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MAFIA E RISTORAZIONE, RANIERI CRIMINALITA SI SIEDE A TAVOLA

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Academic year: 2022

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MAFIA E RISTORAZIONE, RANIERI RAZZANTE: QUANDO LA CRIMINALITA SI SIEDE A TAVOLA

RANIERI RAZZANTE

Sono cinquemila gli esercizi ristorativi in mano alla criminalità organizzata.

Non si tratta solo di grandi ristoranti. Infatti, si va dalle trattorie alle pizzerie, dai bar alle gelaterie. Secondo il quinto rapporto sui crimini agroalimentari in Italia realizzato da Eurispes, Coldiretti e Osservatorio sulla Criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare, il volume d’affari complessivo delle agromafie si aggirerebbe attorno ai 21,8 miliardi di euro. Roma e Milano le città maggiormente coinvolte.

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Gli esponenti delle mafie spesso sfruttano la disperazione di imprenditori in affanno o a rischio chiusura. Con i loro enormi capitali da ripulire entrano come partner e soci, offrendo sicurezza ed opportunità di investimento a cui è difficile rinunciare, specialmente in periodi di crisi come quello cui stiamo assistendo. E, come facilmente intuibile, il settore della ristorazione è uno dei più appetibili. È notizia di pochi giorni fa la chiusura di uno dei locali più frequentati della Capitale, “Assunta Madre”. Intestazione fittizia di beni e riciclaggio di denaro sporco. Queste le accuse mosse. Secondo gli investigatori Gianni Micalusi avrebbe costituito “redditizie attività commerciali, tra cui i rinomati ristoranti con il marchio Assunta Madre, effettuando svariati investimenti immobiliari, intestando i beni a prestanome privi di risorse economiche per evitare di figurare come titolare effettivo”.

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I soldi che arrivano dalle attività criminali vengono, infatti, “ripuliti” e reimmessi nel circuito legale. Ma il riciclaggio non è il solo obiettivo. Per le mafie è fondamentale anche assicurare coperture lavorative, presidiare il territorio, costruire un vero e proprio network sociale e accrescere il prestigio familiare. Il crimine organizzato è infatti sempre in cerca di onorabilità e si procura il prestigio sociale anche realizzando nuovi posti di lavoro.

Le attività ristorative sono dunque molto spesso tra gli schemi legali dietro i quali si nasconde un’espansione mafiosa sempre più aggressiva e sempre più integrata nell’economia regolare. Le organizzazioni criminali, grazie ad una sperimentata politica della mimetizzazione, riescono a tutelare i patrimoni finanziari raccolti con le attività illecite.

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Le operazioni delle Forze dell’Ordine indicano che il settore della ristorazione è solo un tassello di un mosaico che coinvolge un’intera filiera enogastronomica. Si va dalla produzione alla raccolta, dalla distribuzione alla vendita. Ed ancora, coinvolge ampi settori come la pesca, il falso biologico, il tabacco, etc. Solo nell’ultimo anno sono stati duecentomila i controlli della Direzione Investigativa Antimafia.

Di fatto, non è possibile delineare un quadro univoco nel quale la presenza criminale si dispiega e neanche si può parlare di una presenza egemonica o monopolistica da parte di un gruppo rispetto a un altro. In molte ipotesi si può sostenere che le organizzazioni criminali controllano interi quartieri, strade, attività commerciali di varia natura e proprietà immobiliare. Ma non è facile ricostruire come esse s i l e g h i n o a i n t e r e s s i c o m m e r c i a l i e a d a t t i v i t à imprenditoriali. L’unico elemento sicuro è che questa rapida penetrazione nel tessuto urbano sta alterando in maniera preoccupante l’antropologia cittadina, trasformando il suo tessuto sociale ed economico. Rispetto agli anni Settanta e Ottanta, oggi la criminalità organizzata, paradossalmente, in termini di investimento, è molto più presente. In quegli anni, infatti, i boss comparivano con le loro macchine, ricoperti d’oro e armi; oggi mantengono un profilo basso.

Il mutamento delle tecniche investigative, già in atto, dovrà sempre più attraversare la ricerca, lo studio e la necessaria

“profilazione” delle nuove mafie e del connesso “terrorismo finanziario”.

Ranieri Razzante

Direttore Centro Ricerca Sicurezza e Terrorismo

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RANIERI RAZZANTE, OLIO DI PALMA? NE VINTI NE VINCITORI.

IL PROBLEMA E’ L’OLIO ‘DI MAFIA’

RANIERI RAZZANTE

Abbiamo assistito alla recente, defatigante campagna informativa (e disinformativa) sull’olio di palma, dove non mi pare che siano sortiti vincitori o vinti, e che – per quanto io comprenda – ce lo ritroviamo o meno nei prodotti che mangiamo senza che siano state dimostrate indefettibilmente né l’una né l’altra tesi (innocentista e colpevolista) che si

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sono fronteggiate e – credo – ancora torneranno a farlo.

Lo prendo indegnamente a prestito, questo esempio, solo per parlare di una cosa tanto importante, a prescindere dal merito (che trascuro per ovvie ragioni) perché riguarda il nostro vivere quotidiano, ciò che mangiamo, cioè il soddisfacimento del primo e più essenziale bisogno giornaliero.

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I n t o r n o a q u e s t o b i s o g n o , p i ù r u d e m e n t e e m e n o

“scientificamente”, scopriamo che da un po’ di tempo le mafie si stanno arricchendo, e non vendendoci prodotti buoni nè a basso prezzo.

Esse si sono intromesse (non inserite) nella “catena del valore”, anche “catena alimentare” dell’economia agricola nazionale ed internazionale, guadagnando molto di più di coloro che vi lavorano, sudando sia fisicamente che economicamente sui campi e nelle cascine.

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Voglio ricordare che il settore dell’agricoltura è in crisi da diversi anni, per eccesso di offerta il più delle volte (la nostra terra è rigogliosa), ma anche per politiche dissennate sia a livello nazionale che europeo, fondate più sugli aiuti (anche questi, preda facile delle associazioni criminali) che sulla programmazione.

Prima di continuare, però, deve essere da chi scrive e da subito spiegato qual è la scaturigine di queste riflessioni, e di quelle che seguiranno. Un caso di cronaca giudiziaria, che ha visto giorni fa la confisca di prodotti di reato a soggetti avvicinabili (a quanto pare) al boss dei boss, Matteo Messina Denaro.

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Una notizia che ci deve rendere ancora una volta, e

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ovviamente, fieri delle forze dell’ordine e dei magistrati (di Trapani, questa volta). Le confische hanno riguardato 4 aziende, 108 immobili (tra cui terreni agricoli e magazzini annessi e commerciali) ad imprenditori vicini alla cosca di Campobello di Mazara, comune della provincia di Trapani.

Tredici milioni acquisiti dallo Stato.

Al di là dell’excursus dell’operazione, brillante e rinvenibile nelle descrizioni già fatte da numerosi giornali, c’è una cosa che colpisce l’analista: il business delle

“olive”.

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Olive siciliane notoriamente buone per l’olio, trasformate dopo vari passaggi (con ricarichi e contro fatturazioni per falsi carichi e scarichi da parte di società di comodo e/o esistenti, con amministratori vicini alle cosche) e pervenute agli oleifici della mafia anch’essi, poiché fittiziamente intestati a due imprenditori per sottrarli a sequestro a fronte di passate indagini e condanne del capomafia Leonardo Bonafede e altri.

Una “trasformazione” non tanto del prodotto, quanto delle

“imprese”. Questo fa la c.d. “agromafia”.

Cosa c’è di più bello e naturale, costruttivo e socialmente utile, di produrre alimenti e commercializzarli, soprattutto se con un marchio doc?

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Ma la particolarità delle imprese mafiose è quella di sostenere la gestione, comunque essa vada (la perdita è esclusa) non tanto con il ricavato delle vendite, effettive o fittizie che siano, quanto con il riciclaggio di denaro immesso nelle casse di queste, così “smerciato” nelle compravendite quotidiane di un’impresa che si rispetti. Tale strumento permette di farlo arrivare, questo denaro, dove si

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vuole che arrivi, cioè a sostentare altre famiglie, affari, attività che devono “girare”, per produrre a loro volta soldi e c o p e r t u r e p e r a l t r e t t a n t e a t t i v i t à e p e r s o n e dell’imprenditoria criminale.

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In questo caso, poi, si aggiunge la beffa che il denaro riciclato attraverso l’oleificio andava a sostenere imprese – con idonee commesse di lavori – riconducibili a tale Rosario C a s c i o , a d e t t a d e g l i i n v e s t i g a t o r i “ e m a n a z i o n e imprenditoriale del latitante Matteo Messina Denaro”.

Inoltre, lo standing delle imprese riempite di denaro e con bilanci rigogliosi quanto le terre su cui si coltivavano le olive, potevano così ottenere finanziamenti pubblici, proprio come quelli all’agricoltura e all’impresa che nel sud del nostro paese sono sempre stati distribuiti con prodigalità dallo Stato e dall’Unione europea.

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La singolarità che qui va fatta rilevare, tecnicamente e senza indulgenze alla retorica o al moralismo, risiede nel fatto che con il fenomeno delle agromafie, ma anche di altri settori imprenditoriali più disparati (possibilmente ad alto ricarico o con filiere sufficientemente lunghe o “allungabili”), la delinquenza organizzata compie tre azioni lucrose:

– guadagna dal normale business di filiera, direttamente o indirettamente (dove non trova accordi, li ottiene con la forza dell’intimidazione e dell’estorsione);

– immette denaro di provenienza illecita nella suddetta filiera, giustificandolo con l’attività e così “smacchiandolo”

come nessun detersivo saprebbe fare;

– si posiziona sul “terreno” (è il caso di dirlo), dato che, come dicevo in premessa, il ritorno alla terra è stato

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scoperto – non tanto tempo fa – dalle mafie come sede di coperture, di guadagni, di summit (nei casolari), di latitanza.

Senza trascurare, attraverso il rispetto – ca va sans dire – delle norme nazionali ed europeee a garanzia dei prodotti, la penetrazione dei mercati internazionali e, per tale via, la migrazione ed il posizionamento strategico negli Stati i n d u s t r i a l i , o v e l a c a t e n a p u ò a l l u n g a r s i e

“finanziarizzarsi”. Niente male per coloro che vogliono apparire “contadini”, ingenui coltivatori, benefattori del made in Italy, mentori della buona cucina. I costi sono troppo alti. Cerchiamo ristoranti (canali di sbocco dei suddetti prodotti, assai spesso) ove lo chef sia bravo a prescindere dall’olio che usa.

Ranieri Razzante

Ranieri Razzante è Professore di “Intermediazione Finanziaria e Legislazione Antiriciclaggio” (Università di Bologna) e di

“Regolamentazione antiriciclaggio internazionale” (Università Marconi – Roma).. E’ docente di “Legislazione Antiriciclaggio e Antiterrorismo” presso gli Istituti di Istruzione delle Forze di Polizia e di Sicurezza.

E’ uno dei maggiori esperti nazionali di Criminalità organizzata e Terrorismo, nonchè di Diritto dei mercati finanziari. Attualmente è consulente della Commissione Parlamentare Antimafia e Consulente del Commissario governativo Antiracket e Antiusura.

E’ Presidente della Ius Consulting srl, società operativa nell’ambito della formazione e servizi per intermediari finanziari, ed è Presidente dell’Associazione Italiana Responsabili Antiriciclaggio (www.orft.it).

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CASO PSR-FEASR, UE CONTESTA A ITALIA QUASI 2MLD EURO.

1,7MLD DI COMPETENZA AGEA.

COMEGNA: ECCO COME E PERCHE.

E COSA SUCCEDERA

L a d e c i s i o n e d e l l a C ommissione europea, ancora sotto forma di bozza, pubblicata il 29 novembre su Agricolae.eu, relativa alla procedura di liquidazione dei conti presentati dagli organismi pagatori dei Paesi membri, per le spese sostenute nell’ultimo esercizio

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finanziario della politica di sviluppo rurale 2007-2013, suona come un campanello d’allarme per l’Italia. Nel complesso, i servizi comunitari hanno per il momento bocciato spese rendicontate per quasi 1,9 miliardi di euro (si consideri che lo stanziamento medio annuale di fondi Ue era di 1,3 miliardi). Dell’intera cifra bloccata, 1,7 è di competenza di Agea che provvede a gestire le erogazioni per il Psr di 13 Regioni italiane, oltre al programma della Rete Rurale Nazionale. Poi ci sono altri 175 milioni di euro che riguardano l’organismo pagatore della Calabria. Di contro, le altre 7 regioni e provincie autonome italiane che hanno un proprio organismo pagatore con il quale provvedono a gestire le risorse della Pac e, nel caso specifico, del Psr, non sono passibili di alcuna contestazione e la Commissione Ue si appresta a riconoscere ufficialmente la completezza, l’esattezza e la veridicità dei conti a suo tempo trasmessi.

Per le spese in sospeso si apre una nuova fase, con ulteriori indagini da parte dei servizi comunitari e quindi con la possibilità, per i due organismi pagatori sotto giudizio, di dimostrare la regolarità delle procedure seguite e non incorrere nelle correzioni finanziarie che implica il mancato trasferimento di fondi europei del fondo per lo sviluppo rurale (FEASR) già stanziati da Bruxelles. Agea e l’organismo pagatore della Calabria dovranno dimostrare che i rilievi sollevati dall’esecutivo comunitario sono infondati e che le spese sostenute per pagare progetti e impegni approvati e/o liquidati nell’ultima fase di applicazione del Psr 2007-2013 rispettano le rigide norme europee sul finanziamento, sulla gestione e sul monitoraggio della Pac. Ecco di seguito alcune ulteriori specifiche indicazioni che emergono dalla lettura dei documenti che Agricolae.eu ha pubblicato in anteprima:

Entro il prossimo 31 dicembre, la Commissione Ue assume 1.

la decisione di liquidazione dei conti delle spese finanziate con i Psr 2007-2013, relative all’ultimo esercizio di attuazione che va dal 16 ottobre 2014 al 31 dicembre 2015. E’ un periodo particolarmente importante,

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perché, essendo l’ultima fase per l’ammissibilità delle spese e per evitare il disimpegno automatico, ha registrato un vivace attivismo regionale e una conseguente forte concentrazione delle erogazioni dei fondi dei Psr a favore dei soggetti beneficiari. In questi mesi c’è stata una vera e propria corsa da parte delle Regioni a spendere i fondi, altrimenti sarebbe scattata la regola del disimpegno automatico e le risorse sarebbero rimaste inutilizzate nei forzieri di Bruxelles.

Gli organismi pagatori che in Italia provvedono alle 2.

erogazioni degli stanziamenti del Psr hanno provveduto nei tempi stabiliti a chiedere alla Commissione la liquidazione dei conti. In Italia ci sono 8 organismi pagatori regionali che gestiscono il loro rispettivo Psr e poi c’è l’organismo pagatore Agea che gestisce i programmi rurali per le altre regioni (sono in tutto 13), oltre al programma della Rete Rurale Nazionale.

Gli 8 organismi pagatori regionali sono attivi in 3.

Calabria, Piemonte, Lombardia, Veneto, Bolzano, Trento, Emilia Romagna e Toscana. Le richieste di liquidazione dei conti di questi 8 organismi pagatori sono state accolte, fatta eccezione per la Calabria.

La richiesta di liquidazione dei conti dell’organismo 4.

pagatore Agea non è stata accolta ed esige ulteriori indagini da parte dei competenti servizi della Commissione Ue.

Per la Calabria la mancata liquidazione dei conti è 5.

dovuta a gravi irregolarità.

Per Agea i motivi alla base della mancata liquidazione 6.

dei conti sono due. In primo luogo ci sono i problemi di conformità delle spese: in pratica ci sarebbero agevolazioni pubbliche concesse ai beneficiari per operazioni che non sarebbero conformi alle regole europee. Il secondo aspetto critico è la mancata attuazione di un piano di azione finalizzato ad ovviare a carenze nei controlli essenziali.

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Nei prossimi giorni la decisione di esecuzione diventa ufficiale e sarà pubblicata sulla gazzetta europea. Intanto Agea e Arcea hanno qualche “gatta da pelare” e dimostrare la correttezza del loro operato nello gestire i fondi pubblici europei e nazionali.

Ermanno Comegna

FRANCO POGGIANTI: IN GIOCO UN BEL GRUZZOLO, TRACCIARLO LUNGO TUTTA LA FILIERA, FINO ALL’UTILIZZATORE FINALE

U n a s e n t e n z a d e l l a S

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uprema Corte di Cassazione (inappellabile, trattandosi dell’ultimo grado di giudizio previsto dalle leggi della repubblica) impone allo stato italiano di versare quasi un miliardo – interessi compresi – agli eredi di quella macchina mangiasoldi che fu (e che per certi versi resta ancora tale) Federconsorzi. Soldi nostri, del contribuente italiano.

Qualcosina come 1700 – 1800 miliardi delle vecchie lire. Soldi che il Governo dovrà mettere in bilancio a partire dalla prossima legge di stabilità. Non è nostra intenzione piangere sul latte versato. D’altronde è quello che succede quando si cercano di risolvere per via giudiziaria problemi che sono politici e che la politica avrebbe dovuto affrontare e risolvere per tempo. Ma ci piacerebbe sapere, a titolo di curiosità, in quali tasche andrà a finire quel gruzzolo: quali persone fisiche, enti, associazioni, organizzazioni, confederazioni, istituti bancari, società finanziarie beneficeranno di questi soldi stornati dalle tasche dei contribuenti. L’agricoltura italiana considera un valore irrinunciabile la “tracciabilità”. Ecco, noi vorremmo che quel gruzzolo venisse “tracciato” lungo tutta la filiera. Fino all’utilizzatore finale.

FRANCO POGGIANTI:

FEDERCONSORZI ANCHE DA MORTA SI NUTRE DI SOLDI PUBBLICI.

MANINA DOPO MANINA SI SUPERA

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VOLONTÀ PARLAMENTO

C e l

’ h a n n o f a t t a : q u ella macchina mangiasoldi che fu Federconsorzi, anche da morta, riesce a nutrirsi di pubblico denaro.Ci hanno provato in tutti i modi: anno dopo anno, in sede di legge di stabilità e in qualunque altra occasione utile, a un certo punto sbucava fuori una qualche manina che proponeva un emendamento per foraggiare quel che restava della Federazione che era stata artefice e protagonista di uno dei più grandi scandali del dopoguerra e per la quale dopo cento triboli era stata proposta la liquidazione.

Le proteste del mondo agricolo e la vigilanza di qualche parlamentare più attento degli altri (e, in qualche modo, anche i nostri articoli che mettevano in luce quello che altrimenti sarebbe passato sotto silenzio) erano riusciti a bloccare quella manine uno, due, tre quattro, cinque volte.

Alla fine, qualcuno ha avuto l’idea di imboccare la via giudiziaria ed evidentemente ha trovato la strada buona e gli

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argomenti adatti.

Ora quei soldi (danari del contribuente italiano, cioè nostri) ope legis, al di là e al di sopra della volontà del Parlamento che, quanto meno per decenza, non aveva ritenuto opportuno assumersi la responsabilità dell’esborso, verranno erogati. E, a quanto pare, con gli interessi.

Si tratta di qualcosa come un miliardo di euro o giù di lì.

Naturalmente le sentenze sono sentenze e non si discutono.

Ma quel miliardo avrebbe fatto tanto comodo agli agricoltori e agli allevatori che in questi anni hanno tirato la carretta della disastrata economia italiana e che oggi si trovano a fare i conti, con una crisi che – quanto meno nei campi e nelle stalle – non accenna a risolversi.

DI FRANCO POGGIANTI…LA COOPERAZIONE HA QUASI 150 ANNI MA NON LI DIMOSTRA. E’

ANCORA ALL’ETA’ DELLO

SVILUPPO

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S e n z a t r i o n f a l i s m i , ma con giustificato orgoglio, Maurizio GARDINI dalla tribuna dell’assemblea nazionale numero 39 di Confcooperative snocciola i numeri. Sono cifre di tutto rispetto: dal dicembre 2007, mentre l’Italia arrancava nelle spire della crisi, con l’occupazione in caduta libera (-2,4%) le cooperative della della centrale di via Torino assumevano: quasi 50.000 posti in più (+10% ), grazie soprattutto all’internazionalizzazione che ha fatto crescere l’export del 43%( sempre rispetto al 2007).

La cooperazione, dunque, si conferma una grande risorsa per l’economia del paese, altro che il residuo di ideologie ottocentesche. Certo non è il caso di cullarsi sugli allori.

C’è ancora molto da fare che ci sono ancora margini per la crescita e l’innovazione. È anche per la semplificazione. Da sei anni è partita l’Aci, l’alleanza delle cooperative italiane: un processo al termine del quale c’è l’unificazione del movimento cooperativo.

“un processo-sottolinea GARDINI-irreversibile” e della cui validità nessuno ormai dubita.

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L ’ u n i f i c a z i o n e d e l l e n o s t r e a s s o c i a z i o n i - a f f e r m a realisticamente GARDINI-non si fa in un giorno.

Vero. Verissimo. Ma sarà bene evitare che ci voglia un secolo.

DI ERMANNO COMEGNA: DUE DIFFERENTI ACCORDI PER IL LATTE PER UN AUMENTO DI 2,1 CENTESIMI SU PREZZO OTTOBRE

L e d e c i s i o n i p r e s e o ggi dalla filiera lattiero-casearia italiana, sotto il patrocinio del Ministero delle politiche agricole, hanno portato alla sottoscrizione di due diversi accordi.

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Il primo tra produttori agricoli e Lactalis, il cui contenuto è limitato alla fissazione del prezzo del latte crudo alla stalla che i primi acquirenti dovranno corrispondere agli allevatori per i mesi di dicembre 2015 e per il primo bimestre del 2016.

Il secondo è un’intesa che coinvolge Assolatte, la grande distribuzione e le cooperative lattiero-casearie che ha come elemento principale la decisione sull’utilizzo della dotazione finanziaria di 25 milioni di euro resi disponibili dall’Unione europea, in risposta alla difficile crisi di mercato.

I due accordi non sono tra di loro collegati. Conviene, per ragioni di chiarezza, illustrarli in modo separato, iniziando d a q u e l l o r e l a t i v o a l n u o v o p r e z z o d e l l a t t e c h e , comprensibilmente, è l’argomento di maggiore interesse per gli operatori economici.

L’intesa prevede che iil g, compreso il grande gruppo internazionale Lactalis riconosca agli allevatori, per i mesi di dicembre, gennaio e febbraio prossimi, un supplemento di 2,1 centesimi di euro per litro, rispetto alla remunerazione riconosciuta lo scorso mese di ottobre.

Dai conteggi che sarebbero stati eseguiti, ciò implicherebbe, per gli allevatori che consegnano a Lactalis, un prezzo di 36 centesimi di euro per litro. È stato utilizzato il condizionale, perché ad oggi non è ancora ufficialmente nota la remunerazione stabilita dalla multinazionale per il mese di ottobre. Come noto, il gruppo francese utilizza un sistema si prezzo indicizzato che parte da quello ufficiale tedesco e vi aggiunge un supplemento di 5,1 centesimi.

Per quanto riguarda le altre imprese lattiero-casearie del Nord Italia, questo accordo potrebbe fare da apripista applicando la maggiorazione di 2,1 centesimi al valore di riferimento di ottobre.

Il secondo accordo sottoscritto in ambito Mipaaf ha sancito la

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decisione politica di utilizzare il tesoretto europeo di 25 milioni di euro, per erogare a favore degli allevatori italiani un contributo per i mesi di dicembre 2015, gennaio e febbraio 2016.

Poiché, nel corso del trimestre indicato le consegne di latte si attesteranno indicativamente a circa 28 milioni di quintali, ne deriva che il premio trasferito a favore degli allevatori ammonterà a poco meno di 0,9 centesimi per chilogrammo di latte e per mese.

In tal modo, prendendo sempre come riferimento i produttori che conferiscono a Lactalis, il loro incasso per litro di latte consegnato nelle prossime tre mensilità si collocherà poco al disotto della soglia dei 37 centesimi.

Il documento sottoscritto, pomposamente definito accordo per la stabilità e la sostenibilità della filiera lattiero- casearia italiana, contiene altri elementi e prevede degli impegni da parte delle tre categorie di operatori economici coinvolti: la distribuzione, l’industria ed il mondo agricolo, insieme alla cooperazione.

Tra le questioni evidenziate, è ribadita la volontà ad introdurre in Italia un sistema di indicizzazione del prezzo del latte crudo alla stalla ed è formulato l’impegno da parte industriale di utilizzare dei contratti standard per la vendita del latte. Inoltre il ministero di Martina si è impegnato ad incrementare la quota di risorse da destinare per l’acquisto di formaggi da distribuire agli indigenti.

Da segnalare inoltre il proposito delle imprese della distribuzione di attuare delle azioni la cui finalità è quella di valorizzare la produzione di origine nazionale e di promuovere l’utilizzo di latte italiano nelle confezioni di latte fresco commercializzato con il marchio del distributore.

Probabilmente, in questo momento, è difficile ottenere di più, in termini di livello assoluto del prezzo del latte e di

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orizzonte temporale dell’accordo. Si deve, infatti, partire dal presupposto che la situazione globale del mercato dei prodotti lattiero-caseari è pessima.

Il problema è che le istituzioni nazionali hanno poche leve a disposizione per incidere sulla evoluzione del mercato e né dispongono dei mezzi per stabilizzare e per rendere sostenibile la filiera, come in modo enfatico è dichiarato nel testo dell’accordo preparato dal Mipaaf e sottoscritto dai rappresentanti degli operatori economici.

L’unica istituzione che davvero potrebbe mettere in campo interventi efficaci è l’Unione europea, la quale però non è disposta ad agire e l’ha ribadito più volte con le decisioni prese ed i comportamenti assunti negli ultimi mesi.

Gli allevatori di altri Paesi europei l’hanno compreso ed è di questi giorni la richiesta formale presentata al presidente della Commissione Juncker di rimuovere dal ruolo di Commissario agricolo Phil Hogan, considerato impietosamente come inadatto: “signor Presidente, rimuova questo incompetente Commissario dalla sua carica”, è questo l’appello lanciato dalla organizzazione dei produttori latte europei EMB nella lettera del 23 novembre scorso.

Sarebbe il caso che i responsabili della politica agricola italiana, a cominciare dal Ministro in carica, assumessero delle posizioni più decise e meno concilianti nei tavoli istituzionali di Bruxelles, denunciando che la Pac di oggi non tutela l’agricoltura europea, pur essendo assai dispendiosa, complessa e con insostenibili costi burocratici.

Ermanno Comegna

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FRANCO POGGIANTI: MONCALVO VICEPRESIDENTE COPA-COGECA?

SARA’ PIU’ DIFFICILE ORA PER LUI INTONARE AL BRENNERO “NON PASSI LO STRANIERO”

F r a i m a g n i f i c i s e t t e neoeletti di Copa Cogeca c’è, in veste di vice presidente Roberto Moncalvo. È’ cosa buona e giusta. Moncalvo presiede un’importante associazione professionale degli agricoltori italiani, Coldiretti e, in quanto tale, ha pieno titolo per rappresentare il nostro paese nella centrale europea delle cooperative agricole che s’ingegna a favorire l’integrazione comunitaria e la circolazione dei prodotti dell’agricoltura

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all’esterno, ma anche all’interno dell’Europa. L’anno prossimo sarà più complicato per lui, dismesse le vesti blu-stellate dell’Unione, indossare la casacca giallo-Coldiretti e intonare sulle vie del Brennero il “non passi lo straniero!!”

Per saperne di più:

COLDIRETTI DIFENDE MADE IN ITALY MA COMPRA MADE IN CHINA.

MINISTRO DE GIROLAMO MANIFESTO’ AL BRENNERO CON IL GIUBBOTTO

“GIALLO”

COLDIRETTI DIFENDE MADE IN ITALY. MA COMPRA ANCORA MADE IN CHINA? MARTINA AL BRENNERO MA SENZA IL GIUBBOTTO “GIALLO”

ERMANNO COMEGNA: MA QUALE

SEMPLIFICAZIONE, SOLO LA PAC

HA COSTI BUROCRATICI PER 4

MLD DI EURO, LO DICE

RISOLUZIONE UE

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U n a r i s o l u z i o n e a p p rovata dal Parlamento europeo lo scorso 8 settembre ha fornito un dato che forse sorprende pochi, ma è sicuramente sconcertante. Cos’ha rilevato di così eclatante l’istituzione europea? E’ stata indicata una valutazione, autorevole ed attendibile, del costo burocratico legato alla attuazione della Politica agricola comune. In particolare, il Parlamento Ue afferma che il costo dei controlli e dell’assistenza prestata a favore dei soggetti beneficiari della Pac, gravante a carico degli Stati membri, è stimato a 4 miliardi di euro l’anno. E non è finita qui; perché bisogna considerare anche gli oneri sostenuti dagli agricoltori, i quali come è accertato non sono sicuramente trascurabili, più i costi di funzionamento dell’apparato amministrativo di Bruxelles, che, come se non bastasse, affida lo svolgimento di alcune operazioni, a soggetti esterni, tramite onerosi appalti pubblici. Oltre ai costi per i controlli e per l’assistenza, gli Stati membri devono provvedere al mantenimento di organismi, operanti a livello centrale, regionale e locale, per le attività di programmazione, gestione, monitoraggio e valutazione (si pensi alla rete degli organismi pagatori). I 4

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miliardi di costi pubblici ai quali fa riferimento il documento del Parlamento europeo costituiscono pertanto solo una parte degli oneri legati al funzionamento della Pac, il cui budget complessivo ammonta attualmente a 58 miliardi di euro l’anno, da suddividere tra i 28 Stati membri dell’Unione europea e ripartire nei tre fondamentali interventi della politica agraria: i pagamenti diretti, lo sviluppo rurale e le misure di mercato. A questo punto è spontaneo porsi una domanda. L’Unione europea sta andando nella giusta direzione, dopo le recenti riforme della Pac che hanno considerevolmente ridotto l’efficacia degli strumenti di sostegno a favore dell’agricoltura, aumentando però in maniera esponenziale la complicazione, l’intervento della burocrazia ed i costi da essa generati? È sempre più nutrita la schiera di che ritiene che a Bruxelles stanno sbagliando tutto: spendono molte risorse pubbliche per una politica settoriale agricola che non è all’altezza delle esigenze e che è ampiamente contestata dagli agricoltori europei, come dimostrano le numerose manifestazioni estive che ci sono state in molti Paesi membri, per denunciare la crisi di prezzi e di reddito di due strategici comparti come il latte ed i suini. Cosa bisogna fare allora? A Bruxelles si parla di semplificazione, la quale però, così come prospettata e portata avanti dal Commissario europeo all’agricoltura, non basta. Alcuni pensano sia il momento di concepire una nuova politica agraria che tenga conto delle dinamiche a livello internazionale, delle scelte operate dai Paesi concorrenti (ad esempio gli Stati Uniti) e degli obiettivi assegnati alla politica agricola comune e sanciti nel Trattato dell’Unione europea. Giova ricordare infatti che le finalità della Pac sono: l’incremento della produttività agricola e lo sviluppo del progresso tecnico;

l’assicurazione di un equo tenore di vita agli agricoltori; la s t a b i l i z z a z i o n e d e i m e r c a t i ; l a s i c u r e z z a d e g l i approvvigionamenti e, infine, l’assicurazione di prezzi ragionevoli ai consumatori. Tali obiettivi non sembrano essere perseguiti oggi in Europa, nonostante una Pac costosa, la quale impiega una sterminata schiera di tutori che assiste,

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controlla, consiglia gli agricoltori, distogliendoli da compiti più rilevanti e lungimiranti. La capacità produttiva dell’agricoltura è tendenzialmente in declino, come mostrano, ad esempio i dati del nostro Paese per molti settori produttivi, come l’olio di oliva, la carne bovina, i cereali e la frutticoltura. La meta verso la quale la Pac è indirizzata, per effetto delle ultime riforme che si sono susseguite dagli anni 90 ad oggi, non è quella sancita nel Trattato ma è la teoria dell’orientamento al mercato, ormai innalzata a riferimento per tutte le scelte definite a livello comunitario, come di recente confermato nel discorso tenuto dal vice Presidente della Commissione Jyrki Katainen, in occasione del Consiglio agricolo straordinario del 7 settembre 2015. “Nel corso degli anni, ha dichiarato Katainen, la Pac ha assunto una direzione progressivamente orientata al mercato.

La riforma del 2013 ha confermato e rafforzato questo approccio. L’impegno nei confronti dell’orientamento al mercato è e rimane alla base dell’azione della Commissione europea”. La combinazione di burocratizzazione e orientamento al mercato è una miscela,pericolosa, micidiale e poco utile per l’agricoltura europea. E’ una situazione incestuosa che andrebbe rimossa prima possibile.

Ermanno Comegna

LE BATTUTE DI…MANUEL ORAZI:

NON ESISTE IL PRODOTTO DI

QUALITA’ SE NON C’E’

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SICUREZZA NEI CAMPI

B i s o g n e r à f a r e u n g r a nde sforzo di informazione e comunicazione, ma è l’unica strada da percorrere per “azzerare” le morti nei campi: il rispetto dei massimi standard di sicurezza dei lavoratori, all’interno di un’azienda agricola è un fattore ineludibile per poter definire il prodotto realizzato un prodotto di qualità. Una sfida questa, che da combattere da tutti e a tutti i livelli. Una “battaglia” da vincere sul piano etico e della consapevolezza, con commercianti e consumatori protagonisti, assieme agli imprenditori agricoli. Comprare un prodotto agricolo ad un prezzo eccessivamente basso equivale a d “ a r m a r e ” l a m a n o o m i c i d a d e l l ’ i n c u r i a e d e l l a scelleratezza. Tale affermazione può risultare troppo forte e inappropriata: in realtà non è così. Un chilo di pomodori venduti a 30 centesimi, raccolti da persone a mani e piedi nudi, semmai in un campo arato da un trattore non omologato, con un guidatore minorenne e senza patentino, secondo voi è un

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prodotto di qualità da comprare? Per me no. E’ una schifezza.

Esporre un lavoratore, o se stessi, a rischi evidenti nei campi e nei luoghi di trasformazione, eludendo norme e leggi che in Italia, non solo ci sono, ma sono tra le più

“illuminate” al mondo, al fine di evitare spese per la sicurezza, è una pratica che ancora esiste nel nostro Paese, sicuramente meno rispetto al passato, ma ancora esiste. C’è da dire che il contesto generale rimane complicato, e in questa direzione aiuta poco. I fattori che incidono negativamente sulle imprese agricole in Italia sono numerosi, a partire dagli aspetti connessi alla crisi economica degli ultimi anni, congiuntamente alle crescenti sfide legate alla sostenibilità ambientale che dettano misure severe e onerose agli agricoltori, così come la volatilità dei prezzi sui mercati dei prodotti della terra che hanno creato una involuzione delle imprese agricole. Una situazione a macchia di leopardo che ha interessato tutte le regioni italiane, che negli ultimi dieci anni sono diminuite di circa un terzo, una tagliola che ha colpito prevalentemente le aziende di piccole dimensioni.

Anche gli aspetti legati ai temi della sicurezza sui luoghi di lavoro giocano un ruolo importante in questo fenomeno.

L’agricoltura è uno dei settori a maggior rischio, sia per entità che per frequenza degli infortuni denunciati, e quindi prevede una particolare attenzione e un coinvolgimento degli Enti e delle Istituzioni che si occupano varare le misure protettive e preventive per salvaguardare la salute e la sicurezza degli operatori agricoli. Le norme, in Italia, come detto, ci sono tutte e sono anche chiare le indicazioni delle prassi da seguire. Dal rischio da esposizione a sostanze p e r i c o l o s e a l r i s c h i o b i o l o g i c o , p a s s a n d o p e r l a movimentazione manuale dei carichi in agricoltura, i mezzi agricoli di trasporto, linee elettriche aeree e l’esposizione al rumore. Detto tutto ciò, su un tema che tocca la vita umana, non può esistere alcun alibi. Certamente, sarebbe quanto mai opportuno un sostegno delle Istituzioni, attraverso misure incentivanti e sgravi per le aziende che virtuosamente si allineeranno al principio “azienda sicura al 100 per

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cento”. Un concetto che potrebbe trovare la sua visibilità anche sul packaging dei prodotti alimentari, in una sorta di

“etichetta etica” con diciture volontarie in aggiunta a quelle previste dalla legge. Dando così origine ad un messaggio diretto al consumatore: “questo prodotto è realizzato nel totale rispetto delle norme di sicurezza degli ambienti e delle persone che hanno lavorato per la sua realizzazione”.

Secondo voi questo “vale” per pagare un prodotto qualche centesimo in più? Si, è la mia risposta.

Manuel Orazi

ERMANNO COMEGNA: LA CRISI DEL

LATTE INSOSTENIBILE. I RICAVI

NON COMPENSANO I DEBITI

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L a s i t u a z i o n e d i m e r cato nel settore del latte è diventata drammatica e c’è chi non se ne accorto. La riduzione del prezzo corrisposto agli allevatori per le consegne ai primi acquirenti è divenuta insostenibile per molti allevatori. Tra qualche giorno ci saranno le imputazioni delle multe per il superamento della quota aziendale 2014-2015 e per alcuni saranno dolori. A tutto ciò si aggiunge un particolare del quale poco si discute in Italia, ma che gli agenti economici conoscono molto bene:

l’eccessivo indebitamento delle imprese zootecniche, le quali ai livelli attuali di ricavi non sono in grado di restituire i prestiti contratti. L’Unione europea ha platealmente dimostrato il proprio immobilismo e l’incapacità a fare fronte alla grave situazione. C’è chi dice che la crisi del 2015 sia peggiore di quella del 2009 ed i dati che arrivano dal Nord Europa lo iniziano ad attestare. Nei Paesi baltici sono stati consegnati all’intervento le prime partite di latte in polvere. Ciò significa che ormai il prezzo del latte crudo alla stalla si colloca attorno ai 20 centesimi. Gli allevatori francesi e belgi sono inquieti e manifestano da alcuni giorni, anche molto vivacemente. Uno spettro agita il mondo agricolo:

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la depressione che ha colpito gli allevatori più fragili. In Italia la situazione non è dissimile. In media i produttori di latte hanno perso, rispetto allo scorso anno, circa 10 centesimi di euro per chilogrammo di materia prima consegnata all’industria: vale a dire poco più del 20%. Con tali prezzi, il margine che resta, dopo aver pagato le fatture per gli a l i m e n t i z o o t e c n i c i e g l i a l t r i f a t t o r i e s e r v i z i indispensabili per gestire l’impresa, resta davvero poco per pagare i debiti e per assicurare un tenore di vita dignitoso alla famiglia. Della necessità di investire, per mantenere in efficienza e competitiva l’azienda, se ne parla nemmeno in questo delicato momento. L’Unione europea deve muoversi. In passato, durante la crisi del 2009, quando a presiedere la Commissione agricola c’era un esponente liberale come Marianne Fischer Boel, mise in atto un solido, coraggioso e diversificato pacchetto di misure che comprendevano, tra l’altro, anche le sovvenzioni alle esportazioni. Questa volta, il commissario in carica Hogan ha più volte toccato il limite del ridicolo, negando l’esistenza della crisi e proclamandosi fiducioso nell’automatico aggiustamento del mercato. Ci sono misure di emergenza da assumere in fretta; ma non basta. Si deve pure provvedere a modificare la politica di sostegno a favore del settore del latte, ormai orfana non solo del regime delle quote di produzione, ma di tutti i classici strumenti di stabilizzazione e di governo del mercato per anni rimasti attivi. Peraltro, una delle cause alla base della difficile congiuntura è stata causata dalla stessa Unione europea con le decisioni di politica estera che hanno portato a decretare l’embargo da parte della Russia. Un settore così importante per l’economia agroalimentare va sostenuto nei momenti critici e comunque deve essere governato tramite misure adeguate di politica agraria e/o attraverso l’autoregolamentazione dei produttori. Questa volta però si devono muovere anche le istituzioni nazionali e, in particolare, il governo. Il pacchetto di interventi varato di recente (modifiche delle regole compensazione 2014-2015, contratti di vendita con durata minima 1 anno, norme sulla interprofessione e misure

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per contrastare le pratiche sleali nella filiera) serve a poco. Si deve cambiare passo, a cominciare dal prevedere una misura seria sull’indebitamento delle aziende zootecniche.

Oltre alla politica, si devono attivare anche gli stessi produttori. Il compito di un imprenditore zootecnico non si esaurisce sulla soglia del cancello dell’azienda. I produttori devono sviluppare la propensione ad interagire con gli altri allevatori, nell’ambito delle diverse forme di aggregazione e di organizzazione dell’offerta.

Ermanno Comegna

DI ERMANNO COMEGNA..PRIMA

PROPOSTA PER LA SFIDA DEL

MERCATO DEL LATTE POST QUOTE

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N e l m e s e d i g e n n a i o s corso, parlando della difficile situazione del mercato del latte che, purtroppo ancora persiste e inquieta i produttori italiani – e non solo quelli – avevamo fornito alcune indicazioni su come affrontare le sfide che attendono il settore, coinvolto, come noto, anche nella incerta stagione del dopo quote latte. Erano state ipotizzate tre aree di intervento: strumenti di politica agraria per il contrasto al fenomeno della volatilità del mercato in Europa, previsto da tutti in aumento, anche per effetto dell’abbattimento della diga produttiva rappresentata appunto del regime delle quote;

l’azione diretta degli operatori economici, attraverso le armi dell’aggregazione, della organizzazione e della ottimizzazione delle performance di impresa (innovazione, produttività, efficienza); infine, avevamo parlato di misure non convenzionali, ovvero residuali, ma non di importanza minore rispetto alle due precedenti e caratterizzate da una certa dose di originalità e spirito creativo.

L’articolo annunciava future proposte concrete tagliate sulle specifiche esigenze del sistema lattiero- caseario italiano.

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Riprendiamo oggi il discorso lasciato in sospeso per formulare una prima ipotesi di lavoro che è stata oggetto di valutazione con diversi agenti economici e con alcuni analisti. Si tratta di questo: lanciare, con una regia a livello nazionale e declinando l’applicazione in base alle specificità territoriali, una massiccia azione di assistenza tecnica e di consulenza a favore delle imprese zootecniche per elevare il livello delle prestazioni individuali e di conseguenza innalzare anche la competitività complessiva di sistema. In alcune parti ci sono esperienze pilota che vanno in tale direzione. Esse sono basate sul monitoraggio degli indicatori di efficienza e di efficacia, sulla costruzione di benchmark (casi esemplari di riferimento) e sulla erogazione di servizi di consulenza specialistica per accompagnare le singole imprese verso il percorso della ottimizzazione dei risultati.

I migliori studi eseguiti a livello nazionale dimostrano che c’è una forte dispersione attorno alla media dei livelli di efficienza degli allevamenti. Il capitolo sui costi di produzione del Rapporto 2014 dell’Osservatorio sul Mercato dei Prodotti Zootecnici (OMPZ) evidenzia in modo chiaro tale fenomeno. Tra l’allevamento che produce a costi più bassi e quello con costi più alti, c’è un rapporto di 1 a 5. E si badi bene che le differenze esistono anche tra imprese zootecniche di analoga dimensione fisica ed economica e localizzate nella stessa area geografica.

Le performance non sono legate solo alle economie di scala ed all’impatto favorevole o negativo del territorio, ma dipendono, in buona parte, dalla capacità e dalle scelte dell’imprenditore, nel selezionare ed introdurre nella propria azienda le innovazioni e le soluzioni gestionali più pertinenti. Un progetto di trasferimento delle conoscenze nel settore della zootecnia da latte nazionale, ben congegnato, attuato con professionalità che siano all’altezza delle sfide da intraprendere, tenuto conto del livello di preparazione non trascurabile raggiunto dai nostri imprenditori, governato in m o d o s o l i d o , c e n t r a t o s u t e m a t i c h e s e n s i b i l i c o m e

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l’alimentazione, la produttività del lavoro, l’introduzione di innovazioni, la salute ed il benessere degli animali, non può che agire da straordinaria leva per il progresso del settore, capace di rimuovere le criticità e favorire l’accrescimento della competitività. Peraltro, per una tale operazione non si intravedono problemi in termini di disponibilità di risorse pubbliche. L’Italia è il primo grande Paese agricolo dell’Unione europea per volume di fondi messi a disposizione con il PSR 2014-2020 per il trasferimento della conoscenza e dell’innovazione. Si tratta allora solo di utilizzare nel miglior modo possibile la dotazione allocata; applicando un principio molto semplice: le attività di consulenza, informazione e formazione devono produrre vantaggi per il sistema delle imprese e non per l’articolata struttura burocratica che le ruota attorno. Siano convinti che la soluzione qui prospettata, oltre ad essere fattibile, finanziariamente sostenibile e compatibile con le esigenze del sistema produttivo, possa funzionare e, inoltre, potrebbe fornire il non irrisorio effetto di diffondere tra le imprese una cultura verso la collaborazione e l’utilizzo di nuovi strumenti per il governo del settore e per approcci innovativi al mercato.

Ermanno Comegna

DI ERMANNO COMEGNA:

ALLEVATORI INTERESSATI HANNO

ORMAI POCHI GIORNI PER

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DECIDERE IL DA FARSI

I p r o d u t t o r i i t a l i a ni di latte, in particolare i tanti che superano quest’anno la quota di riferimento aziendale, magari oltre la fatidica aliquota del 6%, sono in affanno ed in grande difficoltà, perché attendevano che fosse emanato un provvedimento di modifica delle regole nazionali per la chiusura dei conteggi di fine annata e, invece, dall’atteso tavolo di filiera dell’11 marzo è emerso siamo piuttosto lontani dal risultato auspicato. Si era parlato più volte nelle ultime settimane di una estensione della possibilità di restituzione del prelievo anticipato in eccesso anche a favore degli allevatori oggi esclusi in base alla legge 33 del 2009. Invece c’è il nulla di fatto. Di conseguenza, gli agricoltori interessati hanno ormai pochi giorni per decidere il da farsi e scegliere tra le opzioni disponibili: ridurre le consegne, ma ormai i tempi sono limitati per una efficace azione di contenimento;

rivolgersi al mercato delle quote, sostenendo però dei costi di affitto quasi proibitivi (si parla di cifre ben oltre i 10

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centesimi di euro per kg per l’utilizzo nel corso della campagna 2014-2015); ignorare il rischio e sperare che alla fine la modifica legislativa vada in porto. Se la prima alternativa è pressoché inutile oggi e la seconda decisamente costosa, la terza è senz’altro assai pericolosa, perché ove l’operazione politica a livello nazionale non andasse in porto, il produttore sarà chiamato a versare il prelievo supplementare sull’intera eccedenza registrata, non solo su quella che supera la soglia del 106% della quota individuale.

E si badi bene un particolare: in base alla cervellotica legge 33/2009, Agea eseguirà delle imputazioni superiori all’importo della sanzione da girare all’Unione europea. La differenza è trattenuta a livello nazionale e quindi girata al Mipaaf, per essere utilizzata a supporto di interventi nel settore caseario.

Non c’è solo l’inerzia politica a livello italiano. Lo stesso avviene quando osserviamo il comportamento dell’Europa. Da oltre un anno era stato suonato l’allarme sui rischi legati all’ultima annata di funzionamento del regime delle quote latte, ma senza produrre alcun risultato, se non degli sterili dibattiti, come quello che andrà in scena il prossimo Consiglio agricolo in programma il prossimo 16 marzo, nel corso del quale l’unica soluzione che l’esecutivo comunitario è stato capace di escogitare è il pagamento a rate in tre anni, senza interessi del prelievo maturato nel corso del 2014-2015. Per non parlare delle clamorose dichiarazioni del commissario all’agricoltura Hogan, quando alcuni giorni orsono dichiarò che “non c’è crisi nel mercato del latte”. I produttori di latte avrebbero solide ragioni per essere furenti contro le istituzioni europee e nazionali e reclamare una maggiore disponibilità ed attenzione, in un momento nel quale ci sono difficoltà enormi, con la crisi di liquidità che coinvolge una platea numerosa di imprese zootecniche. In verità, il regime delle quote latte avrebbe dovuto essere soppresso dalla cassetta degli attrezzi della Pac nel decennio scorso. Mantenerlo fino al 2015 è stato un contro senso ed una

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presa in giro per i produttori agricoli. La ragione è semplice. Quando nel 1984 furono istituite si disse che era l’unica ragionevole soluzione all’abbassamento drastico dei prezzi garantiti. Con la riforma di Agenda 2000 e con quella del 2003, i prezzi garantiti sono stati fortemente ribassati, a tal punto che oggi, la tanto sbandierata rete di sicurezza per il settore del latte bovino è posta, all’incirca, a 21 centesimi di euro per kg, ma le quote latte sono rimaste, come se niente fosse cambiato. Tra contraddizioni, come quella menzionata, mancata semplificazione e incapacità di incidere sui problemi agricoli e fornire risposte tempestive, questa Pac risulta sempre più incredibilmente inadeguata; ma pochi ne sono consapevoli.

Ermanno Comegna

DI ERMANNO COMEGNA: ECCO COSA

FARE PER TROVARE LA QUADRA

SUL LATTE

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L a c r i s i d i m e r c a t o d el latte sta destando forti allarmi in tutta Europa e in molti si affannano a proporre soluzioni che possano scongiurare il pericolo di un eccessivo indebolimento del sistema produttivo.

Da ultimo, si è parlato della questione in occasione del Consiglio agricolo dell’Ue del 26 gennaio e il giorno successivo c’è stata una audizione alla commissione agricoltura del Parlamento europeo.

In qualche Paese dell’area settentrionale dell’Unione europea la situazione è davvero allarmante e si segnalano prezzi del latte crudo alla stalla decisamente sotto la soglia di 30 centesimi di euro per chilogrammo e, in qualche caso, più vicino al limite dei 20 centesimi.

Molti denunciano che i ricavi dei produttori siano inferiori ai costi di produzione ed evidenziano come si avvertano problemi di carenza di liquidità tra gli allevatori.

Insomma, uno scenario cupo che non risparmia l’Italia, come è attestato dalle difficoltà a trovare un accordo sul prezzo tra

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produttori ed acquirenti industriali ed il clima polemico che di tanto in tanto affiora a livello politico e tra gli operatori economici.

In un contesto del genere, sorprende la posizione della Commissione europea che nega sia in atto una situazione di crisi; l’esecutivo comunitario – contrariamente a Consiglio e Parlamento – minimizza e manifesta un atteggiamento attendista, convinta che presto ci sarà un miglioramento, magari quando la Cina inizierà a riaffacciarsi in modo massiccio sul mercato, riattivando gli acquisiti che sono risultati rarefatti negli ultimi mesi.

Senza voler giustificare la Commissione Ue, è il caso di segnalare realisticamente che per sostenere il mercato del latte con interventi di politica agraria efficaci e tale da far risalire i prezzi, è necessario disporre di risorse pubbliche che di questi tempi scarseggiano, anche nel bilancio dell’Unione europea che, forse, in passato ha dato l’impressione di non avvertire tali problemi piuttosto radicati, invece, a livello nazionale.

Cosa fare allora? Ecco alcune indicazioni.

Primo, una soluzione deve essere trovata, per due ragioni: la volatilità è una variabile ormai strutturale e la fine del regime delle quote latte non frenerà di certo tale fenomeno, sconosciuto in Europa in passato.

Secondo, bisogna fare meno affidamento sull’intervento dell’Unione europea e lavorare sulle due altre leve disponibili: l’organizzazione del settore, con particolare riferimento al mondo degli allevatori, all’industria di trasformazione ed alle loro interrelazioni; le soluzioni gestionali individuali dell’impresa agricola.

Terzo, andrebbero utilizzate con maggiore intensità e, ove possibile, con originalità le misure fino ad oggi non convenzionali. Nel concreto, si deve ricorrere agli strumenti

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finanziari e alle attività di marketing, piuttosto che attendere un improbabile consistente aumento dei prezzi istituzionali fissati nell’ambito dell’organizzazione comune di mercato dell’Ue.

Chi scrive sta lavorando su una proposta concepita sulle esigenze del sistema lattiero-caseario italiano che presto si provvederà a rendere pubblica su agricolae.eu, oltre che sul blog http://agricolturainrete.blogspot.it/ e tramite twitter (@ErmannoComegna), dopo averla confrontata con esperti, produttori di latte ed altri operatori.

Ermanno Comegna

DI FRANCO POGGIANTI:

“RICICCIA” AL SENATO

L’EMENDAMENTO-CADEAU A

FEDERCONSORZI

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Cronaca di una sorpresa annunciata. L’emendamento che dovrebbe consegnare, come regalo di Natale, 400 milioni di euro a Federconsorzi, già affossato alla Camera è risbucato fuori, alla chetichella, al Senato. E’, insomma, come si dice popolarmente, “ricicciato”. Stavolta moltiplicato per quattro.

Era successo l’anno scorso e, prima ancora due anni fa.

Confuso fra centinaia di codicilli continuano a ripresentarlo.

E, c’è da scommetterci, se non dovesse funzionare, ci riproveranno l’anno venturo. Magari, chissà, prima o poi passa. Per stanchezza o per disattenzione.

Questa insistenza, tecnicamente, si chiama “pervicacia”, un termine che significa – leggo la definizione sul dizionario Devoto-Oli – “ostinazione cieca e accanita”.

Alcuni dei firmatari dell’emendamento – una volta venuta allo scoperto l’ennesima manovra – hanno abiurato. Ritirando la loro firma. Si sono accorti – bontà loro – che quel “cadeau” a quel che resta di Federconsorzi “rischia di dividere il mondo agricolo”. Un po’ tardi perché, poco più di una settimana fa, il provvedimento non era stato ammesso a Montecitorio proprio

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con la stessa motivazione. Non perché fosse iniquo o inopportuno, ma perché era, come si dice oggi, “divisivo”. E soprattutto perché aveva scatenato la dura protesta di un bel pezzo del mondo agricolo.

Pervicacia a parte stupisce il candore dei parlamentari proponenti: non hanno mai sentito parlare di Federconsorzi?

Non sanno che è stata val centro di uno dei più clamorosi scandali della Prima Repubblica. Che ha inghiottito miliardi e miliardi. Che per legge avrebbe già dovuto essere sciolta, definitivamente.

No. Non sanno. E speriamo che “il mondo agricolo” li perdoni.

Perché non sanno quello che fanno.

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