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1. Premessa LA PROGRESSIVA CENTRALITA' DELLA "VITTIMA DI REATO" NEL SISTEMA PENALE EUROPEO CAPITOLO I

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CAPITOLO I

LA PROGRESSIVA CENTRALITA' DELLA

"VITTIMA DI REATO" NEL SISTEMA PENALE

EUROPEO

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. La decisione quadro 2001/220/GAI: l'ingresso della vittima nel procedimento penale. – 2.1. I diritti della vittima nel procedimento. – 2.2. Le vittime particolarmente vulnerabili. – 2.3. I punti deboli della decisione quadro. – 3. La direttiva 2012/29/UE: lo statuto europeo dei diritti della vittima di reato. – 3.1. Le vittime con esigenze specifiche di protezione e la valutazione individuale. – 3.2. Ulteriori considerazioni sull'efficacia della direttiva 2012/29/UE. –4. La Convenzione di Lanzarote. – 5. La Convenzione di Istanbul. – 6. La giustizia riparativa (restorative justice).

1. Premessa

La normativa processuale penale è stata a lungo considerata come una esclusiva prerogativa nazionale, in qualità di massima espressione della sovranità statuale. Questa visione stato-centrica era sostenuta anche da una forte ritrosia degli Stati a cedere in qualsiasi misura la loro supremazia in ambito penale.

Il processo di integrazione europea inizialmente ha rispettato tale esclusività, in quanto il progetto di unificazione era animato da intenti prevalentemente economico-commerciali. La sua realizzazione, però, ha avuto riflessi importanti sul profilo istituzionale delle prime tre Comunità europee (la CECA, la CEE e la CEEA), istituite con la firma dei Trattati di Roma del 1957: la creazione di un mercato comune ha

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2 determinato un loro graduale avvicinamento strutturale1 e una successiva, inevitabile, estensione del loro ambito di intervento, soprattutto in quello riguardante la lotta alla criminalità transnazionale (a causa, in particolar modo, dell'abolizione della frontiere interne). L'Unione Europea ha avuto così un ruolo propulsivo nel processo di armonizzazione delle singole legislazioni penali2, con l'obiettivo principale di perseguire i reati a prescindere dallo Stato in cui sono stati commessi e garantire i diritti dei cittadini in modo omogeneo tra le varie normative nazionali. La ratio giustificatrice di tale intervento va ricercata nell'intento di dar attuazione ai fondamentali principi del diritto europeo, quali l'uguaglianza dei cittadini dell'Unione europea e la libera circolazione delle persone tra gli Stati membri.

L'interesse per la tutela della vittima è riscontrabile in via generale nell'attività delle organizzazioni sovranazionali, sia a carattere universale (come l'Onu), sia a carattere regionale (come il Consiglio d'Europa e l'Unione Europea) che hanno svolto e continuano a svolgere un importante ruolo di sollecitazione nei confronti dei legislatori nazionali, per secoli disinteressati alla vittima del reato.

Proprio in sede sovranazionale, peraltro, è stata data la prima concreta attuazione agli insegnamenti della vittimologia3, che, a partire dagli anni

1 Cfr. R. ADAM e A. TIZZANO, Lineamenti di diritto dell'Unione Europea, Torino, 2010, pag. 1 ss.

2 M. VENTUROLI, La tutela della vittima nelle fonti europee, in www.penalecontemporaneo.it, n. 3-4, 2012, p. 86 ss.

3 La vittimologia è la disciplina che si occupa dello studio della vittima e delle relative problematiche. Sull'importanza della vittimologia ormai acquisita in ambito penale e processuale, si veda, fra i contributi monografici più recenti: L. CORNACCHIA, La

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3 settanta del secolo scorso, ha iniziato a svolgere un'attività finalizzata a perseguire veri e propri interventi concreti a tutela delle vittime (c.d. vittimologia dell'azione4).

L'attenzione delle organizzazioni sovranazionali per la vittima del reato si è, poi, con il passare degli anni, intensificata, soprattutto a causa del diffondersi di una criminalità di dimensioni transnazionali5, che colpisce spesso soggetti particolarmente vulnerabili6 e per questo bisognosi di una adeguata protezione ed assistenza.

Possiamo perciò dire che «lo spazio giuridico europeo è stato il palcoscenico sul quale, a partire dagli anni Ottanta, si è innescato quel processo di riscoperta della vittima di reato, che ha interessato l'intero Occidente»7: la vittima di reato si impone all'attenzione europea,

richiedendo un adeguato riconoscimento.

Le sono stati così riconosciuti gradualmente numerosi diritti processuali, per merito della produzione normativa del Consiglio d'Europa e

vittima nel diritto penale contemporaneo. Tra paternalismo e legittimazione del potere coercitivo, 2012, p. 19 e ss; L. PARLATO, Il contributo della vittima tra azione e prova, 2012, p. 49 e ss; M. SIMONATO, Deposizione della vittima e giustizia penale. Una lettura del sistema italiano alla luce del quadro europeo, 2014, p. 9 e ss.

4 Con ''vittimologia dell'azione'' si intende il passaggio da un'attenzione meramente scientifica verso la vittima, ad un vero e proprio atteggiamento di rivendicazione politica e sociale a favore di essa.

5 M. VENTUROLI, op. cit., pag. 87.

6 Si pensi, ad esempio, ai fenomeni di riduzione in schiavitù e di tratta di esseri umani. 7 S. ALLEGREZZA, Il ruolo della vittima nella direttiva 2012/29/UE, in S. ALLEGREZZA M. GIALUZ, K. LIGETI, L. LUPARIA, G. ORMAZABAL, R. PARIZOT, Lo statuto europeo delle vittime di reato. Modelli di tutela tra diritto dell'Unione e buone pratiche nazionali, 2015, pag.19; Per un inquadramento generale, S. ALLEGREZZA, La riscoperta della vittima nella giustizia penale europea, in AA.VV., Lo scudo e la spada. Esigenze di protezione e poteri delle vittime nel processo penale tra Europa e Italia, Torino, 2012, pag.1 ss; F. TULKENS, - F. VAN DE KERCHOVE, Introduction au droit pénal. Aspects juridiques et criminologiques, Bruxelles, 1999, pag. 62.

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4 dell'Unione Europea, nonché delle pronunce sia della Corte di Giustizia che della Corte europea dei diritti dell'uomo.

Sono stati numerosi gli interventi delle organizzazioni internazionali concernenti la tutela della vittima8; in ambito europeo, parimenti, i testi emanati sono vari, e i principali dei quali sono la decisione quadro 2001/220/GAI e la direttiva 2012/29/UE, relative alla posizione della vittima nel procedimento penale, e la direttiva 2004/80/CE, relativa all'indennizzo delle vittime di reato. Detti testi «hanno affermato il principio secondo il quale la tutela della vittima rappresenta un corollario imprescindibile del dovere di solidarietà sociale»9.

Un ruolo importante nella valorizzazione della vittima come soggetto titolare di diritti nel procedimento penale ha svolto la giurisprudenza delle due Corti Europee: da un lato, la Corte di Giustizia ha contribuito a definire la nozione di vittima e i contorni dei suoi diritti nel procedimento penale10; dall'altro, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha delineato le coordinate di un delicato equilibrio11 tra diritti della vittima (soprattutto quella vulnerabile) e quelli dell'imputato12.

8 Per esempio, nell'ambito dell'attività dell'O.N.U., la ''Dichiarazione sui principi fondamentali di giustizia relativi alle vittime della criminalità e alle vittime dell'abuso di potere'', del 1985, rappresenta il principale testo di tale istituzione internazionale. 9 S. ALLEGREZZA, M. GIALUZ, K. LIEG, L. LUPARIA, G. ORMAZABAL, R. PARIZOT, Lo statuto europeo delle vittime di reato. Modelli di tutela tra diritto dell'Unione e buone pratiche nazionali, 2015, pag. 20.

10 Una delle più note sentenze della Corte di Giustizia è stata la sentenza Pupino, con la quale la Corte ha precisato il significato da far assumere al diritto alla protezione dalla ''violenza del processo'' (previsto dalla decisione quadro 220/2001/GAI), che va riconosciuto alla vittima vulnerabile.

11 Per un approfondimento sul tema, si veda infra, capitolo 4, paragrafo 3.1. 12 Si veda al riguardo la sentenza Doorson c. Paesi Bassi.

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5 Infine sono da citare la Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei bambini contro lo sfruttamento e gli abusi sessuali, del 2007, meglio conosciuta come Convenzione di Lanzarote, e la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, del 2011, nota come Convenzione di Istanbul, le quali segnano importanti traguardi giurisprudenziali, pertanto di esse daremo cenno nei paragrafi seguenti.

Molti Paesi membri dell'Unione Europea hanno dimostrato grande sensibilità e apertura alle esigenze delle vittime, cercando di dare loro risposta attraverso la proprio normativa nazionale; altri, invece, sono rimasti inerti, mantenendo inalterato il regime che vigeva precedentemente nei propri ordinamenti13.

Nonostante le grandi conquiste, di fatto ancora oggi le vittime di reato sono comunque esposte a rischi di vittimizzazione secondaria, e questo è il motivo che ha spinto recentemente il legislatore europeo ad una rivisitazione sistematica del ruolo di tali soggetti nei sistemi penali dei singoli Stati membri; ciò soprattutto in relazione alle vittime di reato "particolarmente vulnerabili", così chiamate per la loro delicata posizione, ed individuate in base a parametri quali l'età del soggetto leso, la gravità e la natura del reato subito e le conseguenze da esso derivate.

13 V. DEL TUFO, La tutela della vittima in una prospettiva europea, in Dir. pen. proc., 1999, 7, pag. 889 ss.

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2. La decisione quadro 2001/220/GAI: l'ingresso della

vittima nel procedimento penale

Il Parlamento europeo, nel giugno 2000, in risposta alla comunicazione della Commissione del 1999, approva una risoluzione in cui supporta il processo di avvicinamento delle normative nazionali processuali e penali, con l'intento di dare una risposta alle istanze di giustizia e protezione spettanti alla vittima di reato.

Il Consiglio perciò, nell'ambito del terzo pilastro, procede all'elaborazione di un atto che è destinato a divenire una pietra miliare nell'iter che ha portato alla riscoperta del ruolo della vittima: il 15 marzo 2001 adotta la decisione quadro 2001/220/GAI14, relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale, e che «rappresenta uno dei più compiuti tentativi di armonizzazione nell'ambito processuale penale»15.

Con questa decisione quadro, il Consiglio intende far sì che negli Stati membri sia riconosciuto alla vittima un ruolo di primo piano, effettivo ed appropriato, oltre che un trattamento rispettoso della dignità personale, predisponendo misure di assistenza e protezione che la accompagnino sia prima che durante tutto il procedimento (vedi

considerando n. 6 della decisione quadro).

14 G.U., L. 82 del 22 marzo 2001, pag. 1. 15 S. ALLEGREZZA, op.cit., pag. 9.

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7 La decisione quadro 220/2001/GAI tratta principalmente di tre temi specifici16: in primo luogo, si interessa della posizione della vittima nel procedimento penale, riconoscendole una serie di diritti esercitabili nel corso dell'intero procedimento, tra cui il diritto di partecipare alla ''giustizia''17 (art. 3) e l'obbligo per gli Stati di garantire ad essa un trattamento che ne salvaguardi la dignità personale (art. 2); il diritto all'informazione sul procedimento e all'assistenza; la vittima deve poi poter essere tutelata dal pericolo di vittimizzazione secondaria e ripetuta; inoltre deve poter usufruire di una compensazione monetaria, comprendente il diritto al risarcimento (art. 9).18

Va precisato, tuttavia, che questo ruolo di primo piano non significa che la vittima debba godere di un trattamento equivalente a quello delle parti del procedimento (vedi, sul punto, il considerando n. 9)

In secondo luogo, la decisione quadro tratta, seppur in modo sintetico, il tema della mediazione penale, prescrivendo agli Stati membri di

16 Per una dettagliata ricostruzione del contenuto della decisione quadro 2001/220/GAI, cfr., ad esempio, V. DEL TUFO, La vittima di fronte al reato nell'orizzonte europeo, in Punire Mediare Riconciliare, Dalla giustizia penale internazionale all'elaborazione dei conflitti individuali (a cura di Giovanni Fiandaca e Costantino Visconti), Torino, 2009, p. 110 ss.

17 Esso consiste nel diritto della vittima di partecipare al processo tradizionale per contribuire all'accertamento dei fatti e delle responsabilità. La Corte di Giustizia ha però chiarito che alla vittima non è attribuito un vero e proprio potere di impulso, e che essa non può essere considerata come una parte assimilata all'imputato o alla pubblica accusa. Ciò che invece risulta essenziale è che la vittima deve poter rendere una deposizione nel procedimento penale, e che tale deposizione deve essere considerata come elemento di prova.

18 Una funzione di primaria importanza in tali ambiti è assunta dai servizi specializzati e dalle organizzazioni di assistenza alle vittime (v. considerando n. 10), il cui operato deve essere oggetto di coordinamento da parte degli Stati membri (v. considerando n. 12); questi devono altresì provvedere a fornire una formazione adeguata e sufficiente a coloro che entrano in contatto con la vittima (v. considerando n. 11).

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8 promuoverla nei casi ritenuti appropriati per tale tipo di procedura alternativa. Infatti, nell'ambito del procedimento penale, può rivelarsi un ottimo strumento con cui raggiungere la pacificazione tra la vittima e l'autore del reato e sanare la frattura sociale venuta ad esistenza con il reato19; come recita l'articolo 10, al paragrafo 1, saranno comunque gli Stati a dover decidere quali reati siano «idonei per questo tipo di misura», anche tenendo in considerazione le esigenze della vittima. In terzo luogo, infine, la decisione quadro affronta la questione dei diritti delle vittime residenti in un altro Stato membro; si vuole da una parte evitare che le eventuali differenze processuali esistenti tra i Paesi dell'Unione Europea siano di ostacolo alla libera circolazione delle persone, e dall'altra consentire ai cittadini dell'Unione, divenuti vittime di un reato in uno Stato membro diverso dal proprio, di sporgere denuncia dinanzi alle autorità competenti dello Stato di residenza, e quindi di seguire il processo ed ottenere il risarcimento del danno una volta ritornati in Patria20.

2.1. I diritti della vittima nel procedimento

La vittima cui si rivolge la decisione quadro, in base alla definizione dell'articolo 1 lett. a), è «la persona fisica che ha subito un pregiudizio,

19 Secondo l'art. 1, lett. e): per ''mediazione nelle cause penali'' si deve intendere ''la ricerca, prima o durante il procedimento penale, di una soluzione negoziata tra la vittima e l'autore del reato con la mediazione di una persona competente''.

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9 anche fisico o mentale, sofferenze psichiche, danni materiali causati direttamente da atti od omissioni che costituiscono una violazione del diritto penale di uno Stato membro». Si tratta di una definizione più ristretta rispetto a quella fornita dall'Onu nella risoluzione del 1985, perché non vi sono comprese le violazioni di beni a carattere collettivo e inoltre il danno sofferto deve derivare direttamente dal reato, riferendosi perciò solo alle vittime dirette21.

L'articolo 2, al paragrafo 1, prevede che gli Stati riconoscano alle vittime un ruolo effettivo nel proprio sistema giudiziario, adoperandosi perché sia garantito loro un trattamento rispettoso della loro dignità personale e dei loro diritti ed interessi giuridici; specifica attenzione deve poi essere rivolta alle ''vittime particolarmente vulnerabili'', alle quali deve essere riservato un trattamento che tenga conto delle loro esigenze specifiche (art. 2, par. 2).

Di fondamentale importanza perché tali diritti possano essere effettivamente esercitati dalla vittima è il perfezionamento del sistema di informazione: a norma di quanto previsto dall'articolo 4 par. 1, la vittima ha diritto di accedere, «per quanto possibile in una lingua generalmente compresa», alle informazioni rilevanti ai fini della tutela dei suoi interessi, «sin dal suo primo contatto con l'autorità incaricata dall'applicazione della legge».

21 M. VENTUROLI, op.cit., pag. 90, il quale precisa che restano escluse da tale definizione, sia le vittime indirette (persone a carico o altri superstiti delle vittime dirette) sia le persone giuridiche (come precisato dalla Corte di Giustizia, Sez. III, 28 giugno 2007, Causa C-467/05, Dell'Orto).

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10 Tra le informazioni ritenute rilevanti sono riportate quelle riguardanti: il tipo di servizi o di organizzazioni a cui la vittima può rivolgersi per ottenere assistenza; il tipo di assistenza che può ricevere; le modalità e i luoghi in cui si può sporgere denuncia; le procedure successive alla presentazione della denuncia e il ruolo che la vittima sarà chiamata a svolgere in tale contesto; le condizioni per poter ottenere protezione personale o per accedere all'assistenza legale, al patrocinio gratuito o i requisiti per poter ottenere un risarcimento.

Assieme all'informazione, assume importanza primaria per la vittima la garanzia delle sue possibilità di comunicazione, diritto che deve essere garantito in misura non minore rispetto a quanto previsto per l'imputato: infatti gli Stati sono esortati ad adottare «le misure necessarie per ridurre al massimo le difficoltà di comunicazione, per quanto riguarda la comprensione o la partecipazione della vittima, in qualità di testimone o parte in causa nelle fasi più importanti del procedimento penale» (art. 5).

Riguardo, appunto, alla partecipazione al procedimento, in materia di audizione e produzione di prove, l'articolo 3 riconosce alle vittime il diritto di ''essere sentite'' e di fornire elementi di prova. Questo, tuttavia, non implica che la vittima possa essere sottoposta ad audizioni illimitate da parte delle autorità competenti; per evitare la cosiddetta ''usura dei testimoni''22, gli Stati membri devono «adottare le misure necessarie

22 G. ILLUMINATI, Giudizio, in G. CONSO – V. GREVI (a cura di), Compendio di procedura penale, Padova, 2012, pag. 766.

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11 affinché le autorità competenti interroghino la vittima soltanto per quanto è necessario al procedimento penale».

Secondo l'articolo 7, inoltre, alla vittima che si costituisca parte civile o assuma il ruolo di testimone, deve essere riconosciuta la possibilità di essere rimborsata delle spese sostenute a causa della sua legittima partecipazione al procedimento penale.

Il vero fulcro della decisione quadro, attorno al quale si costruiscono i diritti di protezione della vittima, è però l'articolo 8, che si rivolge agli Stati affinché questi adottino i necessari accorgimenti per evitare che alle vittime derivino dal procedimento penale ulteriori effetti, per loro traumatizzanti. Anzitutto, si prevede che sia garantita adeguatamente la

privacy della vittima, a cui l'articolo 8 assimila le persone ad essa più

vicine, come «i suoi familiari o le persone ad esse assimilabili»23. L'intimità e l'incolumità di tali soggetti devono essere assicurate, oltre che nell'ambito della procedura giudiziaria, anche nell'ambito della vita quotidiana, nel caso le autorità competenti ritengano che esista una seria minaccia di atti di ritorsione o prova certa di un serio intento di intromissione nella sfera della vita privata.

In secondo luogo, al paragrafo 3 è rivolta attenzione all'incontro con l'autore del reato e ai luoghi in cui si svolge il procedimento penale: per proteggere la vittima da ulteriori eventi traumatici, il contatto con

23 A tal fine, secondo l'articolo 8 par. 2, deve essere garantito dagli Stati membri la possibilità di protezione appropriata anche dell'immagine fotografica della vittima, dei suoi familiari e delle persone assimilabili.

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12 l'autore del reato deve essere evitato, anche munendo gli edifici in cui operano gli organi giurisdizionali di luoghi di attesa destinati appositamente alle vittime.

Inoltre, essendo l'audizione pubblica in un'aula di giustizia un'esperienza che può rivelarsi gravosa, soprattutto per le vittime particolarmente vulnerabili, l'articolo 8, paragrafo 4, prevede che, in conformità ad una decisione del giudice, venga garantita alla vittima più vulnerabile la facoltà di rendere testimonianza in condizioni particolari, «che consentano di conseguire tale obiettivo e che siano compatibili con i principi fondamentali del proprio ordinamento».

L'articolo 9, paragrafo 1, richiede invece agli Stati di garantire che la vittima ottenga «nell'ambito del procedimento penale, entro un ragionevole lasso di tempo, una decisione relativa al risarcimento dei danni da parte dell'autore del reato»; questi danni possono essere non solo di natura economica, ma anche psicologica, emotiva, e consistere in un'alterazione effettiva delle abitudini di vita.

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13 Come abbiamo visto, la decisione quadro si occupa in generale di tutte le vittime di reato, ma è delle vittime più vulnerabili24 che l'Unione Europea si occupa con maggiore preoccupazione25.

Difatti, nonostante manchi una definizione di ''vittima particolarmente vulnerabile''26, all'interno dell'atto in questione i riferimenti normativi a tale categoria di soggetto sono numerosi: gli Stati sono chiamati ad assicurare a questo tipo di persone un trattamento specifico, che risponda in modo ottimale alle loro esigenze (vedi art. 2, par. 2); a ricorrere a forme protette per la deposizione delle vittime, soprattutto per quelle più vulnerabili (art. 8, par. 4); a predisporre un'apposita preparazione professionale delle persone chiamate ad entrare in contatto con le vittime, con preciso riferimento, per l'appunto, alle categorie di vittime più vulnerabili (art. 14, par. 1).

È così delineato, all'interno della decisione quadro, uno ''statuto speciale'' delle vittime vulnerabili di reato, definite così perché esposte più di altre alle conseguenze negative del reato e ad altre cause di sofferenza che possono derivare direttamente dal processo e dal contatto con gli organi giudiziari. Per tali motivi, a questa categoria di vittime

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25 V. M. GIALUZ, Lo statuto europeo delle vittime vulnerabili, in AA.VV., Lo scudo e la spada, op.cit., pag. 59 ss; M. SIMONATO, Deposizione della vittima e giustizia penale. Una lettura del sistema italiano alla luce del quadro europeo, 2014, pag. 81 ss. 26 Cfr. M. VENTUROLI, op.cit., pag. 90, il quale afferma che tale assenza può forse essere imputata al fatto che sul concetto di vulnerabilità esistono posizioni differenti, che si riflettono sulle scelte dei legislatori degli Stati membri. Infatti, in alcuni Paesi europei, la vulnerabilità della vittima è individuata da un punto di vista soggettivo (con riferimento alla fragilità fisica o mentale dell'offeso), in altri invece sono presi in considerazione i comportamenti atti a generare una situazione di fragilità nella vittima, ed in altri ancora sono utilizzati entrambi i criteri allo stesso modo.

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14 viene riconosciuta tutta una serie di particolari diritti, che assicurino loro una speciale tutela da e nel processo, e una maggiore assistenza anche al di fuori dell'ambito giudiziario.

Dobbiamo però anzitutto chiarire cosa si intende per ''vittima vulnerabile''. Il concetto di vulnerabilità, per via della sua genericità, si presta ad interpretazioni diverse a seconda del punto di vista adottato27; la molteplicità di atti che si riferiscono alla ''vittima vulnerabile''28 e la mancanza di una definizione normativa univoca di tale concetto, rendono tale compito ancora più complesso.

E' quindi a tal proposito intervenuta la Raccomandazione R(2006)8 del Comitato del Consiglio dei Ministri del Consiglio d'Europa, che, per fare chiarezza, ha introdotto dei criteri a cui fare riferimento per distinguere le vittime particolarmente vulnerabili. Al punto 3.4, il Comitato chiede agli Stati di prevedere misure speciali nei confronti delle vittime di reato ''vulnerabili'', per via delle loro caratteristiche personali o delle

circostanze specifiche del crimine: sono quindi due criteri, uno

soggettivo e l'altro oggettivo, e l'innovatività di quest'impostazione sta nel ritenere che tali parametri abbiano un carattere alternativo, e non necessariamente cumulativo, estendendo così i confini del concetto di vulnerabilità29.

27 M. SIMONATO, Deposizione della vittima e giustizia penale, op.cit., pag. 83. 28 Il riferimento è ai trattati che si occupano della tutela del minore, della tratta di esseri umani e della tutela delle vittime di violenza di genere e domestica.

29 M. GIALUZ, Lo statuto europeo delle vittime vulnerabili, in Lo scudo e la spada, op.cit.,pag. 63.

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15 Ma vediamo meglio questi due criteri: dal punto di vista soggettivo, le vittime che devono essere ritenute vulnerabili, a prescindere quindi dal tipo di reato subito, sono anzitutto i minori, per i quali vige una sorta di presunzione assoluta di vulnerabilità30: essi devono essere destinatari di misure di protezione particolari, senza che siano effettuate delle verifiche volte a testarne la fragilità. La minore età è quindi, già di per sé, un elemento sufficiente affinché venga riconosciuto a queste vittime un trattamento diverso rispetto a quello generalmente previsto per gli adulti nel procedimento penale. Un simile speciale trattamento è necessario, tra le altre cose, non solo per tutelare maggiormente il minore dalle conseguenze pregiudizievoli derivanti dal processo, ma anche al fine di salvaguardare la genuinità stessa delle prove (soprattutto quando il minore è chiamato a collaborare con la giustizia in qualità di testimone).

Sono inoltre vittime soggettivamente vulnerabili anche le persone affette da infermità fisica o mentale; non sussistendo però per loro una presunzione assoluta di vulnerabilità, ogni situazione sarà valutata autonomamente e la loro necessità di assistenza e protezione sarà vagliata caso per caso, in base al tipo di patologia specifica di cui soffre la vittima.

Dal punto di vista oggettivo31, invece, sono ritenute vulnerabili quelle persone che, pur non essendo ritenute soggettivamente deboli, sono

30 M. GIALUZ, op.cit., pag. 67; M. SIMONATO, op.cit., pag. 85. 31 Cfr. M. GIALUZ, op.cit., pp. 67-69.

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16 considerate tali perché lese da un reato particolarmente efferato, che rendono indispensabili misure di protezione ed assistenza anche al di fuori del procedimento, e comunque un intervento attivo dello Stato. Rientrano in questa categoria: le vittime di reati sessuali, le vittime di criminalità organizzata, di terrorismo, di reati con stampo razzista o xenofobo.

Dalle due tipologie appena esposte, può essere distinto un terzo genus di vittime vulnerabili, ovvero le ''vittime particolarmente vulnerabili'', che sommano sia il criterio soggettivo che quello oggettivo, essendo tali non solo per alcuni loro caratteristiche personali (quali l'età, la salute mentale, il sesso), ma anche per aver subito alcuni tipi di reato o per le circostanze oggettive; si tratta per esempio dei minori vittime di abuso o sfruttamento sessuale32 o di tratta di esseri umani33, o di donne vittime di violenza sessuale o domestica34.

L'individuazione delle vittime vulnerabili e delle vittime particolarmente vulnerabili è funzionale ad assicurare loro adeguata

protezione, non tanto nel senso di rafforzare la loro partecipazione al

32 V. Direttiva 2011/93/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa alla lotta contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile, e che sostituisce la decisione quadro del consiglio 2004/68/GAI.

33 V. Direttiva 2011/36/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, riguardante la repressione e la prevenzione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime, che sostituisce la decisione quadro del Consiglio 2002/629/GAI.

34 V. Raccomandazione Rec(2002)5 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sulla protezione delle donne dalla violenza; Raccomandazione del Consiglio d'Europa 1681(2004) sulla campagna per combattere la violenza domestica contro le donne; Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione della lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, firmata a Istanbul l'11 maggio 2011.

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17 procedimento penale, quanto nel senso di ridurre al minimo il pericolo di vittimizzazione secondaria o ripetuta.

Per vittimizzazione secondaria si intende la sofferenza che può derivare ad un soggetto particolarmente fragile, non direttamente dal reato (che è vittimizzazione primaria), ma dalla partecipazione al procedimento penale, dai suoi rituali e dal contatto con le autorità giudiziarie e le altre parti. Il procedimento penale può infatti risultare un'esperienza ulteriormente traumatizzante, soprattutto quando la vittima è sottoposta a trattamenti insensibili da parte degli operatori di giustizia, quando è costretta ad entrare in contatto con l'autore del reato o ancora quando la continua rievocazione della dinamica del reato, dovuta ad audizione aggressive e ripetitive, ostacola la rimozione del trauma e priva la vittima del suo diritto «all'oblio»35.

Per le vittime oggettivamente vulnerabili, invece, il rischio maggiore è quello di essere esposte a vittimizzazione ripetuta, essendo la loro fragilità dovuta alla tipologia del reato; perciò, per questa categoria di soggetti, i pericoli maggiori non derivano tanto dal procedimento penale in sé, quanto dalle azioni ritorsive e intimidatorie che possono seguire alla decisione della vittima di collaborare con la giustizia. Questa infatti, fornendo un importante apporto per l'accertamento dei fatti, rischia di essere oggetto di attivi vendicativi da parte dell'autore del reato e dei suoi complici, o da parte di organizzazioni criminali. Per scongiurare

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18 questo rischio, l'articolo 8 par. 1 della decisione quadro 2001/220/GAI e l'articolo 10 della Raccomandazione R(2006)8 prevedono che vengano disposte apposite forme di tutela, atte a garantire la sicurezza e l'incolumità delle vittime.

2.3. I punti deboli della decisione quadro

Con la decisione quadro 2001/220/GAI, la politica penale europea ha compiuto un notevole balzo in avanti: l'Unione Europea infatti è entrata per la prima volta nella dinamica processuale degli Stati membri non con i classici strumenti di soft law, non giuridicamente vincolanti, ma con uno strumento di (semi) hard law, dotato di una maggiore capacità incisiva36.

Come stabilito dall'articolo 17 della decisione quadro, gli Stati avevano tempo fino al 2006 per conformarsi alla decisione quadro e per trasmettere al segretario generale del Consiglio e della Commissione il testo definitivo della normativa con cui avrebbero provveduto a recepire nell'ordinamento interno il dettato europeo a favore delle vittime di reato.

Le relazioni formulate dalla Commissione nel 2004 e nel 2009, però, misero in luce che il livello di attuazione era insoddisfacente: l'obiettivo

36 Cfr. M. SIMONATO, op.cit., p. 72 ss; M. VENTUROLI, op.cit., p. 86 ss; C. AMALFITANO, Azione dell'Unione Europea per la tutela delle vittime dei reati, in Dir. Un. eur., 2011, 3, p. 643 ss.

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19 di creare una rete comune di tutela della vittima, attraverso l'armonizzazione degli ordinamenti nazionali in materia, è ancora lontano dall'essere realizzato.

Le cause di questo insuccesso sono numerose, e possiamo individuarle iniziando anzitutto dalle caratteristiche stesse della decisione quadro; pur distinguendosi infatti per la sua maggior vincolatività rispetto agli altri strumenti precedentemente utilizzati nel panorama internazionale, la decisione quadro resta pur sempre priva di efficacia all'interno degli Stati membri cui si rivolge37.

Difatti, l'adozione di una decisione quadro comporta il sorgere di un'obbligazione di risultato e non di mezzi, perciò gli Stati membri sono tenuti al raggiungimento di certi obiettivi, indicati nel dettato europeo, con piena libertà riguardo alla scelta degli strumenti cui far ricorso. Quindi, l'eccessiva discrezionalità riconosciuta agli ordinamenti nazionali «ha generato notevoli difficoltà, non essendovi a livello europeo vere e proprie procedure istituzionalizzate per valutare l'effettività dei risultati raggiunti»38.

Un'altra motivazione può essere ricercata nella formulazione delle disposizioni stesse della decisione quadro: alla specificità del fine perseguito, si contrappone la vaghezza delle norme della decisione quadro, che contribuisce a rendere difficile il compito di mettere in atto

37 Secondo l'articolo 34, n.2, lett. b) TUE, le ''decisioni quadro sono vincolanti per gli Stati membri quanto al risultato da ottenere, salva restando la competenza delle autorità nazionali in merito alla forma e ai mezzi. Esse non hanno efficacia diretta''.

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20 le misure necessarie, lasciato ai singoli Stati. Sono infatti utilizzate, nella decisione quadro, espressioni estremamente generiche, quali ''effettività e appropriatezza''39, ''necessità''40, ''adeguatezza''41, ''ragionevolezza''42 (solo per dirne alcuni), che danno luogo a letture discrezionali che ostacolano il raggiungimento di un risultato omogeneo nell'ambito giudiziario europeo ed impediscono alla Commissione di verificare il livello effettivo di attuazione della decisione quadro. L’eccessiva timidezza del Consiglio emerge anche dalle numerose ''clausole di salvaguardia'' che costellano l’intera decisione quadro: il ripetersi sistematico di formule come ''tranne quando sia previsto diversamente dalle regole di procedura penale applicabili'', ''secondo le disposizioni nazionali applicabili'', ''compatibilmente con i principi fondamentali del proprio ordinamento'', se da una parte denotano prudenza, dall’altra creano una barriera importante alla capacità di penetrazione della decisione quadro all’interno degli ordinamenti nazionali. «Vi saranno sempre interessi e peculiarità del sistema nazionale a giustificare la mancata predisposizione della miglior tutela possibile per le vittime»

43 le clausole di salvaguardia non fanno altro che legittimare questo

meccanismo di protezionismo nazionale.

In definitiva, con la decisione quadro 2001/220/GAI si è tentato di realizzare una sorta di statuto generale delle vittime di reato, tale da

39 Art. 2, par. 1; art. 8, par. 2; art. 11, par. 1.

40 Art. 3, par. 2; art. 4, par. 3; art. 5; art. 8, par. 2 e 4; art. 13, par. 2, lett. c). 41 Art. 4, par. 1; art. 8, par. 1; art. 9, par. 2; art. 14, par. 1; art. 15, par. 1. 42 Art. 9, par. 1.

(21)

21 richiedere agli Stati la modifica di intere parti del proprio apparato processuale, ma non si è tenuto debito conto delle caratteristiche dello strumento adottato a tal fine e della scarsa propensione degli Stati ad accettare un intervento sovranazionale così penetrante in un settore sul quale essi rivendicano ancora la propria piena sovranità nazionale.

3. La direttiva 2012/29/UE: lo statuto europeo dei diritti

della vittima di reato

La direttiva 2012/29/UE, del 25 ottobre 2012, sostituisce definitivamente la decisione quadro 2001/220/GAI e delinea un vero e proprio ''statuto europeo della vittima di reato'', in cui sono riportate norme minime sui diritti di informazione, di partecipazione, di assistenza e protezione delle vittime nel procedimento penale.

Tale direttiva rappresenta il prodotto più maturo adottato dal legislatore europeo in materia; essa si rivolge a tutte le vittime di reato, ma «non incide sulle disposizioni di più ampia portata contenute in altri atti giuridici dell'Unione che trattano in modo più mirato le specifiche esigenze di particolari categorie di vittime, quali le vittime della tratta degli esseri umani e i minori vittime di abuso e sfruttamento sessuale e pedopornografia»44.

44 Considerando n. 69. V. Convenzione del Consiglio d'Europa sulla protezione dei minori dallo sfruttamento e dagli abusi sessuali, Lanzarote, 25 ottobre 2007;

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22 Questa direttiva, sostituendo la decisione quadro 2001/220/GAI45, ha l'obiettivo di garantire un riconoscimento più esteso dei diritti della vittima e soprattutto il diritto di essa di accedere alla giustizia, di essere informata, assistita e protetta in modo adeguato e di poter partecipare attivamente al procedimento penale.

L'ambito oggettivo di applicazione della direttiva è molto esteso: essa si applica a prescindere dal tipo di reato commesso e indipendentemente dalla cittadinanza, dalla nazionalità o dal tipo di soggiorno per cui la vittima del reato si trova a stanziare in un determinato territorio dell'Unione46.

Riguardo all'ambito soggettivo di applicazione della direttiva, l'articolo 2, par. 1, lett. a) e b), individua con il termine ''vittima'' la «persona fisica che abbia subito un danno, anche fisico, mentale od emotivo, o perdite economiche che sono stati causati direttamente dal reato», includendo in questa definizione anche il «familiare di una persona la cui morte è stata causata direttamente da un reato e che ha subito un danno in conseguenza della morte di tale persona».

Per la prima volta, finalmente, la direttiva si rivolge non solo alle vittime dirette, ma anche alle vittime indirette del reato, ovvero ai familiari che

Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, Istanbul, 11 maggio 2001.

45 Considerando n. 65: «La presente direttiva è volta a modificare e ad ampliare le disposizioni della decisione quadro 2001/220/GAI. Poiché le modifiche da apportare sono considerevoli per quantità e natura, a fini di chiarezza è opportuno sostituire completamente la suddetta decisione quadro in relazione agli Stati membri che partecipano all'adozione della presente direttiva».

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23 abbiano subito una perdita a causa di quest'ultimo47. I familiari potranno perciò esercitare e godere dei diritti riconosciuti alla vittima della direttiva, nei limiti previsti dagli Stati membri, che possono adottare procedure apposite per stabilire il numero e la priorità dei familiari ammessi a beneficiare di questi diritti48.

La direttiva ha giustamente esteso in tal senso l'applicabilità della direttiva, poiché anche le persone più vicine alle vittime necessitano spesso di essere sostenute e protette dagli stessi pericoli che minacciano le vittime dirette del reato, quale il rischio di vittimizzazione secondaria, ritorsioni e intimidazioni da parte dell'autore del reato o dei suoi complici.

Affinché le disposizioni della direttiva possano divenire effettivamente efficaci, è necessario che siano supportate da una rete di collaborazione interna ed esterna agli Stati. A livello locale, le organizzazioni pubbliche, governative e non, devono collaborare con le organizzazioni della società civile che lavorano a stretto contatto con le vittime, per esempio contribuendo alle campagne di sensibilizzazione e informazione sui diritti delle vittime e fornendo dati importanti sull'impatto delle misure adottate a loro favore (considerando n. 62). A livello europeo, invece, gli Stati devono cooperare tra loro mediante lo scambio di orientamenti, raccomandazioni e di prassi positive,

47 Si intende per ''familiare'' il «coniuge, la persona che convive con la vittima in una relazione intima, nello stesso nucleo familiare e in modo stabile e continuo, i parenti in linea diretta, i fratelli e le sorelle, e le persone a carico della vittima».

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24 consultandosi reciprocamente in merito ai singoli casi e creando reti europee di assistenza alle vittime, in modo da facilitare l'accesso alle stesse ai diritti riconosciuti dalla direttiva (vedi art. 26).

Nei suoi consideranda, il legislatore europeo evidenzia il ruolo decisivo che le autorità giudiziarie possono svolgere nel favorire l'emersione di tutti quei reati che le vittime per paura spesso non denunciano49. Ecco uno dei motivi che spingono la direttiva a soffermarsi, anzitutto, sull'accoglienza che deve essere rivolta alle vittime: sin dal primo contatto con le autorità competenti, esse devono ricevere un trattamento rispettoso, sensibile, professionale e non discriminatorio, che le incoraggi ad affidare il proprio caso alla giustizia e a rompere il ciclo di vittimizzazione ripetuta al quale sono soggette.

La direttiva dedica poi il capo secondo ai diritti di informazione e sostegno alle vittime; la fase informativa è difatti essenziale nel procedimento, perché da questa dipende l'accesso effettivo delle vittime ai propri diritti e l'assunzione di scelte consapevoli50. Ovviamente, la vittima ha in ogni caso la facoltà di scegliere se ricevere o meno determinate informazioni relative al procedimento che la interessa, e la sua volontà dovrà essere rispettata dall'autorità competente, salvo che tali informazioni debbano esserle fornite per permetterle di esercitare il diritto di partecipare attivamente al procedimento51.

49 Il timore delle vittime di ripercussioni a seguito della denuncia di chi ha commesso il fatto contribuisce ad incrementare la cifra nera dei reati sommersi.

50 Consideranda n. 20-33.

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25 Il diritto di informazione della vittima può comunque ritenersi soddisfatto solo qualora sia messa nelle condizioni di comprendere le informazioni ricevute; a tal fine, l'articolo 3 dispone che le comunicazioni scritte o orali siano formulate in un linguaggio semplice e accessibile, che tenga conto delle «personali caratteristiche della vittima, comprese eventuali disabilità che possano pregiudicare» la sua capacità di comprendere le informazioni ricevute e di farsi a sua volta capire52.

Nel capo secondo, il legislatore europeo si sofferma anche sui diritti di sostegno della vittima. Poiché infatti la vittima possa prendere parte attivamente e consapevolmente al procedimento penale, necessita di punti di riferimento stabili e di un ambiente che le assicuri supporto, comprensione e rispetto; ai sensi degli articoli 8 e 9, quindi, prima, durante e per un congruo periodo di tempo dopo il procedimento penale, le vittime non devono essere lasciate sole.

A tale scopo, lo Stato rende disponibili sul territorio nazionale, in modo che tutte le vittime possano usufruirne, servizi di assistenza «riservati, gratuiti ed operanti nell'interesse della vittima»53; inoltre l'assistenza non è subordinata alla presentazione della denuncia.

I servizi generali di assistenza posso essere affiancati, quando necessario, da servizi di assistenza specialistica gratuiti e riservati,

52 Art. 3, par. 2 e considerando n. 21. 53 Consideranda n. 37-40, art. 8.

(26)

26 dedicati specificamente alle vittime che abbiano subito un «notevole danno a motivo della gravità del reato» (articolo 9, paragrafo 2), soprattutto a quelle persone che hanno bisogno di un alloggio temporaneo o una sistemazione sicura, «a causa di un imminente rischio di vittimizzazione secondaria e ripetuta, di intimidazione», ed a quelle vittime con specifiche esigenze, come chi ha subito reati a sfondo sessuale, di violenza di genere e di violenza nelle relazioni strette. Per garantire tale assistenza, la direttiva (al considerando n. 62) invita gli Stati membri a sviluppare ''sportelli unici'' che si occupino delle molteplici necessità delle vittime coinvolte in un procedimento penale. I diritti di informazione e sostegno riconosciuti alla vittima nella direttiva hanno una funzione strumentale all'esercizio dei diritti di partecipazione attiva della vittima nell'ambito del procedimento penale, cui è dedicato il capo terzo della direttiva; tra i primi diritti di tal tipo riconosciuti alla vittima, vi è il ''diritto di essere sentita'', ovvero il poter esporre la dinamica del reato e quanto da essa subito ha una funzione strumentale non solo al procedimento penale stesso e all'accertamento della verità, ma anche al percorso di elaborazione e di superamento del trauma da essa avviato a seguito del reato.

La ''fase del racconto e dell'ascolto'' si tramuta, quindi, in un momento identificativo per la vittima, di riconoscimento da parte dei consociati e

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27 di reintegrazione all'interno del tessuto sociale54 (sotto questo profilo, possiamo attribuire al procedimento penale una funzione quasi terapeutica).

La direttiva non indica in che fasi del procedimento e quali autorità debbano procedere all'audizione della vittima, ma precisa (vedi il

considerando n. 41) che il diritto di essere sentita è da ritenersi garantito

quando le è riconosciuta la possibilità di «rendere dichiarazioni o fornire spiegazioni per iscritto» e quando è attribuito loro il valore di elementi di prova all'interno del procedimento penale.

L'articolo 10 della direttiva riconosce altresì alla vittima non solo il diritto di essere sentita, ma anche quello di «fornire elementi di prova» nel procedimento penale55, cui segue «il diritto di chiedere il riesame di

una decisione di non esercitare l'azione penale» (diritto di opposizione, di cui la vittima deve essere prontamente informata, secondo l'art. 11). Oggetto di un'eventuale richiesta di riesame (da rivolgere, si intende, ad un organo diverso da quello che ha emesso la decisione in questione) possono essere solo le decisioni prese da pubblici ministeri e da giudici istruttori, oppure da autorità pubbliche, quali gli agenti di polizia, ma

54 Cfr. S. ALLEGREZZA, La riscoperta della vittima nella giustizia penale europea, in AA.VV., Lo scudo e la spada, op.cit., pag. 24.

55 Cfr. G. ILLUMINATI, La vittima come testimone, in AA.VV., Lo statuto europeo delle vittime di reato, op.cit., pag. 66, concorda con la scissione di questi due diritti, poiché afferma che la testimonianza, sebbene rappresenti uno degli strumenti più importanti, non esaurisce i mezzi di prova messi a disposizione della vittima per contribuire all'accertamento dei fatti.

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28 non le decisioni prese dalla magistratura giudicante (si veda il

considerando n. 43).

Successivamente, la direttiva espone i diritti di carattere economico, garantendo alla vittima l'accesso al patrocinio gratuito dello Stato (art. 13); il diritto di chiedere il rimborso delle spese sostenute per partecipare attivamente al procedimento (art. 14); il diritto alla restituzione dei beni eventualmente sequestrati (art. 15); il diritto al risarcimento dei danni, ''entro un ragionevole lasso di tempo'' (art. 16).

Il capo quarto è invece dedicato alla protezione della vittima dal rischio di «vittimizzazione secondaria e ripetuta, intimidazioni e ritorsioni, compreso il rischio di danni emotivi o psicologici», predisponendo anche, se necessario, apposite procedure volte a tutelare l'integrità fisica e «salvaguardare la dignità della vittima durante gli interrogatori o le testimonianze» (art. 18).

È necessario quindi che il procedimento venga condotto «in modo coordinato e rispettoso» da parte delle autorità competenti, anzitutto predisponendo misure adeguate, atte ad evitare l'interazione non necessaria tra vittima e autore del reato (a meno che ciò non sia imposto dal procedimento stesso); inoltre tutelando la vittima durante le indagini penali, momento molto delicato.

3.1. Le vittime con esigenze specifiche di protezione e la

valutazione individuale

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29 Da un primo raffronto superficiale tra la direttiva 2012/29/UE e gli atti che la precedono è la mancanza di riferimenti alle ''vittime vulnerabili''56: infatti le misure di protezione della vittima viste fino ad ora nella direttiva si rivolgono a tutte le vittime di reato, essendo tutele a carattere generale volte a salvaguardare le vittime e i loro familiari, senza distinzioni in base alle loro caratteristiche soggettive o alle circostanze oggettive del reato.

Tuttavia, approfondendo l'analisi della direttiva, emerge come l'Unione Europea non abbia tralasciato, ma semmai abbia rinnovato, la centralità riconosciuta alle vittime vulnerabili.

Abbiamo precedentemente visto che la decisione quadro 2001/220/GAI individuava, all'interno del genus delle vittime di reato, delle species particolari di vittime che, per via delle proprie caratteristiche personali o del tipo di reato subito o per entrambi questi elementi, necessitavano di un trattamento differenziato durante il procedimento penale (predisponeva così tre categorie).

Il concetto di ''vulnerabilità'', tuttavia, mal si presta a categorizzazioni, essendo destinato a mutare significato nel tempo, in base all'andamento

56 S. ALLEGREZZA, Vulnerabilità e tutela penale della vittima, in AA.VV., Giustizia, più diritti meno vittime. La tutela delle vittime nel solco delle indicazioni europee, Atti del Convegno presso la Camera dei deputati – Sala del Mappamondo, Roma, 12 dicembre 2014, p. 65 ss; M. GIALUZ, Lo statuto europeo delle vittime vulnerabili, in S. ALLEGREZZA, H. BELLUTA, M. GIALUZ, L. LUPARIA, Lo scudo e la spada. Esigenze di protezione e poteri delle vittime nel processo penale tra Europa e Italia, Torino, 2012, p. 59 ss.

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30 del comune sentire e dei fenomeni considerati allarmanti dalla società civile, prestandosi quindi a interpretazioni diverse tra i diversi Stati ma anche all'interno di un singolo Paese. Perciò, inserendo le vittime che necessitano di una tutela rafforzata in una categoria delimitata da criteri fissi, come l'età, il sesso, lo specifico tipo di reato subito, si rischia di escludere altri soggetti che, pur non rispondendo ai canoni previsti dalla legge, hanno altrettanto bisogno di protezione.

È per questi motivi che il legislatore europeo decide di abbandonare la strada della tipicità a favore di un percorso più flessibile, che tenga conto caso per caso delle esigenze delle vittime che hanno effettivamente necessità di un trattamento specifico.

Il nuovo parametro di riferimento diventa quindi la ''vulnerabilità atipica'': la direttiva non si rivolge più alle ''vittime vulnerabili'', ma alle «vittime con specifica esigenza di protezione», individuate, dall'articolo 22, mediante una valutazione individuale, cui devono essere sottoposte tempestivamente tutte le vittime di reato, per verificare il loro «rischio di vittimizzazione secondaria e ripetuta, di intimidazioni e di ritorsioni». La valutazione individuale deve dedicare particolare attenzione alla «gravità del reato, al danno notevole subito dalla vittima a seguito dello stesso, alle caratteristiche personali della vittima, quali età, religione, razza, genere, identità o espressione di genere, e al livello di dipendenza che lega la vittima all'autore del reato» e, qualora questi elementi

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31 cambino «in modo sostanziale» durante il corso del procedimento, dovrà essere aggiornata di conseguenza57

L'articolo 22 dispone quindi che le vittime che, a seguito dell’individual

assessment, risultino particolarmente esposte ai rischi sopraindicati,

potranno beneficiare, nel corso del procedimento penale, delle «misure di protezione speciali» previste dagli articoli 23 e 24.

La portata di queste speciali misure di protezione dovrebbe essere comunque determinata «lasciando impregiudicati i diritti della difesa e nel rispetto della discrezionalità giudiziale», e inoltre «le preoccupazioni e i timori delle vittime in relazione al procedimento dovrebbero essere fattori chiave nel determinare l'eventuale necessità di misure particolari» (considerando n. 58).

Il diverso approccio adottato dalla direttiva, tuttavia, non è rivolto a disconoscere quanto riscontrato in precedenza, ovvero che alcune categorie di vittime ''particolarmente vulnerabili'' sono oggettivamente più esposte di altre ai rischi di vittimizzazione, secondaria, ripetuta o ad atti di intimidazione o ritorsione.

Infatti, nei suoi consideranda (n. 38-40) e nell'articolo 22, par. 2, la direttiva richiede agli Stati che venga rivolta particolare attenzione alle vittime con disabilità, che devono essere messe in condizione di poter beneficiare pienamente dei diritti previsti dalla direttiva, agevolando l'accessibilità ai luoghi del procedimento penale e alle informazioni (v.

(32)

32

considerando n. 15); alle vittime di terrorismo, poiché, a causa della

particolare natura del reato subìto, «possono trovarsi particolarmente esposte all'opinione pubblica» (considerando n. 16); alle vittime di violenza di genere e della violenza nelle relazioni strette58, perché entrambe comportano una violazione delle libertà fondamentali della vittima e possono includere «la violenza fisica, sessuale, psicologica o economica e provocare un danno fisico, mentale o emotivo, o perdite economiche» alla vittima (considerando n. 17).

Le donne sono le principali vittime di questi tipi di violenza, e necessitano quindi di «un'assistenza e protezione speciali, a causa dell'elevato rischio di vittimizzazione secondaria e ripetuta, di intimidazione e ritorsioni connesso a tale violenza»59.

Detto ciò, è senz'altro vero che le vittime poc'anzi indicate, rese vulnerabili dalle proprie caratteristiche personali o da reati particolarmente gravosi, sono maggiormente esposte agli effetti negativi che possono derivare dalla partecipazione al procedimento penale60, ma è altrettanto giusto specificare che la valutazione individuale, oltre a confermare la necessità di adottare misure specifiche di tutela nei loro

58 La violenza di genere è la «violenza diretta contro una persona a causa del suo genere, della sua identità di genere o della sua espressione di genere o che colpisce in modo sproporzionato le persone di un particolare genere» (considerando n. 17). La violenza nelle relazioni strette è quella «commessa da una persona che è l'attuale o l'ex coniuge o partner della vittima ovvero da un altro membro della sua famiglia, a prescindere dal fatto che l'autore del reato conviva o abbia convissuto con la vittima» (considerando n. 18).

59 Considerando n. 17. 60 Consideranda n. 52-59.

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33 confronti, potrà anche individuare altre vittime ugualmente a rischio, seppure mancanti delle caratteristiche appena viste.

Nell'articolo 23 si prevede che durante le indagini, «le vittime con specifiche esigenze di protezione individuate a norma dell'articolo 22, paragrafo 1, possono avvalersi delle misure speciali seguenti: a) le audizioni della vittima si svolgono in locali appositi o adattati allo scopo; b) le audizioni della vittima sono effettuate da o tramite operatori formati a tale scopo; c) tutte le audizioni della vittima sono svolte dalle stesse persone, a meno che ciò sia contrario alla buona amministrazione della giustizia; d) tutte le audizioni delle vittime di violenza sessuale, di violenza di genere o di violenza nelle relazioni strette, salvo il caso in cui siano svolte da un pubblico ministero o da un giudice, sono svolte da una persona dello stesso sesso della vittima, qualora la vittima lo desideri, a condizione che non risulti pregiudicato lo svolgimento del procedimento penale».

Nel corso poi di tutto il procedimento penale, la vittima deve essere messa in grado di poter evitare il contatto visivo con gli autori dei retai, anche durante le deposizioni e di poter essere sentita in aula senza essere fisicamente presente, ricorrendo in entrambi i casi ad appropriate tecnologie di comunicazione61. Inoltre, devono essere previste misure atte a tutelare la privacy della vittima durante le audizioni, proteggendola da «domande non necessarie sulla vita privata senza

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34 rapporto con il reato» e dalla pubblicità dell'udienza, permettendo che essa si svolga, se necessario, a porte chiuse62.

L'adozione di queste misure è rimessa alla discrezionalità del giudice e non deve impedire l'esercizio dei diritti di difesa dell'imputato: l'adozione delle misure sopra viste dovrà essere sacrificata nel caso la vittima debba essere sentita con urgenza per non pregiudicare lo svolgimento del procedimento o per scongiurare il rischio di un danno derivante a lei o ad un'altra persona63.

I minori sono le uniche vittime di reato le cui esigenze specifiche di protezione sono presunte dalla direttiva; nell'affermare che «l'interesse superiore del minore deve essere considerato preminente», si aggiunge che le vittime minorenni dovrebbero essere considerate e trattate quali detentori a pieno titolo dei diritti previsti in essa, e «dovrebbero poter esercitare i loro diritti in un modo che tenga conto della loro capacità di formarsi opinioni proprie»64.

Il legislatore europeo quindi riconosce le indubbie esigenze di tutela particolari del minore, ma al contempo invita gli Stati a considerarlo come un soggetto capace di autodeterminazione.

La valutazione individuale deve venire effettuata anche sui minori, ma, essendo nei loro confronti presunta la necessità di misure di protezione speciali, in questo caso la funzione è quella di determinare quali misure

62 Art. 23, par. 3, lett. c) e d).

63 Cfr. considerando n. 59; art. 23, par. 1. 64 Considerando n.14.

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35 speciali debbano essere adottate nei loro riguardi, tra quelle disposte dagli articoli 23 e 24.

L'articolo 24 disciplina le misure di protezione che possono essere adottate solo a favore dei minori di età certa inferiore agli anni diciotto65, ma anche a favore di quei soggetti di cui l'età sia incerta ma vi sia motivo di ritenere che si tratti di un minore66.

I meccanismi di tutela qui indicati sono essenzialmente tre: il primo riguarda le modalità di audizione della vittima minorenne, gli altri due la rappresentanza e l'assistenza legale che devono essergli fornite nell'ambito del procedimento.

Riguardo alla prima misura, si stabilisce che nel corso delle indagini penali tutte le audizioni del minore possano essere oggetto di registrazione audiovisiva e possano essere utilizzate come prova nel procedimento penale, con le modalità previste dal diritto nazionale (art. 24, par. 1, lett. a)). Riguardo alle altre due, qualora il minore non sia accompagnato o sia separato dal nucleo familiare o qualora chi esercita la potestà genitoriale non possa rappresentare il minore in giudizio per via di un conflitto di interessi con quest'ultimo, esso dovrà essere assistito da un rappresentante speciale, nel rispetto del ruolo riconosciuto alla vittima dal diritto nazionale; nel caso poi in cui il

65 La definizione di ''minore'' è contenuta nell'art. 2, par. 1, lett. c).

66 Art. 24, par. 2.: «Ove l'età della vittima risulti incerta e vi sia motivo di ritenere che si tratti di un minore, ai fini della presente direttiva si presume che la vittima sia un minore.».

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36 minore vittima abbia diritto ad un avvocato, avrà, secondo quanto stabilito dall'art. 24, par. 1, lett. a), «diritto anche alla consulenza e rappresentanza legale, in nome proprio, nell'ambito di procedimenti in cui sussiste, o potrebbe sussistere, un conflitto di interessi tra il minore vittima di reato e i titolari della potestà genitoriale».

Infine, per garantire che alle vittime sia riservato un trattamento imparziale, rispettoso e professionale, è opportuno che le persone implicate nella valutazione individuale per identificare le esigenze specifiche di protezione ricevano una formazione specifica sulle modalità per procedere a tale valutazione67. L'assenza, tuttavia, di indicazioni precise in merito ai punti essenziali della valutazione individuale, lascia numerosi punti interrogativi e sarebbe necessario un ulteriore intervento del legislatore o un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, per dissipare i dubbi permanenti al riguardo.

3.2. Ulteriori considerazioni sull'efficacia della direttiva

2012/29/UE

Con la direttiva 2012/29/UE, il legislatore europeo riprende sostanzialmente le fila del progetto avviato con la decisione quadro 2001/220/GAI, con l'obiettivo di porre rimedio ai difetti che avevano

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37 impedito a tale documento di conseguire i risultati sperati. L'Unione Europea pretende dagli Stati un impegno concreto nel processo di armonizzazione dei propri ordinamenti e di accantonamento delle peculiarità nazionali a favore dell'adozione di uno ''Statuto europeo delle vittime di reato'', il cui raggio di azione si estenda su tutto il territorio europeo68.

Dal punto di vista dell'efficacia, il cambio di strumento giuridico rappresenta senz'altro di per sé un importante passo in avanti: a differenza della decisione quadro, la direttiva gode di una vincolatività giuridica maggiore, che le consente di imporsi all'attenzione dei singoli Stati, ''costringendoli'' ad adeguarsi alle sue linee guida, alla ricerca di un percorso comune.

Anche da un punto di vista dei contenuti, le differenze tra la direttiva e la decisione quadro sono sostanziali: la prima gode di un ambito di applicazione più ampio rispetto alla seconda, poiché include nella definizione di ''vittima'' anche i familiari delle persone offese dal reato, garantendo perciò anche alle vittime indirette quei diritti previsti in origine soltanto per le vittime dirette. La direttiva inoltre rafforza la posizione della vittima durante tutto il procedimento, e, soprattutto, ha il pregio di presentare, quale aspetto innovativo, lo strumento della

68 S. ALLEGREZZA, Il ruolo della vittima nella direttiva 2012/29/UE, in AA.VV., Lo statuto europeo delle vittime di reato, op.cit., pag. 5.

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38 valutazione individuale, che rappresenta un passo avanti in direzione dell'''umanizzazione'' del trattamento delle vittime.

La direttiva, tuttavia non manca di aspetti critici: oltre all'assenza di precise indicazioni in merito alle modalità con cui deve essere effettuata la valutazione individuale, riconosce agli stati un ampio ''spazio di manovra'' in merito al modo in cui si devono intendere alcuni diritti previsti nel suo dettato, e questo, come si può facilmente comprendere, rischia di compromettere il raggiungimento di un risultato omogeneo all'interno dello spazio giuridico europeo.

4. La Convenzione di Lanzarote

La Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei bambini contro lo sfruttamento e gli abusi sessuali, adottata il 25 ottobre 2007, comunemente identificata come Convenzione di Lanzarote, codifica (insieme alla Convenzione di Istanbul, di cui tratteremo nel prossimo paragrafo) un importante arresto giurisprudenziale69, in conseguenza del

quale l'Italia, con la legge n. 172/2012, ha modificato alcune disposizioni del codice penale e del codice di procedura penale.

69 Per un approfondimento sul tema si veda S. MARTELLI, Le convenzioni di Lanzarote e Istanbul: un quadro d'insieme, in L. LUPARIA, Lo statuto europeo delle vittime di reato, modelli di tutela tra diritti dell'unione e buone pratiche nazionali, Padova, 2015, pp. 31-38.

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39 La Convenzione, come chiarito all'articolo 1, è stata stipulata con l'obiettivo di far adottare agli Stati contraenti le misure necessarie per garantire assistenza, a breve e a lungo termine, ai minorenni che siano vittime di abusi e ai loro familiari; un'assistenza che è quindi finalizzata ad un ristabilimento fisico e psicosociale, tenendo in debita considerazione le opinioni e le preoccupazioni del minore70.

Mentre l'articolo 2 afferma che le Parti contraenti devono dar attuazione alle misure previste tenendo ben presente il principio di non discriminazione, l'articolo 3 precisa che il termine ''minore'' indica una persona di età inferiore ai diciotto anni e il termine ''vittima'' designa ogni minore oggetto di sfruttamento o abuso sessuale71.

La Convenzione persegue il dichiarato obiettivo di tutela attraverso una serie di obblighi repressivi in capo alle Parti contraenti72, corredati da una serie di disposizioni a carattere processuale73.

Ad ogni modo, è nell'articolo 30, commi 1-2, che vengono in evidenza i due assi portanti della Convenzione, ovvero «fare del processo penale uno strumento di tutela della vittima e, al contempo, proteggere la vittima dalla violenza del processo»74; al comma 4 si precisa tuttavia che

70 Come afferma l'articolo 1 della Convenzione di Lanzarote, essa ha l'obiettivo di: «a) prevenire e combattere lo sfruttamento e l'abuso sessuale di minori; b) tutelare i diritti dei minori vittime di sfruttamento e di abuso sessuale; c) promuovere la cooperazione nazionale e internazionale contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale dei minori». 71 Tali comportamenti trovano definizione negli articoli 18-23 della Convenzione. 72 A tal proposito, si vedano gli articoli 18-29 della Convenzione.

73 A tal proposito si vedano gli articoli 30-36.

74 S. ALLEGREZZA, La riscoperta della vittima nella giustizia penale europea in Lo scudo e la spada. Esigenze di protezione e poteri delle vittime nel processo penale tra Europa e Italia, Torino, 2012, pag. 17.

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40 le misure adottate dalle Parti non devono pregiudicare i diritti della difesa e le esigenze di un processo equo e imparziale, conformemente all'articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali.

Quanto alle disposizioni che mirano a difendere il minore attraverso il processo penale, si richiede agli Stati aderenti che le indagini e i procedimenti penali siano trattati in via prioritaria e senza ritardi ingiustificati, che siano ''efficaci'' e «che consentano, se del caso, di condurre operazioni di infiltrazione» (art. 30, commi 3 e 5).

Riguardo alle misure generali di protezione, l'articolo 31 stabilisce che ciascuna delle Parti debba adottare gli interventi legislativi o di altra natura, necessari per tutelare i diritti e gli interessi delle vittime, soprattutto in quanto testimoni, in tutte le fasi delle indagini e dei procedimenti penali, e in particolare: informandole circa i loro diritti, i servizi disponibili, il seguito della loro denuncia e del procedimento penale, fino alla decisione resa75; consentendo alle vittime di essere sentite, di fornire elementi di prova e di scegliere le modalità di presentazione e di valutazione dei propri pareri e delle proprie necessità; prevedendo per le vittime il diritto ad un'assistenza legale, fornita gratuitamente ove ne sussistano i requisiti, quando possono avere la qualità di parte nel procedimento penale; prevedendo la possibilità di designare un rappresentante speciale della vittima, quando i titolari della

75 Tali informazioni devono essere fornite in maniera adatta alla loro età e al loro grado di maturità, in una lingua che possano comprendere.

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