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Ottantesimo anniversario della Guerra di Grecia

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Academic year: 2022

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BELLUNO TAXE PERÇUE TASSA RISCOSSA

PERIODICO  INFORMATIVO RISERVATO AI SOCI  DELLA  SEZIONE  DI  FELTRE  DELL’A.N.A.

IN CASO DI MANCATO RECAPITO RINVIARE ALL’UFFICIO P.T. DI BELLUNO DETENTORE DEL CONTO PER RESTITUZIONE AL MITTENTE CHE SI IMPEGNA A PAGARE LA RELATIVA TARIFFA

1940 - 2020

Ottantesimo anniversario

della Guerra di Grecia

(2)

2 Alpini… Sempre! - N. 3/2020 2

Alpini… Sempre! - N. 3/2020 1

ANNO XLI - N. 3 - SETTEMBRE 2020 - Pubblicazione trimestrale - 3 0,05 Pubbl. inf. 50%

Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NE/BL

BELLUNO TAXE PERÇUE TASSA RISCOSSA

PERIODICO  INFORMATIVO RISERVATO AI SOCI  DELLA  SEZIONE  DI  FELTRE  DELL’A.N.A.

IN CASO DI MANCATO RECAPITO RINVIARE ALL’UFFICIO P.T. DI BELLUNO DETENTORE DEL CONTO PER RESTITUZIONE AL MITTENTE CHE SI IMPEGNA A PAGARE LA RELATIVA TARIFFA

1940 - 2020

Ottantesimo anniversario della Guerra di Grecia

DI QUESTO NUMERO SONO STATE STAMPATE 5.200 COPIE PRESIDENTE:

Stefano Mariech

DIRETTORE RESPONSABILE:

Italo Riera PUBBLICITÀ:

Gruppo DBS-SMAA srl ADDETTO AGLI INDIRIZZI:

Luciano Dionessa

REDAZIONE DIRETTORE: Italo Riera VICE DIRETTORE: Nicola Mione Hanno collaborato: Carlo Balestra, Emanuele  Casagrande, Giuseppe D’Alia, Santo De Dorigo.

Direzione, Redazione e Amministrazione presso la sede A.N.A. - Via Mezzaterra, 11/A FELTRE - Tel. 0439.80992 - Fax 0439.83897 E-mail: redazione.feltre@gmail.com Autorizzazione del Tribunale di Belluno N. 6/79 - Prot. N. 23337 del 22 ottobre 1979 Editore A.N.A. Feltre - Via Mezzaterra, 11/A Iscr. repertorio ROC n. 23842

Stampa DBS - Rasai di Seren del Grappa (BL)

IN COPERTINA:

Sui monti della Grecia: guado della Vojussa - che qui si chiama Aòos - da Furka verso

Samarina, sul Pindo. (I. R.) IN 4ª DI COPERTINA:

Stretta di Kalpaki (Giànina, Grecia).

Estate 1941

AVVICENDAMENTO A CIMA GRAPPA

Apprendiamo dal Ministero della Difesa che il 9 agosto scorso il Tenente Colonnello Riccardo La Bella ha lasciato, per collocamento in quiescenza, l’incarico di Direttore del Sacrario Militare di Cima Grappa assunto nel dicembre del 2009 ed è stato avvicendato dal Maggiore Marco Arancio, proveniente dal 7° Reggimento Alpini di Belluno.

Nella circostanza, il Commissario Generale per le Onoranze ai Caduti, Generale di Corpo d’Armata Alessandro Veltri, ha ringraziato il Tenente Colonnello La Bella per l’intenso, complesso e proficuo lavoro svolto e per la dedizione e la passione che ne hanno costantemente caratterizzato l’operato in questo lungo periodo a Cima Grappa, dalla cui Direzione dipendono territorialmente altri numerosi Sacrari, ubicati in un’area di competenza vasta e diversificata, ove anche le condizioni meteorologiche, spe- cie in inverno, ne hanno reso difficile la già delicata opera

di custodia, tutela e valorizzazione. Al Tenente Colonnello La Bella è stato espresso un particolare apprezzamento per aver saputo, nel tempo, tessere una proficua rete di rapporti con le Autorità locali e con le molteplici Associazioni, che, a vario titolo, contribuiscono a garantire la più corretta gestione dei Sacrari, permettendone la fruizione ottimale al pubblico dei visitatori.

Il Generale Veltri, nel confermare al Tenente Colonnello La Bella la soddisfazione per l’opera svolta in oltre un decennio, gli ha augurato un futuro di serenità e soddisfa- zione a livello personale e familiare; nella circostanza, egli ha rivolto i migliori auguri anche al Maggiore Arancio, che assume l’incarico, certo che saprà fornire un altrettanto qualificato, generoso e competente apporto alle complesse attività di gestione e valorizzazione del Sacrario Militare di Cima Grappa e degli altri Sacrari che insistono sul territo- rio, luoghi simbolo per il doveroso mantenimento del Culto della Memoria dei Caduti italiani di tutte le guerre.

Onore ai Caduti. Ora e sempre.

Il Maggiore Marco Arancio

Il Tenente Colonnello Riccardo La Bella

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IN COSA CREDIAMO?

Che il popolo italiano sia avvezzo a repentini cambi di passionalità in merito alle vicende che lo riguardano è cosa nota da sempre. Improvvisi entusiasmi, seguiti da drastici cali di umore hanno accompagnato, soprat- tutto nel recente passato, molte delle tappe importanti della nostra storia.

Osservando quanto emerso in questi ultimi mesi sembra che questo atteg- giamento non sia cambiato.

Dopo una fase di reazione emotiva - nella quale tutto avrebbe dovuto andare bene, si è cantato da molti poggioli delle abitazioni italiane e si è accompagnato il tutto con l’esposi- zione compulsiva del nostro Tricolore - traspare ora una fase di attesa pre- occupata. Un’attesa nella quale l’effi- mero amor patrio ha purtroppo spesso lasciato il posto da un lato a fenomeni di superficialità e prepotenza nell’ac- cettare le regole del buon senso, e dall’altro al venir meno del senso di appartenenza civico: così si rischia di demolire quanto di buono molti cit- tadini hanno voluto comunicare nel

periodo di fase acuta del guaio che sta imperversando.

Nel periodo in cui sono sorti gli episodi definiti ‘flash mob’, dei quali molti si sono meravigliati e financo commossi, sono a mio giudizio pas- sate quasi inosservate le date delle solennità riguardanti le tappe fondanti della nostra Repubblica, per le quali non si è dimostrato lo stesso slancio e la stessa passione.

Dal giorno del ‘lockdown’ sono state celebrate infatti: il 17 marzo, Festa dell’Unità d’Italia, ma anche, guarda un po’, Festa del Tricolore; il 25 aprile, Festa della Liberazione, e il 2 giugno, Festa della Repubblica, nel corso delle quali, personalmente, oltre alla scarsa presenza di citta- dini alle cerimonie organizzate dalle Amministrazioni, dovuta al divieto di assembramento, ho notato anche una disattenzione al Tricolore, troppo spesso anche abbandonato a sbiadire e ad impolverarsi.

Sembra quasi che la passione pro- fusa nei canti e nello sventolio di bandiere fuori contesto sia già stata dimenticata, come avviene all’indo- mani delle serate di giubilo sportivo.

Ciò fa riflettere: in cosa crediamo?

Cosa induce a comportarci in modo così differente in momenti, che dal mio punto di vista, rappresen- tano entrambi un tributo alla nostra Nazione e al nostro Popolo?

Queste considerazioni risultano par- ticolarmente importanti per la nostra Associazione, che fa dell’amor patrio uno degli scopi fondanti del proprio essere.

È vero che in questo lungo e diffi- cile periodo molti Gruppi della nostra splendida Sezione si sono rimboc- cati le maniche pur nella complessità

del doveroso rispetto delle norme, e che la nostra Protezione Civile si è impegnata oltre l’immaginabile per supportare le Istituzioni nella fase di emergenza.

Ma è giunto il momento di dare un forte e chiaro segnale di unità, di ritro- vare il vigore per riportare in alto il nostro Vessillo e i nostri Gagliardetti, per far ricordare alla cittadinanza (e forse anche a noi stessi) che “l’alpin l’è sempre quel”.

Non illudiamoci che tutto sia finito e, nonostante ciò, non perdiamo di vista i nostri valori e soprattutto l’im- pegno a condividerli con le Ammi- nistrazioni e con la cittadinanza e a tramandarli alle generazioni future come prevede il nostro Statuto.

Credo sia importante quindi pro- muovere ancora il nostro impegno nei prossimi appuntamenti istituzionali, a cominciare dal 4 novembre, Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate, nel corso della quale tutti noi dovremo impegnarci a proporre un’altra volta il messaggio di unità che ci contraddistingue.

Organizziamo dunque presso tutti i monumenti dei paesi e delle fra- zioni dei nostri quaranta Gruppi un momento di commemorazione da celebrare alla stessa ora e con le medesime modalità, con l’appoggio delle Istituzioni e soprattutto con il coinvolgimento della cittadinanza.

Non abbiamo mollato in momenti più drammatici, non possiamo e non dobbiamo farlo ora.

W il Tricolore, W gli Alpini, W la Sezione di Feltre e i suoi quaranta Gruppi!

Il Presidente Stefano Mariech

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4 Alpini… Sempre! - N. 3/2020

CONTRADDIRE O ‘ELIMINARE’?

Oltreoceano si stanno verificando fatti incresciosi, almeno a mio modo di vedere: un’ondata iconoclasta e assolutista sta sconvolgendo le piazze statunitensi, dove folle agitate rovesciano e distruggono ogni statua e ogni simbolo non collimante con le proprie vedute (conce- dendo che tali vedute poi ci siano davvero…); ad Accra, in Ghana, è stata abbattuta la statua di Gandhi, conside- rato razzista…

Non si tratta di quelle manifestazioni violente che si hanno alla fine di guerre e regimi: non è la bronzea testa del Duce ribaltata e utilizzata come sputacchiera, né la statua di Lenin rovesciata con la ruspa. Non è nemmeno l’abbattimento della statua di Saddam Hussein a Baghdad, il 9 aprile 2003, organizzata e pubblicizzata dagli Ameri- cani per sottolineare la conquista della capitale irachena (sappiamo poi bene come si sia sviluppata invece la situa- zione da quelle parti); niente a che vedere con la cancel- lazione dei Buddha di Bamiyan operata dai Talebani nel 2001 o con la distruzione di Palmira da parte dell’I.S.I.S.

nel 2015.

La lista di statue e monumenti distrutti per motivi poli- tico-religiosi inizia ben lontano ed è praticamente infi- nita, come sanno bene gli archeologi. Gli esempi, a partire dall’Antichità, si trovano a bizzeffe: pensiamo solo alla pratica della damnatio memoriae, la ‘cancellazione della memoria’ per cui effigi e testimonianze del ‘nemico’ - di solito l’imperatore spodestato - venivano eliminati in tutto l’Impero Romano, quasi non fosse mai esistito; pensiamo all’editto promulgato da Teodosio II il 14 novembre 435 (Codice Teodosiano, 16.10.25), che - accelerando una prassi già in auge - ordinava la distruzione di tutti i templi pagani superstiti, comminando la morte a chi non si ade- guasse; pensiamo alle centinaia di teocalli distrutti in Ame- rica Centrale dopo la conquista spagnola e serviti magari da base di fondazione per le nuove chiese, come ben esem- plifica la grandiosa Cattedrale di Città del Messico.

Sono solo alcuni fra i mille esempi possibili.

Torniamo però all’attualità: che senso ha oggi abbat- tere la statua di Cristoforo Colombo o sconciare quella di

Indro Montanelli, al di là degli scandali o dei tentativi di giustificazione?

Usciamo per caso da una guerra, magari civile? Non ci troviamo forse invece in democrazia, tanto qui come negli S.U.A.? Non esiste forse la possibilità di parlare, contrad- dire, dimostrare l’infondatezza eventuale delle tesi che si contrastano, rendere pubblici fatti e misfatti?

Allora che senso hanno questi episodi? Perché sta inva- lendo questa pericolosa tendenza all’eliminazione dell’av- versario - in effige per ora - anziché alla circostanziata confutazione delle sue tesi o alla conclamazione delle sue responsabilità? Perché il dibattito culturale mostra segni di imbarbarimento, con la formazione di schieramenti mani- chei - Bene e Male contrapposti - impegnati nella cancel- lazione dell’altro, che passa appunto per la negazione del suo diritto di parola, per la sua ridicolizzazione e umilia- zione (nel senso letterale di ‘trascinamento a terra’)?

Se è vero che l’A.N.A. ha come elemento costitutivo il ricordo, non dovremmo forse interrogarci un po’ di più su questi temi?

Perché, si parva licet componere magnis, «se - come si chiedeva Virgilio - è lecito paragonare le cose piccole alle grandi», accadono fra noi fatti che mi lasciano preoccu- pato e amareggiato.

Mi spiego nel concreto: il 3 agosto scorso la Sezione - non il sottoscritto, come parrebbe normale - ha ricevuto una comunicazione del seguente tenore (i corsivi sono miei), di cui preferisco tacere l’autore (sopprimendo le parti che contribuirebbero a identificarlo, non per cen- sura, ma a sua tutela):

« Carissimo PRESIDENTE, ho appena ricevuto l’ul- timo numero di Alpini...Sempre! ed ho letto con sommo disappunto l’articolo di apertura del giornale concernente la dichiarazione di guerra del 10 giugno 1940. Non so quale spirito Alpino abbia suggerito al neo direttore l’idea di tale nefasta rievocazione e non me ne importa franca- mente. Mi è parso [sic] gratuita, provocatoria e ingiusti- ficata. […] intendo rimanere Alpino anche senza tessera ma lontano da un direttore di giornale che non mi rappre- senta. […]».

Non conta qui andare a vedere cosa sia parso ‘nefasto’,

‘gratuito’, ‘provocatorio’ e ‘ingiustificato’ all’estensore della comunicazione; per fortuna non siamo ancora all’orwelliano

‘Ministero della Verità’ di 1984, la lettura è ancora attività libera e tutti si saranno potuti fare un’idea propria di ciò che ho scritto e ne avranno dato valutazioni proprie.

Mi pongo però delle domande: se qualcosa non piace, perché non farlo sapere al diretto interessato?

Se la parola ‘nefasto’ connota la capacità di provocare un danno o di apportare rischio gravissimo, non sarebbe il caso di indicare e specificare questo danno potenziale? (A meno che l’estensore non intendesse, come gli antichi Romani, ciò che è posto sotto la proibizione divina, nel qual caso ci si ricollega ad Orwell e non c’è possibilità di dibattito).

E come considerare quel ‘gratuito’ (immagino nell’ac- cezione di ‘immotivato’)?

Accra (Ghana), 14 dicembre 2018. Studenti dell'Università del Ghana rimuovono la statua di Gandhi, considerato promotore di idee razziste contro gli indigeni.

(5)

L’articolo 2 del nostro Statuto recita: «Associazione apartitica, l’Associazione Nazionale Alpini si propone di:

a) tenere vive e tramandare le tradizioni degli Alpini, difen- derne le caratteristiche, illustrarne le glorie e le gesta […]»

(l’estensore si domanda anche: “quale spirito Alpino’ ecc.).

E ‘provocatorio’? E ‘ingiustificato’?

Carlo Levi diceva che ‘le parole sono pietre’, ma non intendeva veramente che venissero usate per ‘lapidare’…

E poi, quale sarebbe il senso, la causa della ‘lapidazione’?

Ultima perplessità: si straccia la tessera A.N.A. per essere ‘lontani da un direttore che non ci rappresenta’? Le dimissioni come arma di scontro… su cosa?

Tralascio ulteriori commenti e chiudo con ciò che mi pare di buon auspicio: se dopo quattro anni vengo ancora considerato ‘neo’ direttore, mi attendo allora una lunga vita.

Italo Riera

Il 29 febbraio scorso, al Passo di Bocca Trabaria (San Giustino / Perugia), i ‘soliti ignoti’ hanno semidistrutto a colpi di mazza il cippo collocato il 28 luglio 1982 per ricordare il passaggio di Garibaldi (27 luglio del 1849). Un esempio fra i tanti di come il

‘sentire’ di una sparuta minoranza possa violentare sentimenti diffusi.

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2020

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6 Alpini… Sempre! - N. 3/2020

ALBERTO NERI

Alba del 4 luglio 1915, Monte Paterno (Paternkofl, Dolomiti di Sesto). Sulla postazione di vetta, a oltre duemilasettecento metri d’altezza, è di guardia un’esigua squadra del I Plotone della 268ª del Val Piave - nove uomini col Caporal Maggiore Eugenio Da Rin1 - quando dalle antistanti posizioni austriache della Forcella di Toblin (Toblinger Riedel), del Monte Rudo (Ruderer Berg), della Torre dei Scarperi (Schwabenalpenkopf, in guerra ‘Torre Scarafaggio’) e del Sasso di Sesto (Sextnerstein) si scatena un inconsueto e intenso fuoco di artiglieria e mitragliatrici, che dura circa due ore.

Poi il tiro cessa e gli uomini di Da Rin escono in trincea, dove piovono una, due, tre bombe a mano; l’ultima esplode.

Pietro De Luca2, un erculeo Alpino trevigiano, si sporge ferito sulla parete sottostante e si accorge che gli Austriaci vi si stanno arrampicando e sono quasi giunti in cima; afferra una pietra e la scaglia sul primo, che perde l’equilibrio e cade nel vuoto. Quell’Austriaco era Sepp Innerkofler3, rinomata guida alpina di Sesto.

De Luca non si perde poi d’animo: chiama a gran voce Da Rin e nel contempo lancia una gragnuola di pietre contro i nemici, che indietreggiano, mentre il nemico inizia nuovamente il fuoco di artiglieria e mitragliatrici per coprire la ritirata dei suoi.

La vicenda appena ricordata è notissima (anche perché dai contorni per alcuni aspetti poco chiari)4; tutti sanno che gli Alpini Loschi5 e Vecellio recuperarono a rischio della vita la salma di Innerkofler, cui fu data sepoltura con l’onore delle armi sulla cima del Paterno.

Non è di questo però che voglio parlare qui: la storia di Da Rin, De Luca, Innerkofler mi porge solo il destro per introdurre un’altra figura, quella di Alberto Neri, all’epoca Comandante della 268ª.

L’occasione ci è data dalla cortesia del Signor Franco Manetti, che - tramite il Signor Ciro Dall'Armi - ci ha fatto avere copia di una lettera scritta dal Neri al Generale Mario Lamberti di Colle6, che qui trascrivo:

28 - 8- 915 Eccellenza!

So di farLe piacere scrivendoLe cose | buone. Le promisi che al comando di | truppa mi sarei fatto onore.

Credo di | esservi riuscito. I giornali hanno parla=|to di un’occupazione avanzata con | prigionieri e bottino. Fui io a | farla. Mi si dette il comando di un | battaglione, andai e vinsi. |

Se avesse visto Eccellenza da dove | feci passare i miei Alpini !! Capi=|tai sopra gli Austriaci da dove | proprio non se l’aspettavano. Poveri | Cani ! Cercarono di scappare ed an= |che di lottare, ma morto il loro | Capitano presi prigionieri gli Ufficiali || [p. 2] mi si buttarono in ginocchio battendo | le mani e gridando: Pietà - Pietà ! | Canaglie perché il giorno dopo un | altro reparto che andai a trovare | nella successiva avanzata sparò | ed ammazzò i miei portaferiti men=|tre portavano dei feriti sulla barella !! | Feci un discreto bottino. Trovai tutto | minato; ma non ebbero il piacere | di farmi saltare per aria perché | capitai nell’Ufficio del Capitano e | piombai sopra l’accumulatore elettrico che | doveva far scoppiare le mine. |

Dovrei raccontarLe mille episodi | ma non voglio abusare del Suo tem=|po prezioso. I miei Alpini sembravano

| leoni e qualche pugno un po’ sodo || [p. 3] capitò tra capo e collo di quelli che erano | indecisi se arrendersi.

Che sporcizia Eccel=|lenza in quei ricoveri! Cadaveri lasciati | là chissà da quando, immondizie di | ogni genere

! ma basta perché temo | di annoiarLa. Fui proposto per ripren=|dere il mio posto colla mia anzianità | per merito di guerra. A proposito | rimasi anche ferito: ma fu un’inezia | che non dissi a nessuno se non dopo | gli 8 giorni di combattimento. Natu=|ralmente non ho mai abbandonato | il mio posto ed oggi è tutto passato. | Mi permetta Eccellenza una | rispettosa stretta di mano devotissi=|mo Neri Alberto |

Capitano Alpini Val Piave | 1° Corpo Armata.

Credo che scorrendo queste righe, riferite ai combattimenti sostenuti dal Val Piave dal 14 al 19 agosto 1915 per la conquista della Forcella di Toblin e del Sasso di Sesto, non sfuggano a nessuno certi elementi che traspaiono dal racconto: l’orgoglio del comandare uomini di grande valore, pur con la deferenza mostrata nei confronti del Generale Lamberti di Colle, eroe di Custoza; le miserie della guerra in alta montagna, con i cadaveri lasciati nelle postazioni fra i vivi e le immondizie;

la crudeltà delle tecniche messe in campo, dove sovviene il ricordo del Paolo Monelli di Le scarpe al sole quando dice:

«E l’altro giorno càpito in trincea alle spalle della vedetta appiccicata al parapetto di neve, all’agguato. — Cosa fai? — Go copà un todesco. — Bravo. E adesso? — Aspeto che i lo vegna a tor, per spararghe adosso anca a lori. | Perdonatemi, Pietro De Luca e Sepp Innerkofler

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signori della Croce Rossa che sedete attorno ai tiepidi tavolini verdi e stillate le regole della guerra umanitaria. Io non ho saputo dargli torto, al soldato: anzi ho trovata buona l’idea, e mi sono portato vicino a lui, col moschetto, ed ho atteso, anch’io — come fossi alla posta della selvaggina.»7.

Chi era Alberto Neri? «Si chiama con un nome fiorentino, dimostra cinquant’anni [ne aveva quarantatré], è soltanto maggiore. Volto imperioso, statura tozza, parla scandendo ogni sillaba con voce di timbro toscano e l’accento d’un toscano spaesato» racconta Fernando Agnoletti8.

In realtà poco ne sappiamo e quel poco lo ricaviamo principalmente da documenti come il Giornale Militare, il Bollettino Ufficiale delle nomine, i Ruoli d’Anzianità degli Ufficiali del Regio Esercito o la Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia.

Certamente era nato il 17 giugno 1873 ad Arezzo (da qui deriva forse la conoscenza con Mario Lamberti di Colle). Il 30 giugno 1894, quando era Sergente al 1° Alpini, concorse per poter entrare alla Scuola Sottufficiali, che frequentò dal 1° ottobre. Il 30 ottobre 1896 fu nominato Sottotenente in S.

A. P. - Servizio Attivo Permanente - e destinato al Battaglione Gemona (che fra il 1887 e il 1909 appartenne, con la nappina verde, al 7°, formato il 1° agosto 1887). L’11 marzo 1900 fu promosso Tenente, continuando il servizio al Gemona - dove comandava il Plotone Guide - agli ordini di Antonio Cantore, all’epoca Maggiore.

L’8 luglio 1904, avendo chiesto di essere dispensato dal S.

A. P., fu iscritto nei ruoli degli Ufficiali di Complemento e congedato e nel maggio 1905, avendo trasferito la propria residenza da Arezzo a Belluno fu iscritto nella forza di quel Distretto Militare, con centro di mobilitazione il 7° Alpini.

Il 1° ottobre 1909 il Gemona passò all’8° Alpini, appena formato; per questo Neri, residente a Treviso almeno dal 1908, ebbe come centro di mobilitazione l’8° Alpini. Il 31 marzo 1912 fu promosso Capitano e il 1° agosto 1913, per ragioni di età, fu trasferito dal Ruolo di Complemento a quello di Milizia Territoriale. Nel 1914, richiamato, fu in Libia, poi fu nuovamente richiamato dal 10 febbraio 1915, per cinquanta giorni, all’8° Alpini; il 18 febbraio fu trasferito al 7° e poi, allo scadere dei cinquanta giorni, spirarono i venti di guerra.

Fu, da Capitano di Milizia Territoriale i.g.s. - incaricato del grado superiore - il Comandante del Val Piave dal 14 agosto al 13 ottobre 1915 e, per gli episodi citati nella lettera, meritò la Medaglia d’Argento al Valor Militare perché «In un’operazione ardita, volle, per balze credute inaccessibili, guidare e precedere un reparto di alpini all’attacco di una ridotta nemica, riuscendo ad impossessarsene di sorpresa, con lievissime perdite. Colpito ad una coscia da una scheggia di granata, continuò a tenere il comando della compagnia [in realtà del Battaglione] durante il combattimento. Toblinger Riedel, 12-19 agosto 1915» [B. U. 1916, p. 3226]. Fu ancora al comando del Val Piave dal 27 ottobre al 7 dicembre 1915, dopo un breve periodo in cui esso fu agli ordini del Maggiore Lorenzo Emanuelli, proveniente dalla Brigata Marche e destinato alla Torino.

Il 7 maggio 1916 fu promosso Maggiore, sempre al 7°

Alpini, e il 3 giugno fu nominato Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia.

Fu decorato con la Croce di Cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia, per l’azione che portò alla conquista del Castelletto, sulla Tofana Prima, dopo la mina dell’11 luglio 1916, perché

«Durante tre giornate di aspra lotta contro difficoltà di natura

e di guerra, unico superstite di una schiera destinata ad un attacco ed improvvisamente colpito da asfissia, fu esempio mirabile di fermezza, di energia, di calma, di valore personale.

Diresse all’attacco più volte le proprie truppe, instancabile nel concepire i nuovi disegni d’azione. Senza cedere ai colpi dell’avversa fortuna, giunse finalmente al completo possesso della posizione nemica ed alla cattura di numerosi prigionieri, armi e materiali, facilitando così la buona riuscita di altre operazione del settore. Castelletto - Tofane, luglio 1916» [R.

D. del 18 dicembre 1919 in B. U. 1919, p. 7194].

Tornò poi a comandare il Val Piave dal 3 agosto 1916 al 2 febbraio 1917, quando il Battaglione - che il 1° dicembre ricevette una terza compagnia, la 275ª - operava nel settore Boite-Cristallo.

Non sappiamo cosa abbia fatto poi Neri sino al 7 ottobre 1917, quando fu promosso Tenente Colonnello, fu riammesso in S. A. P. e trasferito al 3° Alpini, Battaglione Val Pellice.

Sappiamo però che poco più di un mese dopo meritò a Vidor9 una seconda Medaglia d’Argento al Valor Militare perché

«Comandante di un’importante posizione furiosamente attaccata dal nemico, seppe, con calma ammirabile, con singolare energia e sereno coraggio, mantenere elevatissimo lo spirito combattivo delle sue truppe. Anche nei momenti più gravi della lotta, allorquando le artiglierie sconvolgevano le difese, e le mitragliatrici avversarie fulminavano i valorosi difensori, non mancò la più valida, eroica resistenza.

Ricevuto l’ordine di ripiegare, ne effettuava ordinatamente l’esecuzione, in condizioni difficilissime. Ponte di Vidor, 10 novembre 1917» [B. U. 1918, p. 1926].

Nel febbraio 1918 comandò ancora brevemente il Val Pellice e il 24 agosto meritò la terza Medaglia d’Argento al Valor Militare perché «Per lo scoppio di un proiettile di grosso calibro, essendosi sviluppato un incendio in un nostro deposito di munizioni contenente anche granate a gas asfissianti, accorreva prontamente sul posto, e dando bella prova di alto sentimento del dovere e di noncuranza del pericolo, organizzava con giusto criterio il lavoro di spegnimento, concorrendovi egli stesso e domando, dopo due ore di lavoro intenso ed estremamente pericoloso, il minaccioso incendio.

Cima Grappa, 24 agosto 1918» [B. U. 1919, p. 6234].

Ad armistizi conclusi, nel dicembre fu congedato e iscritto nei ruoli del personale in congedo della M. T. Dal 16 novembre 1919 cessò di appartenere al Regio Esercito perché trasferito alla R. Guardia di Pubblica Sicurezza, nella quale

Mario Lamberti di Colle Alberto Neri

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8 Alpini… Sempre! - N. 3/2020

1 Eugenio Da Rin Puppel (Laggio di Vigo di Cadore / Belluno, 29 agosto 1893 - 20 dicembre 1969). Per l’episodio meritò la Medaglia d’Argento al Valor Militare perché

«Comandante di una piccola guardia, in un assalto tentato da tre pattuglie nemiche, dimostrò mirabile fermezza d’animo rigettando, dopo ore di intensa lotta, l’avversario. Monte Paterno, 4 luglio 1915» [Bollettino Ufficiale 1915, p. 2637]. Ferito gravemente il 14 luglio nell’assalto notturno contro la Forcella di Toblin, promosso Sergente, tornerà al Battaglione col quale continuerà a combattere fino al 10 novembre 1917, quando sarà catturato in combattimento sul Col Mazzuc (Cansiglio) finendo la guerra in prigionia.

2 Pietro De Luca (Valmareno di Follina / Treviso, 22 agosto 1893 - Montevideo / Uruguay, 1973) meritò la Medaglia di Bronzo al Valor Militare perché «Mostrò arditezza e coraggio nel combattimento. Colpito abbastanza gravemente, non volle che nessuno lo accompagnasse, per non togliere un difensore dal fronte. Monte Paterno, 4 luglio 1915» [Bollettino Ufficiale 1915, p. 2664].

3 Josef ‘Sepp’ Innerkofler (Sesto / Sexten / Tirolo, oggi Bolzano, 28 ottobre 1865 - Monte Paterno, 4 luglio 1915) era alla sua epoca guida notissima e rinomata a livello internazionale, grande alpinista e gestore della Dreizinnenhütte alla Forcella di Toblin, che, distrutta dalle granate italiane il 25 maggio 1915, lasciò poi il posto all’odierno Rifugio Antonio Locatelli - Sepp Innerkofler. Arruolatosi volontario il 19 maggio 1915 degli Standschützen, la Milizia Territoriale tirolese, costituì la Pattuglia Volante (Fliegende Patrouille) di cui fecero parte fra gli altri i suoi compagni nell’ultima impresa Andreas Piller (di Sappada), Hans Forcher, Benitius Rogger, Franz von Rapp e Josef Taibon. Fu decorato in breve volgere di tempo di Silberne Tapferkeitsmedaille (assimilabile alla nostra Medaglia d’Argento al Valor Militare) di I e di II Classe e alla sua memoria fu concessa la Große Militärverdientsmedaille (nota come Signum Laudis), corrispettivo della nostra Medaglia d’Oro al Valor Militare. Per la sua figura è utile Heiss Hans, Holzer Rudolph 2015, Sepp Innerkofler. Alpinista. Pioniere del turismo. Eroe, Bolzano (traduzione di Sepp Innerkofler. Bergsteiger. Tourismuspionier. Held, Vienna-Bolzano 2015).

4 Sugli ultimi istanti di vita di Innerkofler Christoph Hartung von Hartungen calcolava esistessero almeno trenta versioni, spesso discordanti (Sepp Innerkofler: il personaggio e il mito in «Aquile in Guerra. Rassegna di Studi della Società Storica della Guerra Bianca», VII, 1999, pp. 48-58; interessante anche il contesto, ricostruito in Überegger Oswald 2020, Il mito della guerra bianca. La memoria della Prima Guerra Mondiale in Tirolo, in «Annali. Museo Storico Italiano della Guerra», 27, 2019, pp. 95-115 consultabile in https://www.

museodellaguerra.it/wp-content/uploads/2020/04/Oswald-%C3%9Cberegger_Il-mito-della-guerra-bianca_MSIG.pdf). Si è pure detto, da parte del suo più giovane figlio Sepp jr., cui il padre impose di non accompagnarlo e che seguì col binocolo l’attacco, che Innerkofler sia stato effettivamente ucciso dal fuoco di una mitragliatrice austriaca.

5 Angelo Loschi (Follina / Treviso, 5 maggio 1892 - Novara, 3 gennaio 1963), studente di Medicina a Padova, era portaferiti e aiutante del Tenente Medico Antonio Berti (Venezia, 17 gennaio 1882 - Padova, 8 dicembre 1956), il famoso alpinista e studioso, che lasciò fra l’altro le proprie testimonianze di guerra in molti libri ancora ben noti. Il Loschi ebbe l’idea di recuperare la salma di Innerkofler - che considerava «uno dei più grandi combattenti che mai videro i nostri monti» - dal Camino Oppel, dov’era rimasta incastrata, e la realizzò aiutato da Vittorio Vecellio, da Vigo, che sarebbe poi stato decorato di Medaglia di Bronzo al Valor Militare sul Grappa col Feltre durante la Battaglia d’Arresto perché

«Circondato, insieme ad un caporale [che era Ernesto Bertazzon, da Nervesa, B. U. 1919, p. 2817], da una decina di soldati nemici, ne uccideva alcuni e fugava gli altri, tornando subito in linea colla propria compagnia. Monte del Tas (Treviso), 25 novembre 1917» [B. U. 1919, p. 2869].

6 Mario Lamberti, Nobile di Colle (Arezzo, 19 gennaio 1840 - Firenze, 28 febbraio 1924) intraprese nel 1855 la carriera militare nel Granducato di Toscana. Il 7 maggio 1859 fu Sottotenente del Battaglione Veliti del Governo Provvisorio toscano - divenuto poi, il 1° gennaio 1860, 31° Reggimento di Fanteria Siena - e, dopo l’annessione al Regno di Sardegna (22 marzo 1860), transitò il 25 marzo nel Regio Esercito. Partecipò alla Terza Guerra d’Indipendenza come Capitano del 32° Siena, cadendo ferito e prigioniero a Custoza, dove meritò la Medaglia d’Argento al Valor Militare «Per avere con un energico attacco alla baionetta dato tempo alla Bandiera di ritirarsi, cadendo dopo poco ferito e prigioniero nel fatto d’armi di Custoza il 24 giugno 1866» [R. D. del 6 dicembre 1866]. Liberato il 18 agosto 1866, partecipò alla Presa di Roma del 20 settembre 1870. Maggiore nel 1874, nel 1877 fu destinato agli Alpini, di cui comandò da Colonnello il 6° Reggimento (1887-1891). Promosso Maggiore Generale nel 1891, il 26 dicembre 1895 partì per l’Africa Orientale e fu Vice-Governatore dell’Eritrea fra il 16 aprile e il 28 agosto 1896, subito dopo Adua. Promosso Tenente Generale ricoprì vari incarichi fino al collocamento in posizione ausiliaria, il 5 gennaio 1908.

7 Monelli Paolo 1921, Le scarpe al sole. Cronaca di gaie e di tristi avventure d’alpini, di muli e di vino, Bologna, pp. 116-117.

8 Agnoletti Fernando 1917, Dal Giardino all’Isonzo, Firenze, p. 112

9 A Vidor, fra Villa Albertini, il ponte e il Castello, e a Bigolino i Volontari Alpini di Feltre, i Battaglioni Val Varaita del 2° Alpini, Monte Granero e Val Pellice del 3°, il IV Reparto d’Assalto Fiamme Nere, l’VIII Fiamme Verdi, le Compagnie Mitragliatrici alpine 921ª, 980ª, 981ª e 983ª, la Compagnia Lavoratori Feltre e aliquote di Bersaglieri Ciclisti, Artiglieri - una Batteria da 65 e due Sezioni da 70 - e Genieri contennero per un giorno la formidabile forza d’urto della 12ª Divisione slesiana. Le maggiori perdite furono subite dai Volontari Alpini di Feltre e dal Val Varaita e il Capitano imolese Stefanino Curti, Comandante della 221ª Compagnia, meritò sul Col Marcon la Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria.

Si veda Tosato Giorgio 2005, Volontari Alpini di Feltre e Cadore nella Grande Guerra, Feltre (Belluno), pp. 375-388, che altrove esprime anche apprezzamenti severi sull’azione di comando di Alberto Neri sul Castelletto (pp. 151-152, 154) e sul Forame (pp. 239-240, 245), che mi paiono più che altro interpretazioni personali delle memorie di alcuni protagonisti, come il fiorentino Fernando Agnoletti (6 marzo 1875 - 25 novembre 1933), antico Garibaldino del ’97, che sembrerebbero invece di tutt’altro tenore: «In questi giorni, presa Gorizia, addentato il Carso, tutti siam grati al duce lombardo [Luigi Cadorna], ma il viso dell’alpino toscano [Alberto Neri] e le sue parole appagano meglio l’obsequim nostro atavico per il centurione quadrato che decretava: Hic optime manebimus» [Agnoletti Fernando 1917, Dal Giardino all’Isonzo, Firenze, p. 112].

fu promosso Colonnello; il 18 dicembre 1921, peraltro, fu riammesso nel R. E. I., sempre come Tenente Colonnello, e collocato in aspettativa per riduzione dei quadri. Il 2 luglio 1922 fu richiamato in servizio dall’aspettativa e destinato al 5° Alpini, dove fu considerato in servizio dal 2 giugno. Il 28 gennaio 1923 fu trasferito al 63° Reggimento di Fanteria Cagliari.

Per il periodo successivo le notizie si vanno diradando notevolmente.

Sappiamo che nel 1931 era residente a Roma, in Via Muggia 4 (poi 6), era invalido di guerra ed era pubblicista (aveva iniziato a scrivere nel 1895 per vari quotidiani veneti), essendo stato segretario di redazione de L’Impero. Quotidiano Politico di Roma dall’inizio al termine delle pubblicazioni (11 marzo 1923 - 4 dicembre 1929) [«Annuario della Stampa Italiana», IX-X, 1931-1932, p. 667].

Poi più nulla.

Italo Riera

FELTRE via Belluno, 41 T. 0439 2518 PEDAVENA

P.zza I Novembre, 5 T. 0439 302263 CESIOMAGGIORE via Roma, 5

T. 0439 43727

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IL PRIMO ALPINO PARACADUTISTA

Il motto Mai strac degli Alpini Paracadutisti mi induce a ricordare Pier Arrigo Barnaba, che con le sue gesta fu precursore della specialità delle Truppe Alpine.

Nato il 25 febbraio 1891 in provin- cia di Udine, ad Avilla di Buja, in una famiglia - quella dei Signori di Buja1 - dalla quale apprese quegli ideali e quei valori seguiti dai suoi avi già nel Risorgimento2 e che avrebbe poi mantenuto per tutta la vita, allo scop- pio della Prima Guerra Mondiale, pur essendo inabile al servizio militare (fu riformato per tachicardia), chiese più volte di essere arruolato nel Corpo degli Alpini; la sua insistenza fu pre- miata e fu assegnato al Battaglione Val Fella (Compagnie 269ª, 270ª e, dal maggio 1916, anche 8ª) dell’8°

Reggimento e nell’aprile del 1916, Sottotenente di Milizia Territoriale, fu inviato in Carnia, nel Settore Fella.

Di corporatura erculea (lo chiama- vano ‘Maciste Alpino’) e di animo ardimentoso, dimostrò le sue doti di combattente sul Monte Robon3 - dove meritò un encomio per essere interve- nuto al salvataggio di quindici soldati investiti da una valanga e, incurante del pericolo di nuovi distacchi, scavò febbrilmente a mani nude la neve, riu- scendo ad estrarre uno dei travolti e a porne in salvo ancora otto con l’aiuto di altri militari - e, ormai Tenente dal 21 gennaio 1917, in Valle Seebach (Predil) dove «In una ricognizione eseguita sulle linee nemiche, dava prova di ardimento e di elevato spi- rito militare riportandone materiali ed utili informazioni. Val Seebach, 30 settembre 1917», azione per cui gli sarebbe stata poi concessa la Croce di Guerra al Valor Militare [Bollettino Ufficiale 1924, p. 2535].

Sferratasi l’offensiva austro-tede- sca, il 27 ottobre partecipò con la 269ª del Val Fella alla resistenza a oltranza a Sella Scalini in Val Rac- colana (Chiusaforte), dove fu ferito e dove meritò la Medaglia di Bronzo al Valor Militare perché «Durante un forte bombardamento nemico, con proiettili a gas asfissianti, tenendo alto lo spirito della sua truppa,

respingeva l’attacco dell’avversario.

Ferito ad una mano, non abbando- nava il proprio posto, e incitando i dipendenti alla resistenza, manteneva la posizione fino a che non riceveva l’ordine di ripiegare. Sella Scalini (Val Raccolana), 27 ottobre 1917» [B.

U. 1920, p. 5190].

A causa della ferita non seguì la sorte amara del Val Fella in ripie- gamento, travolto dal nemico il 6 novembre nel Vallone di Forno e disciolto il 9; fu ricoverato in vari ospedali fra cui Livorno, mentre le truppe austro-tedesche invadevano il Friuli e il Veneto.

Lontano dal suo paese occupato, angosciato dal destino della propria famiglia e convinto di poter essere ancora utile alla Patria, si offrì volon- tario per un’impresa ad altissimo rischio da compiere in territorio nemico: sollecitato più volte l’Ufficio Informazioni dell’8ª Armata per poter attraversare le linee allo scopo di rac- cogliere notizie sulle forze avver- sarie, riuscì finalmente ad ottenerne l’autorizzazione e nella notte del 23 ottobre 1918, nell’imminenza della nostra offensiva finale, fu paracadu- tato nei pressi del paese natio, feren- dosi leggermente nell’atterraggio4.

Pur ricercato dalla polizia nemica, riuscì a fornire informazioni utili sullo schieramento delle truppe austro-ungariche utilizzando i pic- cioni viaggiatori e poté riunire i mili- tari italiani sbandati che si tenevano nascosti nella zona, portando anche a termine alcuni atti di sabotaggio.

Fu insignito per questo di Medaglia d’Argento al Valor Militare, poi ele- vata al grado Oro, perché «Sebbene inabile alle fatiche di guerra per ferita riportata in combattimento, con elevato senso di amor patrio, si offrì volontario per essere tra- sportato in aeroplano e calato con paracadute in territorio invaso dal nemico. Sprezzando le gravi conse- guenze nelle quali sarebbe incorso, se scoperto, inviò per vari giorni, con mezzi aerei, importanti notizie sul nemico. Ogni suo atto fu un fulgido esempio di valore e di patriottismo.

Piave-Tagliamento, ottobre-novem- bre 1918» [Regio Decreto dell’8 gen- naio 1922, in B. U. 1922, p. 101, in commutazione della Medaglia d’Argento al Valor Militare concessa con R. D. del 27 maggio 1920, in B. U. 1920, p. 2595, dove le date sono più precisamente indi- cate: 23 ottobre-6 novembre 1918].

Barnaba fu congedato nel 1919.

Amico di Italo Balbo, di cinque anni più giovane di lui, anch’egli Ufficiale dell’8° e cofondatore de L’Alpino, aderì al Fascismo all’inizio del 1923 e svolse attività politica, presentandosi alle elezioni del 6 aprile 1924 con la Lista Nazionale, riuscendo eletto Deputato al Parlamento nella XXVII Legislatura (24 maggio 1924-21 gen- naio 1929). Meritò la Medaglia d’Ar- gento al Valor Civile per aver salvato con Nicoloso una famiglia di Majano in occasione dell’alluvione del 20 set- tembre 1920. Fu anche socio fonda- tore della Società Filologica Friulana.

Nel 1935 partì volontario per l’A- frica Orientale, dove, 1° Capitano, Territorio Invaso, ottobre 1918. Ferruccio Nicoloso e Pier Arrigo Barnaba, di cui si nota l’alta statura, in una fotografia che contravviene i principi della clandestinità.

[Sala della Rimembranza della Julia - Udine]

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10 Alpini… Sempre! - N. 3/2020

Pier Arrigo Barnaba.

1 lirussi Mirella 1999, Una nobile famiglia friulana. I Barnaba, Trieste.

2 I Barnaba furono definiti ‘i Cairoli del Friuli’. Barnaba, padre di Pier Arrigo, ad esempio, combatté a San Martino il 24 giugno 1859 e seguì poi Garibaldi fra i Mille (BArAttin Dino 2011, Tito Zaniboni e il complotto friulano per uccidere Mussolini, San Daniele del Friuli (Udine), pp. 21-22).

3 Fra il Monte Robon Basso (Italiänische Kanzel) e il Monte Robon Alto (Deutsche Kanzel) passava il confine italo-austriaco; si veda BuscAini Gino 1974, Alpi Giulie.

Italiane e Slovene, Milano, p. 346. Spesso si confondono il Monte Robon, a E di Sella Nevea, dove operò il Val Fella, e il Monte Rombon (Veliki Vrh), a N di Plezzo.

4 Pier Arrigo Barnaba narrò le sue vicende in Un lancio con paracadute nel 1918 in territorio invaso dal nemico, Udine, 1966. Il pioniere del paracadutismo militare fu il Tenente del XX Reparto d’Assalto Alessandro Tandura (Vittorio Veneto, 17 settembre 1893 - Mogadiscio, 28 dicembre 1937), che su un bimotore Savoia-Pomilio S.P. 4 pilotato dal Maggiore William George Barker (Dauphin / Manitoba, 13 novembre 1894 - Ottawa / Ontario, 12 marzo 1930), il militare più decorato della storia del Canada, che in quel periodo comandava la 139ª Squadriglia di stanza a Villaverla-Thiene, e con a bordo anche il Capitano Osservatore William Wedgwood Benn (Londra, 10 mag- gio 1877 - 17 novembre 1960), fu paracadutato in territorio nemico la notte sul 9 agosto 1918 (il giorno del Volo su Vienna); rimasto tre mesi alla macchia oltre le linee, meritò la Medaglia d’Oro al Valor Militare. Ne è stata già delineata la figura in Alpini… Sempre!, 2015, 2 (giugno), p. 14 e su di lui vale la pena di leggere l’autobiografico Tre mesi di spionaggio oltre il Piave. Agosto - Ottobre 1918, edito a Treviso nel 1934, ma ripubblicato dall’editore Kellerman di Vittorio Veneto nel 2008, congiunta- mente a VAlenti Alessandro 2008, Alessandro Tandura. 2 centimetri più alto del Re. Dal Piave a Birgot, Vittorio Veneto (Treviso). Un altro agente fu un compaesano di Barnaba, Ferruccio Nicoloso detto Angjelin (Santo Stefano di Buja / Udine, 21 luglio 1889 - Massaua / Eritrea, 1945 ca. o Mogadiscio / Somalia, 11 gennaio 1948).

Nominato Sottotenente l’11 ottobre 1915 e destinato al 38° Ravenna [B. U. 1915, p. 2197], fu poi trasferito al III/79° Roma, col quale meritò una Medaglia d’Argento al Valor Militare perché «Prima quale comandante di pattuglia, poi col suo reparto, portava i suoi uomini all’attacco di posizioni nemiche, con ardimento e valore. Ferito gravemente, rimaneva sul posto incitando i suoi soldati alla lotta con le parole: “Avanti ragazzi! La vittoria è vicina! Viva l’Italia!”. Monte Majo, 27-28 giugno 1916»

[B. U. 1917, p. 1893; si veda anche AnzAnello Ezio 2019, La Grande Guerra sulle Prealpi Venete. Il Monte Majo. Le operazioni del Regio Esercito contro il baluardo difensivo austriaco in Val Posina, Bassano del Grappa (Vicenza), pp. 20, 22]. Promosso Tenente il 25 marzo 1917 fu assegnato alla 581ª Compagnia Mitragliatrici F.I.A.T. della Brigata Verona, con la quale - a sostegno del II/86° - meritò una Croce di Guerra al Valor Militare perché «In circostanze particolarmente difficili in cui necessitava che tutte le armi fossero in funzione, mise personalmente in posizione, fuori dalla trincea, una mitragliatrice di riserva facendola agire efficacemente contro le masse nemiche attaccanti. Quota 862 (Bainsizza), 22 settembre 1917» [B. U. 1925, p. 436]. Per l’azione oltre le linee, iniziata la notte del 17 agosto 1918 a bordo dell’aeroplano del Sergente Pilota Giussani ed effettuata quando apparteneva al 74° Lombardia, fu nominato Cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia. Fra i fondatori del Fascio di Buja, nel corso del 1923 entrò in dissapori con Barnaba e così l’amicizia fra i due si tramutò in fortissima inimicizia. Coinvolto con altri cinque compaesani nell’attentato del 4 novembre 1925 contro Mussolini organizzato da Tito Zaniboni (Monzambano / Mantova, 1° febbraio 1883 - Roma, 27 dicembre 1960), già pluridecorato Tenente Colonnello dell’8° Alpini sul Pal Piccolo e sul Freikofel, e dal Tenente Generale Luigi Capello, già Comandante della 2ª Armata (Intra / Novara, 14 aprile 1859 - Roma, 25 giugno 1941), si costituì l’8 novembre e il 22 aprile 1927 fu condannato a dieci anni, dieci mesi e venti giorni di carcere ‘per complicità non necessaria’, con la perdita del grado [B. U. 1927, p.

965] e delle decorazioni; nel 1932 beneficiò di un indulto e torno a Buja, ma, isolato e vessato, si risolse a partire per l’Africa Orientale. Fu tra gli organizzatori, già nel marzo 1941, del gruppo antifascista Associazione della Libera Italia, attivo a Mogadiscio, in Somalia, dove secondo alcuni sarebbe perito con altri cinquantatré Italiani nel tragico eccidio dell’11 gennaio 1948, orchestrato dalle autorità di occupazione britanniche.

5 Anche Alessandro Tandura combatté da Capitano del II Battaglione Arabo-Somalo a Birgot, dove meritò la seconda Medaglia d’Argento al Valor Militare perché

«Comandante di due compagnie fucilieri e di due plotoni mitraglieri dislocati in una posizione particolarmente insidiosa ed importante, respingeva con incrollabile fermezza accaniti e ripetuti attacchi del nemico, che sgominava infine con un violento contrattacco. Birgot, 24-25 aprile 1936-XIV» [B. U. 1938, p. 5458] e fu promosso Maggiore per merito di guerra.

combatté col IV Battaglione Arabo- Somalo sul Fronte Sud. Ai Pozzi di Birgòt (Ogadèn) fu decorato con una Medaglia d’Argento al Valor Militare5 perché «Con prontezza ed ardimento lanciava il suo reparto all’attacco di forti nuclei nemici che, favoriti dalla insidia del terreno, tentavano l’aggiramento di

altro reparto del battaglione, riuscendo a sventare il tentativo. Partecipava poi animosamente, in testa alla sua compa- gnia, all’attacco eseguito da tutto il bat- taglione, contribuendo efficacemente al felice risultato dell’azione. Bell’e- sempio di virtù militari. Birgot, 24-25 aprile 1936-XIV» [B. U. 1938, p. 4105];

quattro mesi più tardi meritò anche una Medaglia di Bronzo al Valor Militare a Collubi (Harar) perché «Incaricato di occupare importante posizione, guidava il suo reparto con perizia ed ardimento, vincendo la tenace resistenza avversa- ria. Dalla posizione conquistata pro- teggeva quindi il ripiegamento di altro reparto fortemente incalzato da ingenti forze ribelli, arrestandone l’impeto con travolgente assalto. Collubi, 20 agosto 1936-XIV» [B. U. 1937, pp. 1247-1248] e il 29 luglio 1937 fu promosso Mag- giore per meriti eccezionali [B. U. 1937, p. 4204].

Rientrato in Italia fu nominato Podestà di Udine, carica che tenne dal 15 dicem- bre 1937 al 12 maggio 1944 quando, inviso ai Tedeschi e sospettato di atti- vità clandestine (forniva effettivamente documenti contraffatti a perseguitati ebrei e partigiani), fu prima indotto alle

dimissioni e poi, pur essendo riparato a Mel, arrestato e tradotto ad Udine (luglio 1944); riuscì peraltro ad eva- dere. Minor fortuna ebbero suo nipote Ermanno (Buja, 3 luglio 1911), Capi- tano del 3° Granatieri di Sardegna decorato a Klisura, fucilato dai Tede- schi col Tenente Giuseppe Di Stefano (Catania, 12 novembre 1912), del Q. G.

dell’11ª Armata, e con il Sergente Mag- giore Dino Attilio Siri (Como, 4 feb- braio 1917), del 27° Pavia, al Poligono di Kesarianì (Atene) il 6 dicembre 1943, e suo fratello Adolfo, che nel 1899 si era battuto con i Boeri contro gli Inglesi, arrestato il 14 dicembre 1943 per attività partigiana, deportato in Germania il 24 marzo 1944 e morto il 1° agosto 1944 a Marchtrenk.

Pier Arrigo Barnaba continuò a godere della fiducia degli Udinesi anche dopo la guerra, quando svolse attività poli- tico-amministrativa come Consigliere Comunale; si spense nella sua Buja il 26 febbraio 1967, il giorno dopo il suo set- tantaseiesimo compleanno: è il caso di dire che mai il motto Mai strac degli Alpini Paracadutisti fu più appro- priato.

Carlo Balestra

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Il paracadute usato dai Tenenti Tandura, Nico- loso e Barnaba era di fabbricazione inglese; il modello adottato era il Calthrop ‘Guardian Angel’, sviluppato da Everard Calthrop (Dee- ping St Nicholas, 3 marzo 1857 - Londra, 30 marzo 1927) già nel 1913, ma rifiutato dal Royal Flying Corps nonostante le prove posi- tive perché si temeva avrebbe ridotto lo spirito aggressivo dei piloti.

Può essere interessante ricordare le primi- tive condizioni in cui avvenne il primo lancio, quello di Tandura.

Nella parte posteriore del Savoia-Pomilio S. P.

4 era stato ricavato un sedile (sistemato in modo tale che la schiena era rivolta alla direzione del volo), che poteva essere ribaltato dal pilota o dall’osservatore, posti a prua del velivolo.

Tandura fu perciò costretto a volare con i piedi penzoloni nel vuoto in attesa dell’inizio della caduta, quando il paracadute, racchiuso in un involucro sistemato sotto la fusoliera e collegato per mezzo d’una fune al cinturone del paracadutista, si sarebbe aperto a causa della trazione.

Il Calthrop

‘Guardian Angel’

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12 Alpini… Sempre! - N. 3/2020

RICORDANDO UN AMICO ALPINO

«Buon anno Carlo».

Iniziava così un lungo messaggio di augurio del 31 dicembre 2018 giun- tomi da Cesare Lavizzari, mio caro amico e Alpino con la A maiuscola, già Vice Presidente Nazio- nale. Pochi giorni dopo, il 18 gennaio 2019, Cesare si accasciava stroncato da un infarto fuori dal Tribu- nale di Torino, dove si era recato per lavoro; aveva cinquantaquattro anni.

Voglio ricordare Cesare con il messaggio che mi aveva scritto, ma che era rivolto a tutti gli Alpini, perché penso sia ancora attuale, in questo particolare momento, ripercorrere il suo pensiero e meditare l’ideale in esso contenuto.

Scriveva dunque Cesare:

«Leggendo come sempre la stampa alpina mi sono imbattuto in questa bella esortazione/viatico di Arturo Andreoletti (forse il più lungimirante dei nostri Padri Fondatori) pubblicata nella quarta di copertina de “Il Baradel” della Sezione di Como che suona come un

“imperativo categorico”.

Ebbene in questo pezzo, scritto in occasione del 50°

anniversario della fondazione della nostra Associa- zione, il nostro Andreoletti, con una sorta di interpre- tazione autentica, scrive senza mezzi termini qual è la nostra missione: trasmettere i nostri valori, il nostro stile di vita, la nostra Associazione insomma, alle nuove generazioni affinché queste facciano altrettanto.

“Ebbene giovani Alpini, a voi delle nuove generazioni e delle più recenti leve, a voi che avete avuto la fortuna di non conoscere gli orrori attraverso i quali sono passati i vostri padri, a voi affidiamo questa fiaccola che si identifica con la grande famiglia alpina perché, operando con sempre maggior impegno, la trasmettiate in continuità di riverenti memorie, di generosi propositi e di fondate speranze alle generazioni che vi seguiranno. E che sia un avvenire radioso per la nostra Associazione, per gli Alpini tutti e per la nostra cara Patria.”

In queste poche righe c’è tutto quello che ci serve:

- l’Associazione vista come fiaccola di civiltà, della nostra civiltà: una sorta di isola felice in una società che pare impazzita;

- la missione di trasmettere il nostro stile di vita, i nostri valori e la nostra capacità di custodire e coltivare la memoria non solo per noi ma per la nostra Patria perché tutto ciò che custodiamo e che trasmettiamo non è solo nostro ma patrimonio dell’Italia intera;

- la necessità di trasmettere tutto ciò affinché si continui a ricordare;

- la decisione di affidare questa fiaccola a chi non è passato per l’esperienza della guerra. Cosa tutt’altro che semplice perché sappiamo bene che la differenza che passa tra un reduce e chi ha fatto solo la naja è assolutamente enorme. Ci è voluto, dunque, un bel coraggio.

Eppure, il vecchio combattente, il fondatore dell’A.N.A. non ha avuto dubbi: occorreva trasmettere la fiaccola alle future generazioni e l’unico modo per farlo era educare i giovani ai valori e allo stile di vita che loro avevano mantenuto e custodito.

Hanno fatto una scommessa enorme e sono riusciti a plasmare noi a loro immagine e così la memoria è stata garantita per cento anni.

Ora sta a noi difendere e trasmettere questo patrimonio. Non possiamo tirarci indietro. Non sarebbe da Alpini. Io un’idea precisa ce l’avrei anche, ma quello che conta è che tutti facciano loro l’impegno morale di Arturo Andreoletti: trasmettere la fiaccola alle future generazioni. Non m’interessa tanto il “come”, mi interessa che lo si faccia.

Continuiamo nella nostra battaglia per il ripristino della leva obbligatoria e nel frattempo facciamo qualcosa per consentire a questo sodalizio di assicurarsi un futuro prospero nei numeri e nella capillare diffusione perché solo così la fiaccola potrà continuare a brillare!

Non facciamoci prendere ancora in giro dai governi di turno che a tutto concedere (se mai dovessero farlo) ci concederanno qualche briciola avvelenata.

Facciamolo da noi. Abbiamo ancora forza ed energia per mettere i giovani sulla strada giusta e per garantire altri cento anni alla memoria di rimanere sull’agenda politica della nostra Patria. Facciamo qualcosa e facciamolo subito perché non abbiamo più tempo da perdere.

E che l’esortazione di Arturo Andreoletti di 50 anni fa diventi la nostra linea guida per il nostro cammino fin da ora.

Cesare Lavizzari Credo che tutto ciò meriti una riflessione da parte di tutti noi, anche in questo momento di Covid-19 dove le limitazioni sanitarie ci hanno tenuti lontani gli uni dagli altri e dove le pos- sibilità di confronto associativo sono andate un po’ a scemare.

Questa società ha bisogno di punti di riferimento certi, ha bisogno di riscoprire i valori e gli ideali che i nostri padri ci hanno trasmesso, ha bisogno di una rinascita culturale e sociale, deve avere il coraggio di abbandonare le sterili divi- sioni politiche che danneggiano il nostro vivere quotidiano.

La nostra Associazione, con i suoi oltre cento anni di vita, è passata indenne attraverso guerre e stravolgimenti politici e sociali, dimostrando che con l’unione e la solidarietà si può creare un futuro migliore per la nostra Italia.

Carlo Balestra

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Cadono fra settembre e ottobre due anniversari di grande peso, che non vorremmo passassero sotto silenzio: Porta Pia e Ponte di Perati. Centocinquanta anni fa, il 20 settembre 1870, il Regio Esercito entrava a Roma ponendo fine al potere tem- porale dei Papi e la Città Eterna sarebbe divenuta di lì a pochi mesi, il 3 febbraio 1871, la Capitale d’Italia; ottant’anni fa, il 28 ottobre 1940, l’Italia e l’Albania - allora unite sotto un uni- co Re, Vittorio Emanuele III - attaccavano la Grecia.

Porta Pia

Sono molte le città italiane che hanno una Via XX Settembre nella propria toponomastica: Roma, naturalmente, ma anche Genova, Torino, Milano, Firenze, Perugia, Napoli, Bari, Paler- mo e tutti i centri principali, con qualche sfumatura - a Venezia per esempio è intitolata una Riviera, a Trieste, a Gorizia, a Ca- tania un Viale, a Bologna, Varese, Udine, Livorno, Foggia una Piazza, a Vicenza una Contrà, ad Alessandria e a Cremona un Corso, a Matera un Vico. Esempi rapsodici, perché l’elenco è lunghissimo e comprende anche i centri minori, le cittadine e i paesi più piccoli. Sembrano esserci anche assenze, non sappia- mo se casuali o significative: da Ancona a Pisa, da Bolzano a Sassari e a Brindisi, da Belluno alla stessa Feltre.

Indubbiamente ciò che accadde il 20 settembre 1870 - due anni prima della fondazione del nostro Corpo - ha lasciato un’eredità complessa, problemi forse ancora in parte irrisolti, benché - almeno apparentemente - la violenza delle contrappo- sizioni sia ormai sopita.

Ricordiamo in breve i fatti: all’alba del 20 settembre 1870 sta per compiersi l’atto finale dell’invasione italiana di ciò che rimaneva dello Stato Pontificio, già ridimensionato in conse- guenza della breve campagna del 1860, culminata nella Batta- glia di Castelfidardo del 18 settembre e nell’Assedio di Ancona (24-29 settembre), e altre due volte minacciato da Garibaldi, fermato il 29 agosto 1862 in Aspromonte dalle truppe regolari italiane e il 3 novembre 1867 a Mentana dai Franco-Pontifici.

Cinque Divisioni italiane al comando di Raffaele Cadorna1, ricevuta la resa senza combattere di Civita Castellana e Civita- vecchia, hanno ormai stretto d’assedio Roma.

Il punto scelto per esercitare lo sforzo decisivo è sul lato nord-orientale delle Mura Aureliane, presso Porta Pia. Tre Bat- terie del 9° Reggimento di Artiglieria da Posizione, la 5ª, la 6ª e l’8ª, aprono il fuoco alle 5,10, concentrandolo sul tratto immediatamente a destra della porta (mentre altre tirano sulla più occidentale Porta Salaria); si aggiungeranno poi anche la 1ª, la 2ª e l’8ª del 7° Reggimento di Artiglieria da Campagna:

ci vorranno quattro ore di cannoneggiamento e 888 colpi per provocare prima un crollo - alle ore 6,50 - e poi la breccia nelle antiche mura, che si determina verso le 8,30.

Si muovono allora le tre colonne d’attacco (di sinistra: 39°

Reggimento Fanteria Bologna e XXXV Battaglione Bersaglie- ri; centrale: II/41° Modena e XII Bersaglieri; di destra: due Bat- taglioni del 19° Brescia, uno del 35° Pistoia e il XXXIV Bat- taglione Bersaglieri), mentre i Pontifici iniziano a bersagliarle con un nutrito fuoco di fucileria, che ha immediatamente rispo- sta da parte italiana.

La breccia continua ad essere battuta dalle cannonate fino alle 9,45, quando il Generale Cadorna ordina ai pezzi di tace- re e alle fanterie di andare all’assalto. Il 39° Bologna, col II Battaglione in avanguardia e sostenuto dal XXXV Bersaglieri, investe Porta Pia; alle 10,05 il Luogotenente Ludovico Arrigo, del I Plotone della 1ª Compagnia del I/39°, ed il Caporale Sal- vatore Giordano forzano la porta e incontrano la prima bandie- ra bianca; sono seguiti in breve dalla massa del II/39°. Intanto la 4ª Compagnia del I/19° Brescia e soldati del 40° Bologna, frammisti ai Bersaglieri del XII e del XXXIV Battaglione, sca- lano la breccia dove, alle 10,10, giunge per primo il Luogote- nente Federico Cocito del XII Bersaglieri.

Ci sono dei morti2 e dei feriti, soprattutto fra i militari che si accalcano ai piedi della breccia, colpiti dall’alto dagli avver- sari, ma quasi immediatamente appare sulle mura la bandiera bianca, a segnalare la resa delle truppe pontificie3, che sarà perfezionata l’indomani, quando le truppe italiane occuperan- no l’Urbe e il Papa si chiuderà in Laterano, considerandosi da allora fino all’11 febbraio 19294 come prigioniero dell’Italia e determinando la fase più acuta della ‘Questione Romana’.

Riteneva Attilio Vigevano che: «Opportunità di momento, opposizioni politiche, moda di frasi, superficialità di conoscen- za, permanente profondo dissidio di credenze, di sentimenti, di pensiero hanno sparso e mantengono tuttora, specialmente in Italia, un disdegno verso le istituzioni militari papaline e la loro fine, disdegno che è di avversione o d’ignoranza. Ma la Storia non ha disdegni: raccoglie e giudica»5. Forse, cento- cinquanta anni dopo, sarebbe giunto il momento di riflettere con attenzione e discernimento su quei fatti lontani - eppure così vicini negli effetti - in un momento di antistorici livori e fantasiose rivisitazioni della Storia Patria.

Ponte di Perati

Il 28 ottobre in Grecia è festa, è l’Anniversario del No (Epètios tu Ohi), una ricorrenza che per capacità aggregativa ricorda il 4 novembre della mia infanzia.

DUE ANNIVERSARI

Porta Pia e la breccia (a destra) dopo la fine dei combatti- menti del 20 settembre 1870.

[Fotografia di Lodovico Tuminello]

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14 Alpini… Sempre! - N. 3/2020 Di quale ‘no’ si tratti è presto detto: quello che avrebbe pro-

nunciato il Primo Ministro greco Ioannis Metaxàs, dopo che l’Ambasciatore Emanuele Grazzi, svegliatolo alle 3 di notte nella sua casa di Kifissià, gli ebbe consegnato l’ultimatum ita- liano, che scadeva alle 6. Poco conta se nella realtà dei fatti Metaxàs abbia davvero definito la questione con quel laconico monosillabo, pare di no, ma tant’è: nell’immaginario collettivo greco quella parola giganteggia come simbolo di unità nazio- nale e di onore e non a caso va spesso appaiata ad un’altra ri- sposta famosa, quella di Leonida, che alle Termopili, richiesto di deporre le armi, rispose fieramente al Re dei Re: «Molòn labè!», ‘Vieni a prenderle!’.

Ai Greci non interessa molto il ‘dopo’: come nel 480 a. C. la generosa lotta all’ultimo uomo degli Spartani, dei Tespiesi, dei Tebani e degli altri alleati greci non impedì a Serse di forzare le Termopili e di invadere e devastare l’Attica, così le gesta glo- riose dell’Esercito Greco nel 1940-41 non impedirono che la Grecia fosse invasa e posta sotto il tallone degli Italo-Tedesco- Bulgari vincitori, né che fosse poi martoriata dalla fame, dalle vessazioni e dalle rappresaglie e finisse infine per dilaniarsi in una spaventosa guerra civile, durata fino al 16 ottobre 1949 e i cui strascichi avvelenano ancora la società greca.

Per i Greci quel che veramente conta in ciò che chiamano

‘Epopea del Pindo’ o più semplicemente ‘Il Quaranta’ è l’a- ver dimostrato la capacità di difendere la propria terra senza tentennamenti (si ricordi che la Grecia del ’40 era retta da un governo autoritario sorto nel 1936 da una situazione ai limiti della guerra civile), sacrificando tutto per scacciare l’invasore, arrivando a penetrare nelle sue stesse terre e minacciando di

‘ributtarlo a mare’.

13.752 morti, 62.663 feriti - dei quali circa 25.000 congelati - e 3.955 dispersi e prigionieri, questo è il tributo di sangue pa- gato nella lotta dalle FF. AA. greche, che riuscirono a schiera- re sull’intero fronte, dallo Jonio all’Egeo, una forza oscillante fra i 250.000 e i 300.000 uomini al massimo: un uomo su tre.

Senza contare le perdite civili nei villaggi prossimi al fronte e non evacuati e per i massicci bombardamenti aerei sulle città.

E per noi?

Il 7 aprile 1939 avevamo invaso il Regno d’Albania, la cui corona era stata poi cinta il 16 da Vittorio Emanuele III in

‘unione personale’.

L’Albania era allora terra ben nota agli Italiani: tralasciando le vicende e i legami più antichi (basti pensare alle comunità albanesi (Arbëreshë) diffuse dall’Abruzzo alla Sicilia e spe- cialmente in Lucania e Calabria o al fatto che vivano e operino ancora fra noi i discendenti del mitico Skanderbeg, l’eroe che nel XV secolo resistette bravamente all’avanzata ottomana), l’Albania moderna nasceva dopo la Seconda Guerra Balcani- ca, il 21 febbraio 1914, anche dalla volontà italiana di tenere sotto controllo l’espansione degli alleati austriaci nei Balcani.

Durante la Grande Guerra le nostre truppe avevano poi ope- rato lungamente nell’Albania Meridionale, dove erano sbarca- te già il 26 dicembre 1914, anche come forza di interposizione fra Albanesi e Greci (che hanno sempre rivendicato la regione, che chiamano Epiro Settentrionale, e tendevano alla ‘pulizia etnica’). Una canzone di quel periodo iniziava così: Sento il fischio del vapore, è la partenza del mio amore! Ed è partito per l’Albania, chissà quando ritornerà…

L’Italia, pur costretta ad abbandonare il controllo militare dell’Albania a seguito della grande rivolta albanese dell’estate 1920, che aveva coinvolto anche il Battaglione Feltre6, conti- nuò comunque ad esercitare la propria influenza in funzione anti-jugoslava (anti-francese) e anti-greca (anti-inglese). Si verificò così l’eccidio della Missione Tellini, incaricata della definizione del confine albano-greco dalla Società delle Na- zioni: il 27 agosto 1923 il Brigadiere Generale Enrico Tellini, l’Aggiunto Tecnico Tenente d’Artiglieria Mario Bonacini, il Maggiore Medico Luigi Corti, l’autista, Soldato Remigio Far- netti, e l’interprete Thanassi Gheziri / Gaziri - Thanas Kraveri secondo le fonti greche - caddero in un’imboscata e furono trucidati in località Zepi (Zàpista), poco dopo Hani Delvinakìu verso il villaggio di confine di Kakavià, a N di Giànnina.

L’Italia accusò la Grecia di responsabilità nell’accaduto e, senza tergiversazioni, rispose violentemente alle proposte di accomodamento greche, giudicate insoddisfacenti: Corfù fu bombardata il 31 agosto da una squadra navale italiana, provo- cando 15 morti e 35 feriti fra i profughi greci ed armeni dall’A- natolia ricoverati nel Castello e fra i cittadini del quartiere di Aghios Rokkos, poi le truppe da sbarco occuparono l’isola.

La crisi arrivò pericolosamente vicina al coinvolgimento del- le Grandi Potenze, ma alla fine fu riconosciuta la legittimità dell’azione italiana, la Grecia accettò le riparazioni richieste e il 27 settembre l’Italia ritirò le truppe.

Da lì al 7 aprile 1939 l’Italia esercitò una continua ingerenza negli affari albanesi, sfociata poi nel tentativo coloniale atipico della sostanziale annessione.

Così, quando il confronto innescato il 7 ottobre 1940 dalla discesa tedesca in Romania iniziò a pesare sul ruolo dell’Ita- lia in seno all’Asse, si decise di rendere operativi i piani lun- gamente studiati per l’Esigenza G - si consideri, ad esempio, l’indefessa e proficua attività cartografica svolta dall’I.G.M.

in Albania, in un’epoca senza satelliti - e, in considerazione di elementi di valutazione diplomatica che suggerivano che la Grecia avrebbe resistito pro forma ad un’azione italiana, si pensò di attaccarla alla fine di ottobre (inizialmente fissata per il 26, l’invasione slittò poi al 28).

Non conta qui accennare ai retroscena delle prime ore del conflitto, ma vale invece la pena di rammemorare qualcosa che tutti sappiamo: sia come sia, quella che doveva essere una pas- seggiata militare si trasformò in breve in una battaglia cruen- tissima contro posizioni difese a prezzo di ogni sacrificio dalle truppe e dalla popolazione greche e poi, dall’8 novembre, in una dolorosa ritirata in territorio albanese, costellata di indici- bili sofferenze e di molti lutti.

Il ‘muro’, che dalla fine del gennaio 1941 Ugo Cavallero co- struì per arginare la spinta offensiva impressa alle truppe elle- niche dal loro Comandante, Alèxandros Papagos, fu impastato col sangue e col dolore di decine di migliaia di nostri soldati:

13.755 morti, 25.067 dispersi e prigionieri (poi finiti in mani britanniche e deportati sino in India e in Australia), 50.874 fe- riti, 12.368 congelati sono il costo della ‘Guerra di Grecia’. Sul Ponte di Perati, bandiera nera, l’è ’l lutto dei Alpini che fa la guera…

Anghelos Vlachos, un grande scrittore greco che combatté da volontario sciatore in Albania e che partecipò il 4 aprile 1941 alla sanguinosa conquista del Guri i Topit, dove fu annientata

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