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ETS: enti commerciali o enti non commerciali?

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ETS: enti commerciali o enti non commerciali?

di Gian Mario Colombo

L’approfondimento

Gli enti del Terzo settore (ETS) perseguono - secondo il dettame del Codice del terzo settore -finalità civi- che, solidaristiche di utilità sociale mediante lo svol- gimento di una o più attività di interesse generale.

Sotto il profilo fiscale, occorre operare un distinguo tra enti commerciali ed enti non commerciali sulla base della natura dell’attività svolte, sia pure in un differente contesto di definizione dell’attività com- merciale. La domanda è: quando un ETS è commer- ciale e quando non lo è? L’importanza

dell’argomento si coglie immediatamente se si pensa che dalla qualifica di ETS non commerciale derivano conseguenze importanti sul piano della determina- zione del reddito, dell’accesso alle principali age- volazioni previste per gli ETS, e ai regimi di semplificazioni contabili.

Riferimenti

D.Lgs. 3 luglio 2017, n. 117, artt. 4, comma 1; 79

Da enti non profit a enti non commerciali L’art. 73, comma 1, del T.U.I.R., con riferimento agli enti residenti nel territorio dello stato, qualifica come commerciali gli enti che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commer- ciale (lett. b), e come non commerciali gli enti che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’eser- cizio di attività commerciale (lett. c).

Il comma 4 dello stesso articolo precisa che l’oggetto esclusivo o principale dell’ente residente è determi- nato in base alla legge, all’atto costitutivo o allo statuto se esistenti in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata o registrata (criterio legale).

Come si vede, l’ente commerciale o non commer- ciale è tale a prescindere dallefinalità perseguite e sulla base del solo giudizio di prevalenza o non prevalenza delle attività (commerciali o non commerciali) statu- tariamente previste e delle entrate effettivamente realizzate.

Il focus di entrambe le fattispecie resta incentrato sull’attività effettivamente svolta (criterio sostanziale).

La Legge delega di riforma del Terzo settore (art. 9, comma 1, lett. a, Legge n. 106/2016) per la verità ancorava la revisione dell’ente non commerciale alle finalità perseguite (così come era avvenuto per le ONLUS), indipendentemente dalla natura dell’attività esercitata.

In realtà, a livello di attuazione della delega, le cose non sono andate così.

In effetti, è stata mantenuta l’enfasi sull’aspetto finali- stico ma senza abbandonare la centralità della natura (commerciale o non commerciale) dell’attività, sia ai fini della imponibilità dell’attività stessa, sia per la definizione della natura dell’ente (ente commerciale o ente non commerciale).

In estrema sintesi, sotto il profilo civilistico, si può dire che l’ente del Terzo settore (ETS) persegue finalità civiche, solidaristiche di utilità sociale mediante lo svolgimento di una o più attività di interesse generale (art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 117/2017, di seguito Codice del Terzo settore).

Sotto il profilo fiscale, rispetto agli orientamenti della delega, vi è stata una sorta di ritorno al passato, reinquadrando gli enti del Terzo settore entro il rigido binomio degli enti commerciali-enti non

Gian Mario Colombo - Dottore Commercialista

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commerciali1 sulla base della natura dell’attività svolte, sia pure in un differente contesto di defini- zione dell’attività commerciale.

Dalla qualifica di ETS non commerciale derivano con- seguenze importanti sul piano della determinazione del reddito, dell’accesso alle principali agevolazioni previste per gli ETS, e ai regimi di semplificazioni contabili2.

Natura dell’attività degli ETS

Per stabilire la natura dell’ente, è fondamentale sta- bilire la natura delle attività di interesse generale.

Per tutti gli ETS, diversi dalle imprese sociali, il comma 2 dell’art. 79 chiarisce a quali condizioni le attività di interesse generale di cui all’art. 5 del Decreto si considerano di natura non commerciale (decommercializzate)3. Due sembrano essere i criteri generali che a talfine devono essere considerati:

a) le attività sono svolte a titolo gratuito. Osserviamo, in proposito, che non ha molto senso decommer- cializzare attività che per natura, già sono non commerciali, in quanto non corrispettive;

b) le attività sono svolte dietro versamento di corri- spettivi che non superano i costi effettivi, tenuto anche conto degli apporti economici delle Pubbliche amministrazioni (italiane e straniere)4, e salvo eventuali importi di partecipazione alla spesa previsti dall’ordinamento (es. ticket sanitari).

Questo criterio di “antieconomicità” assume la valenza di principio generale.

La nozione di attività commerciale non si rifà più all’art.

55 (in particolare, comma 2, lett. a, del T.U.I.R.), ma ciò che qui rileva aifini della decommercializzazione dell’attività è la modalità non economica di esercizio della stessa. Questa, per essere non commerciale, non può essere, come di norma avviene per le imprese, organizzata in termini tali da garantire quantomeno la remunerazione dei fattori produttivi compreso il capi- tale investito, con i ricavi conseguiti dalla gestione.

Ne discendono, ai nostrifini, alcune condizioni per poter godere della decommercializzazione: da una parte la gratuità della prestazione (lett. a); sotto questo profilo nulla quaestio, perché le attività sono di per sé non commerciali e, dall’altra, la possibilità di richie- dere un corrispettivo all’utente o a terzi (lett. b), anche

in presenza di contributi pubblici (accreditamento, contrattualizzazione, convenzione) per lo svolgi- mento dell’attività di interesse generale, a condizione che detti proventi non superino i costi effettivi.

Questo significa - come spiega la Relazione illustra- tiva al D.Lgs. n. 117/2017 - che “affinché l’attività dell’ETS possa considerarsi non commerciale, la somma tra il corrispettivo (proveniente dall’utente o da terzi) e i contributi di cui al precedente punto b), non potrà superare i costi effettivi, intendendosi per

Note:

1 La criticità dei limiti stringenti derivanti dal binomio enti com- merciali-enti non commerciali trova evidenza anche nel regime degli obblighi contabilifiscali.

Agli ETS non commerciali è consentito di avvalersi del regime contabile semplificato di cui all’art. 18 del D.P.R. n. 600/1973;

mentre gli ETS commerciali devono applicare il regime contabile ordinario e non possono accedere alla ulteriore semplificazionedicui all’art. 87, comma 3, il quale prevede: “Gli ETS non commerciali che nell’esercizio dell’attività di cui agli artt. 5 e 6 non abbiano conseguito in un anno proventi di ammontare superiore all’importo stabilito dall’art. 13, comma 2, possano tenere per l’anno successivo, in luogo delle scritture contabili previste al primo comma, lett. a), il rendiconto di cassa di cui all’art. 13, comma 2”.

2 Sul punto si veda anche l’art. 83, comma 3, del CTS: “Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano a condizione che l’ente dichiari la propria natura non commerciale ai sensi dell’art. 79, c. 5, al momento dell’iscrizione nel Registro Unico di cui all’art. 45”. Peccato che poi, questa disposizione sembra essere contraddetta dal comma 6 dello stesso art. 83, rendendo pratica- mente inefficace la norma. Ragionevolmente questo aspetto dovrà essere sanato.

3 Oltre a questo criterio generale di decommercializzazione delle attività sono previsti nel CTS alcuni criteri speciali:

- per le organizzazioni di volontariato (art. 84);

- per le associazioni di promozione sociale (art. 85);

- che si applicano anche a ODV e APS commerciali.

Sono altresì considerate non commerciali:

- le attività di ricerca scientifica di particolare interesse sociale (art.

79, comma 3);

- le attività delleex IPAB (art. 5, c.1, lett. a); b); c).

4 Ai sensi dell’art. 4, lett. b) del CTS gli apporti e i contributi erogati ad ETS non commerciali dalle Pubbliche amministrazioni per lo svolgimento anche convenzionato o in regime di accreditamento di cui all’art. 9, comma 1, lett. g) D.Lgs. 7 dicembre 1993, n. 517, delle attività di cui ai commi 2 e 3 del presente articolo, non concorrono alla formazione del reddito imponibile. Per valutare questo aspetto in relazione alTest (1), valga il seguente esempio, relativo a un ETS che svolga attività sociosanitaria.

Ricavi: 40 dagli ospiti, 70 dall’Ats.

Costi: si diano due casi:

1) costi effettivi pari a 100;

2) costi effettivi pari a 130.

Nel primo caso, l’attività si considera commerciale (ricavi >

costi); nel secondo caso l’attività si considera non commerciale (ricavi < costi). Ma nel primo caso alla determinazione dell’im- ponibile concorreranno solo i ricavi privati.

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questi ultimi sia i costi diretti che quelli indiretti afferenti alla specifica attività”.

A completamento di quanto detto sopra, va ricordato che l’art. 24-ter del D.L. n. 119/20185prevede l’in-

serimento nell’art. 79 del CTS del comma 2-bis: “Le attività di cui al comma 2 si considerano non com- merciali qualora i ricavi non superino di oltre il 5% i costi relativi per ciascun periodo d’imposta e per non oltre due periodi di imposta consecutivi”.

L’attività, quindi, in caso di margini positivi per due volte consecutive e nei limiti della percentuale di tol- leranza, non perderà la natura di attività non commer- ciale dovendo nuovamente, per almeno un periodo di imposta, soddisfare il criterio base di non commercialità (comma 2), svolgendo la sua attività dietro corrispettivi non superiori ai costi effettivi6. Pertanto - come precisa la Relazione illustrativa al Decreto correttivo (D.Lgs. 3 agosto 2018, n. 105) - laddove dovessero realizzarsi le circostanze indicate in precedenza, a far tempo dal terzo periodo di imposta l’ente dovrà adeguarsi ai criteri di cui al comma 2 e qualsiasi scostamento rispetto ai parametri ivi previsti determina la qualifica dell’attività come commerciale. La Relazione illustrativa al Decreto cor- rettivo cita come esempio il caso di“maggiori entrate intervenute allafine dell’esercizio o alla riduzione dei costi non preventivamente determinabili dall’ente”, chiarendo così la ratio della norma in esame, tesa ad evitare che l’applicazione di rigidi criteri di commercialità, anche in presenza di scostamenti minimi tra ricavi e costi, possa incidere negativamente sullostatus fiscale dell’ente.

È da chiarire, però, se la franchigia (5% dei ricavi) vada calcolata per ogni singola attività di cui al comma 2, dell’art. 79, effettuata nel medesimo periodo di imposta, come per le diverse attività di interesse generale, oppure per l’insieme delle attività di cui al citato articolo.

Secondo la circolare aprile 2019 del CNDC, il calcolo dell’attuale 5% deve essere effettuato per ciascun

periodo di imposta sino ad un massimo di due conse- cutivi e per ciascuna attività di interesse generale in modo da verificare se sia stato o meno superato il periodo di imposta previsto.

La natura (commerciale o non commerciale) dell’ente

Strettamente collegato al tema della natura dell’attività vi è quello della natura dell’ente (art.

79, comma 5, 5-bis e ter).

Gli ETS possono qualificarsi come enti non commer- ciali se svolgono in via esclusiva o prevalente le attività di cui all’art.5 in conformità ai criteri indicati ai commi 2 e 3 dell’art. 79 del CTS, indipendentemente dal fatto che vi sia o meno l’esercizio di attività di impresa.

Da qui l’importanza di stabilire in primis, come abbiano cercato di fare, la natura (commerciale o non commerciale) dell’attività svolta.

Vediamo alcune problematiche insite in tale formu- lazione, tenendo conto di quanto precedentemente esposto.

Dopo l’introduzione del comma 2-bis7, a commento del novellato art. 79, il documento del CNDCEC, già citato, osserva che il superamento del 5% non deter- mina automaticamente la perdita della qualifica di ETS non commerciale, stante che il superamento per più di due esercizi consecutivi del citato limite com- porta unicamente l’inclusione dei proventi derivanti dalle attività di interesse generale come entrate com- merciali. La valutazione circa la natura dell’ente, pertanto, non è più solo prospettica, ma anche retro- spettiva, dovendo verificare se, in corso di almeno TEST (1) = Corrispettivi utenti+Contributi PA (da accreditamento/convenzioni)

Costi effettivi (diretti e indiretti) ≤ 1*

* Ai sensi dell’art. 79, c. 2 bis, la (dis)equazione diventa ≤ 1,05

Note:

5 Convertito in Legge 17 dicembre 2018, n. 136.

6 Cfr. CNDCEC riforma del Terzo settore: elementi professionali e criticità applicative - circolare, aprile 2019.

7 Ai sensi del comma 2-bis dell’art. 79, le attività si considerano non commerciali qualora i ricavi non superino di oltre il 5% i costi relativi per ciascun periodo di imposta e per non oltre due periodi di imposta consecutivi. In questo caso, la (dis)equazione diventa < 1,05.

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due esercizi, vi sia stato uno sforamento (comunque non superiore al 5%) del pareggio tra costi e ricavi.

Ricordiamo che, se l’ente non supera il Test (1), per valutare la natura degli ETS, il legislatore ha inteso prendere a riferimento le entrate che assumono natura commerciale (ricavi, proventi, corrispettivi) per con- trapporle a quelle derivanti da attività non commerciali.

A questo proposito, il documento del CNDCEC, propone un esempio molto significativo ai fini della comprensione delle dinamiche insite nella norma.

Un ETS svolge due attività di interesse generale dalle quali consegue proventi pari a 60. L’attività A origina proventi pari a 35; mentre l’attività B presenta ricavi pari a 20, che risultano entrambi non commerciali in quanto rispettano i parametri sopra descritti, ma con la differenza che per l’attività B i proventi (20) ecce- dono i costi effettivi seppur nella soglia di tolleranza del 5%.

L’ETS riceve, inoltre, erogazioni liberali pari a 3, e proventi da raccolta fondi occasionale pari a 2, oltre che conseguire proventi da attività“diverse” secon- darie e strumentali (sempre commerciali) per 40.

Nello scenario descritto risulta che, aifini tributari, l’ETS presenta natura non commerciale in quanto le entrate non commerciali (35+20+3+2) sono supe- riori a quelle commerciali (40).

Tuttavia, qualora la situazione presentata si dovesse verificare per altri due esercizi, i proventi generati dall’attività B diverrebbero commerciali, con la conse- guenza che l’ETS perderebbe lo status di ETS non commerciale, in quanto i proventi commerciali (20 +40) supererebbero quelli non commerciali (35+3+2).

È evidente che, a seconda del “peso” che hanno i diversi fattori che entrano nel rapporto si determina la

natura dell’ente. Ai sensi dell’art. 79, comma 5, del CTS, quello che conta è il diverso atteggiarsi del rapporto tra entrate di natura commerciale/entrate di natura non commerciale8.

Quanto agli elementi che entrano nel rapporto (si vedaTest 2), si osserva che, mentre le entrate com- merciali sembrano essere ben definite sulla base dei criteri precedentemente espressi, tra le entrate non commerciali, poste al denominatore della frazione, si fa riferimento, tra l’altro, a “ogni altra entrata assimi- labile alle precedenti”. Una espressione residuale che lascia, nella sua genericità e ampiezza, adito a incertezze.

Come si può vedere nel Test (2) una attività di interesse generale andrà collocata al numeratore o al denominatore, a seconda che abbia natura commer- ciale, oppure no. Teoricamente, se un ente svolge diverse attività (alcune commerciali e altre no), le prime entreranno al numeratore della frazione, le seconde al denominatore.

È interessante anche notare che le entrate di cui al comma 4 dell’art. 79 (occasionali raccolte pubbliche

di fondi e contributi pubblici per le attività di cui ai commi 2 e 3) sono citate dal comma 5 bis tra quelle considerate non commerciali:“si considerano entrate TEST (2) =

Entrate comm. (attività di interesse generale non conformi c. 2, 2-bis e c. 3) + attività diverse ex art. 6*

< 1 Entrate non commerciali (attività conformi c. 2, 2-bis,3) + 4 + con-

tributi + liberalità + quote ass. e ogni altra entrata assimilabile alle precedenti + valore normale dei beni e delle prestazioni ceduti gratuitamente

* Non rilevano i proventi derivanti da sponsorizzazioni

Nota:

8 In proposito, G. Girelli,“Il regime fiscale del Terzo settore”, in M. Gorgoni - Pacini giuridica (a cura di),Il Codice del terzo settore, pag. 404, propone il seguente caso:“Potrebbe accadere che un ente del Terzo settore venga considerato ente non commerciale e un altro quale ente commerciale, nonostante gli stessi esercitino la stessa attività con modalità commerciali e con i medesimi ricavi. Si pensi, ad esempio, al caso in cui il secondo ente in un anno abbia ricevuto cospicue contribuzioni liberali che superano i ricavi d’impresa. Per questo motivo le entrate non commerciali supe- rano le entrate commerciali”.

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derivanti da attività non commerciali […] le entrate considerate non commerciali ai sensi dei commi 2, 3, 4”. Ciò significa che, ai fini della verifica della natura dell’ente, i contributi pubblici (anche se corrispettivi) vanno sempre conteggiati tra le entrate non commer- ciali, o in quanto rientrano tra le entrate delle attività di interesse generale svolte con modalità non com- merciali (in conformità ai commi 2 e 3 dell’art. 79), o in quanto ricomprese nel comma 4 (lett. b).

Sempre nell’intento di fare chiarezza sugli elementi che entrano nel rapporto, una parola deve essere spesa anche per quanto riguarda la cessione dei beni e la prestazione dei servizi gratuita.

Infatti, il risultato della contrapposizione tra entrate commerciali e non commerciali dipende anche dal peso delle contribuzioni di cui al comma 5-bis dell’art. 79, che si considerano entrate non com- merciali. A questo proposito, trattandosi di gran- dezze non monetarie, il tema di maggior rilievo è

dato dalla valorizzazione e della contabilizzazione delle gratuità, che entrano nel rapporto.

Il criteriofiscale del valore normale non sempre è in grado di esprimere adeguatamente i valori in gioco.

Laddove non vi è un mercato di riferimento (si pensi, ad esempio, alla mensa dei poveri), risulta difficile valorizzare le prestazioni gratuite o le donazioni in natura ricevute dall’ETS.

Notiamo ancora, su questo punto, che i costi“figu- rativi” del volontariato sono determinati in funzione, non dei costi rimborsati in base a parametri di cui all’art. 17 del D.Lgs. n. 117/2017 (rimborso spese), bensì valorizzando, come si è detto sopra, l’opera gratuita dei volontari.

Si può aggiungere che, in linea di principio, quanto maggiore è la presenza di volontari, tanto minore dovrebbe essere l’entità del corrispettivo pagato dagli utenti, agevolando in tal modo l’acquisizione della qualifica di ente non commerciale.

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