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“I filosofi italiani? Non credo che siano poi così originali”

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“I filosofi italiani? Non credo che

siano poi così originali”

Interviene Germana Pareti dell’Università di Torino

FRANCESCO RIGATELLIPUBBLICATO IL19 Agosto 2016ULTIMA MODIFICA21 Giugno 201922:06

Nel dibattito sul nuovo protagonismo della filosofia italiana interviene Germana Pareti, ordinario di Storia della Filosofia all’Università di Torino e autrice con Antonio Zippo di Che fare, quando fare, se

fare (Rosenberg&Sellier).

Professoressa, c’è una rinascita della filosofia italiana?

«Certamente ci sono dei filosofi teoretici nostrani conosciuti all’estero. I nomi più rilevanti sono Cacciari, Vattimo, Severino, Ferraris. Una certa crisi del pensiero di altri paesi ci facilita, ma da storica non so quanti di noi rimarranno. Ho avuto come maestro Carlo Augusto Viano e soffro di

un’impostazione rigorosa. La grande stagione per me è stata quella di Pietro Rossi, di Paolo Rossi e poi di Stefano Poggi».

Di fatto lei contrappone i filosofi teoretici agli storici?

«Ognuno fa il suo mestiere. I primi mi sembrano oggi meno originali e autonomi di quanto ammettano però. Sono abili venditori di se stessi, ma riprendono per lo più l’hegelismo. Bisogna vedere cosa rimarrà di

sostanziale».

Colpisce l’assenza di nomi femminili, come D’Agostini e De Monticelli. Perché le filosofe sono poco considerate?

«Quelle che ho incrociato si occupano di morale o di tematiche molto specifiche. Un discorso di genere mi interessa poco, anche se noto che docenti ordinarie donne non ce ne sono tante. Fino a qualche decennio fa le ragazze si occupavano poco di studi filosofici, mentre ora ci aspettano generazioni di filosofe. Soprattutto chi si dedica alla ricerca è donna. Gli uomini vogliono guadagnare di più. Nei corridoi vedo solo ragazze. Un grande nome internazionale, che ammiro molto, è invece Adina Roskies, che continua gli studi neurofisiologici di Patricia Churchland».

Lei è una storica della filosofia che sconfina nel campo della scienza e nel suo libro indaga il libero arbitrio dopo le ultime scoperte sul cervello.

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«Mi faccio suggestionare dalle novità perché come nel Settecento si

studiava lo spirito e nel Novecento la mente, oggi non si può fare lo stesso senza gli strumenti della scienza. Per esempio il libero arbitrio ha ancora senso, ma bisogna approfondire le aree corticali frontali che attivano meccanismi automatici di decisione finalizzati a risparmiare energia».

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