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CONTRIBUTI SCIENTIFICI DI AGGIORNAMENTO

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• Il governo clinico

Castellucci Marzia

Master in Management, Infermiera presso l’UO Lungodegenza, AUSL Imola

Nanni Ivana

Dottore in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche, Responsabile

Sviluppo organizzativo e professionale, AUSL Imola

Definizione di governo clinico e ri- ferimenti normativi

Il concetto di governo clinico, tradu- zione italiana del termine “clinical go- vernance”, è stato introdotto in Inghil- terra alla fine degli anni ’90, nell’ambi- to di un processo di modernizzazione dei servizi, caratterizzato soprattutto dall’impegno di innalzare gli standard di qualità delle prestazioni offerte.

Il governo clinico viene definito infatti nel documento “ A First Class Service:

Quality in the new NHS” come “il si- stema attraverso il quale le organizza- zioni sanitarie si rendono disponibili per il miglioramento continuo dei loro servizi e garantiscono elevati stan- dards di performance assistenziale, assicurando condizioni ottimali nelle quali viene favorita l’eccellenza clini- ca, nel limite delle risorse disponibili”

Secondo D.B. Freedman “il governo clinico può essere considerato un cambiamento generale della cultura del sistema che fornisce i mezzi per lo sviluppo delle capacità organizza- tive necessarie ad erogare un servizio di assistenza sostenibile, responsabile, centrato sui pazienti e di qualità”.

Con questa definizione si capisce che la qualità non viene più vista come un elemento separato dal contesto ma viene vista assieme all’efficacia e all’appropriatezza clinica e organizza- tiva, parte integrante dell’attività isti- tuzionale.

Il governo clinico pur rappresentando qualcosa di nuovo, non contiene al suo interno nessun elemento innovativo, ma suggerisce un approccio sistemati- co ed integrato di metodologie già pre- senti nel sistema sanitario; intende ren- dere ogni azione coerente e finalizzata alla qualità dell’assistenza ed al suo miglioramento; vuole inoltre mettere in grado l’organizzazione di evolvere

CONTRIBUTI SCIENTIFICI DI AGGIORNAMENTO

sviluppando meccanismi di feed-back che permettono di apprendere conti- nuamente dalle proprie esperienze at- traverso la valutazione degli esiti.

In Italia i principi del governo clinico sono stati affermati attraverso il Piano Sanitario Nazionale 1998-2000 ed in particolare, recepiti tempestivamente dalla Regione Emilia-Romagna con il Piano Sanitario Regionale 1999-2001, dove si afferma che il governo clinico è il cuore delle organizzazioni sanita- rie e investe tutto il sistema organizza- tivo, tanto l’ambito strategico quanto quello strutturale e operativo. Il PSN 1998/2000 ha apportato anche altre novità introducendo i principi di effi- cacia e appropriatezza definendo che

“[…]le risorse devono essere indirizza- te verso le prestazioni la cui efficacia è riconosciuta in base alle evidenze scientifiche e verso i soggetti che mag- giormente ne possono trarre beneficio […]” Anche il D.Lgs. 229/99 (avente come oggetto il riordino del Servizio Sanitario Nazionale riforma ter) pren- de in considerazione il governo clinico affidando la responsabilità dello stes- so al Direttore Sanitario, identificando nel Collegio di Direzione l’organo de- putato a occuparsene a livello azien- dale. Questo significa che, nonostante a livello regionale vengano dati indi- rizzi generali in riferimento alle mo- dalità da adottare per raggiungere gli obiettivi che il governo clinico si pre- figge, esiste comunque una autonomia aziendale. Inoltre il D.Lgs 229/99, in una logica di governo clinico, sollecita scelte di governo regionali verso crite- ri di accreditamento dei servizi e dei professionisti.

In base a quanto affermato si capisce come la realizzazione degli obiettivi del governo clinico richieda scelte e interventi ai diversi ambiti di governo dei servizi sanitari: a livello macro (re- gionale) meso (inter e intra aziendale) micro (livello decisionale rappresen- tato dal singolo team di operatori).

Questi interventi hanno lo scopo di indirizzare in modo sistemico l’atten- zione dei “decisori” alla capacità dei servizi di erogare interventi efficaci ed appropriati.

Le motivazioni dell’agire professio- nale secondo i principi del governo clinico

Perché è diventato necessario e prio- ritario agire in base ai principi del go- verno clinico?

Il mondo della sanità ha vissuto una fase storica dove l’attenzione princi- pale era concentrata sulla necessità di contenere i costi, fase iniziata con il processo di aziendalizzazione. A par- tire dagli anni ‘90 il concetto di con-

trollo della spesa sanitaria è divenuto sempre più urgente con la raziona- lizzazione delle risorse da destinare all’assistenza sanitaria, risorse che sono divenute limitate rispetto ai bi- sogni di assistenza della popolazione che sono invece aumentati.

Con il passare degli anni nei contesti sanitari si è sviluppata la consapevo- lezza che l’efficacia clinica delle pre- stazioni e l’appropriatezza del loro utilizzo nella pratica devono rappre- sentare un interesse primario, metten- do così in evidenza come negli anni passati fosse stata trascurata una di- mensione importante della qualità dell’assistenza cioè la capacità dei ser- vizi e degli operatori di mantenere le performance professionali su standard accettabili in termini di risultati clinici e di appropriatezza degli interventi.

L’ultima fase di questa evoluzione che stiamo vivendo tutt’ora è rivolta a ricercare il continuo miglioramento della qualità. Con il termine di qualità dell’assistenza si fa riferimento, oltre a concetti di efficienza ed efficacia, ad elementi quali l’appropriatezza, o l’equità di accesso alle cure, la parteci- pazione degli utenti. Queste conside- razioni rappresentano il presupposto per l’introduzione della “clinical go- vernance”.

Si è osservato che nell’operatività quotidiana e nella scelta strategica di dove allocare le risorse disponibili è fondamentale agire attraverso l’inte- grazione del lavoro di clinici e gestori.

Il termine stesso di governo clinico ri- chiama i due elementi attivi nel siste- ma: chi “governa”, dirige e gestisce le risorse, cioè gli amministratori e chi è impegnato nell’attività clinica cioè i professionisti, i medici, gli infermieri nonché tutte le professioni sanitarie.

Spesso queste due componenti del sistema sanitario, proprio per forma- zione culturale diversa rivolgono più attenzione ad alcuni obiettivi rispetto ad altri, infatti, mentre i “clinici “ sono a stretto contatto con il paziente con la responsabilità di assicurare inter- venti diagnostici, terapeutici, assisten- ziali di buona qualità, chi “governa” ha responsabilità gestionali, amministra- tive, economiche.

Separare le componenti gestionali/

amministrative dalle cliniche crea:

• tensione, conflittualità e demotiva- zione;

• mancanza di obiettivi strategici con- divisi;

• eccessiva enfasi negli strumenti di gestione/controllo;

• rallentamento nella crescita cultura- le e responsabilizzazione dei profes- sionisti.

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L’isolamento del mondo clinico può produrre:

• autoreferenzialità ed arroccamento;

• continua ricerca della “fuga” e scar- so senso di appartenenza alla “causa comune” aziendale;

• incapacità a comprendere e discute- re obiettivi condivisi di cambiamen- to.

L’isolamento del mondo degli ammini- stratori può produrre:

• incomprensione per le problemati- che cliniche;

• ricerca quasi esclusiva di soluzioni organizzative/amministrative;

• adozione di politiche incoerenti ri- spetto ad obiettivi di efficacia ed ap- propriatezza.

In definitiva il governo clinico potreb- be costituire quel “ponte che colma il gap, tra l’approccio manageriale e quello clinico, alla qualità dell’assi- stenza sanitaria” (Buetow, Roland, 1998).

Il governo clinico attraverso una si- stematica e continuativa valutazione dei processi assistenziali favorisce il miglioramento continuo della qualità delle prestazioni. Le professioni sani- tarie rappresentano in questo contesto i soggetti che consentono la realizza- zione, sia nella fase di progettazione che nella fase dell’attività lavorativa, del governo clinico quali attività di ri- cerca delle evidenze scientifiche, l’au- dit clinico, la gestione del rischio, la formazione continua etc.

Gli elementi necessari all’introdu- zione del governo clinico

Affinché il Governo clinico possa rea- lizzarsi è necessario saper individua- re e selezionare gli interventi sanitari efficaci ed appropriati e le modalità necessarie ad implementarli efficace- mente.

Per efficacia clinica si intende il mi- glioramento della salute, in un pa- ziente o in un gruppo di pazienti, che è possibile ottenere in base alle risor- se disponibili.

Per appropriatezza si fa riferimento a quando viene offerto al paziente qual- cosa che gli serve e non lo danneggia, al momento giusto a al giusto livello assistenziale.

Il Governo Clinico si basa fondamen- talmente sullo sviluppo di una cultura che promuova e supporti il migliora- mento della pratica e dell’assistenza al paziente. Sviluppare una giusta cultu- ra è forse una delle più grosse sfide del Governo Clinico e non accadrà in breve tempo. Una cultura che inco- raggi discussioni franche e riflessioni sulla pratica consente agli operatori di imparare dalla propria esperienza.

Questo include sia il congratularsi per

ciò che è stato fatto bene, sia l’impara- re da ciò che è stato fatto meno bene.

Se un’organizzazione si prefigge di in- coraggiare i clinici a riferire gli errori commessi e ad imparare da essi, deve sviluppare una cultura di crescita piut- tosto che una cultura centrata su pro- cedimenti disciplinari (punitiva).

Un’assistenza di alta qualità richiede inoltre un effettivo lavoro multidisci- plinare allo scopo di consentire un approccio integrato basato sui per- corsi assistenziali. (superando i cam- panilismi). E’ necessario ricordare che nell’ottica del governo clinico, il risultato degli interventi è dato non dall’abilità e capacità tecnica del sin- golo operatore, ma dalla buona capa- cità operativa del team.

La collaborazione deve essere fra pro- fessionisti, ma estesa anche ai pazien- ti, coinvolgendoli nelle decisioni ri- guardanti il loro trattamento.

Altro importante elemento per pote- re ottenere una assistenza di buona qualità è la responsabilizzazione de- gli operatori. Responsabilizzazione che deve essere sia individuale che di equipe per tutelare alti standard assistenziali, favorendo un ambiente in cui l’eccellenza clinica assistenziale possa svilupparsi. Questa responsabi- lizzazione implica la disponibilità dei professionisti a sottoporsi a forme di controllo e monitoraggio delle pre- stazioni (audit) secondo principi di valutazione professionale condivisi.

In questo modo il professionista man- tiene margini di autonomia, consape- vole però che le proprie prestazioni saranno oggetto di valutazione basate su principi definiti e condivisi dalla professione stessa.

Altro elemento importante è il coin- volgimento attivo dei cittadini (par- tecipazione) attraverso una politica di comunicazione e informazione da parte dell’organizzazione affinché migliori la consapevolezza rispetto a quanto l’utente può attendersi dagli interventi sanitari. Migliorando la co- municazione con il paziente si otterrà una maggiore collaborazione favoren- do comportamenti che facilitano il raggiungimento degli obiettivi clini- ci. Significa anche responsabilizzare il paziente (empowerment) in modo che sia in grado di attuare delle scelte autonome quando ci sono diverse op- zioni diagnostico terapeutiche di pari efficacia scegliendo quella più adatta alle sue esigenze.

L’organizzazione in cui si potrà avere la migliore realizzazione del governo clinico è l’organizzazione di tipo di- partimentale, assetto che favorisce una visione integrata dell’assistenza

centrata sul paziente e sul suo per- corso assistenziale. Consente inoltre l’utilizzo ottimale delle risorse, pro- muovendo la formazione e l’applica- zione di linee guida, facilitando così lo sviluppo della collaborazione.

Per realizzare il suo obiettivo il gover- no clinico non utilizza nuovi strumen- ti, ma ripropone quelli già conosciuti e li integra in una struttura, una moda- lità di lavoro e una cultura nuova.

Cosa molto importante è sapere che è impensabile attuare programmi di cli- nical governance senza il pieno con- senso dei professionisti. E’ necessario anche interiorizzare una nuova coltura nella quale manager e professionisti, nel diverso ruolo si sentano fortemen- te responsabilizzati sul miglioramento della performance sanitaria senza tra- scurare la ricerca dell’equilibrio eco- nomico-finanziario.

Gli strumenti applicativi

Gli strumenti del governo clinico, che vediamo qui in elenco separati, in re- altà sono complementari ed integrati fra di loro.

Formazione continua: per un pro- -

fessionista è sicuramente indispen- sabile curare la propria formazione continua in quanto tutto ciò che si apprende viene superato molto ve- locemente dalla rapida introduzione di nuove tecnologie, è uno strumen- to per mantenere adeguati livelli di conoscenze e competenze e per- mette di garantire un livello elevato delle prestazioni. E’ necessario con- solidare la cultura della formazione continua negli operatori sanitari, in- fatti lo sviluppo professionale è una precisa responsabilità delle aziende nei confronti del professionista, ma è anche un dovere di tutti i profes- sionisti. E’ necessario che i program- mi formativi inducano mutamenti comportamentali della pratica cli- nico-assistenziale e che questi sia- no coerenti con i piani di sviluppo dell’azienda.

Audit clinico: è lo strumento di go- -

verno clinico che ha come obiettivo analizzare e valutare la qualità della pratica clinica in una determinata or- ganizzazione attraverso l’utilizzo di metodi definiti e rigorosi con l’obiet- tivo di migliorare la qualità dell’assi- stenza che viene fornita ai pazienti.

Aspetti della struttura, dei processi e degli esiti dell’assistenza vengo- no selezionati e valutati in base agli standard di riferimento e se è neces- sario verranno implementati i cam- biamenti che, nel tempo verranno poi monitorati per confermare il mi- glioramento dell’assistenza erogata.

L’audit clinico è anche una strategia

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per l’ implementazione delle linee guida o le prove di efficacia.

EBN/EBM/EBHC: con l’avvio di que- -

sti approcci si è iniziato a sottoporre gli interventi sanitari a verifiche di efficacia e appropriatezza. Questi approcci fondano le proprie deci- sioni cliniche su prove scientifiche prodotte da studi metodologicamen- te rigorosi. Le organizzazioni in que- sto caso devono facilitare l’accesso da parte di tutti i professionisti a tali strumenti per consentire ai profes- sionisti, forti delle nuove evidenze, di migliorare il proprio operato e agire, nell’interesse della persona assistita, fornendo le cure più ap- propriate.

Risk management:” il rischio clinico -

è la probabilità che un cliente sia vittima di un evento avverso, cioè subisca un qualsiasi danno o disa- gio imputabile, anche se in modo involontario, alle cure mediche pre- state durante il periodo di degenza, che causano un prolungamento del periodo di degenza, un peggiora- mento delle condizioni di salute o la morte”.(Kohn. IOM 1999) Ricordia- mo che meno del 10% degli eventi avversi è dovuto all’incompetenza dei singoli operatori, il 90% all’in- competenza del sistema organizza- tivo. (Ovretveit, 2004). Da queste due informazioni già si capisce che è necessario considerare l’errore come un difetto del sistema e non come errore del singolo professioni- sta; ricordiamo inoltre che l’errore è un componente ineliminabile dalla realtà umana. Quando nelle struttu- re sanitarie si parla di “gestione del rischio” si deve intendere il metodo con cui si affronta in modo sistema- tico il tema della sicurezza. In sani- tà quando si parla di gestione del rischio si intendono tutti quegli atti volti a ridurre danni o eventi avversi correlati con le prestazioni sanita- rie. Per migliorare la qualità è ne- cessario ridurre gli errori e questo implica un cambiamento culturale.

L’approccio giusto per ridurre gli errori presuppone imparare da essi, introducendo inoltre nelle organiz- zazioni misure protettive e preven- tive. Da evitare il sistema punitivo che porta a nascondere gli errori e non a ridurli, promuovere un clima comprensivo che porti alla segna- lazione spontanea degli errori che determinano eventi avversi o near miss (scheda di incident reporting).

Questo sistema di segnalazioni deve vedere coinvolti i sistemi locali, re- gionali e nazionali.

La gestione dei reclami: la procedu- -

ra di gestione dei reclami deve esse- re aziendale, ma deve prevedere una prima fase che dovrebbe avvenire all’interno dell’unità in cui si è veri- ficato il problema, perché spesso è in quella sede che c’è la possibilità di imparare, di fare in modo che il problema non si ripresenti, di tro- vare la soluzione semplicemente in- staurando una relazione con l’utente basata sull’ascolto. Anche una effi- cace documentazione degli eventi è importante ai fini delle indagini che riguardano i reclami avanzati; se le prestazioni assistenziali o terapeuti- che non sono documentate corret- tamente sarà difficile sapere cosa sia realmente accaduto a coloro che hanno avanzato il reclamo, la docu- mentazione oltre che un dovere del professionista è uno strumento di tutela degli operatori.

Linee guida e percorsi assistenziali:

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le linee guida non sono altro che raccomandazioni di condotta clini- ca elaborate attraverso un processo sistematico che hanno lo scopo di aiutare gli operatori e gli assistiti a decidere quali modalità assistenziali siano più appropriate in specifiche situazioni cliniche. Il governo clini- co prevede l’adattamento delle linee giuda nazionali o internazionali, verificandone prima la loro qualità metodologica. Lo strumento definito Agree, creato dal Ministero della Sa- lute e dal Ceveas per la valutazione delle linee guida, ci può essere di aiuto per verificare la qualità delle stesse orientandone poi la scelta. E’

necessario poi diffonderle ed imple- mentarle valutandone l’impatto con indicatori di processo e se possibi- le di esito. Ricordiamo che esistono le cosiddette “aree grigie” che sono settori dell’assistenza/medicina dove non esistono ricerche di buona qua- lità. Queste aree dovrebbero essere la base per poter avviare dei futuri progetti di ricerca.

I percorsi assistenziali, sono definiti come “piani di assistenza integrati che delineano il processo di assistenza per una particolare condizione dall’am- missione alla dimissione”. I percor- si assistenziali sono predisposti per popolazioni selezionate sulla base di una diagnosi medica, una terapia ecc., hanno un carattere interdisciplinare, mirano a rendere omogenei i compor- tamenti dei professionisti e a migliora- re la comunicazione

Sistema informativo: la comunica- -

zione che per definizione è lo scam- bio bidirezionale delle informazio- ni può avvenire tra professionisti e professionisti, tra questi e i pazienti

e tra l’organizzazione e l’esterno.

L’organizzazione deve permettere al paziente di accedere per discutere e decidere assieme ai clinici il suo piano di cura. Tutto questo pone le basi per un rapporto paziente/

professionista basato sul reciproco rispetto aumentando la soddisfazio- ne dei pazienti. All’interno di que- sto capitolo troviamo il “consenso informato”. Tutti i pazienti devono essere informati in modo chiaro e comprensibile sulle procedure che saranno poste in atto. E’ importante ricordare che il consenso può essere ritirato in qualsiasi momento. Anche la documentazione clinica del pa- ziente è lo strumento indispensabile per il passaggio delle informazioni tra professionisti oltre che per docu- mentare le attività svolte. E’ necessa- rio avere sempre aggiornate le infor- mazioni sull’esperienza del paziente all’interno del sistema sanitario, le informazioni sulla sua esperienza aiutano nel futuro ad erogare servizi che i pazienti stessi desidererebbe- ro (es. utilizzo di questionari prima della dimissione).

Ricerca e sviluppo: per ricerca si -

intende creare nuova conoscen- za e valutare quella che esiste già, mentre per sviluppo intendiamo la capacità di incrementare il livello delle prestazioni e degli outcomes, attraverso l’utilizzo dei risultati otte- nuti dalla ricerca. Anche in questo settore ai professionisti sanitari oggi viene chiesto di essere promotori di tale movimento a vantaggio delle persone assistite.

La responsabilita’ e il ruolo profes- sionale infermieristico

Il governo della pratica clinica de- termina una responsabilizzazione dei professionisti. La responsabili- tà dell’infermiere è sancita dal D.M 739/94 (profilo professionale) e dalla legge 42/99 che, oltre a definire l’in- fermiere un professionista, abroga il

“mansionario” definendo che il campo di attività e responsabilità degli infer- mieri sono determinati dal:

• profilo professionale;

• Codice Deontologici;

• ordinamento didattico (di base e post base).

Un altro caposaldo è la Legge 251/2000 la quale ridefinisce ulteriormente l’au- tonomia della professione infermieri- stica.

Nel contesto del governo clinico, ma in genere in tutti i contesti, la respon- sabilità che viene richiesta è respon- sabilità competente, autonoma e de- cisionale. L’autonomia è strettamente connessa alla responsabilità, non ci

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può essere autonomia se non c’è una forte presa in carico di responsabili- tà e la responsabilità è connessa alla consapevolezza delle decisioni prese nell’agire quotidiano, decisioni prese sulla base delle conoscenze e delle competenze.

La competenza è l’attitudine di una persona a decidere valutando quali sono i rischi della decisione presa, è la conoscenza approfondita in un dato campo. È formata da un mix di capaci- tà: dalla capacità relazionale, dalla abi- lità tecnica, dall’intelligenza, dalla ca- pacità di intuito, dall’esperienza, dalla percezione, dalla capacità di osserva- re, da quel bagaglio di conoscenze va- ste e complesse che ci fanno vedere il progetto complessivo della persona, progetto assistenziale e c’è ne fanno assumere le responsabilità.

L’infermiere assume responsabilità in base al livello di competenze raggiunto e ricorre dove è necessario alla consu- lenza, sa riconoscere inoltre i limiti del- la propria conoscenza e competenza, sa che la responsabilità del singolo opera- tore ha ripercussioni sull’intero team.

L’infermiere ha la responsabilità di identificare e prevedere i bisogni e i potenziali rischi della persona assi- stita, deve scegliere le azioni migliori per favorire il benessere e autonomia.

Deve agire utilizzando interventi di comprovata efficacia, con competenza tecnica e relazionale e deve valutare i risultati ottenuti.

Nell’ambito pratico si avvale degli strumenti del governo clinico ed in particolare, attualmente, nelle aziende sanitarie, collabora, nei gruppi multi- disciplinari, alla ricerca, adattamento ed implementazione di linee guida, alla definizione dei percorsi clinico- assistenziali ed alla loro realizzazione, alla organizzazione di audit clinici ed organizzativi con l’unica finalità di met- tere a disposizione le sue conoscenze e capacità organizzative del servizio per un miglioramento della qualità.

Conclusioni

L’impegno costante al miglioramen- to continuo porta noi infermieri a trasformare le parole della dirigenza aziendale in attività concrete che pos- sano aiutare le persone con problemi di salute ad affrontare meglio la loro situazione. I vertici decisionali e stra- tegici ci hanno parlato del “governo clinico”, ci hanno spiegato i vantaggi che ne possono derivare e noi, con la pragmaticità che ci caratterizza, ma anche con la nuova veste intellettua- le con la quale stiamo riempiendo di contenuti la professione, affrontiamo quotidianamente il cambiamento. Gra- zie ai forti valori etici che ci guidano,

quando scorgiamo la possibilità di ot- tenere anche il minimo aumento della soddisfazione delle persone assistite, ci prodighiamo e mettiamo in gioco tutte le nostre competenze.

Il contributo degli infermieri è signi- ficativo perché la nostra categoria possiede delle potenzialità innovative che non si riscontrano in altri settori:

proprio perché rappresentiamo una categoria intellettualmente in crescita, forte nei principi e meno vincolata ai giochi di potere storici, svolgiamo un ruolo fondamentale nello sviluppo di nuovi studi e ricerche scientifiche, di nuovi percorsi organizzativi, del mi- glioramento della qualità complessiva delle prestazioni erogate a vantaggio delle persone assistite.

• Doll therapy:

emozionarsi con una bambola

L’interazione con una bambola può aiutare a migliorare la qualità della vita della persona anziana colpita da demenza e

ricoverata in casa di riposo, suscitando emozioni positive e desiderio di accudimento.

MMG Dott. Faccani Gino, IP Colombo Barbara, Ft Campitelli Stefania Animatrice vasile Morena

* Ausl Imola

Quando si assistono i malati di de- menza, bisogna uscire dalla dimensio- ne intellettiva, razionale, per entrare in una dimensione emozionale.

La demenza, in particolare quella di Alzheimer, sconvolge tutti i canoni classici della comunicazione.

Il malato sente il bisogno di esprimer- si senza, però, sapere come fare.

Chi assiste ha il dovere di creare le occasioni e di sforzarsi di entrare nel

“mondo”del malato, cercando di ca- pirlo e di farsi capire, contrastando il senso di abbandono ed isolamento, in una parola: ascoltandolo.

Partendo da questa convinzione, dal luglio 2008, il personale sanitario e socio-assistenziale della casa protet- ta S.Maria di Tossignano (BO) ha in- trapreso un percorso sperimentale di doll-therapy con alcune ospiti della struttura, avvalendosi del supporto del Dott. Ivo Cilesi esperto di terapie

non farmacologiche della fondazione Cardinal Gusmini di Vertova (BG).

Che cos’è la doll therapy?

Si tratta di una terapia non farmaco- logica che prevede l’uso di speciali bambole terapeutiche provenienti dal- la Svezia; queste presentano caratte- ristiche particolari (peso, dimensioni, tratti somatici, posizione delle braccia e delle gambe, materiale).

Nei confronti di queste bambole, il ma- lato esprime il proprio affetto e rivolge le proprie attenzioni, identificandole come bambino (e non più come bam- bola) su cui riversare il proprio amore.

L’impegno nell’accudimento, l’attivazio- ne di relazioni tattili, fanno sì che di- minuiscano i disturbi comportamentali (agitazione, aggressività, wandering, apatia) siano stimolati i processi di me- moria, la creatività, il dialogo e la capa- cità di relazione permettendo, talvolta, il decremento delle terapie farmacolo- giche con beneficio per i pazienti e mi- glioramento della qualità della vita.

ESPERIENZA NELLA CASA PRO- TETTA S. MARIA DI TOSSIGNANO Motivazioni

La casa protetta di Tossignano ospita 40 anziani non autosufficienti nei qua- li il deficit cognitivo e i disturbi del comportamento sono prevalenti.

Anche noi, negli anni, abbiamo assi- stito all’aumento del numero di ospi- ti con problemi di demenza (Alzhei- mer, demenze multinfartuali…). Le raccomandazioni dei più importanti organismi internazionali (FDA Ame- ricana, EMEA europea, CUF in Italia) ribadiscono di attuare un intervento non farmacologico, nelle demenze di grado lieve prima di intervenire con i farmaci e di utilizzare questi ultimi, solo se necessario e in sinergia con il trattamento non farmacologico nelle forme di grado moderato-grave, anche al fine di ridurne il carico. Ci è appar- so, quindi, doveroso sperimentare una di queste metodiche alternative.

In virtù del fatto che non esiste una cura in grado di trattare efficacemente questo genere di malattie, dove accan- to ai deficit cognitivi convivono anche disturbi comportamentali che compli- cano la gestione del malato, ci siamo interessati di quale potesse essere la metodica non farmacologica attuabile nella nostra struttura.Abbiamo preso contatti con il Dott. Cilesi il quale ci ha fornito le informazioni necessarie per la stesura del progetto doll-therapy.

Metodologia

Il gruppo di lavoro ha selezionato al- cune ospiti che avevano i requisiti per rientrare nel progetto, primo fra tutti un deficit cognitivo medio-grave che per-

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mettesse loro di identificare la bambola come persona-bambino (diversamente, sarebbe decaduto l’effetto terapeutico).

Si è trattato di una fase molto impor- tante in cui è stata necessaria la colla- borazione del familiare di riferimento per potere acquisire la “biografia”del paziente, al fine di escludere ospiti nel cui vissuto ci fossero stati eventi lut- tuosi o traumatici legati all’esperien- za di maternità, trattandosi questa di una controindicazione importante alla terapia della bambola.

Abbiamo acquistato, con donazioni pervenute alla casa di riposo, quattro

“empathy dolls” che abbiamo assegna- to alle ospiti secondo precise modalità sulle quali era stato precedentemente formato il personale di assistenza.

L’intervento è stato strutturato e per- sonalizzato.

Dopo un breve periodo di osservazio- ne si è proceduto alla formulazione del piano terapeutico inserito nel PAI (Piano Assistenziale Individualizzato).

Il piano terapeutico prevedeva la con- segna della bambola-bambino da par- te degli operatori, codificata in base all’insorgenza di un bisogno (compar- sa di stato agitativo acuto) o modulata in base ad un programma quotidiano (individuando fasce orarie critiche).

Osservazioni e conclusioni

Abbiamo potuto osservare come la som- ministrazione nei momenti acuti abbia portato risultati positivi, con diminu- zione o scomparsa del comportamento disturbante ed in alcuni momenti il vi- raggio ad un disturbo meno grave: da wandering ad affaccendamento.

In otto mesi è stata necessaria la som- ministrazione di farmaci al bisogno solo durante la notte. Durante i primi 15 giorni ben 8 episodi di agitazione diurna si sono risolti con l’uso della bambola. Nei successivi otto mesi non è stato più necessario il ricorso a farmaci.

Le reazioni che abbiamo osservato più frequentemente vanno dal più sponta- neo accudimento; alla preoccupazione per “la salute del bambino”.Quando la signora parla del bambino o si riferisce ad esso dialogando con altre persone, manifesta un’evidente coerenza nei di- scorsi e maggior fluidita’ nell’eloquio.

L’appagamento emotivo ed il conse- guente miglioramento della qualità di vita è stato evidente dalle reazioni positive e talvolta inaspettate come i sorrisi (rivolti al “bambino” o agli ope- ratori ed ospiti), i canti, le coccole e l’attenzione che possiamo osservare ad ogni somministrazione. Alla luce di questi primi ed incoraggianti risul- tati auspichiamo un maggiore impiego delle terapie non farmacologiche nel- le strutture per anziani e un sempre maggiore impegno da parte degli Enti

Gestori nel coinvolgere e motivare il personale che opera a diretto contatto con gli ospiti affinché questo lavoro così delicato e pieno di responsabili- tà non diventi solo routine pressante e prestazionale. Da febbraio 2009 il progetto ha coinvolto anche la Casa Protetta di Fontanelice ed anche in previsione di una futura esportazio- ne del progetto in altre strutture del circondario imolese, è stata program- mata una giornata di studio e appro- fondimento con la partecipazione del Dott. Ivo Cilesi il 14 maggio.

“Le medicine non servono: l’unico modo per ricordare meglio le cose è amarle o odiarle, poiché la memoria è certamente una funzione collegata all’affettività.”

M. Mancia (psicoanalista 1929)

• La sorveglianza delle infezioni

correlate a pratiche assistenziali in una Unità Operativa di Lungodegenza

Post-Acuti dell’Azienda USL di Imola

Catia Bedosti

Coordinatore Infermieristico esperto in ICPA della

Lungodegenza Post- Acuti AUSL di Imola

Cristina Boni

Infermiere referente CIO Aziendale per le ICPA - AUSL di Imola

Maria Teresa Brisacani *, Monica Capone *,

Stefania Conti *, Daniela Donatini *, Laura Fidanza *,

Mirka Debora Montaguti *, Federica Plazzi *,

Emanuela Rondelli *, Tania Tabanelli *

* Infermieri dell’equipe assistenziale Lungodegenza – AUSL di Imola

Vittorio Chioma

Direttore della Lungodegenza e del Dipartimento Medico – AUSL di Imola

RIASSUNTO

L’articolo riporta una prima esperienza di sorveglianza delle ICPA in un reparto di Lungodegenza post acuti dell’Azien-

da USL di Imola. Lo stimolo ad imple- mentare uno studio di sei mesi nell’an- no 2008 è nato dal desiderio da parte dell’equipe infermieristica di “quantifi- care” le infezioni in parte correlate alle pratiche assistenziali. Lo studio è stato condotto dalla Caposala con l’aiuto di una infermiera sui dimessi dal 1 gennaio al 30 giugno 2008 utilizzando una sche- da infezioni elaborata secondo le defi- nizioni di infezione per la sorveglianza nelle Long-term care facilities (Allison McGeer et all., 1996 APIC); sono stati sorvegliati 266 pazienti pari a 5010 gg di degenza rilevando 170 infezioni, di cui 51 ICPA (tasso di incidenza 10,1 per mille giorni paziente). Le infezioni più frequenti sono state le infezioni delle vie urinarie 3,8 ‰, le gastroenteriti 2,5

‰, le sistemiche 1,2‰.

Il device più utilizzato è il catetere ve- scicale insieme al dispositivo vascola- re periferico.

Tale esperienza ha reso tangibile la fattibilità di una sorveglianza in repar- to e l’importanza dell’evidenza delle malpractice rispetto alle quali si pre- vede per l’anno 2009 l’implementazio- ne di alcune azioni di miglioramento.

OBIETTIVI

Sorvegliare la frequenza delle In- 1.

fezioni Correlate alle Pratiche Assi- stenziali (ICPA) in una UO di Lun- godegenza Post-Acuti (LDPA) Valutare la fattibilità e l’accuratez- 2.

za di strumenti per il monitoraggio continuo delle infezioni in LDPA Identificare le aree di

3. malpractice

per implementare un progetto di miglioramento delle pratiche assi- stenziali

INTRODUZIONE

Per ICPA s’intendono quegli eventi infettivi che risultano dall’interazione tra diversi fattori legati al paziente, alla tipologia di procedura utilizzata ed ai comportamenti degli operatori che la praticano: è in sintesi la combinazione di questi aspetti che determina o meno il possibile insorgere di una infezione.

La letteratura scientifica insegna che il fenomeno non è eliminabile comple- tamente, ma una certa parte (variabile tra il 20 ed il 30%) può essere preve- nuta attraverso alcuni fattori di con- trollo come:

• la sorveglianza continua del feno- meno

• l’adozione di protocolli comporta- mentali per ridurre il rischio di infe- zioni

• la formazione continua dei profes- sionisti

• la presenza di infermieri addetti al controllo delle infezioni nelle orga- nizzazioni sanitarie.

(6)

51

L’esigenza di strutturare un sistema di sorveglianza delle infezioni in una Unità Operativa di LDPA dell’Azienda USL di Imola (BO) nasce dalla neces- sità di monitorare l’evento infettivo come “indicatore di qualità assisten- ziale” evidenziando le aree a maggior criticità con la finalità di implementa- re un progetto di miglioramento rivol- to alle pratiche assistenziali.

Inoltre, questo primo studio permet- terà di identificare le modalità più efficaci per sorvegliare le infezioni in modo continuativo di questo reparto.

La letteratura internazionale riporta frequenze di infezioni praticamente sovrapponibili in strutture ospedalie- re per anziani acuti e in strutture di assistenza per lungodegenti (Garibal- di,1999; Nicolle, 2000, 20001; Smith e Rusnak, 1997); il paziente ricoverato in una LDPA lo si può equiparare ad un lungodegente di una residenza sanitaria assistenziale per gli aspet- ti che lo caratterizzano:

attività di vita quotidiana, lesioni da decubito, disidratazione e malnutri- zione, incontinenza, gestione del do- lore, presidi posturali, cadute, l’uso di antipsicotici e sedativi /ipnotici.

Inoltre secondo la Direttiva Regionale 1455 /1997, il paziente che ha accesso in Lungodegenza post acuti è general- mente affetto da un quadro di polipa- tologia cronica in condizioni di buon compenso clinico che richiede assisten- za continuativa di tipo infermieristico e di eventuali trattamenti riabilitativi di tipo estensivo con l’obiettivo prin- cipale di mantenere i livelli residui di autosufficienza. La tipologia di questo paziente è molto semplicemente che

“se non avesse problemi di tipo sociale o economico potrebbe essere dimesso”.

Secondo alcune revisioni della lettera- tura, la prevalenza di infezioni varia da 2,7 a 32,7 infezioni per 100 residenti (Smith e Rusnack, 1997); l’incidenza varia da 2,6 a 7,1 nuove infezioni ogni 1000 giornate –residenti (Goldrick, 1999; Smith e Rusnack, 1997).

La Tabella 1 riporta i dati di alcuni stu- di di prevalenza e di incidenza con- dotti dopo la metà degli anni ’80; uno

studio di prevalenza condotto recen- temente su un campione molto ampio di anziani norvegesi

ha rilevato una frequenza di infezioni pari a 6,5% (Andersen e Rasch, 2000).

I siti di infezione più frequentemen- te colpiti sono: le vie urinarie, le vie respiratorie, la cute, l’apparato gastro- enterico e gli occhi (Nicolle, 2001).

I fattori principali che influenzano il rischio infettivo sono:

- le caratteristiche del paziente (età, patologie concomitanti, stato menta- le, trattamenti farmacologici, esposi- zione a procedure invasive)

- le caratteristiche della struttura (ambienti confinati, organizzazione dell’assistenza, servizi diagnostici) - le risorse umane (numero e profes-

sionalità del personale, familiari e visitatori della struttura)

- difficoltà nel porre diagnosi di in- fezione (subdola presentazione dei segni e sintomi, difficoltà di comu- nicazione)

- standard assistenziali non rispetta- ti (isolamento degli anziani infetti, misure di barriera e lavaggio delle mani, disinfezione dei presidi, ecc) - uso/abuso di antibiotici, con il conse-

guente fenomeno della resistenza.

Per gli anziani le infezioni rappresenta- no la principale causa di ospedalizzazio- ne e di morte (Albrecht et al., 1999), so- prattutto se si considerano le polmoniti (Beck-Sague et al., 1994; Jackson, 1992).

Le infezioni endemiche sono prevalen- temente le infezioni del tratto respira- torio ed urinario; quelle epidemiche soprattutto l’influenza e le infezioni del tratto gastrointestinale (Nicolle, 2000).

Al problema delle infezioni acquisite nelle strutture si aggiunge quello le- gato alla selezione e circolazione di microrganismi antibiotico resistenti (Garibaldi, 1999). Il fenomeno dell’an- tibioticoresistenza è in continuo au- mento (Nicolle, 2000; Strausbaugh, 1996). Gli organismi antibioticoresi- stenti possono essere introdotti da un paziente colonizzato o infetto, posso- no essere acquisiti ex novo da un al- tro paziente o operatore colonizzato, oppure possono selezionarsi per ef-

fetto dell’uso/abuso di antibiotici. Gli anziani colonizzati lo rimangono per anni e costituiscono persistenti fonti di infezione per una futura diffusione epidemica.

I più frequenti siti di colonizzazione o infezione con patogeni antibiotico resistenti sono il tratto urinario negli anziani portatori cronici di catetere vescicale, le lesioni da decubito e il tratto gastrointestinale. In letteratura sono state riportate epidemie soste- nute da Escherichia coli e Klebsiella gentamicina resistenti, Enterobacteri- aceae resistenti al ceftazidime, Citro- bacter freundii e Providencia stuartii gentamicina resistenti.

Le infezioni endemiche sono frequen- temente sostenute da Stafilococco Au- reo resistente alla meticillina (MRSA):

alcuni studi riportano una frequenza di colonizzazione con MRSA pari al 5%, con una variabilità nelle diverse strut- ture da 0 a 30% (Cox, Bowie, 1999);

è stata anche segnalata una frequenza elevata di colonizzazione gastrointe- stinale con enterococchi vancomicina resistenti e con bacilli gram- negativi resistenti (Strausbaugh, 1996).

La colonizzazione persistente con MRSA, la presenza di diabete, vasculo- patie periferiche, il cateterismo vesci- cale intermittente o la presenza di un catetere urinario a permanenza sono i principali fattori di rischio per le in- fezioni sostenute da microrganismi resistenti. Altri fattori di rischio sono le condizioni di debilitazione, la pre- senza di ferite o ulcere da decubito, le procedure invasive, una terapia anti- biotica recente (Strausbaugh, 1996).

Molti autori segnalano un uso inten- sivo e spesso inappropriato di anti- biotici con conseguenze significative in termini di sviluppo delle resistenze.

Gli antibiotici rappresentano il farma- co prescritto più comunemente: costi- tuiscono infatti il 40% di tutti i farmaci prescritti per via sistemica (Nicolle et al., 1996). Nel 25-70% degli antimicro- bici somministrati per via sistemica e nel 60% degli antimicrobici topici, la somministrazione è stata considerata non appropriata (Nicolle et al., 1996).

Autore Anno Luogo Tipo di studio N. di ospiti e

(strutture) studiate frequenza di infeziono/100

Setia 1985 Stati Uniti prevalenza 460 (1) 12,0/100 pazienti

Franson et al. 1986 Stati Uniti prevalenza 176 (1) 12,5/100 pazienti

Scheckler 1986 Stati Uniti prevalenza 403 (8) 12,9/100 pazienti

Alvarez 1988 Stati Uniti prevalenza 689 (2) 6,6/100 pazienti

Steinmiller 1991 Stati Uniti prevalenza 400 (8) 9,8/100 pazienti

Andersen 2000 Norvegia prevalenza 13.762 (65) 6,5/100 pazienti

Shicker 1988 Stati Uniti prospettico, 1 anno 330 (1) 5,4/1.000 giornate

Hoffman 1990 Stati Uniti prospettico, 1 anno 186 (1) 4,6/1.000 giornate

Makris 2000 Stati Uniti prospettico, 1 anno n.s. (4) 6,3/1.000 giornate

Tabella 1. prevalenza e incidenza di infezioni nelle strutture di assistenza per anziani

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52

MATERIALI E METODI

Lo studio di sorveglianza retrospettivo è stato realizzato presso il reparto di Lungodegenza Post-Acuti dell’AUSL di Imola (BO) dal 1 gennaio al 30 giugno 2008 attraverso la consultazione della documentazione clinica ed assisten- ziale dei pazienti dimessi.

Le rilevazioni mensili sono state fatte dal Coordinatore Infermieristico del LDPA (Infermiere esperto nel con- trollo delle infezioni nelle organiz- zazioni sanitarie) e da un Infermiere dell’equipe assistenziale “referente”

del Comitato Infezioni dell’Azienda USL di Imola; l’informatizzazione dei dati è stata eseguita dal Coordinatore Infermieristico.

Durante le rilevazioni sono state con- sultate:

- la documentazione medica e quella infermieristica di ciascun pazien- te dimesso nel mese precedente (esempio, nel mese di febbraio sono stati studiati i pazienti dimessi nel mese di gennaio).

Per ogni paziente dimesso sono stati raccolti i dati in una apposita “SCHE- DA RILEVAZIONI INFEZIONI” (in allegato) elaborata secondo le defini- zioni di infezione per la sorveglianza nelle Long-term care facilities (Allison McGeer et all., 1996 APIC):

dati di identificazione dei pazienti - dimessi (n.cartella, sesso, età);

data di ingresso e di dimissione, - numero giorni di degenza totale, re-

parto di provenienza la presenza di

- Devices: catetere ve- scicale e n. giorni di esposizione, dispositivo vascolare (periferico o centrale) n. giorni di esposizione;

Segni e sintomi con la relativa diagno- si relativa alle infezioni

del tratto respiratorio, malattia in- - fluenzale, polmonite, altra infezio- ne del tratto respiratorio (bronchi- ti e tracheobronchiti), del tratto urinario,dell’occhio,della bocca e zona periorale,della cute, del tratto gastrointestinale, batteriemie e sepsi di ogni infezione è stata rilevata

se è avvenuta:

- all’ingresso

entro la prima settimana dopo la prima settimana

se l’infezione è stata registrata nella - documentazione sanitaria

la terapia antibiotica prescritta e - somministrata

Quando la diagnosi di infezione non era registrata in cartella è stata chiesta la collaborazione del medico di repar- to; in alcuni casi quando la diagnosi di infezione aveva soltanto una con- ferma microbiologica, la data di inizio dell’infezione è stata fatta coincidere

con la formulazione della diagnosi.

I dati sono stati informatizzati ed elabo- rati utilizzando il programma EXCEL.

Sono stati monitorati i tempi dedicati alla rilevazione dei dati con l’obiettivo di valutare la fattibilità di questo metodo di sorveglianza per l’anno successivo.

RISULTATI

In questo studio sono stati sorvegliati complessivamente dal 1 gennaio al 30 giugno 2008,

266 pazienti ( su 307 ricoverati nel se- mestre) e 5.010 giornate di degenza.

Tra i pazienti arruolati il 37% (n.99) di sesso maschile, mentre il 63%(n.167) di sesso femminile.

L’età media dei pazienti era di 82 anni (DS 9.6, MODA 79, MEDIANA 83).

La degenza media è risultata di 19 gior- ni (DS 11, MODA 15, MEDIANA 16).

Come prima diagnosi di dimissione, il 33,5% dei casi è rappresentata da patologie cardiocircolatorie, il 23% da patologie polmonari, il 21,5 % da in- terventi ortopedici, l’11,3 altro (lesioni da decubito, malattie croniche, tumo- ri), il 6,2 dalle demenze, il 4,5 da infe- zioni/setticemie.

Sono state rilevate 170 infezioni: 119 infezioni comunitarie e 51 ICPA, ac- quisite in Lungodegenza, cioè dopo la prima settimana (7 gg) di degenza.

Nelle tabelle 2 e 3 sono riportate le infezioni rilevate nello studio di sor- veglianza.

Per quanto riguarda l’uso dei devices (presidi medici invasivi) catetere ve- scicale e dispositivo vascolare sono riportati i tassi di frequenza e specifici –Devices Utilization Rate (DUR) – cioè il rapporto tra giorni di esposizione al device e giorni totali di osservazione:

complessivamente il 66% dei pazienti (175/266) è stato esposto ad almeno un device –catetere vescicale o dispo- sitivo vascolare;

catetere vescicale: il 41% dei pazienti è stato cateterizzato (109/266), con un DUR pari a 0,32 (1630gg/5010gg);

dispositivo vascolare periferico: il 56% dei pazienti (148/266) è stato esposto a questo dispositivo per per- mettere una più facile somministra- zione venosa, pari a un DUR di 0,34 (1706gg/5010gg);

dispositivo vascolare centrale: soltanto il 0,07% dei pazienti ha avuto il dispo- sitivo vascolare centrale; il DUR non è stato calcolato in quanto di difficile rilevazione i giorni esatti di esposizio- ne sulla documentazione clinica, per- chè il dispositivo era stato inserito nei ricoveri precedenti.

Tassi di ICPA associate a procedure invasive, calcolate in base ai giorni di esposizione al cateterismo vescicale e al dispositivo vascolare periferico:

-Infezioni delle Vie Urinarie: 11‰

giorni dispositivo (19/1630)

-Infezioni Sistemiche (batteriemie):

:3,5‰ giorni dispositivo (6/1706) Nel 46% (123/266) dei pazienti sor- vegliati era in atto un trattamento antibiotico; i casi di Eventi Senti- nella registrati dal Servizio di Igie- ne Ospedaliera Aziendale nel primo semestre 2008 sono stati:

n. 6 casi di clostridium difficile (su 307 ricoverati) pari al 2%

n. 13 casi microrganismi produttori di ESBL (escherichia coli, proteus mirabilis, klebsiella penumoniae) - da confermare

n. 1 casi di MRSA

Frequenza dei microrganismi isola- ti nelle indagini colturali eseguiti in caso di segni e sintomi di infezione dopo la prima settimana di degenza:

Infezioni delle vie urinarie (19):

escherichiacoli n. 11 Enterococchi n.

3, Proteus mirabilis n. 2, Klebsiella pneumonite n.2, candida 1

Infezione della cute (4): micosi in tutti i 4 casi rilevati

Infezioni sistemiche (6): clostridium perfrigens n.1, stafilococco epidemidis n.1, escherichia coli ESBL n. 3, strep- tococco gallolyticus n. 1

Gastroenteriti (13): clostridiun diffi- cile n.6, salmonella species n. 1 Tempi di rilevazione

Per quanto riguarda il monitoraggio dei tempi di rilevazione, si è calcolato 10-15 minuti per la consultazione della documentazione di ciascun paziente.

DISCUSSIONE

Lo studio presentato conferma che la sorveglianza delle ICPA nelle unità operative assistenziali è un’attività da implementare: il ruolo del Coordina- tore Infermieristico (anche se non è un esperto in tale ambito) è eviden- temente rilevante se mantiene un at- teggiamento attivo nella sorveglianza delle infezioni del proprio reparto.

Il Coordinatore Inf.co deve rivesti- re il ruolo di “valutatore della quali- tà assistenziale” e di “facilitatore” nel migliorare le procedure assistenziali e favorire i percorsi di cambiamento attraverso il coinvolgimento dei pro- fessionisti fino a raggiungere la con- divisione delle possibili azioni di mi- glioramento.

I risultati epidemiologici di questo stu- dio contestualizzato in una lungodegen- za, evidenziano spazi di miglioramento rispetto ad alcune attività assistenziali nel processo di cura, confermando la frequenza di quelle infezioni in parte prevenibili come quelle delle vie urina-

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53

Tabella 2

Infezioni comunitarie stratificate per sito

Infezioni Comunitarie Infezioni

numero %

Vie Urinarie 34 12,8

Basse Vie Respiratorie 27 10,2

Polmonite 25 9,4

Cute 11 4,1

Gastroenteriti 11 4,1

Sistemiche (1) 5 1,9

Congiuntiviti 3 1,1

Bocca 1 0,4

Altro (2) 2 0,7

Totale 119 44,7

Legenda: n. pazienti sorvegliati 266

= presenti all’ingresso e nella prima settimana di degenza 1 = batteriemie

2 = gonartrite settica, ascesso epidurale intrarachideo

Grafico 1: Infezioni Comunitarie – n. infezioni/pazienti sorvegliati

Tabella 2a - Dettaglio Insorgenza Infezioni comunitarie All’ingresso –n. %

-nella prima settimana – n.

%

91 34,2 28 10,5

n. pazienti sorvegliati 266

= possibili infezioni correlate alle pratiche dei reparti di provenienza dei pazienti

Confronto con i dati nazionali: lo stu- dio condotto nella Regione Emilia- Romagna nel 2002 (Moro, Infezioni e lesioni da decubito nelle strutture di assistenza per anziani – 2003) nelle strutture anziani, ha stimato una pre- valenza pari a 8,2% se si includono solo quelle insorte dopo una settima- na dall’ingresso del paziente; nelle Re- sidenze Sanitarie Assistenziali (RSA) era pari a 12,8/100 (da 10,3 a 16,3).

Mentre lo studio condotto nella re- gione Friuli Venezia Giulia nelle RSA (Regattin et al, 2005), riporta una fre- quenza di ICPA con un tasso di inci- denza di 11,8/1000 giornate paziente.

Le più frequenti quelle delle vie urina- rie 3,2 ‰ ,infezioni cute 2,7‰, basse vie respiratorie 2,5‰, gastroenteriti 1,2‰, congiuntiviti 1,2‰.

Rispetto i dati nazionali, se confron- tiamo il tasso di incidenza /1000 gg, il dato globale della frequenza di ICPA si allinea in modo rilevante, le infe- zioni delle vie urinarie (IVU) sono le più frequenti, si notano degli scosta- menti nelle altre per sito di infezione, lo studio di Imola evidenzia una fre- quenza di 1,2‰ di infezioni sistemi- che (batteriemie).

L’analisi con i dati della letteratura scientifica, ci pone di fronte ad ampi spazi di miglioramento, se conside- riamo che su 100 infezioni associate all’assistenza sanitaria in media il 20% sono prevenibili; questa stima inoltre cambia a seconda del tipo di infezione e del contesto, i diversi studi hanno infatti, riportato una riduzio- ne della frequenza di complicanza infettiva, in seguito a programmi di intervento, che andava dal 10 al 70%

(Harbarth, et al., 2003).

I tassi specifici associati a procedure invasive (catetere vescicale e disposi- tivo vascolare periferico) evidenzia una frequenza superiore di IVU e di ISISTEMICHE; da considerare però che nella documentazione sanitaria nei primi mesi di rilevazione è stato diffi- coltoso raccogliere con precisione i gg di esposizione, in quanto spesso non venivano riportati in particolar modo quelli relativi al dispositivo vascolare.

Se inoltre si osserva la frequenza di utilizzo dei devices, si noterà che il 41% dei pazienti ha il catetere vesci- cale mentre il 56% il dispositivo va- scolare, con un DUR che va dai 0,32 ai 0,34: una riflessione da stimolare all’interno dell’equipe assistenziale è quanto effettivamente i pazienti han- no bisogno del dispositivo, per esem- pio del catetere vescicale e quando si possono utilizzare strategie alternati- ve (pannoloni, accompagnamento al bagno ad orari).

rie, gastrointestinali e cutanee.

Infezioni correlate alle Pratiche As- sistenziali (tabella n.3)

Le infezioni più frequenti (comparse dopo 7 giorni dall’ingresso in repar- to), sono quelle delle vie urinarie e le gastroenteriti, una quota inferio- re invece rivestono quelle sistemiche, della cute e della bocca.

Confronto con i dati internazionali:

anche se alcuni studi condotti in sin- gole strutture anziani hanno segnala- to stime di prevalenza molto variabili (fino al 30%), gli studi multicentrici condotti negli Stati Uniti alla fine degli anni ’80 hanno stimato una prevalen- za delle ICPA tra il 7 e il 13%. Uno stu- dio condotto nel 1999 in Norvegia su oltre 13.000 anziani riporta invece una prevalenza del 6,6% se si considerano però gli anziani delle nursing home,

calcolata includendo tutte le infezioni ad eccezione di quelle presenti all’in- gresso in struttura (Andersen e Rasch, 2000).

Alcune revisioni della letteratura ri- portano la prevalenza di infezioni da 2,7 a 32,7 infezioni per 100 residenti (Smith e Rusnack, 1997); l’incidenza varia da 2,6 a 7,1 nuove infezioni ogni 1000 giornate – residenti (Goldrick, 1999; Smith e Rusnack, 1997). Altri studi prospettici (tabella 1) riportano una frequenza da 5,4 a 6,3 /1000 gior- nate residenti.

L’analisi di confronto evidenzia una frequenza di ICPA -10,1/1000 giorna- te di degenza- un po’ più alta rispetto agli studi internazionali anche se si effettua il confronto con la frequenza calcolata sui pazienti sorvegliati – 19,2/100 pazienti -.

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54

Infezioni correlate a Pratiche

Assistenziali (ICPA) Infezioni

incidenza giorni/

persona

infezioni/gg esposizione dispositivo

per sito di infezione numero ‰ 1 % 2 ‰ 3

Vie Urinarie 19 3,8 7,1 11

Gastroenteriti 13 2,5 4,9

Sistemiche 6 1,2 2,2 3,5

Basse Vie Respiratorie 4 0,8 1,5

Cute 4 0,8 1,5

Bocca 3 0,6 1,1

Altro (4) 2 0,4 0,8

Totale 51 10,1 19,1

Legenda

1 ‰ = incidenza giorni- persona (gg. 5010) 2 % = n. pazienti sorvegliati 266

3 = tasso associato a procedure invasive (infezioni/gg esposizione dispositivo) 4 = polmonite e infezione occhio

Tabella 3: Infezioni correlate a Pratiche assistenziali per sito

1,4 ‰ 2,7 %

Grafico 2:

Infezioni correlate a Pratiche assistenziali per sito – n. infezioni/gg di degenza

Grafico 3:

Infezioni correlate a Pratiche assistenziali per sito - n. infezioni/ pazienti sorvegliati

Rispetto le infezioni correlate all’uso del dispositivo vascolare si ritiene che dalla documentazione sanitaria non si rilevano le infezioni del sito del di- spositivo vascolare, in quanto non è in uso l’apposita scala che permette al professionista di diagnosticarle e di registrarle nella cartella.

Atre infezioni probabilmente sottosti- mate sono quelle della cute e della boc- ca totale 2,7%: dall’osservazione diret- ta del Coordinatore Infermieristico, in reparto è consuetudine, in diversi casi, somministrare l’antimicotico per uso orale o topico senza la diagnosi clinica e senza registrare l’atto assistenziale.

Infezioni Comunitarie (Tab. 2 e 2a) Per infezioni comunitarie s’intendono quelle presenti all’ingresso o che sono insorte nella prima settimana di de- genza. E’ importante riflettere anche su questa quota di eventi infettivi per orientare l’attenzione all’intero per- corso assistenziale.

Le tipologie di infezioni più frequen- ti sono tipiche del paziente anziano e tutto questo permette di meglio foca- lizzare gli strumenti di sorveglianza e di controllo.

Le infezioni più frequenti rilevate a Imola, come confermato dalla lettera- tura scientifica, sono le IVU, le vie re- spiratorie, la cute, le gastroenteriti. La frequenza che compare nella Tabella 2 -44,7%- appare particolarmente ele- vato, confrontandolo con i dati della RER 2003( 16,8%) e dello studio di Brescia (8,6%).

La tabella 2a riporta il numero delle infezioni comunitarie rispetto i tem- pi di insorgenza: si può notare come il 10,5 delle infezioni comunitarie sono insorte nella prima settimana di degenza, perciò da correlare ai reparti di provenienza dei pazienti, mentre le infezioni all’ingresso sono il 34,2%.

Le infezioni all’ingresso sono elevate, si suppone a causa di una probabi- le sovrastima da parte dei rilevatori, includendo anche quelle infezioni in parte già risolte clinicamente all’in- gresso, ma con ancora in corso il trat- tamento antibiotico.

Microrganismi (mc) resistenti agli antibiotici

Tale sorveglianza è attuata grazie al monitoraggio da parte dell’Igiene Ospedaliera Aziendale: nel semestre sorvegliato è stato registrato rispetto i 307 pazienti ricoverati nel 1° semestre 2008) il 2% (6/307) di clostridium dif- ficile, il 4,2% di mc produttori di Beta Lattamasi (ESBL) e n.1 caso di MRSA.

Come già descritto nell’introduzione, un altro problema che si evidenzia in

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questi ultimi anni, è quello legato alla selezione e circolazione di mc antibio- ticoresistenti.

Un aspetto fondamentale è l’eventua- le abuso di antibiotici, il 46% dei pa- zienti sorvegliati avevano in atto un trattamento antibiotico.

Questi mc possono essere introdotti da un paziente colonizzato o infetto e se non si applicano le precauzioni standard strette o quelle da contatto, si favorisce la diffusione nei pazienti, con il possibile aumento di infezioni che sono di difficile guarigione.

Costi delle infezioni nel contesto italiano

In considerazione che alcune ICPA rilevate appartengono alle tipologie facilmente prevenibili, interessante è comprendere quanto effettivamente costano alla comunità e quanto si può risparmiare attraverso l’attuazione di interventi di miglioramento delle pra- tiche assistenziali al fine di ridurre la frequenza di ICPA.

DRG 321 – infezione vie urinarie sen- za complicanza - € 1761 (>1giorno) DRG 182 – gastroenterite –miscellanea malattie apparato digerente €2038 DRG 416 – setticemia €4.286.

Quale potrebbe essere il risparmio di risorse pubbliche in seguito all’imple- mentazione di interventi di migliora- mento delle pratiche assistenziali ri- volti al controllo delle ICPA?

Considerando i dati della letteratura (Harbarth, et al. 2003), prevedendo in media una riduzione del 30% di ICPA, i risultati potrebbero essere i seguenti per una Unità Operativa di Lungode- genza, nell’arco di un semestre (vedi tab A).

E’ chiaro, che un ulteriore calcolo economico potrebbe essere quello di prevedere quanto costa l’implemen- tazione di azioni di miglioramento delle pratiche assistenziali (formazio- ne continua, rilevazione degli indica- tori, mantenimento del programma, utilizzo di eventuali presidi medici migliori, ecc). Dagli atti della III Con- ferenza Internazionale della Società delle Infezioni Ospedaliere tenutosi a Londra nel 1994, Menthar dichiarò che un programma di controllo delle infezioni è in grado di determinare un risparmio almeno del 20% dei costi ospedalieri. A questo vanno aggiunti i risparmi derivati dalla durata della de- genza. Confermò che i risparmi attesi dall’avvio del programma di controllo sono quindi maggiori dei costi deri- vanti dal programma stesso (costo del personale medico ed infermieristico, dei programmi formativi, educativi e del sistema di sorveglianza).

Tempi e modalità di rilevazione del- la sorveglianza

I tempi rilevati (10-15 minuti per cia- scuna cartella clinica-paziente) sono stati impegnativi; da questa esperien- za è possibile ipotizzare un prosegui- mento della sorveglianza soltanto ri- spetto le infezioni più frequenti e ri- levare alcuni dati che si riferiscono ai fattori di rischio dei pazienti.

CONCLUSIONI

La sorveglianza attuata ha dato suffi- cienti risposte per poter confermare il raggiungimento degli obiettivi di ricerca pianificati all’inizio di questo studio.

Sorvegliare la frequenza delle 1)

Infezioni Correlate alle Pratiche Assistenziali in una UO di Lun- godegenza Post-Acuti

Le infezioni più frequenti (comparse dopo 7 gg dall’ingresso in reparto) sono quelle delle vie urinarie e le gastroenteriti, una quota inferiore ri- vestono quelle sistemiche, della cute e della bocca.

L’analisi con i dati della letteratura scientifica (approfondita nella DI- SCUSSIONE) evidenzia ampi spazi di miglioramento delle pratiche assisten- ziali se consideriamo che le infezioni più frequenti sono anche quelle mag- giormente prevenibili.

Valutare la fattibilità e l’accura- 2)

tezza degli strumenti per il moni- toraggio continuo delle infezioni Considerando l’impegno notevole del- la sorveglianza attuata per la prima volta in Lungodegenza e la necessità di migliorare la rilevazione di alcuni fattori di rischio dei pazienti, si ipotiz- za un proseguimento come segue:

– sorvegliare le ICPA più frequenti (per esempio IVU e gastroenteriti);

per quanto riguarda le infezioni si- stemiche (sepsi e batteriemie) dal novembre 2008 è stato avviato un progetto regionale di sorveglianza in tutti gli ospedali della Regione Emilia-Romagna;

– coinvolgere più infermieri nella ri- levazione dei dati da effettuarsi du- rante la degenza del paziente;

– prevedere un tempo inferiore di sor- veglianza, oppure anche a mesi al- terni;

– migliorare la registrazione dei dati nella documentazione sanitaria: gg.

di esposizione ai devices (catetere vescicale, dispositivo vascolare (DV), PEG, SNG, stomie);

– istituire una scala per individuare le infezioni del sito del dispositivo va- scolare;

– necessità di integrare la SCHEDA DI RILEVAZIONE DELLE INFEZIONI, con l’obiettivo di poter confrontare i fattori di rischio più significativi: il punteggio della Scala di Braden, lo stato di nutrizione e l’allettamento.

Identificare le aree di

3) malpracti-

ce per implementare un progetto di miglioramento delle pratiche assistenziali

Aree di malpractice ed alcune azio- ni di miglioramento possibili Per quanto riguarda le INFEZIONI CORRELATE AL CATETERE VESCI- CALE, tra le principali e più semplici azioni di miglioramento sono:

– inserimento del catetere vescicole rispettando le norme di asepsi – non eseguire lavaggi vescicali in

caso di ostruzione del catetere – gestire correttamente il drenaggio a

circuito chiuso (decontaminarsi le mani prima di aver contatto con il di- spositivo, disinfettare con clorexidina quando si accede al drenaggio o si ef- fettua un prelievo, impedire il reflus- so di urina, il rubinetto del drenaggio non deve toccare il pavimento) per LE GASTROENTERITI:

– applicare in caso di segni e sintomi le precauzioni standard strette /da contatto (es. in caso di clostridium difficile)

– igiene delle mani tra un paziente e l’altro (igiene della persona, alimenta- zione, somministrazione di farmaci) – gestione corretta della biancheria.

per le INFEZIONI CORRELATE AL DISPOSITIVO VASCOLARE:

– scelta appropriata del dispositivo vascolare

– cambio della medicazione

– igiene delle mani, uso corretto dei guanti, disinfezione con clorexidina alcolica quando si inserisce il dispo- sitivo oppure si ha accesso al sistema – utilizzo dei tappi perforabili rispet- Tabella A

Tipo di Infezione

Numero 1° Sem.

2008

Costo Totale

Numero infezioni evitate in seguito a un programma di interventi e controllo

Risparmio Totale €

Vie Urinarie 19 33.459 6 10.566

Gastroenteriti 13 26.494 4 8.152

Sistemiche 6 4.286 2 8.572

Totale 38 64239 12 27.290

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