• Non ci sono risultati.

Arte. I paliotti della chiesa dei SS. Domenico e Giacomo. La scagliola policroma dalla Germania a Bevagna: arte o artigianato? di Silvia Lopparelli

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "Arte. I paliotti della chiesa dei SS. Domenico e Giacomo. La scagliola policroma dalla Germania a Bevagna: arte o artigianato? di Silvia Lopparelli"

Copied!
6
0
0

Testo completo

(1)

praghese dell’imperatore Rodolfo II (Vienna 1552-Praga 1612) e in quella del Tirolo del duca Ferdinando (Graz 1578-Vienna 1637). Il fatto che tali collezioni, ricchissime, avessero al loro interno, opere di scagliola, dimostra la valenza che questo materiale aveva nel tardo-manierismo tedesco, a differenza dell’Italia, dove nel ’500 e nel ’600 veniva impiegata come sostituto del marmo in opere di rivestimento.

In Germania, la famiglia di scagliolisti più famosa fu quella dei Pfeiffer, che abbellirono di intarsi policromi stanze e ripiani della Residenza reale di Monaco.

Nel territorio austriaco, lo sviluppo

massimo della scagliola si ebbe con la bottega di Wolfgang Koepp von Felsenthal, la più importante a Vienna nell’ultimo quarto del XVIII secolo.

In Italia, il primo scagliolista, attestato come ‘l’inventore’ di questa tecnica, fu Guido Fassi, architetto di Carpi, che eseguì ancone d’altari con colonne e cimase con questo materiale, già nel 1629.

Bensì, l’ideatore dello schema decorativo del paliotto d’altare, fu il nipote del Fassi, Annibale Griffoni, il quale usava incidere fi gurette in scagliola bianca, imitando le stampe. Sarà tipica della scagliola carpigiana la colorazione bianca su sfondo nero, differente dalla scagliola successiva e da quella realizzata nel Fiorentino, nelle Marche e in Umbria. Curioso è il fatto che nella Valle d’Intelvi, nel comasco, più precisamente a Grotto, si trovino esempi di scagliole carpigiane; eseguite da un parroco, Carlo Belleni contemporaneo di

SCAGLIOLA

Miscela di gesso cotto e selenite polverizzati uniti a sostanze collose (glutine, colla animale, colla di pesce) e ai pigmenti desiderati, che forma una pasta facilmente lavorabile che si essicca rapidamente. Una volta indurita la scagliola assume l’aspetto del marmo; può essere dipinta, levigata lucidata o verniciata a seconda delle aree geografi che, del periodo e delle singole botteghe.

I paliotti della chiesa dei SS. Domenico e Giacomo.

La scagliola policroma dalla Germania a Bevagna: arte o artigianato?

di Silvia Lopparelli

L’arte della scagliola, particolare lavorazione in gesso, ha le sue premesse nel tardo manierismo cinquecentesco, seconda metà del XVI secolo, ed il proprio apice nel Barocco nel corso del Seicento.

Tra emozioni architettoniche e teatralità mistiche, perduranti per tutto il Sei- Settecento, la tecnica della scagliola trovò terreno fertile in varie applicazioni, grazie alla sua natura atta all’imitazione di pietre e marmi, con il suo candore perlaceo e la particolare lucentezza; aderisce a quelle premesse di realtà e fi nzione che convivono nell’illusione Barocca.

Inizialmente la scagliola viene usata come surrogato dei materiali minerali più preziosi e matura poi connotazioni autonome grazie alla creatività d’ingegnosi artisti, che fusero stilemi diversi. La storiografi a artistica ancora non ha ben chiarito come sia nata e quali furono gli sviluppi iniziali di questa tecnica; si può presupporre che non si possa parlare di un’invenzione vera e propria ma di una sperimentazione, atta a perfezionare le già comunissime decorazioni in gesso.

È in Germania che troviamo i più antichi manufatti ad intarsio, e la presenza di tali oggetti nelle Wunderkammer (stanze delle meraviglie) tardo rinascimentali dimostra la valenza, la preziosità che questo materiale aveva nel tardo manierismo tedesco. Comunque, è nel tardo Cinquecento che questa tecnica prende piede; in Germania in particolar modo in Boemia e in Baviera, e successivamente in Italia, dove trova spazio a Carpi, nel modenese, e nella Valle d’Intelvi, nel comasco.

Si trovano, infatti, pregevoli esemplari presso le Wunderkammer tardorinascimentali, nella corte

A Arte

L’arte

della scagliola nasce

dall’esigenza di imitare pietre preziose usando dei materiali poveri

e facilmente

reperibili

(2)

A Arte

Annibale Griffoni.

Questi, fu sacerdote a Parlezza e da questa parrocchia fu mandato a Grotto dal 1639 al 1683, nell’antico oratorio di Santa Maria Maddalena, la quale divenne parrocchia nel 1735, poi dedicata a S.

Stefano. In questa chiesa, si trovano tre paliotti d’altare e, uno di questi, presenta l’esatto schema negli spazi e nelle cornici dei paliotti di Giovanni Gavignani, altro artista carpigiano contemporaneo.

Come sia giunta la scagliola a Grotto non è noto, ma si ipotizza che gli artisti che lavoravano con questo materiale in qualità di scalpellini, maestri di muro, scultori e architetti si spostavano molto, emigrando là dove venivano chiamati ad eseguire le loro opere; questi potevano spesso esser convocati da altri intelvesi, che avevano raggiunto cariche di alta responsabilità e prestigio per meriti legati sempre all’edilizia e all’abbellimento edile.

Nel periodo post-tridentino; s’impose nelle costruzioni ecclesiastiche l’uso del colore nero e dei rivestimenti a colonnati in marmo; ciò sottopose gli artisti stuccatori a nuove elaborazioni del materiale da loro usato, al fi ne di ottenere impasti tali da potersi colorare ad imitazione del marmo, che non sempre si trovava nelle zone dove lavoravano e che spesso aveva un costo troppo elevato per le fi nanze dei committenti. L’arte della scagliola quindi nasce dall’esigenza di imitare queste pietre preziose usando dei materiali poveri e facilmente reperibili. Probabilmente negli anni in cui Guido Fassi ‘inventò’ la tecnica della scagliola a Carpi, nel modenese era presente qualche artista intelvese che ne riprese il metodo. Detto ciò è interessante ricordare la notizia che i bolognesi, nel contattare Paolo Frisoni, stuccatore di Laino, aiutante del Barberini, lo chiamavano ‘Griffoni’. Questo induce a pensare che i Griffoni abbiano attinenza con i Frisoni, e che i cognomi si siano confusi nel linguaggio locale. Se fosse così, sarebbe risolto il collegamento fra le scagliole emiliane e quelle di Grotto, in quanto tra i Frisoni di Laino vi erano coloro che avevano appreso la tecnica della scagliola ad intarsio e l’avevano subito trasmessa alle zone limitrofe.

Nel corso del XVII secolo, fecero la loro comparsa anche in Toscana i lavori in scagliola e si diffusero molto velocemente nell’ambito ecclesiastico.

Le prime informazioni trattano dell’uso della scagliola nella zona di Lucca, dove ci s’imbatte proprio in un artefi ce di provenienza carpigiana, Carlo Francesco Ghibertoni, il quale fu un allievo

dell’‘inventore’ della scagliola Guido Fassi.

Quest’artista era poi il fi glio di Paolo Ghibertoni, che aveva una bottega a Lucca nel secondo decennio del XVII secolo, nella quale erano presenti alcuni quadretti con fondi di scagliola nera, ad imitazione della pietra, inviatigli dallo stesso Fassi da Carpi. Il Ghibertoni si differenzia dal Fassi perché nelle sue scagliole agisce anche in maniera pittorica, ad olio, inserendo delle scene sacre ed ottenendo degli effetti molto simili a quelli della pietra dipinta.

Nel fi orentino lo sviluppo dell’arte della scagliola policroma si deve anche ad un monaco vallombrosiano Enrico Hugford (1665-1771), che seppe impiegare la scagliola con una sicurezza tecnica mai eguagliata in precedenza, sfruttandone le capacità espressive nella messa a punto di una pittura lucida ed inalterabile; le sue lavorazioni, tanto preziose, attirarono l’attenzione dei signori inglesi che

venivano in Italia compiendo il loro Grand Tour. All’attività del celebre monaco viene riconosciuto il merito di aver nobilitato la scagliola, facendola annoverare tra i materiali utilizzati dagli artisti, invece che mero inerte.

Anche nelle Marche si trovano esemplari di paliotti in scagliola, soprattutto nella zona dell’antico Montefeltro il quale si mostra aggiornato sulle novità prospettiche introdotte dal Massa, come testimonia un dossale della chiesa di S. Agata Feltria datato 1706.

È quasi certamente grazie agli artisti marchigiani che si deve la presenza della scagliola in Umbria infatti, nella nostra regione, povera di marmi e di committenti tanto ricchi da potersi permettere il loro costo elevato, si predilesse questo materiale che raggiungeva una raffi natezza, un colore, una lucentezza calda che il freddo

La scagliola matura poi connotazioni autonome grazie

alla creatività

di ingegnosi

artisti

(3)

misericordia e del B. Ugolino di Gualdo Cattaneo (che aveva sede nella chiesa Parrocchiale di SS. Antonio e Antonino) degli anni 1726-1934, in cui, si legge relativamente all’anno 1737: «pagati Scudi nove per il paliotto dell’altare della misericordia e Baiocchi cinquanta per le cappie per d.to paliotto».

La data di questo documento coincide con quella del paliotto dell’altare del lato sinistro, è quindi naturale identifi care con questa la scagliola a cui si riferisce il documento, prodotta dalle abili mani di Domenico Flamini, al quale viene spontaneo, vista la mano, attribuire anche il paliotto di destra.

Questi era un monaco, perciò si potrebbe ipotizzare che egli, dopo aver appreso

l’arte dal fratello, si sia spostato varie volte in Umbria in diversi paesi ed abbia importato nella nostra regione queste magnifi che manifatture che sono i paliotti d’altare in scagliola policroma. In altre parole è stato il ‘ponte’ che ha unito Carpi, luogo di nascita della scagliola, e la ‘periferia’, ovvero la Romagna, le Marche e l’Umbria, luoghi nei quali questa affascinante e misteriosa arte si è diffusa.

La chiesa dei santi Domenico e Giacomo a Bevagna

I secoli XVII e XVIII vedono Bevagna risvegliarsi ad un più intenso sentimento religioso teso a perfezionare gli esiti controriformistici e corroborato

dall’acquisizione di preziose reliquie, quali quelle di S. Filippo Neri – di cui si narra in questo stesso volume - e di S. Carlo Borromeo, rispettivamente nel 1627 e nel 1614. A questo deve aggiungersi il processo di beatifi cazione di Giacomo Bianconi, condotto in due fasi, nel 1632 e nel 1658.

Il fervore mistico stimolato da queste circostanze induce ad una revisione completa del patrimonio architettonico religioso e ad un complesso programma di radicale ‘ammodernamento’ delle marmo, d’altro canto, non avrebbe mai

avuto.

In Umbria sono presenti numerosi paliotti in scagliola Perugia, Bevagna, Giano dell’Umbria, Gualdo Cattaneo, Cannara, Trevi, Santa Anatolia di Narco, Spoleto e Stroncone e, anche se dai documenti d’archivio non pervengono i nomi di artisti che lavoravano questo materiale, emergono delle curiosità. Quasi tutti i paliotti presentano delle somiglianze nei motivi fl oreali, che si ripetono nella mancanza di spessore al punto che sembrano di carta; la maggior parte delle chiese in cui sono presenti sono dedicate a S. Francesco e S. Domenico.

Si sa che Francescani e Domenicani, in quanto ordini mendicanti, preferivano ornare i loro edifi ci

sottostando a regole di semplicità e povertà, appunto con un’arte considerata ‘povera’.

È facile ipotizzare che quegli artisti, che si

spostavano di città in città, fossero di sovente gli stessi frati che, trasferiti da un convento all’altro del proprio ordine e stabilitisi nelle nuove realtà urbane, avevano la possibilità di dare sfogo alla propria abilità artistica.

Interessante è sapere che Domenico Flamini, fratello del Flamini di cui si narrava, ha un’opera documentata a Gualdo Cattaneo, nella Chiesa di S.

Antonio e S. Antonino; nel suo interno ci sono due paliotti d’altare uno dei quali, quello sul lato destro dell’unica navata, ha nel centro l’immagine di S. Bernardino, che presenta la data 1737, quello di sinistra invece mostra la rappresentazione di S. Antonio Abate con data 1732. Questi paliotti hanno entrambi una decorazione molto simile agli altri altari presenti nel territorio umbro di cui si parlerà in seguito, ed in particolar modo a Bevagna.

Sempre in questa chiesa si ha la presenza di un documento, conservato nell’archivio parrocchiale: Il libro delle Entrate e delle uscite della venerabile Compagnia della

A Arte

Gualdo Cattaneo, chiesa dei SS. Antonio e Antonino, paliotto, 1726

(4)

A Arte

principali chiese bevanate, in sintonia con il tardo stile barocco. L’arco temporale interessato va dalla metà del Seicento al Giubileo del 1745: in verità è proprio la chiesa detta del beato Giacomo e il complesso conventuale annesso a

esemplifi care nel modo più eclatante questo processo di rinnovamento: nel 1629 hanno inizio i lavori di restauro del convento e costruzione del chiostro, nel 1640 G.B.

Pacetti inizia la decorazione delle lunette con le storie della vita e delle opere del

presente una cornice singolare, un motivo astratto sui toni del nero del bianco e del giallo; il riquadro centrale è affi ancato da due riccioli in scagliola gialla che stanno ad imitare due volute architettoniche. Al centro un clipeo, che raffi gura uno stemma, Altare lato sinistro della chiesa (cm 238

x 100). Datato in basso sotto il clipeo,

ANNO. D.MDCCXXXI”. Questo paliotto, il primo che troviamo, è differente dagli altri nella chiesa, sia iconografi camente, che nel disegno. Nel lato superiore è

tre monti dorati sormontati da una stella da cui partono due gigli, con l’iscrizione “NOMINI TUO DA GLORIAM”, che potrebbe appartenere ai Liberati, una nobile famiglia di Bevagna. Dal medaglione centrale si dipartono due voluminose volute a spirale di foglie d’acanto che terminano centralmente con un fi ore; le decorazioni giocano sui colori del giallo, del rosso, del verde, del celeste e del bianco, il tutto all’interno di uno sfondo nero che impreziosisce la decorazione.

La differenza tra questo e gli altri presenti nella chiesa, sta nella rigidezza, nella semplicità dei colori, nella mancanza di leggerezza e naturalezza dei girali, che sono molto spessi.

Ma è il paliotto che più di tutti può ingannare l’occhio, ed occorre un’analisi accurata per non incorrere nell’errore che siano vere e proprie tarsie marmoree.

Il paliotto (cm 197 x 100) occupa la parete sinistra della chiesa, all’altezza di quella che nel Settecento doveva essere la seconda cappella.

In basso, all’interno di un cartiglio è leggibile l’iscrizione: “ANTONIO CIANCAGLIONE e ANTONIO MONDI PRIOR e CAMO FECERO FARE 1747”. La decorazione di questo è affi ne agli altri esemplari della chiesa: lo schema è con cornice esterna che imita le trine dei merletti in pizzo, bordo in mischio rosato, clipeo centrale con la raffi gurazione del Monogramma del nome di Maria e girali d’acanto laterali che si snodano verso l’alto. C’è però una differenza, tra questo e gli altri paliotti, infatti il clipeo è spostato verso l’alto del riquadro e nella parte estrema partono due rami d’acanto allungati che racchiudono insieme ad un cartiglio arricciato, una scenetta con un contadino che sta spingendo l’aratro trainato da due buoi: elemento che ci induce a credere che dovrebbe essere il paliotto della

congregazione dei Bifolchi. Da notare la grande maestria dell’artista che ha rappresentato questa scenetta di genere.

Anche in questo caso, come si vedrà nei successivi, i fi ori rappresentati sono: rose, mughetti, gigli e tulipani, del resto sono

gli stessi fi ori che si riscontrano in tutti gli altri paliotti presenti nelle chiese di Bevagna, e nella maggior parte delle chiese umbre nelle quali sono presenti questi tipi di decorazione in scagliola policroma.

beato Giacomo Bianconi, fi nanziata dalle famiglie aristocratiche del paese e dalle corporazioni (Sarti, Canapai, Muratori, Bifolchi); solo tra il 1736 e il 1745 si mette mano ai lavori della chiesa, che modifi cano profondamente l’assetto antico con la sopraelevazione del soffi tto chiuso da una volta ribassata e il riallestimento degli altari, con l’esecuzione di ben sei paliotti fi nanziata anche questa volta da famiglie aristocratiche, dalle corporazioni e dai domenicani stessi

(5)

A Arte

Il paliotto (cm 222 x 96) addossato alla parete sinistra della chiesa, riporta la

data 1728, e, sotto il medaglione, porta l’iscrizione: “ FECE FARE FRANCESCO

ANTONIO ASCIANI e FRANCESCO REALI FICIALI”. Anche questa decorazione, come negli altri paliotti, si snoda sullo sfondo nero ed è incorniciata da un bordo in fi nto marmo rosato. L’intera superfi cie del riquadro centrale è ricoperta da un animato girare delle volute di foglie d’acanto, intrecciate con una consueta varietà di fi ori, e nella parte alta della decorazione sono anche adagiati due piccoli pappagalli e due colombelle che si danno le spalle, ma si rivolgono l’una all’altra con la testa. In questo paliotto i colori sono meno vivaci degli altri. Il disegno è simmetrico e abbraccia il clipeo, nel quale è rappresentato S. Antonio.

Il paliotto (cm 195 x 99) in scagliola policroma è addossato alla parete destra della chiesa. Il paliotto presenta nel clipeo centrale lo stemma della corporazione dei “Sarti e Scarpettari”

ed in basso reca un’iscrizione leggibile:

“RAFFAELLO ROSATI PRIORE e GASPARO SALVI CAMERLENGO”, la datazione in questo caso è sconosciuta. Il paliotto presenta una cornice decorata in pizzo, chiamato “punto in aria”, che era di moda fra le merlettaie veneziane dell’epoca. Il pizzo rappresenta il bordo della tovaglia che scende dalla mensa d’altare davanti all’antependium; all’interno di questa cornice ne troviamo un’altra molto sottile in fi nto marmo giallo e, nel grande riquadro sempre su fondo nero, tre girali di foglie d’acanto dorate incorniciate da ghirlande di molteplici varietà di fi ori; essi sono animati, nella parte in alto

da quattro pappagallini che si adagiano delicatamente su piccoli rami. I girali si

snodano simmetricamente al clipeo centrale raffi gurante gli arnesi dei due mestieri.

Paliotto situato nel secondo altare del lato destro della chiesa (cm 204 x 93).

Questo presenta al centro lo stemma dei Domenicani, con la scritta: “DEO ET

MATRI PIETATIS AERE”, ed in basso riporta anche la data leggibile tranne che per l’ultima cifra la quale è per più della metà mancante, 1723/1728.

Anche questo non differisce dal fi lone iconografi co comune agli altri di questa chiesa;

la cornice in pizzo spicca fra le altre per la rara raffi natezza, al suo interno sono persino rappresentati degli uccellini. Questa, racchiude, mediante un ‘nastro’ verde, il riquadro centrale, animato da quattro volute di foglie d’acanto dorate che s’intrecciano l’una nell’altra; al centro di esse ed esteriormente trovano vita molteplici varietà di fi ori e di volatili tra cui la colomba e i pappagalli, simboli di salvezza. Lo sfondo usuale nero, ne esalta i colori e la luminosità.

(6)

A Arte

1. F. ALBERTI, Notizie antiche e moderne riguardanti Bevagna città dell’Umbria, raccolte redatte in compendio, Bevagna, stamperia Coleti, 1786.

2. A. GUAITOLI, L’arte della scagliola a Carpi nel XVII e XVIII secolo, Carpi, 1928.

3. M. MIMMO, Tecniche di esecuzione e materiali costitutivi. Corso sulla manutenzione dei dipinti murali, mosaici, stucchi. Dimos, parte I, modulo 1, Roma, Istituto Centrale del Restauro, 1978. R. CREMASCHI, L’arte della scagliola carpigiana nei secoli XVII, XVIII e XIX, Carpi, Cassa di Risparmio di carpi, 1977.R. CREMASCHI, L’arte della scagliola carpigiana nei secoli XVII, XVIII e XIX, Mantova, Publi Paolini, 1977.

4. A. COLOMBI FERRETTI, I paliotti in scagliola, in Arte del Settecento Emiliano. L’arredo sacro e profano, Catalogo della mostra, Bologna, 1979.

5. Storia dell’Arte Italiana, Torino, Einaudi, 1980.

A. COLOMBI FERRETTI, I paliotti in scagliola, in Cultura popolare dell’Emilia Romagna. Vita di Borgo e artigianato, Milano, Federazione Casse di Risparmio dell’Emilia Romagna, 1980.

J. BENTINI, L’arte del Settecento emiliano. L’arredo sacro e profano a Bologna e nelle Legazioni Pontifi cie. La raccolta Zambeccari, Bologna, Catalogo della mostra, 1979.

Bevagna, chiesa dei SS. Domenico e Giacomo, interno.

Paliotto (cm 216 x 106) situato nella parete destra nella navata, in quello che doveva essere l’altare della prima

cappella seicentesca. La data non compare, ma, osservandolo, si deduce che l’impianto iconografi co deve essere

contemporaneo agli altri dello stesso edifi cio.

In questo caso manca la decorazione a pizzi nel bordo, possiamo infatti ipotizzare che nel cartone preparatorio ci fosse, perché la bordura nera che incornicia il paliotto è solitamente utilizzata per contenere quel tipo di decorazione.

Rimane comunque il ‘nastro’ chiaro a spirale che contorna la decorazione naturalistica di quest’esemplare. Anche questo paliotto presenta nel clipeo centrale, costituito da un fascio di gigli intrecciati tenuti fermi da un nastro rosso, lo stemma dei domenicani, un cane che tiene in bocca una torcia e che poggia sul globo. Le volute di foglie d’acanto, sono animate da una varietà molto numerosa di fi ori e frutti (rametti di fragole e melograni) che riempiono gli spazi tra una voluta e l’altra. I colori qui sono molto vivaci.

PALIOTTO

Denominazione data nel tardo medioevo a quel rivestimento liturgico dell’altare che nasconde la parte anteriore della mensa (detto anche antependium). Può essere fatto da vari materiali, generalmente è di seta o di velluto ricamato anche con materiali preziosi, ma si può dire che tutte le materie suscettibili ad applicazioni artistiche siano adoperate: oro, argento, bronzo, legno, avorio, cuoio, scagliola ecc..

Riferimenti

Documenti correlati

ardentemente che d'ora in poi, nelle varie istituzioni e forme della vita della Chiesa, tutti gli sforzi tendano passo passo al conseguimento di essa, specialmente con

derivazione  che  assume  il  volto  di  una  forma  simbolica  dai  molteplici  legami, 

L’esistenza di tale risorgiva trova una singolare rispondenza in una leggenda locale, codificata nel Seicento (fig. 9), legata alla violazione di antichi ri- tuali agricoli e

La prima casa in cui nel 1868, giovane sposa di Pietro Brunamonti, viene accolta Maria Alinda Bonacci non è quella di Bevagna, ma la villa di Trevi, nella frazione La Pigge,

“prese collegialmente e ufficialmente nel corso delle riunioni del Corso di laurea”. Seguivano interventi dei proff. Sebellin, Munari, Bevilacqua e Guardamagna che

Visto il vigente regolamento per la disciplina dei concorsi e delle altre procedure di assunzione, approvato con deliberazione della Giunta dell’Unione n. 165/2001,

E più recentemente parecchi membri dell’Accademia di Francia, appartenenti al partito cattolico, tra cui il Brunetière, il de Vogué, il Denis Cochin, il conte

Se il fondatore di chiese non prende il tempo per delegare la responsabilità, per provvedere addestramento e per avviare altre persone al ministero, la crescita e il ministero