Proc. N. 100/08 R.Gen. Cont.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE PER I MINORENNI DI MILANO
Il Tribunale per i Minorenni di Milano, riunito in camera di consiglio nelle persone dei sigg.:
Dr. Marco Maria Maiga PRESIDENTE Dr.ssa Emanuela Aliverti GIUDICE rel.
Dr.ssa Bona Guidobono Cavalchini GIUDICE ON.
Dr. Giuseppe Bresciani GIUDICE ON.
Ha emesso la seguente
SENTENZA
Nel procedimento ai sensi degli artt. 416 ss. c.c. relativo a:
C. C., nata a Milano il xx.xx.1990;
di C. G. e di M. L.;
iniziato con ricorso del P.M. per i Minorenni in data 17 ottobre 2008 diretto ad ottenere sentenza di interdizione;
Conclusioni delle parti: per la madre: “chiede all’Ill.mo Tribunale per i Minorenni adito, condividendo e quindi associandosi alla richiesta dell’Ill.mo Pubblico Ministero, di voler pronunciare l’interdizione della figlia C. C., nata a Milano il 4.11.1990 e chiede altresì di essere nominata quale tutore della figlia C. C. e che sia nominato protutore la direttrice della Comunità presso la quale C. è collocata affihcè possa – ex art 360 c.c. – rappresentare C. nell’ipotesi in cui l’interesse di quest’ultima sia in opposizione a quello del tutore”
per il padre: “Voglia l’Ill.mo Tribunale per i Minorenni di Milano, ogni contraria istanza, eccezione e difesa respinta, così giudicare:
dichiarare non luogo a provvedere in ordine al ricorso del P.M. per l’interdizione di C. C. nata a Milano il 4.11.1990 per essere stato preventivamente proposto per ella ricorso per la nomina dell’amministratore di sostegno avanti il Giudice Tutelare di Como e comunque per essere la misura di protezione dell’amministratore di sostegno
nella denegata ipotesi che il Tribunale proceda all’interdizione di C. C., nominarle tutore il padre sig. G. C. o il cugino sig. M. M.”
per il P.M. ricorrente: insiste per l’accoglimento della domanda di interdizione
Svolgimento del processo
A seguito della segnalazione del Servizio Sociale di Mariano Comense trasmessa il 15.10.2008, il P.M. per i Minorenni di Milano ha proposto ricorso 17 ottobre 2008 per ottenere la pronuncia dell’interdizione di C. C., divenuta maggiorenne il 4.11.2008.
Con memoria depositata in data 21.10.2008 la madre della minore ha chiesto al P.M. di promuovere il procedimento di interdizione di C..
Con decreto in data 28.10.2008 il Giudice Delegato ha fissato la comparizione del P.M. ricorrente, della minore, dei genitori e di eventuali parenti entro il quarto grado, dinanzi al Giudice Onorario a ciò delegato, per la data del 17.11.2008.
In data 17.11.2008 il Giudice Onorario delegato ha provveduto a sentire l’interdicenda, presenti il padre e la madre nonché gli operatori che da anni seguono C. e la sorella G. L.
Il padre e la madre si sono costituiti separatamente formulando le richieste in epigrafe riportate.
Il P.M. ricorrente ha quindi concluso insistendo per la pronuncia di interdizione.
Motivi della decisione
Il presente procedimento è stato instaurato su richiesta del P.M. innanzi al T.M.
di Milano per l’interdizione della minore nell’ultimo anno della minore età tenuto conto della segnalazione del s.s. dell’Ente affidatario in considerazione delle condizioni della ragazza.
Nell’ambito di questo procedimento si sono separatamente costituiti la madre e il padre della minore.
In particolare, la madre ha aderito alla richiesta formulata dal P.M. chiedendo di essere nominata tutore della figlia mentre il padre ha eccepito la litispendenza - avendo egli stesso proposto, con ricorso depositato in data 8.10.2008 presso la Cancelleria del G.T. del T.O. di Como istanza per la nomina di un amministratore di sostegno cui ha fatto seguito analoga richiesta del P.M. presso il T.O. di Como depositata in data 31.10.2008 – nonché l’infondatezza nel merito della richiesta del P.M. presso il T.M. di Milano apparendo la misura dell’amministratore di sostegno quella di migliore e più efficace protezione nell’interesse di C..
Quanto all’eccepita litispendenza, osserva il T.M. che è possibile, in concreto, che all’amministrazione di sostegno si giunga, in alcuni casi, in parallelo con un procedimento di natura contenziosa relativo all’interdizione o inabilitazione.
Questo può verificarsi innanzitutto quando, nel corso di un procedimento proposto avanti al tribunale ordinario per la dichiarazione di interdizione o inabilitazione, appare opportuno applicare all’interessato l’amministrazione di sostegno. In tal caso il giudice istruttore o il tribunale, d’ufficio o su istanza di parte, dispongono la trasmissione del procedimento al giudice tutelare anticipando con decreto, ove se ne ravvisi l’opportunità, i provvedimenti urgenti di amministrazione di sostegno di cui all’art. 405 cod. civ. (art. 418, ult. comma, cod. civ.). Il pubblico ministero e le parti private, ove concordino che la protezione della persona interessata possa essere definita con l’amministrazione, rinunciano agli atti del giudizio di interdizione o inabilitazione con conseguente estinzione del processo (art. 306 cod.
civ.). Qualora invece una delle parti insista per la pronuncia di interdizione o inabilitazione, il tribunale provvede con sentenza a respingere o accogliere la domanda originaria.
Nelle ipotesi in cui si voglia istituire l’amministrazione di sostegno per una persona già interdetta o inabilitata devono invece intervenire due procedure contemporanee: l’una di revoca dell’interdizione o inabilitazione avanti al tribunale e l’altra di nomina dell’amministratore di sostegno avanti al giudice tutelare. In questo caso il pubblico ministero, i soggetti legittimati e lo stesso interdetto o inabilitato propongono istanza al tribunale per la revoca dell’interdizione e dell’inabilitazione e, contestualmente, ricorrono al giudice tutelare per l’istituzione dell’amministrazione di sostegno (art. 406, comma 2, cod. civ.).
Quando infine sia promosso un procedimento di mera revoca dell’interdizione o dell’inabilitazione (art. 429, ult. comma, cod. civ.), nel corso del giudizio il tribunale può, su istanza di parte o d’ufficio, disporre la trasmissione degli atti al giudice tutelare ove ritenga opportuno che successivamente alla revoca di interdizione o amministrazione il soggetto sia assistito da un amministratore di sostegno.
Nell’ipotesi in cui, come nella specie, pendano contemporaneamente un procedimento per l’interdizione e un procedimento per l’amministrazione di sostegno, il T.M. condivide quanto osservato dal G.T. presso il T.O. di Roma con decreto 9.11.2005:
“L’ipotesi, non espressamente disciplinata dalla legge, in cui siano contemporaneamente pendenti il processo d’interdizione ed il procedimento per la nomina dell’Amministratore di sostegno non può qualificarsi in termini di litispendenza per la natura non contenziosa del procedimento che si svolge dinanzi al Giudice Tutelare 1, né comporta l’inammissibilità del ricorso in quanto, a differenza di
1 La necessità della difesa tecnica riconosciuta dalla Corte di Cassazione con la successiva sentenza n.
25366 nel procedimento di nomina dell’amministratore di sostegno non muta la natura del procedimento.
Nel percorso argomentativo di tale sentenza, la Corte muove, infatti, dal rilievo che la disciplina del nuovo istituto – che si configura come un contenitore nel quale sono riunite fattispecie tra loro ontologicamente
quanto avviene in caso di ricorso concernente persona già interdetta (art.406 c.c.), l’inammissibilità non è espressamente comminata dalla legge.
Il Giudice Tutelare non può, tuttavia, emettere il decreto di nomina dell’Amministratore di sostegno sino a quando non possa escludersi che il processo pendente dinanzi al Tribunale perverrà alla sentenza d’interdizione. L’art.406 c.c. prevede, infatti, che la domanda per amministrazione di sostegno in favore di un interdetto o inabilitato debba essere proposta insieme alla domanda di revoca dell’interdizione o inabilitazione al Tribunale; l’art.405, 3° co., c.c. prevede, poi, che il decreto di nomina di amministratore di sostegno non possa acquistare efficacia se non dalla pubblicazione della sentenza di revoca dell’interdizione; l’art.418 c.c. stabilisce, infine, che nel corso del giudizio d’interdizione o inabilitazione il Tribunale possa valutare, anche d’ufficio, l’opportunità di applicare l’amministrazione di sostegno.
Dalla formulazione delle disposizioni citate si può, dunque, desumere un principio applicabile analogicamente all’ipotesi di contemporanea pendenza del giudizio d’interdizione/inabilitazione e del procedimento per Amministrazione di sostegno, ossia un principio di necessaria pregiudizialità della valutazione del Tribunale, rispetto al procedimento che si svolgerà dinanzi al Giudice Tutelare, in merito all’opportunità di pronunciare l’interdizione o l’inabilitazione piuttosto che applicare la diversa misura dell’Amministrazione di sostegno. Valutazione pregiudiziale che non potrà, evidentemente, ottenersi una volta che il processo d’interdizione si estingua.”
Deve quindi escludersi la sussistenza di un’ipotesi di litispendenza e procedersi all’esame nel merito della richiesta formulata dal P.M., esame all’esito del quale l’istanza potrà trovare accoglimento ovvero essere rigettata con conseguente trasmissione degli atti al G.T.
In proposito osserva il T.M. che la legge 9.1.2004 n. 6, innovando la disciplina delle misure di protezione degli incapaci, ha, da un lato, istituito la nuova figura dell’amministratore di sostegno, caratterizzata da una maggiore flessibilità ed adattabilità a tutte le situazioni di debolezza, e, dall’altro, ha ritoccato gli istituti tradizionali della interdizione e della inabilitazione, rendendoli maggiormente rispondenti al rispetto della dignità umana ed alla cura complessiva della persona, e non del solo suo patrimonio.
Il dato normativo – dal quale emerge la chiara volontà del legislatore di applicare in ogni caso la misura di protezione che incide nella minore misura possibile sulla capacità del soggetto – evidenzia il carattere sicuramente residuale della interdizione rispetto all’amministrazione di sostegno. Da qui il problema di stabilire i parametri del giudizio di adeguatezza della misura dell’amministrazione, al fine di individuare i criteri sui quali fondare la valutazione della necessità del ricorso alla interdizione.
“Secondo un orientamento dottrinale – che muove dalla considerazione secondo la quale l’amministrazione di sostegno non determina in capo al beneficiario una
procedimentale tipico degli istituti già noti, non potendosi ipotizzare, nella richiamata coesistenza in un unicum di ipotesi diverse, una soluzione unica, valida con riguardo ad ognuna di dette ipotesi, alla proposta questione della necessità o meno della difesa tecnica. Da siffatta premessa la Corte ha inferito che il procedimento di cui si tratta non richiede il ministero del difensore nelle ipotesi, da ritenere corrispondenti al modello legale tipico, in cui l’emanando provvedimento di nomina debba limitarsi ad individuare specificamente i singoli atti, o categorie di atti, in relazione ai quali si prevede l’intervento dell’amministratore, necessitando, per contro, della difesa tecnica ogni qualvolta il decreto che il giudice ritenga di emettere incida sui diritti fondamentali della persona, attraverso la previsione di effetti, limitazioni o decadenze, analoghi a quelli previsti da disposizioni di legge per l’interdetto o l’inabilitato, per ciò stesso incontrando il limite del rispetto dei principi costituzionali in materia di diritto di difesa e del contraddittorio.
condizione di generale incapacità di agire, con la conseguenza della ritenuta impossibilità di una estensione dei poteri sostitutivi dell’amministratore sino a giungere ad una sostanziale eliminazione di tale capacità –, il soggetto, pur totalmente impossibilitato, per cause di natura psichica, a provvedere autonomamente ai propri interessi potrebbe essere destinatario della misura di protezione dell’amministrazione di sostegno solo ove dette cause non comportino una totale esclusione delle proprie facoltà intellettive e volitive. Si provvederebbe, invece, alla pronuncia della interdizione allorché il soggetto, del tutto incapace di comunicare all’esterno la propria volontà, o di curare consapevolmente i propri interessi, necessiti di un tutore non già per singoli atti, ma per tutti gli atti inerenti alla gestione della sua persona e del suo patrimonio, di natura ordinaria e straordinaria, in quanto nessuno di questi atti potrebbe essere compiuto dall’interessato. Contro la tesi della diversa entità della disabilità del soggetto quale elemento di diversificazione tra le figure della interdizione e dell’amministrazione di sostegno sono state poi avanzate diverse proposte intese a dare un contenuto a quella
“adeguata protezione” per assicurare la quale l’art. 414 cod. civ. – nella formulazione risultante dalla legge n. 6 – rende obbligatorio il ricorso all’interdizione, altrimenti alternativo alla instaurazione dell’amministrazione di sostegno. Alcuni autori hanno sostenuto che l’amministrazione di sostegno non possa trovare applicazione nei casi in cui il soggetto non sia in grado di porre in essere gli atti essenziali per la vita quotidiana, o atti della contrattualità c.d. minima, che, in forza dell’art. 409 cod. civ., il beneficiario dell’amministrazione di sostegno può sempre compiere. Un criterio discretivo che ha ottenuto un più largo seguito è incentrato sulla consistenza del patrimonio del beneficiario: alcuni Autori sottolineano l’opportunità, in presenza di un patrimonio complesso, che richieda una gestione articolantesi in una molteplicità di variegate attività e svolgentesi in una serie di direzioni, di procedere alla pronuncia di interdizione, mentre, nel caso di un unico cespite, quale, ad esempio, la casa di abitazione, o la pensione, sarebbe più congrua la sottoposizione all’amministrazione di sostegno, privando il beneficiario della sola capacità in relazione agli atti concernenti la gestione di tale cespite (gestione ordinaria dell’abitazione, utilizzazione delle entrate per far fronte alle spese di mantenimento, etc.). Al vivace dibattito dottrinale originato dalla esigenza di tracciare una possibile linea di demarcazione tra l’istituto della interdizione e quello dell’amministrazione di sostegno, ed al variegato panorama che ne è risultato, corrisponde una molteplicità di orientamenti dei giudici di merito, i quali hanno assunto, come criteri di riferimento ai fini della individuazione dei confini della nuova figura di protezione, vuoi la capacità residuale del soggetto, vuoi la sua esigenza di maggiore o minore protezione, o la consistenza del suo patrimonio.”
(Corte Suprema di Cassazione – Ufficio del Massimario – Anno 2006).
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13584/2006, ha individuato l’ambito di applicazione dell’amministrazione di sostegno “con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, ma piuttosto alla maggiore capacità di tale strumento
maggiore agilità della relativa procedura applicativa ed ha fornito esemplificativamente una serie di parametri sulla base dei quali il Giudice di merito opererà la valutazione della conformità di tale misura alle suindicate esigenze, quali anzitutto il tipo di attività che deve essere compiuta per conto del beneficiario, ed anche la gravità e la durata della malattia, ovvero la natura e la durata dell’impedimento, rinviando, poi, comunque a tutte le altre circostanze caratterizzanti la fattispecie. In definitiva, l’apprezzamento del giudice del merito deve correlarsi alla specificità della situazione del soggetti da proteggere considerata nel suo complesso.” (Corte Suprema di Cassazione – Ufficio del Massimario – Anno 2006).
Venendo al caso in esame, C. – la cui situazione, insieme a quella della sorella, era stata segnalata per la prima volta nei primi mesi del 2001 in relazione allo stato di presunta incuria in cui le minori erano costrette a vivere - è affetta da “ritardo mentale medio-grave in sindrome di Down”; presenta problemi di nistagmo e strabismo, ipotonia con iperlassità e impaccio motorio sia a livello globale che fine;
la gravità del ritardo mentale e la ridotta collaborazione della ragazza non hanno consentito la somministrazione dei test di tipo intellettivo; ha un funzionamento cognitivo gravemente deficitario corrispondente ad un’età di sviluppo di circa 3 - 4 anni, senza acquisizione di alcun apprendimento di tipo formale (lettura scrittura e calcolo); possiede le conoscenze di base per quanto riguarda i concetti topologici e di grandezza, conta in modo meccanico senza alcun concetto di quantità, ha un grafismo a livello di scarabocchio circolare con non costante intenzionalità rappresentativa;
non ha orientamento temporale; ha un linguaggio globalmente ipoevoluto, esprimendosi con frasi semplici funzionali a comunicazioni concrete e legate al contesto; ha un lessico e una comprensione rapportabili al livello cognitivo; ha autonomia per quanto riguarda alimentazione e controllo sfinterico ed autonomia parziale per quanto riguarda l’igiene personale e la cura di sé; ha autonomie sociali gravemente limitate (relazione 11.8.1008 della NPI dell’A.O. Sant’Anna – Presidio Ospedaliero di Mariano Comense).
Tali emergenze, a parere del T.M., sono state confermate dagli esiti dell’esame dell’
interdicenda.
E’ ben vero che il patrimonio di cui dovrebbe disporre C. non richiede un’attività così complessa da rendere opportuna la nomina di un tutore, ma le sue condizioni quali riportate all’esito dell’approfondimento psico diagnostico, la sua età, la ineludibilità della sindrome di cui è affetta e, in particolare, l’incapacità ad oggi dimostrata dal contesto famigliare in cui la ragazza è nata e cresciuta, per quanto affettivamente legato alla ragazza, di comprendere le esigenze di C., di proteggerla e di aiutarla, fanno propendere il T.M. per l’accoglimento dell’istanza di interdizione considerato che la legge enuclea, oltre agli interessi patrimoniali del beneficiario, anche precisi doveri di “cura della persona” e di tutela dei suoi “interessi morali”.
Non ritiene,infatti, il T.M. che la ragazza abbia vissuto e viva una situazione (individuale e/o famigliare e/o sociale) di adeguata protezione dei propri interessi personali e morali.
L’intervento dei s.s. e del T.M. dal 2001 ad oggi, sino a disporre il suo collocamento in Comunità per consentirle di fruire di tutte le cure e di tutti i supporti necessari, si era reso necessario proprio perché la coppia genitoriale - che ha convissuto stabilmente solo nel corso del primo anno di età di C., facendole poi vivere condizioni di continuo trasferimento da una località ad un’altra, da un contesto famigliare all’altro - non è mai parsa in grado di comprendere e/o accettare appieno le sue difficoltà, non è mai stata in grado di garantire stabilità e non ha consentito alla bambina di fruire con costanza della terapia riabilitativa mirata (il servizio di NPI di Mariano Comense ha riferito che “la presa in carico della ragazza, conosciuta dal Servizio di Neuropsichiatria dal 1996, è sempre stata estremamente difficoltosa per la mancata collaborazione dei genitori che non hanno mai aderito alle proposte dei Servizi, negando in modo rigido e patologico l’entità e importanza delle difficoltà della figlia”).
Il percorso scolastico, nonostante il programma individualizzato e la presenza dell’insegnante di sostegno, ha evidenziato incapacità nello svolgere semplici azioni in autonomia e sicurezza, profonde carenze nell’igiene personale, mancato riconoscimento del pericolo.
Nel marzo 2005 gli insegnanti avevano proposto la definizione di un progetto integrato con una Cooperativa (“Noi Genitori”) per la stesura di un piano personalizzato più adeguato al progetto di vita di C., progetto al quale i genitori avevano inizialmente aderito ma che, discontinuo nel tempo, ha visto il ritiro definitivo di C. nei primi mesi del 2006 e il suo inserimento nel contesto paterno senza alcun programma o impegno predefinito.
D’altra parte, le interferenze del padre nella gestione di C. e nell’approntamento di tutte le misure necessarie per sostenere la ragazza hanno spesso reso impossibili gli interventi a tutela di C.: egli si è sempre opposto alle proposte formulate dal s.s. di inserimento della ragazza in un centro diurno come alternativa alla frequentazione della scuola superiore che C. ha frequentato per assolvere l’obbligo scolastico ma che si è dimostrato inadeguato per le già conosciute difficoltà della ragazza (scarsa autonomia personale, scarsa interiorizzazione di regole, incapacità di socializzare adeguatamente con i compagni, gravi limiti cognitivi); non ha mai accompagnato la ragazza per l’approfondimento psicodiagnostico richiesto dal T.M. al fine di ottenere un quadro aggiornato delle capacità, dei limiti e delle risorse di C. e di definire un programma di intervento a sua tutela; anche i diversi tentativi per consentire a C. di vivere una relazione costante, continuativa e valida con entrambe le figure genitoriali e con la sorella sono stati disattesi dal padre il quale non ha mai osservato la regolamentazione data dall’Ente affidatario circa la permanenza della minore presso la madre durante i fine settimana con conseguenti accesi conflitti della coppia genitoriale.
C. – e la sorella – sono sempre state gestite ora dall’uno ora dall’altro genitore in un
Non si è mai risolto il problema legato allo stato di trascuratezza e di scarsa igiene personale tanto che, all’atto dell’allontanamento e dell’inserimento di C. in Comunità la giovane presentava un aspetto trascurato sia per l’abbigliamento sia per l’igiene personale, numerose eruzioni cutanee in zona inguinale e ascellare (trattate in Comunità con antibiotici) mai curate dal padre contrario all’uso di medicinali.
Ritiene in conclusione il T.M. che dagli elementi descritti sia emersa una grave e irreversibile alterazione delle facoltà mentali di C., non solo sul piano attinente agli atti di natura economica e patrimoniale, ma anche su quello relativo a tutti gli atti della vita civile riguardanti la cura della persona, le occupazioni ordinarie della vita quotidiana, e i doveri familiari e pubblici.
La pronuncia dell’interdizione pertanto rappresenta nel caso di specie, tenuto conto di tutti gli elementi emersi e sopra riportati, l’unica possibile misura per assicurare al soggetto la protezione, l’assistenza, il sostegno di cui necessita costantemente.
P.Q.M.
DICHIARA
L’ interdizione di C. C., nata a Milano in data xx.xx.1990.
MANDA
La Cancelleria, in sede, per la trasmissione di copia autentica della sentenza all’Ufficiale di Stato Civile del comune di per le annotazioni previste dalla legge anagrafica e per ogni altro incombente di cui all’art.423 c.c.
DISPONE
La trasmissione della presente sentenza al G.T. competente per quanto di sua competenza in ordine alla nomina del tutore.
Si notifichi a:
- padre, al domicilio eletto;
- madre, al domicilio eletto;
Si comunichi a:
- Ufficiale di Stato Civile di Milano - G.T. competente
- P.M.
Milano, 5 dicembre 2008
Il Presidente est.