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rcoxapoio (4x nell'Iliade, 3x nell'Odissea), ancora oggetto di discussione (si vedano M.
Treu, «Glotta» XXXVII [1958] 260-275; R. Renehan, Greek Lexicographical Notes, I, Gòttingen 1975, 65; Francoise Bader, «AION(ling)» XIV [1992] 123-164).
Chiudono il volume una ricca ed aggiornata bibliografia (pp. 133-160) e gli indispensabili indici nominum, locorum, verborum e rerum (pp. 161-184). Nitida la stampa; pochi i refusi1.
G A B R I E L E B U R Z A C C H I N I
1 P. 31 r. 19 si legga «tecnico»; p. 55 n. 134 r. 1 «dubitosamente,»; p. 73 n. 25 r. 2 -impossibilità»; p. 75 n. 30 r. X «constitutum)»; p. 91 n. 76 r. 9 «parafrasando»; p. 98 n. 89 r. 1 1 «les pores»; ibid. r. 19 «variazioni»; p. 102 r. 20 «parentesi»; p. 155 r. ultima «Berkeley- Los Angeles». Di Traina, Comoedia (p. 158) è ora da segnalare la quarta edizione aggiornata, Padova 1997.
DAVIDE SUSANETTI, Gloria e purezza. Note «//'Ippolito di Euripide, Venezia (Supernova) 1997, 127 pp., L. 24.000.
Se il classico, come nota Calvino, «è un'opera che provoca incessantemente un pulviscolo di discorsi critici su di sé, ma continuamente se li scrolla di dosso», è indubbio che questa polvere finisca col ricadere copiosamente su quanti si ci- mentano nella rilettura di testi che sono stati oggetto di un continuo, secolare lavoro esegetico. In questo nuovo commento all' Ippolito, l'A. ha quindi optato, con senso di misura, per un'analisi selettiva delle problematiche presenti nel te- sto, concentrandosi, «senza pretese di esaustività» (p. 7), sugli aspetti tematici e drammaturgici: in tal modo ha opportunamente limitato i rischi di dispersione nell'ormai sterminata bibliografia euripidea.
Nella prima delle due sezioni in cui si articola il lavoro, il consueto resoconto dei dati mitologici, dalla loro più antica attestazione fino alle versioni registrate dalla tarda tradizione erudita, è integrato da una sommaria esposizione delle di- verse interpretazioni moderne: Ippolito come dio della vegetazione destinato a morire per poi risorgere a nuova vita - secondo quanto sostenevano nel secolo scorso gli esponenti della Naturmythologische Scinde - ovvero, in una prospettiva di più marcato taglio antropologico, come simbolo del passaggio dalla società di cacciatori a quella di agricoltori; in questo quadro non potevano mancare i paral- leli nei cicli semitici e del Vicino Oriente, a testimonianza della complessità di un
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paradigma mitologico che non casualmente sarà scelto da James Frazer come punto di partenza (e di arrivo) del suo celebre The Golden Bough.
Ancora nell'ambito di questa prima parte, risulta di particolare interesse la rassegna delle riprese moderne del dramma, un aspetto che trova sempre maggiore spazio all'interno degli studi filologici, in quanto diretta documentazione dell'ine- sausta vitalità del teatro classico.
Qui si segnala solo la spiacevole omissione del monologo drammatico Fedra com- posto dal poeta neoellenico Ghiannis Ritsos fra il 1974 ed il 1975, disponibile nella traduzione italiana di Nicola Crocetti (G. Ritsos, Quattro poemetti. Crisotemi - Ismene - Fedra - Elenii, Milano 1981).
Nella seconda parte del saggio si adotta la forma canonica del commento:
suddiviso il testo nelle sue sezioni fondamentali, l'A. individua di volta in volta le varie problematiche, che toccano principalmente, come si è detto, il piano drammaturgico e tematico. Le principali risorse della tecnica drammaturgica euripidea qui impiegate - rapporto tra spazio retroscenico ed extrascenico, movimenti del Coro, utilizzo dei vari livelli della skené, modalità di allocuzione dei personaggi ecc. - vengono segnalate e discusse con attenzione.
E utile fornire alcune integrazioni bibliografiche: ad esempio, l'impiego dell"ekkyklema non è pacificamente ammesso da tutti gli studiosi - come potrebbe apparire dalle note ai vv. 171 (p. 48) e 808-810 (p. 90) - e il rimando ad alcuni dei principali contributi sull'ar- gomento avrebbe certo offerto un quadro più completo della discussione critica circa l'impiego di questa macchina teatrale: si pensi soprattutto a K. Joerden, Zur Bedeutung des Aufier- unii Hinterszeiiiselien. in W. Jens (Hrsg.), Die Bauformen der griechischen Tragòdie, Munchen 1971. 410-412, oppure ad A.W. Pickard-Cambridge, The Theatre of Dionysus at Athens, Oxford 1946. 100-1 12. Analogamente, per l'analisi delle modalità e dei gradi di partecipazione del Coro all'intreccio, manca un riferimento al recente lavoro di M. Hose (Studiai zum Chor bei Euripides, Stuttgart 1990), particolarmente importante per l'ampia introduzione e per l'esame complessivo di tutte le sezioni corali nell'intera opera euripidea. Rilevanti poi quelle omissioni che riguardano originali intuizioni di stu- diosi ormai consolidate nella letteratura critica: è il caso della nota al secondo stasimo (pp. 85s.), in cui l'accenno alla «poesia d'evasione» doveva essere accompagnato dall'ov- via indicazione della paternità della formula (W. Kranz, Stasimon. Untersuchungen zu Form und Gehalt der griechischen Tragòdie, Berlin 1933. 228-266): quanto al modello di neues Lied, di cui il secondo stasimo delY Ippolito costituisce una delle prime attestazioni, caratterizzato da immagini di fuga verso una realtà di sogno, nonché da un linguaggio prezioso e calligrafico, resta ancora indispensabile, per l'inquadramento della problematica nel contesto storico-sociale, il saggio di V. Di Benedetto (Euripide: teatro e società, Torino 1971, in particolare 239-272).
Centrata si rivela l'analisi dell'assetto drammaturgico dell'opera. In partico- lare l'A. sottolinea il valore simbolico del retroscena come luogo della malattia.
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del disordine, della corruzione (p. 20: «vi è l'interno del palazzo in cui la regina si consuma celando la sua malattia, lo spazio chiuso ed oscuro delle pareti dome- stiche»; e p. 49: «si può notare come lo spazio interno - quello materiale del palazzo e della casa e quello simbolico dell'anima e del cuore - venga progressiva- mente identificato con la dimensione della malattia e della trasgressione»). Prece- denti illustri, che attestano una simile impostazione degli spazi scenici, sono/4g<:/- mennone e Coefore, ed infatti i rapporti tra Euripide ed Eschilo, per quanto attiene allo specifico problema della mise en scène, vengono trattati nel commento ai vv.
565-580 (p. 77). quando, per la scena di Fedra che informa il Coro di quanto sta accadendo all'interno della reggia, si individua il precedente nel quarto episodio dell'Agamennone, dove Cassandra espone al Coro gli orribili eventi che si stanno consumando nel retroscena. L'accurata trattazione di questi elementi non solo sottolinea gli innovativi apporti di Eschilo alla prassi teatrale, ma soprattutto ne documenta lo sviluppo successivo e delinea la condivisione di un comune linguaggio scenico da parte dei diversi autori.
Quanto ai due termini-chiave evocati nel titolo ( g l o r i a e p u r e z z a ) , nota giustamente l'A. che questi valori si dimostrano, nel corso della vicenda, del tutto inadeguati a fronteggiare la crisi, cosicché «la gloria di Fedra appare, nel complesso, ambigua e contraddittoria. Aveva scelto di morire per non perdere il suo buon nome in una vergognosa storia d'amore. Ma, proprio con la morte, la sua gloria, la sua fama viene legata, per tutto il tempo futuro, alla memoria di quella passione» (p. 114).
Si può osservare che la scelta di Ippolito si rivelerà altrettanto fallimentare, quando il giovane stesso, in punto di morte, constaterà il vuoto di una vita dedicata al culto verginale di Artemide (vv. 1367ss.): significativo a questo riguardo l'espressione eìq ò.vOpcórcoUi; (v. 1368). dove riaffiora quel motivo della pubblica opinione che tanto aveva pesato nelle scelte di Fedra e che costituisce uno dei principi-guida dell'etica aristocra- tica, unificando i due protagonisti nel crollo dei loro sistemi assiologia: al lettore l'arduo compito di decifrare il carattere ambiguo, o quantomeno aporetico, del messaggio tragico, uno degli aspetti più aspramente dibattuti nella letteratura critica.
In questa prospettiva l'A. inclina piuttosto a ritrovare un senso 'positivo', che emergerebbe chiaramente nel discorso ex machina di Artemide (vv. 1390ss.): qui,
«ciò che resta alla fine sono la forma e il ricordo della virtù, il puro splendore dell'eroe. Ma viene riconosciuta anche - sia pure con tono più sfumato (vv. 1300s.) - la gennaiotes, la nobiltà propria di Fedra» (p. 1 13). L'interpretazione non è priva di suggestioni, soprattutto dove propone una possibile sublimazione da parte del poeta dei valori propri della tradizione aristocratica, delineando così «una presa di posizione dinanzi alla crisi della cultura laica e razionalista dell'Atene democratica periclea» (pp. I 13s.): lo spunto è interessante ed ha il merito di rinsaldare i rap- porti tra il genere letterario e il contesto storico-culturale, invitando ad una riconsiderazione della diffusa immagine di Euripide come intellettuale spregiudi- cato e dissacrante.
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Ovviamente nella tragedia si intrecciano numerose altre tematiche - il rap- porto tra parola e silenzio come nucleo fondamentale del nodo tragico, la negatività del divino che si incarna nell'atteggiamento ostile di Afrodite e nell'abbandono tinaie del suo protetto da parte di Artemide, il tema dello sguardo come veicolo di innamoramento, il ripetersi di determinate immagini (il cappio, la caccia ecc.) - che possono costituire chiavi di lettura altrettanto valide: l'A. coglie i diversi spunti, dimostrando di muoversi con sicurezza nel mare magnimi biblioarafico, con un'attenzione particolare ai prodotti della filologia inglese ed americana.
Il commento linguistico e critico-testuale risulta programmaticamente com- presso, limitandosi a segnalare quei passi in cui la valutazione di varianti o di eventuali interventi congetturali appare indispensabile alla comprensione del te- sto: in questi casi sembra comunque che l'A. abbia privilegiato soluzioni in grado di offrire una immediata e semplice fruizione del passo, senza sbilanciarsi in scelte personali. Un esempio del metodo seguito è offerto dal commento al v. 33 (pp. 28s.), ove gli emendamenti al testo palesemente corrotto sono elencati senza ulteriori discussioni, così come avviene per il v. 715 (p. 85); altrove si esprimono invece preferenze più nette a favore di una tesi già sostenuta da studiosi preceden- ti, ad esempio nelle note ai vv. 141 (p. 46), 378 (p. 64), 620s. (p. 80), 649s. e 663 (p. 83), 1014 (p. 100).
Rappresentano interventi originali gli appunti ai vv. 277 (p. 55) e 791 (p. 90):
nel primo passo l'A. propone di sostituire al punto interrogativo, adottato da Murray ed accolto anche da Diggle. il punto in alto (OCXVEÌV à o i i E i KTA..). Le obiezioni al tradito SavEiv, basate sul fatto che la Nutrice non può fornire alcuna risposta sulle cause del comportamento di Fedra in quanto lei stessa le ignora, non sembrano, in effetti, sufficienti per giustificare i vari interventi {e.g. <OÓK oiS'>
Wilamowitz, <ò:8qÀ'> Musgrave).
Ma la situazione è più complessa, in quanto i problemi testuali si estendono anche alla seconda porzione del verso (àoixeì 8' eìq drcòoxaotv (3ioo). In particolare, se si conserva 9av£Ìv come proposizione affermativa, appare preferibile al tradito 8é la con- gettura di Purgold (y') per due motivi: su un piano generale, la precedente proposizione affermativa sembra richiedere una particella enfatica e non connettiva, in modo che alla corifea, che nel verso precedente (276 rcòxepov órc' dxqc, q 9aveiv rceipcopévq;) chiedeva ragione del prolungato digiuno di Fedra, la Nutrice possa verisimilmente rispondere:
«Morire. E digiuna p r o p r i o per cessare di vivere»; secondariamente, un simile an- damento della frase trova precisi riscontri nelVusus euripideo (Ale 523s.. Hcld. 79ls..
Hee. 994s.. HF 1061. Bacili. 794-796, 81 ls.. / 7 521s.. 561 s.: richiamati da Denniston.
GP: 136).
Una lieve 'scorrettezza' è dato riscontrare invece nella nota al v. 145 (p. 46):
si è indotti a credere che la conservazione del tradito Sé sia proposta originale dell'A.. mentre in realtà la lezione dei mss. era difesa già da Murray. Infine, per il v. 791. LA. suggerisce una conflatio tra una congettura di Heinze (KIÌXCÒ p a p e i a )
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e l'integrazione di Markland (71poo7r.oA.cov <p'>), una soluzione che garantisce almeno un testo scorrevole.
Nel complesso il libro, nonostante alcuni limiti imposti dal piano stesso del lavoro, bene assolve il compito di una corretta informazione.
Pochi e di scarso rilievo i refusi da segnalare: p. 11 r. 36 si legga «precedenza», p.
46 r. 8 «inaccettabile», p. 70 r. 19 «tracotanza», r. 20 «essere», «parallelo», p. 87 r. 12
«storica», p. 88 r. 31 «annunzio», p. 98 r. 32 «disdegna», p. 100 r. 11 «potrei», p. 105 r.
34 «apparizione», p. 1 16 r. 29 «intensità», p. 118 r. 11 «is», r. 28 «Hermathena», p. 121 r. 35 «Hippolytus», p. 112 r. 27 «Hippolytus».
A N D R E A B A R B I E R I
WOLFHART UNTE-HELMUT ROHLFING, Quellen fiir eine Biographie Karl Otfried Miillers (1797-1840). Bibliographie undNachlafi, Hildesheim-Zùrich-New York (G. Olms Verlag) 1997, VIII-210 pp., DM 49,80.
Giusto duecento anni sono trascorsi dalla nascita di Karl Otfried Muller (28 agosto 1797), e tale ricorrenza viene tempestivamente quanto degnamente onorata dal presente volume, splendido anche nella veste tipografica (solida ed elegante copertina, carta patinata, stampa impeccabile). Il contenuto era stato presentato dai curatori Unte e Rohlfing al simposio tenutosi a Bad Homburg dall'8 al 12 marzo 1994, presso la «Werner-Reimers-Stiftung», sul tema «Karl Otfried Muller (1797-1840). Leben, Leistung, Wirkung», ma motivi di vario genere - la consi- derevole ampiezza (incrementata dall'indispensabile inserzione di «Personen-» e
«Sachregister»), la sua stessa natura di agile strumento di consultazione (inevita- bilmente compromessa dall'eventuale seppellimento in una miscellanea), i ritardi, infine, legati all'approntamento degli atti del suddetto convegno (non ancora usciti) - ne hanno consigliato la pubblicazione a parte. E stata una scelta quanto mai op- portuna, che non mancherà di rendere servigi preziosi soprattutto agli storici della filologia classica, che in questo compiuto ed attendibile repertorio troveranno innanzitutto fonti per quella biografia del Muller che - ad oltre un secolo e mezzo dalla scomparsa dell'insigne ellenista - resta ancora un desideratum.
Sul Muller, com'è noto, non abbiamo che una serie di carteggi, testimonianze e necrologi, oltre ai profili di A. Baumeister, «Allgemeine Deutsche Biographie» XXII ( 1885) 656-667 e di W. Unte, in AA.VV., Classical Scholarship. A Biographical Encyclopedia, New York-London 1990, 310-320.