Pela: 23;

• Poggione non significativo:.

I valori di densità relativa, derivanti dal rapporto tra densità apparente (misurata con pesata idrostatica) e densità assoluta (misurati con picnometro ad elio) (Tabella 11), sono:

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• Cava del Nero: 126; • Colloriotto: 112; • Gabbro Sud: 104; • Gineprone: 901; • Le Ville: 92; • Poggio Pela: 115; • Poggione: 112.

Da questi risultati è possibile calcolare i valori degli IR:

• Cava del Nero: 0.19; • Colloriotto: 0.14; • Gabbro Sud: 0.32; • Gineprone: 0.21; • Le Ville: 0.16; • Poggio Pela: 0.2; • Poggione:0 1

Figura

Figura 57 - Basalto dell’affioramento di Poggione. Il basalto presenta una struttura intersertale con cristalli  di plagioclasio, olivina e pirosseno
Figura 58 - Serpentiniti dell’affioramento di Gineprone. La serpentinitite presenta una struttura tettonica  con relitti di pirosseno
Figura 59 - Serpentiniti dell’affioramento di Gineprone. Dettaglio di una vena di crisotilo con tessitura  fibrosa (lato lungo 1.76 mm)
Figura 60 - Cataclasite dell’affioramento di Cava del Nero con frammenti di serpentiniti e di carbonati in  matrice carbonatica
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