• Non ci sono risultati.

LO SPICILEGIO. intra REDATTORI REDAZIONE. Andiamo ad esplorare i meandri di questa riforma della scuola. pag. 4. Il giornalino del liceo Majorana

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "LO SPICILEGIO. intra REDATTORI REDAZIONE. Andiamo ad esplorare i meandri di questa riforma della scuola. pag. 4. Il giornalino del liceo Majorana"

Copied!
18
0
0

Testo completo

(1)

LO SPICILEGIO

Il giornalino del liceo Majorana

intra

I Neo- rappresentanti

La Buona Scuola (?)

extra

CULTURA

Intervista ai nuovi rappresentanti degli studenti appena eletti...

MADE IN U.S.A.

L’altra faccia del terrorismo

pag. 2

pag. 9

pag. 15

Malcolm X

Andiamo ad esplorare i meandri di questa riforma della scuola….

pag. 4

REDAZIONE

Via Frattini, 11

spicilegio@gmail.com

REDATTORI

Yannick Deza: theeconomist96@gmail.com Simone Santoro: simone2696@gmail.com Nicola Decorato: nik.deco.96@gmail.com Barbara Bonardi: babi.bonardi@gmail.com Giovanna D'Arrigo: darrigog@libero.it J’accuse

Chi era Malcolm X? Che cos’ha fatto? Perchè viene troppo spesso ricordato per ciò che non era?

(2)

INTRA

LO SPICILEGIO

2

INTERVISTA AI NUOVI

RAPPRESENTANTI

Poteva mai il celebre giornalino del Majorana farsi scappare l’intervista ai due nuovi rappre- sentanti d’istituto? Ovviamente no!

LE DOMANDE:

1) E così sei stato eletto...

2) Un po’ di paura?

3) Come ti sembrano i “veterani”?

4) Descriviti in tre parole 5) Perché ti hanno votato?

6) Ti senti un po’ boss?

7) La prima cosa che hai pensato quando sei salito sul palco?

8) Sorpreso dei risultati?

9) Vuoi dire qualcosa a tutti quelli che ti hanno votato e/o a quelli che hanno fatto altre scelte?

SABRINA PONZA

1) Ebbene! È un incarico importantissimo e spero di esserne all’altezza! 2) Tantissima.

Sento di avere l’onore e l’onere di rappresen- tare soprattutto gli studenti del Majo tecnico, spero di non deluderli! 3) Yannick e Lorenzo sono espertissimi, sanno come muoversi tra l’enorme quantità di regole che un rappre- sentante d’istituto deve rispettare. Ci daranno sicuramente un grande aiuto! 4) Solare, re- sponsabile e… molto impacciata nei rapporti sociali! 5) Credo (e spero) abbiano intravi- sto in me un nuovo senso di responsabilità, e spero di essere all’altezza delle aspettative dei ragazzi che mi hanno votato 6) Non molto!

Ma penso che questa sensazione arriverà un po’ di più nei futuri comitati ed organizzazio- ne progetti. In ogni caso è sempre molto bel- lo sentirsi salutare nei corridoi con un “Ciao rappresentante!” 7) “Spero di non inciampare nei cavi e cadere dal palco!” (Mi sembra giu- sto informarvi che ho una straordinaria abili- tà nell’inciampare da in piedi e ferma, la mia paura più grande era decisamente questa) 8) Molto! Specialmente per i voti che sono arri- vati dai seggi dello scientifico, erano moltis- simi! 9) Vorrei ringraziare chi mi ha votato per la fiducia! E per coloro che hanno fatto altre scelte, tutti i candidati erano validissimi. Spe- ro davvero di riuscire a dar voce a tutti coloro che vogliono essere ascoltati all’interno del Majorana. Grazie mille per l’intervista! :)

MANUELE BOSCO

1) Eh si! Ahaha, chi se lo aspettava in prima che in quarta sarei diventato rappresentante d’istituto, però ne sono felice, spero di giocar- mi bene le mie carte! 2) No no paura no, sono tranquillo non è cambiato niente da prima: ho solo qualche responsabilità in più e qualche impegno in più ma alla fine è sempre la stessa cosa. 3) Yannick e Lorenzo sono molto bravi e sono molto organizzati, hanno avuto la possi- bilità di riessere eletti e hanno iniziato subi- to a lavorare con grinta. L’anno scorso le loro idee non sono state realizzate a causa di pro- blemi con la preside, quest’anno questi pro- blemi non ci sono più e penso che porteranno e porteremo a termine dei buoni progetti per cui stiamo già lavorando. 4) Determinato, se voglio fare una cosa devo portarla per forza a termine. Simpatico, ahah mi piace far ridere le persone e diciamo che mi viene spesso. In- traprendente, non mi piace stare con le mani in mano e voglio fare tanto per questa scuo- la. 5) Mi piace pensare che mi abbiano votato perché sono interessati al piano d’informazio- ne e di sensibilizzazione ai problemi reali che ci sono al di fuori delle mura scolastiche. 6) Rido e scherzo con i miei compagni dicendo che sono il loro capo, ma in realtà sono uno studente normale come tutti gli altri. 7) Appe- na salito sul palco ero nervoso e speravo che nessuno ci attaccasse, la tensione era dovuta al fatto che non avevo mai parlato davanti a tante persone poi dopo il primo giorno ero molto più tranquillo nel parlare ed esporre i punti della nostra lista 8) No i risultati alla fine hanno rispecchiato l’andamento delle pre- sentazioni dove noi eravamo meno preparati 9) Ringrazio tutti quelli che mi hanno votato e hanno votato la mia lista, spero di non delude- re le aspettative di quelli che mi hanno dato fiducia. Quelli che non mi hanno votato avran- no avuto delle ragioni per non farlo, noi siamo rappresentanti e il nostro compiti è quello di rappresentare gli studenti e loro hanno vota- to chi li piaceva di più e chi rappresentava al meglio i loro ideali. Quindi, io e miei compa- gni (indifferentemente da chi abbiate votato ahaha) cercheremo di fare il nostro meglio!

Auguro a tutti un buon anno scolastico, non vi deluderemo! Bella !

(3)

INTRA LO SPICILEGIO

3

INTERVISTA ALLA NUOVA PRESIDE

Ladies and gentlemen, la nuova Preside!

Che dire? Sono contenta. Volevo da tempo ri- tornare nelle scuole superiori visto che la mia esperienza di insegnamento l’ho fatta nei licei.

Così ho fatto richiesta per il ruolo di preside al Majorana ed eccomi qua. Ho già conosciuto i docenti e sono molto felice della loro calorosa accoglienza.

Quali sono le tappe che l’hanno portata qui?

Sono laureata in ingegneria. Prima di laurear- mi non avrei mai pensato di fare l’insegnan- te. Solo che appena laureata mi sono ritrovata con una splendida bambina di pochi mesi a cui pensare, per cui ho cominciato a fare le supplenze. È strano no? Non avrei mai pensa- to di fare l’insegnante, eppure oggi non potrei essere più contenta del mio lavoro.

Prime impressioni che ha avuto del Majo?

Una bella scuola. Esteticamente l’edificio in sé non è il massimo, ma penso che la scuola la faccia chi ci sta dentro, per cui penso che sia una bella scuola aldilà della struttura. Come ho detto, sono stata accolta molto bene dai do- centi che così hanno manifestato il desiderio di lavorare insieme. Sono due mesi che sono qua, ma come dire, già mi sento parte del Majo!

Che rapporto vuole avere con gli studenti?

La scuola è per i ragazzi, per cui bisogna la- vorare per e con i ragazzi. Penso che la scuola vada fatta tutti insieme, infatti domani ci sarà un incontro con tutti i rappresentanti di clas- se e avrò modo di mandare un messaggio che ispiri fiducia e collaborazione. L’altro giorno, quando alcuni ragazzi della commissione elt- torale non sapevano dove lavorare, sono ve- nuti qui in presidenza. Ad alcuni faceva strano vederli nell’ufficio che trafficavano, ma io ri- badisco sempre che a me, i ragazzi, non danno mai fastidio!

Di cosa si occupa una Preside?

Bravi, Preside mi piace di più di Dirigente Sco- lastico. Rende più l’idea di svolgere una lea- dership educativa. Partendo dal presupposto che la scuola è una comunità educante, essere Preside vuol dire essere il garante dello scopo

finale, e questo è un aspetto molto interessan- te. Chiaro, ci sono anche le parti riguardanti la sicurezza, la burocrazia, l’amministrazione, tut- to ciò che vuol dire fare andare avanti la strut- tura. Qualunque cosa ci sia nella scuola, me ne devo occupare! Che sia il rubinetto che per- de, il CLIL, il bar interno, le gite delle classi...

Tutto. Di sicuro, per poter fare questo lavoro al meglio non bisogna essere ansiosi.

Come pensa di rendere il Majo migliore?

Ci sono delle criticità da affrontare, per cui bisogna essere agili nelle decisioni, cercando di trovare la soluzione più semplice e meno burocratica. Sarebbe bello avere un nucleo di valutazione, che non tenesse conto solo degli esiti (anche se il Majorana l’anno scorso ha avuto il maggior numero di lodi in maturità), ma che valutasse anche ciò che non è imme- diatamente misurabile. Per ottenere dei buoni risultati sugli studenti, e per fare in modo che usciti dalla scuola siano persone in grado di affermarsi, ci deve essere un buon clima. L’al- tro giorno un ingegnere è venuto e mi ha detto che è stato colpito dalla presenza di un buon clima. Ecco, mantenere un buon clima è uno dei compiti che mi prefiggo.

Cosa va nella scuola italiana, e cosa invece non va?

Mi fa un grande dispiacere che tutti diano giudizi sulla scuola senza conoscere le grandi professionalità che ci sono all’interno. Ci sono tante buone pratiche nella scuola, e molti in- segnanti cercano il rapporto con gli studen- ti, hanno la capacità di attrarli, che significa educarli al gusto dello studio. Di sicuro, negli ultimi anni i presidi sono stati sovraccarica- ti di lavoro e responsabilità, per cui finiamo sempre per rimanere segregati nel nostro ufficio. La burocrazia esiste, e purtroppo fre- na molte iniziative e fa perdere molto tempo.

Per avere un miglioramento generale, credo che gli alti vertici del Ministero dovrebbero essere selezionati dalla realtà scolastica, così conoscerebbero meglio ciò su cui vanno ad agire. Mi piacerebbe che la scuola fosse più stimata dalla società! Molti criticano il sistema scolastico italiano per le poche risorse che vi vengono stanziate, ma è troppo facile che non ci sono soldi e basta. Se si fa un’indagine, si scopre che a un aumento delle risorse non

(4)

INTRA

NUWANDA

LO SPICILEGIO

4

corrisponde un aumento della qualità. Per cui non si può mantenere una mentalità assisten- zialistica, nell’eterna attesa che ci caschino le risorse dall’alto, ma bisogna muoversi e atti- varsi avendo un’idea progettuale in cui si sa esattamente che cosa ci serve. La mia idea non è quella di una scuola-azienda, ma di una sana mentalità imprenditoriale in cui c’è autono- mia.

In giro abbiamo sentito parlare un po’ male del Majorana, come di un liceo di serie B, in cui chiunque può passare cinque anni indisturbato. Crediamo che questo giudi- zio derivi dal fatto che, rispetto agli altri li- cei, la media di studenti bocciati nel bien- nio è piuttosto bassa.

Credo che la severità fine a se stessa non porti da nessuna parte. Il valore di una scuola non si calcola in base alla percentuale dei boc-

ciati e la scuola non deve essere lo scenario di una pseudo-selezione naturale. La validità di un percorso scolastico si verifica quando, chiedendo a uno studente appena uscito se ri- farebbe lo stesso percorso, quello direbbe di si. La severità è molto semplice, ma non porta da nessuna parte se non invoglia gli studenti a studiare. La scuola funziona se una volta usciti da qua, gli studenti hanno maturato una forte voglia di conoscere e di continuare con lo stu- dio. Certo, appassionare allo studio è più com- plicato di tagliare subito le gambe, ma non credo che sia il caso di adeguarsi alle altre scuole. Quando uno studente arriva, noi ab- biamo il compito di dargli il tempo di adattarsi e di farsi le ossa, non di rompergliele subito.

In futuro si vedrà quale delle due tipologie di percorso avrà avuto successo a lungo termine sui ragazzi.

LA BUONA SCUOLA

Diciamocelo: l’Italia non è esattamente un paradiso per la meritocrazia. Sin dall’unità si è andata consolidando una sana pratica clientelare e un apparato pubblico assistenzialista. Detta in modo un po’ superficiale, invece che la competenza si premia la conoscenza, o meglio, il conoscente, e al posto dell’efficienza si preferisce la sussistenza, o meglio, il sussidio. Sintetizzando il pensiero comune, l’Italia è quel luogo in cui fai strada se hai l’aggancio con il politico, quel paese in cui continua a sopravvivere quella casta parassitaria dei dipendenti pubblici. Così, dopo anni e anni di letargo, in alcuni politici si sta risvegliando quella coscienza liberale, o buonsenso, che grida loro nell’orecchio di darci un taglio con questo modus operandi, che dice loro di distruggere uno stato livellatore che educa i cittadini al parassitismo e di dare vita a una struttura pubblica che, per rispondere ai criteri di efficienza, premia il merito e punisce il demerito. Senza dubbio, il governo attuale è espressione di questo risveglio, e con il Piano Scuola 2014 vuole estendere anche al settore della pubblica istruzione il suo radicale cambiamento di prospettiva. Tuttavia, quando si parla di scuola, bisogna fare attenzione. Questo perché? Se la scuola vuole essere quell’incubatrice di cervelli dalla quale si spera che un giorno escano cittadini consapevoli, è corretto domandarsi se, per raggiungere tale obiettivo, siano necessari gli stessi criteri che si adottano per qualsiasi altro ramo del settore pubblico. Per cui un conto è parlare di efficienza negli ospedali, di competizione tra i dipendenti delle poste e di tagli all’ufficio delle entrate:

un conto è trasporre tutti questi parametri nella scuola, dove, essendoci in gioco la formazione di noi ragazzi, l’effetto che ne scaturisce non è così scontato. Ma vediamo nel dettaglio. Il Piano Scuola prevede una rivisitazione radicale della carriera dell’insegnante. Ad oggi, un insegnan- te che viene assunto a tempo indeterminato, appena comincia a insegnare ha uno stipendio di base. Questo stipendio rimane tale fino al sesto o settimo anno di insegnamento, durante il qua- le avviene uno scatto stipendiale, cioè un aumento nella busta paga dell’insegnante. In totale, durante tutta la sua carriera un insegnante arriverà a maturare cinque scatti stipendiali. Questa progressione salariale, basata sull’anzianità, è un metodo che si prefigge lo scopo di premiare l’esperienza. Tuttavia, molti critici hanno fatto notare che l’esperienza non può essere l’unico parametro applicabile. Infatti, ci possono essere insegnanti che già al secondo o al terzo anno di insegnamento svolgono il loro lavoro meglio di chi è al quindicesimo o al ventunesimo. Perché non premiarli dunque? Aumentare lo stipendio a chi si dimostra, già da subito, competente e

“produttivo”, può essere da incentivo a tutti quelli che, rassegnatisi nel non vedere premiato il proprio impegno ma solo la propria età, si attiverebbero, garantendo così una maggiore qualità nella scuola. Questo pensiero si basa sul fatto che, incentivando gli insegnanti a migliorarsi, si possa ottenere un buon risultato sulla formazione degli studenti. Per questo il Piano Scuola ha previsto lo smaltimento del vecchio metodo degli scatti stipendiali, in favore di un nuovo metodo: quello dei crediti. In sostanza, un insegnante può maturare diversi crediti nella sua

(5)

INTRA LO SPICILEGIO

5

carriera, che si dividono in tre categorie: didattici, formativi e professionali. Quelli didattici si ottengono andando a verificare l’effettivo aumento del livello di apprendimento tra gli studenti dell’insegnante, le loro competenze e capacità. Quelli formativi invece, valutano il livello di competenza dell’insegnante in questione, cioè tengono conto dei corsi di aggiornamento, delle attività di ricerca e delle pubblicazioni effettuate. Quelli professionali infine, fanno riferimento alla quantità di ore che l’insegnate spende nei progetti didattici aggiuntivi e nel miglioramen- to dell’offerta formativa. Così, in base ai crediti conseguiti, un insegnante potrà ottenere uno scatto stipendiale, di circa 60 euro netti al mese, già dal terzo anno di insegnamento. E non è tutto. Ogni anno un insegnante potrà ricevere un ulteriore aumento salariale, a discrezione del DS (si suppone) che attingerà le risorse dal fondo MOF (Miglioramento Offerta Formativa), un fondo messo a disposizione dagli enti locali (si suppone ancora). In sostanza, se prima, dopo nove anni di insegnamento si arrivava a un incremento totale di 140 euro in più al mese (lordi), dopo la riforma si potrà arrivare a 180 euro in più. A fine carriera, sempre se ha conseguito tutti i crediti necessari, un insegnante potrebbe arrivare a guadagnare novemila euro in più all’anno sullo stipendio base. Il documento però, ci tiene a precisare che le risorse finanziare stanziate per sopperire a questi aumenti salariali saranno le stesse. Perché? Perché solo i due terzi degli insegnanti di ogni scuola potrà usufruire dello scatto stipendiale! Ed eccoci arrivati al nocciolo.

Fin quando si parlava di accumulazione di crediti, l’unico nodo da sciogliere consisteva nell’as- sicurarsi che vi fosse un’autorità autonoma che potesse dare valenza a questi crediti, cioè, che potesse valutare se l’insegnante in questione meritasse o meno il credito. Da questo punto di vista per noi studenti si sarebbe aperta una prospettiva interessante, in quanto sarebbe stato possibile entrare a far parte di quel nucleo di valutazione che avrebbe contribuito a validare il credito dell’insegnante, per esempio, per quanto riguarda la didattica. Ma con la clausola dei due terzi, c’è da chiedersi se tutto questo meccanismo abbia ancora senso. Infatti, ha senso met- tere in competizione gli insegnanti di una stessa scuola? In una scuola ci dovrebbe essere una stretta collaborazione tra tutti gli insegnanti, proprio perché l’obiettivo è comune: la formazione dei ragazzi. Con la competizione tra insegnanti si rinuncerebbe magari a progetti che abbrac- ciano più discipline di insegnamento, proprio perché un insegnante potrebbe essere portato a privatizzare i progetti per accumulare crediti. Insomma, è chiaro a tutti che un avanzamento di carriera basato solo sull’anzianità vada modificato, e che il merito dell’insegnante debba essere in qualche modo premiato. Tutto sta a definire come, e soprattutto, a evitare che questo non generi una competizione dannosa per l’armonia interna alla scuola, e di conseguenza, per l’ambiente nel quale noi ragazzi cresciamo.

(6)

INTRA

LO SPICILEGIO

6

"RIPRENDIAMOCI LA CULTURA!" (?)

Ogni tanto in una parte del mondo studente- sco sorge la necessità di rivendicare i propri diritti, in particolare il diritto alla cultura, che a suo dire ci sono stati tolti. Talvolta, gli espo- nenti di questo malcontento indicono manife- stazioni che, nel loro immaginario, vengono associate a delle gloriose crociate contro le istituzioni, contro il “sistema” (per usare un termine alquanto popolare nei suddetti conte- sti). “Ci vogliono ignoranti!” sostengono furen- ti i promotori di questa linea di pensiero. Già me li immagino questi paladini dei diritti civili urlare a squarciagola nelle piazze convinti di fare il bene comune, pronti a smascherare il

“complotto” che ci tiene tutti in stato di semi- analfabetismo. Menomale che ci sono loro...

ma aspettate: torniamo alla realtà. Innanzitut- to, Torino è una città che offre infinite attrattive culturali e chi vuole liberarsi dei propri limiti intellettuali non ha proprio scuse. Siamo qua- si invasi dalle biblioteche dove sono riposti migliaia, milioni di volumi di tutti i generi da prendere in prestito: dall’economia alla psico- logia, dalla filosofia alla politica, dall’arte alle scienze, dalla letteratura alla storia. Un patri- monio inestimabile di cultura è riposto in scaf- fali che solitamente non si sono mai imbattuti in questi ragazzini “rivoluzionari” se non per qualche scherzo del destino. Cultura di qua- lità e quantità gratuita e sotto casa... ma non è finita qui. Tralasciando il fatto che Torino sia un museo a cielo aperto, pieno di bellezze ar- chitettoniche e monumenti storici, una costel- lazione di oltre 40 musei rende la nostra città ancor più attiva e apprezzabile culturalmente.

Probabilmente coloro che sono convinti che la cultura sia un diritto da “riconquistare” ignora-

no perfino l’esistenza di molti di questi musei.

“Il prezzo dei musei è troppo alto”dicono poi.

Dunque, ignorano anche il fatto che periodi- camente è possibile accedere a un vastissi- mo numero di musei a titolo completamente gratuito, addirittura, per venire incontro alle necessità degli studenti (così come dei lavo- ratori), è stata concessa anche la domenica, la prima del mese, come giornata di free en- try in buona parte dei musei torinesi. Anche in questo caso dubito fortemente che molti di quelli che si proclamano insoddisfatti dell’ac- cessibilità alla cultura abbiano usufruito di tale opportunità. Risulta dunque, impossibile risultare esclusi dal mondo culturale senza es- serne responsabili in prima persona. Ci sono poi associazioni di tutti i tipi, convegni, incon- tri e, per i più volenterosi, anche organizzazio- ni politiche riservate ai giovani... insomma le occasioni per il confronto e per la propria cre- scita intellettuale non mancano proprio. Quin- di, a scarso di argomenti, attaccano la scuola che dal loro punto di vista versa in situazioni catastrofiche. Purtroppo, non sanno nemmeno cosa cambiare del sistema scolastico ne come.

Si appellano senza neanche troppa convinzio- ne al caro libri che poco o nulla ha a che fare con le competenze dell’amministrazione pub- blica, ma non lasciano trasparire proposte più concrete ed efficaci. I problemi, le inefficienze e le possibilità di miglioramento ci sono,come in qualsiasi ambito, ma sarebbe più costrutti- vo elaborare un’argomentazione logica ben strutturata prima di tuffarsi in manifestazioni di dubbia utilità dove troneggia la confusione e la mancanza di buonsenso.

SIMONE SANTORO

(7)

EXTRA LO SPICILEGIO

7

“Finchè ci saranno paesi pronti a ospitare terroristi, la libertà è in pericolo” diceva George Bush Jr. all’indomani dell’attacco alle Twin Towers. Tutto fila liscio, il ragionamento è puro, semplice e di per sé corretto. Ma siamo sicuri che sia davvero così? Già, perché proprio il paese dove il conflittuale binomio libertà-sicurezza si annulla per la gioia dei fieri american boys ospita terro- risti. Prendiamo, per iniziare, il caso di Orlando Bosch. Spietato terrorista, almeno secondo l’FBI, le sue vittime furono cittadini statunitensi o cubani accusati di sostenere l’odiato Fidel Castro, at- traverso attentati dinamitardi contro uffici e ambasciate, sequestri di persona, tentativi di omici- dio, affondamento di navi e abbattimento di aerei, tra cui nel 1976 di un aereo civile cubano con la conseguente morte di tutti i passeggeri. E fu persino indagato per l’omicidio del presidente Kennedy. Tra le sue designate vittime risulta anche Max Lesnich, a cui sono stati simpaticamente donati 12 “pacchetti” ad alto contenuto dinamico nel corso del tempo che va dal 1984 al 1987.

Questo perché il signor Lesnik fu direttore della rivista “Replica”, che invocava la pacificazione tra Cuba e Washington. Bosch e il proprio clan ebbero relazioni collimanti con diversi governi americani, i quali impiegarono gli uomini del boss per diverse operazioni “sporche”, ad esem- pio Nicaragua e San Salvador. Tutto ciò era semplicemente l’espressione del terrorismo coper- to delle amministrazioni americane. Attenendoci al principio presentato all’inizio, qualunque buon vero presidente americano avrebbe dovuto impiegare le risorse nazionali per la caccia a un terrorista di così vasta portata. Emblematico, ma fu proprio il padre di Bush Jr., Bush Senior, presidente dal 1989 al 1993, a perdonare Bosch e il suo gruppo terrorista per i rati commessi fino ad allora. Ancora fiducia nel sistema America? Comprensibile. È il momento che almeno qualcuno si alzi e dica: <<Si, ma sarà un caso isolato, impiegato per obiettivi tanto superiori a qualche semplice vita umana da dover consentire azioni di questo genere>>. E giustamente non possiamo permetterci di estendere un caso isolato a regola di validità universale. Peccato che non sia un caso isolato. Emmanuel Costant, classe 1956, ex leader delle squadre della morte di Haiti (denominate FRAPH), è responsabile di crimini che collimano con la definizione ufficiale di “terrorismo” dell’FBI. Fuggito da Haiti, vive oggi libero a New York. Amnesty International lo ha incluso nel rapporto USA: il rifugio dei torturatori, categorizzazione alla quale si accodarono le massime autorità di Washington. Diverse segreterie di stato affermarono pubblicamente che la figura di Constant fosse contraria a ogni forma di diritto civile. Ma qui si resenta a noi un altro anacronismo: infatti Amnesty International sostiene che mentre Constant uccideva e mutilava persone ad Haiti, il suo nome si trovasse nel “libro-paga” della CIA. Ma non è questo il dato più scabroso. Fine settembre 2001. Gli Stati Uniti, aggrediti dal terrorista Bin Laden, ne chiedono l’estradizione dall’Afghanistan. Quest’ultimo tergiversa e Washington, seguendo l’ormai collau- dato prototipo di imperialismo globalizzante made in U.S.A., lo bombarda a tappeto. Negli stessi giorni sul New York Times apparirà questa notizia: “Il presidente di Haiti chiede con urgenza l’estradizione di Emmanuel Constant dagli Stati Uniti.” Richiesta questa che, prevedibilmente, fu ignorata, e ancor oggi questo terrorista rimane impunito (pesa su di lui una condanna all’erga- stolo in contumacia da parte della corte suprema haitiana) ma, soprattutto, protetto.

Non è mai esistito paese, nemmeno il più liberale e democratico, che non abbia intrattenuto, per convenienza o per necessità, rapporti amichevoli con terroristi o con paesi governati da dittatu- re. Dal termine della seconda guerra mondiale gli Stati Uniti hanno rivestito il ruolo di nazione in prima linea nella lotta al terrorismo, rango plebiscitariamente elevato a “paese sovrano tra i paesi sovrani” dopo gli eventi dell’11 settembre. Ed è in quest’ottica che vanno analizzate tutte le questioni in relazione al terrorismo U.S.A.

Anno 1986. Dopo due anni di lavori la corte internazionale di giustizia dell’Aia emette una sen-

J'ACCUSE

MADE IN U.S.A.L'ALTRA FACCIA DEL TERRORISMO

GIUSEPPE RIPANO Stati Uniti. Non c’è terra al mondo più fertile dove poter coltivare le proprie speranze. Non c’è paese che applichi in maniera così estesa il concetto di libertà e la parola legge abbia un significato così profondo. Un paese credibile, così è e così appare. La terra promessa.

Già, ma c’è anche quello che non appare.

(8)

EXTRA

LO SPICILEGIO

8

tenza storica: gli Stati Uniti sono colpevoli di terrorismo ai danni del piccolo stato del Nicaragua.

Ma cos’era accaduto in Nicaragua? Nel 1981 vennero lanciati contro i cittadini del Nicaragua attacchi terroristici, sia diretti che indiretti. Il Nicaragua non reagì secondo la prassi americana:

non bombardò Washington, ma al contrario denunciò gli USA presso a corte penale internazio- nale. Questi attacchi terroristici, ordinati dall’amministrazione dell’allora presidente Reagan, si ponevano come fine il rovesciamento del governo Nicaraguese, accusato di essere un peri- coloso bastione del comunismo. Gli Stati Uniti ignorarono la sentenza, e anzi furono aumentati finanziamenti alle squadre della morte e fu ordinato loro di attaccare i cosiddetti “target soffici”, ovvero uccidere giudici e amministratori. Cosa che poi fu effettivamente effettuata.

Un pugno nello stomaco? Non ancora. Il terrorismo dei nostri nemici è individuabile, criticabile e condannabile. Ma accettare di essere parte di una realtà celatamente terrorista è indubbia- mente più difficoltoso. Accettare il “nostro” terrorismo non è certo una facile impresa. Ma cosa si intende in realtà per terrorismo? La definizione che ne dà l’FBI è la seguente:“Il terrorismo è l’uso illegale della forza e/o della violenza a fini intimidatori e/o coercitivi nei confronti di priva- ti, di proprietà, di un governo o di una popolazione civile o di ogni loro parte per l’ottenimento di fini politici e/o sociali.”

E allora proviamo a ripassare un po’ di storia, ma quella che non è ancora arrivata sui libri di scuola.

È l’autunno del 1965, e in Indonesia un colpo di stato militare porta al potere il generale Suharto.

A quel tempo il partito dominante in Indonesia era il PKI (partito comunista d’Indonesia), che trovava il suo appoggio nella moltitudine di contadini di quell’immenso arcipelago. Stati Uniti e Gran Bretagna temevano, da buone potenze occidentali, che il PKI trasformasse lo stato in una roccaforte di difesa dal sistema capitalistico, impedendo lo sfruttamento delle risorse del pae- se. E il generale Suharto si fece così carico dell’eliminazione del PKI. Eliminazione non politica, fisica. In un anno di tempo si procedette all’eliminazione di circa un milione e mezzo di indivi- dui. Olocausto, questo, di cui statunitensi e inglesi furono prontamente informati. Dai rapporti delle rispettive ambasciate, si è successivamente venuti a conoscenza dei metodi di uccisione di intere famiglie di contadini, metodi di cui il regime prontamente aggiornò le due potenze. Ma gli effetti negli Stati Uniti furono tutt’altro che drammatici: tutte le testate si profusero in lodi del generale Suharto, descritto come “raggio di luce nell’ombra asiatica” (New York Times) o come un “benevolo moderato” (The Economist). Se l’ambasciatore londinese affermò che qualche fu- cilata fosse la “condizione necessaria” allo stato di ordine in Indonesia, quello statunitense andò oltre: si adoperò personalmente per rifornire costantemente di armi, americane ovviamente, l’esercito di Suharto.

Ma gli interessi di U.S.A. e Gran Bretagna dove finiscono? Spostiamoci in centro america. Anche qui il pericolo era l’avanzata comunista. Ma in realtà, come rivelato anche da numerosi agenti CIA ormai fuori servizio, la preoccupazione era principalmente la possibilità che in questi paesi fossero attuate politiche sociali contrarie agli interessi di Washington. Prima Cuba, poi il Cile.

Dal Guatemala all’Honduras passando per il Paraguay, il terrorismo di stato non ebbe limiti, e proprio dal Guatemala arriva un documento dallo straordinario valore storico: un disperato appello di un inviato americano che accusa la complicità del suo paese nel terrorismo di quegli anni. Viene denunciata una prassi già vista: interrogatori brutali, definiti nella loro scabrosità da mutilazioni e torture.

Siamo talmente affiliati oramai al processo della controinsurrezione da aver dimenticato ogni regola morale. E così l’omicidio, la tortura, le mutilazioni sono verità giuste in se stesse, se sono i nostri alleati a farlo, e soprattutto se le vittime sono coloro che minacciano la nostra cultura, siano essi negri, comunisti o ebrei.

(9)

EXTRA LO SPICILEGIO

9

Nel nome della controinsurrezione Washington impiegò diversi strumenti. Fu inviata alla giunta militare del Guatemala una lista di persone da assassinare, dove si legge:

- categoria I – individui da eliminare attraverso azione esecutiva - categoria II – individui da eliminare attraverso azione pubblica

Fu pubblicato un manuale per assassini, che dichiara: è raro che si possa mantenere una co- scienza pulita nell’assassinare qualcuno. Chi è debole di coscienza, è meglio che neppure ci provi. O, per andare ancora più a fondo e deliziare i fini palati di tutti i degustatori delle arti truculente: un incendio può causare la morte del soggetto, se lo si droga, e lo si lascia bruciare nella casa. Ma non è un metodo affidabile, a meno che la casa non sia isolata e altamente infiam- mabile. Ma non fu il solo manuale pubblicato: il celebre “manuale Kubark” sarà impiegato per anni nei procedimenti di tortura.

Sono questi i motivi per cui io accuso il sistema di cui sono un ingranaggio. Non per scelta, non per principio. Ne faccio parte, e attraverso le mie azioni di tutti i giorni contribuisco al suo ine- vitabile rafforzamento o inarrestabile declino. Non posso sapere se ciò che compio oggi potrà avere un senso un domani, anche lontano. Ogni giorno ci troviamo a scegliere se perseguire ciò che è giusto o ciò che è facile. È giusto condannare il sistema di cui faccio parte, di cui sono al tempo stesso un ingranaggio necessario ma sostituibile. E dunque io condanno.

“La nostra arma [contro il terrorismo] non saranno i nostri fucili, ma i nostri valori.” disse giusta- mente Tony Blair. Chi subisce la legge del più forte aspetta solo che quei valori vengano appli- cati. E per vincere questa guerra di cui siamo tutti potenziali vittime occorre il ripristino di un decalogo morale, senza il quale non potremmo più dire di essere dalla parte dei giusti.

La televisione può trasformarsi in una poten- tissima macchina “TritaValori” se non usata in modo adeguato: populismo, demagogia, igno- ranza, maleducazione, aggressività, violenza, principi anti-etici, notizie parziali, pubblicità ingannevoli e chi più ne ha più ne metta. Tutto questo c’è in quella strana scatoletta lumino- sa che siamo soliti guardare e che è ben più pericolosa di quello che può apparire, ma questo più o meno già si sa. Ora vorrei circo- scrivere la discussione al rapporto che c’è tra la televisione e il triste fenomeno della violen- za sulle donne. Lo so molti penseranno che io stia esagerando e che per quanto la TV possa rappresentare talvolta vera e propria spazza- tura non può comunque essere incolpata di partecipare in modo attivo a questa ignobile piaga sociale. Bene, cercherò di dimostrarvi il contrario.

Innanzitutto, partirei dal constatare che quanto più un essere (qualsiasi esso sia: un animale da compagnia, un uomo, una donna...) assume dignità agli occhi di altri esseri tanto più sarà rispettato da questi e maggiore sarà il rispetto che gli verrà attribuito minore sarà l’ eventua- lità che questo possa subire qualsivoglia tipo

di offesa o violenza. È logica. Ma facciamo qualche esempio. Tutti sappiamo quanto i neri fossero scarsamente considerati nel corso della storia passata e recente, venivano ritenu- ti dei selvaggi, degli esseri inferiori, insomma la dignità da essi assunta agli occhi dell’uomo bianco era infima, di conseguenza venivano rispettati piuttosto poco, per usare un eufemi- smo, e dunque ecco che cominciarono a su- bire le prime violenze per poi diventare pura merce nell’immenso mercato della schiavitù.

È impossibile non ricordare poi tutte quelle persone disprezzate dai nazisti (ebrei, zingari, omosessuali, disabili...) che subirono per via della stessa dinamica un trattamento, se possi- bile, ancora peggiore. Ok, ma cosa c’entra tut- to questo con la TV e la violenza sulle donne?

C’entra, eccome se c’entra. Ricordando il pri- mo step del meccanismo prima esposto, ana- lizziamo come la TV influisce nell’abbassare la dignità che la figura femminile acquisisce agli occhi dello spettatore medio. Prendiamo l’esempio delle veline perchè è il più palese e funzionale, ma di esempi analoghi ce ne sa- rebbero a bizzaffe. Bene, inizia la trasmissione e ti vedi subito due ragazze stupende e dispo-

"TV iolenta!"

SIMONE SANTORO

(10)

EXTRA

LO SPICILEGIO

10

ste a mostrarsi in vestiti cortissimi e in atteggia- menti sexy davanti a tutta Italia... probabilmente saranno ragazze abbastanza facili: questo è il ra- gionamento che molti fanno. Dunque, la dignità morale di queste ai loro occhi è piuttosto bassa, ma dopo questo “spettacolo” ecco che si posizio- nano vicino ai due presentatori che le riversano contro una serie di battute e prese in giro, il che sarebbe ancora accettabile se non fossero obbli- gate ad ascoltare in modo passivo tutto ciò che viene loro rivolto, non aprendo la bocca se non per sfoggiare il perenne sorriso a prescindere da quali siano le parole dei due conduttori. Il loro ruolo dunque, è piuttosto simile a quello di un bel soprammobile, niente di più. In questo modo la loro dignità cognitiva è altrettanto svalutata agli occhi dello spettatore. Purtroppo,la velina è di- ventata uno dei modelli femminili di maggior suc- cesso tanto da rappresentare uno degli emblemi della figura femminile nella nostra società. Ecco creato lo stereotipo della donna-oggetto. Addio donna angelicata, la letteratura cortese cavallere- sca del medio-evo letta da un italiano medio non suscita in lui nulla se non una irrefrenabile ilarità per non parlare della reazione che avrebbe que- sto di fronte alle vicende del povero Dante e del- la sua Beatrice. Per i cavalieri cortesi, violentare una donna sarebbe stato un atto quasi sacrilego perchè rispettavano, quasi adulavano, la figura femminile. Adesso invece, la mercificazione del corpo della donna ha ridotto a livelli minimi la di- gnità che la società vede in essa e lo stupro agli occhi di menti deboli e deviate non appare più come una colpa gravissima (anzi, talvolta alcuni, specie se giovani,si vantano con i loro amici di aver violentato una ragazza). Dunque, il problema della mercificazione della figura femminile chia- ramente non è più un mero problema morale,ma anche un problema di carattere sociale. In tutto questo ha una qualche influenza anche lo stere- otipo dell’ “uomo che non deve chiedere mai”, del “macho”, del “duro”. È così che la TV scava lentamente nell’inconscio delle persone e seb- bene non porti sempre a conseguenze estreme

possiamo dire tranquillamente che gli effetti ne- gativi da essa causati siano numerosi ed evidenti.

Ma non è finita qui, analizziamo un’altra dinamica causata dalla TV che favorisce la violenza in ge- nerale, e quindi anche quella sulle donne: basta accendere la televisione per essere bombardati di notizie di cronaca nera che ci descrivono nei minimi particolari chi è morto, dove, quante col- tellate gli hanno inflitto ecc. È ovvio come l’esse- re continuamente a contatto con notizie di questo genere a lungo andare ci desensibilizzi. Ormai, ci sembra quasi naturale mangiare e ascoltare le ultime notizie su corpi squartati o su persone bruciate vive, ci siamo assuefatti a questo tipo di “informazione” (voglio proprio sapere come fanno a chiamarla tale) e rimaniamo abbastanza indifferenti a queste atrocità. Il problema è che l’indifferenza contraddistingue i nostri atteggia- menti poi anche nella vita reale. Ci sono alcuni filmati piuttosto emblematici che lo testimoniano:

ad esempio dopo un famoso assassinio avvenu- to qualche anno fa in una stazione è stato diffuso un video in cui vicino al corpo senza vita di una giovane donna passavano indifferenti numerose persone come se nulla fosse, senza nemmeno chiamare il 118! Purtroppo, questo è l’effetto di una società in cui veniamo desensibilizzati già da piccoli, guardando i telegiornali, e la violenza ci appare così quotidiana e “normale” da non esse- re più considerata un tabù. Le ovvie conseguenze di tutto ciò sono duplici: la prima è che la violen- za, non essendo più un tabù, sia più praticata a li- vello percentuale (ne risentirà la parte più debo- le e deviata della popolazione), la seconda è che l’indifferenza, la mancanza di empatia e l’apatia provocate dalla desensibilizzazione ci rendano spettatori in situazioni in cui potremmo agire in modo attivo (questo invece, riguarda buona parte della popolazione).Ecco svelato come la TV, sep- pur involontariamente, sia complice della violen- za sulle donne. Terminata la mia “dimostrazione”

non posso che augurarmi che sappiate fare buon uso di quella scatoletta luminosa che è solo appa- rentemente innocua.

(11)

EXTRA LO SPICILEGIO

11

Correva il 28 giugno 1914 e a Sarajevo l’ar- ciduca Francesco Ferdinando d’Austria-Este e sua moglie Sophie trovavano la morte in un attentato per mano di Gavrilo Princip.

Un mese dopo l’Austria dichiara guerra alla Serbia. L’Europa verrà travolta dal perverso gioco delle alleanze e per quattro anni, fino all’11 novembre 1918 sarà la Grande Guerra.

A fine conflitto si conteranno fra militari e ci- vili circa sedici milioni di vittime e una ven- tina di milioni di feriti. Quest’anno ricorre il primo centenario dell’apertura delle ostilità, e pertanto abbiamo deciso di dedicare due articoli in due diversi numeri dello Spicilegio a tematiche connesse con questo importante evento storico, attraverso interviste a docenti universitari, in questo caso Valerio Gigliotti, docente di diritto europeo presso la facoltà di giurisprudenza di Torino. In questo primo arti- colo abbiamo cercato di offrire una visualizza- zione generale sulle analogie e le differenze tra oggi e cento anni fa, mentre nel prossimo numero tratteremo una questione che è forse più vicina a noi per ciò che concerne gli effetti i campo sociale: è giusto porre in discussio- ne, alla luce delle ultime elezioni europee, un processo di ricerca della pace concretizzatosi appena settanta anni fa?

Cent’anni fa le tensioni internazionali sfociarono in quella che tutti conosciamo come la “Grande Guerra”. Oggi, nel 2014, il divampante processo di mondializzazio- ne politica ed economica sta accendendo focolari di conflitto in diverse parti del mondo. Quali analogie denota tra la con- giuntura di allora e quella di oggi?

Un primo dato da cui partire è sicuramente l’analisi degli effetti perversi della mondia- lizzazione, a cominciare dall’avanzata delle ideologie radicali. In molti hanno sottolineato i punti in comune tra la situazione geopolitica europea del 1914 e quella dell’estremo orien- te odierno. A questo proposito ci basta pen- sare alla preoccupante situazione in cui versa l’Asia orientale. Come nei Balcani un secolo fa nell’Asia orientale la situazione è complessa.

La regione è divisa da alleanze e da rancori.

Almeno sei Stati o entità politiche hanno in corso dispute territoriali con il governo cine- se. Le rivendicazioni territoriali sono inoltre vaste, così come la posta in gioco in termini di risorse naturali, marittime e energetiche. Ma è un fenomeno non limitabile ad una determi- nata area geografica: dalla questione siriana a quella iraniana, fino all’avanzata del nazionali- smo induista di Narendra Modi in India, oggi come nel 1914 le idee nazionaliste diventano un rifugio contro la mondializzazione, è pro- prio questa che rende possibile il loro propa- garsi.

Crede che il paragone tra la relazione Sta- ti Uniti/Cina nel 2014 e quella Gran Breta- gna/Germania nel 1914 possa sussistere?

Credo che se si guardi con occhio critico allo sviluppo delle relazioni economiche tra Gran Bretagna e Germania nel 1914 prima del pe- riodo bellico i parallelismi non mancano. Non dimentichiamo innanzitutto che malgrado alla vigilia della Prima guerra mondiale la Gran Bretagna, prima potenza navale mondiale, e la Germania, prima potenza militare mondia- le, fossero partner commerciali, questo non ne faceva degli amici. In merito alla questio- ne USA/Cina, in un periodo in cui queste due potenze sono in competizione per i mercati, le risorse e l’influenza dai Caraibi all’Asia cen- trale, la Cina si è preparata progressivamente a tradurre la sua forza economica in potenza

CORREVA L'ANNO...

Intervista ad un docente di diritto europeo - ANONYMOUS

(12)

EXTRA

LO SPICILEGIO

12

militare.

Le crescenti spese belliche della Cina e lo svi- luppo della sua capacità navale hanno lo sco- po di sfidare gli Stati Uniti nel Pacifico e attual- mente assistiamo a una corsa agli armamenti fra i due paesi in questa regione. L’errore che si sta compiendo, non da parte di qualche ele- mento isolato, ma dalla quasi totalità delle alte sfere politiche internazionali, è continuare a tirare la corda del nazionalismo esattamente come un secolo fa, confidando ciecamente nel presunto progresso razionalistico e mora- le che si è compiuto rispetto alla vigilia della grande guerra. Credo che sia critica la piega assunta nelle scelte di politica estera in Cina e Giappone: nel primo caso la propaganda anti- giapponese prende dimensioni preoccupanti, mentre il premier giapponese Shinzo Abe sof- fia sulle braci del nazionalismo nipponico. In questo inizio del XXI secolo si delinea una sor- ta di bipolarismo planetario fra gli Stati Uniti e la Cina. C’è una probabilità che la Cina, ancor meno democratica della Germania imperiale di prima del 1914, possa indubbiamente pun- tare all’egemonia mondiale.

Nel corso degli ultimi cento anni di storia mondiale più e più volte si sono create fi- gure di “nemici” per proseguire nel pro- cesso imperialista, militare ed economico, ed anzi assumerne la guida a livello mon- diale. Quanto crede che sia importante al giorno d’oggi la figura di un nemico, a li- vello internazionale?

La costituzione di entità fittizie da porre in contrasto al bene di una nazione non è un procedimento impiegato esclusivamente nell’ultimo secolo. Ma indubbiamente cam- biano i metodi di propaganda: il “nemico” si può ricondurre essenzialmente a due prototi- pi. Il primo, di natura ideologica. È il nemico che ci porterà via la nostra cultura, stuprerà le nostre donne e mangerà i nostri bambini.

E in tal caso non possiamo che riferirci a mo- vimenti fondamentalisti, superando la conce- zione occidentalistica dell’estremismo riferito in modo esclusivo e totalizzante all’integrali-

smo religioso islamico. Sono frutto di natura ideologica tanto estremismi come Alba Dora- ta in Grecia quanto i diversi e variegatissimi movimenti integralisti islamici. Estremismi di questo genere tuttavia hanno la fortuna di ri- sultare ben “visibili” agli occhi dei cittadini.

Non è possibile affermare che i cittadini che decidono di collaborare con queste tipologie di associazioni siano consapevoli fino in fondo delle loro scelte, ma questo non significa che estremismi di questo tipo non siano evitabili:

un’adeguata campagna politica per sveglia- re dal “sonno della ragione che genera mo- stri”. Si possono ricondurre a questo canone di radicalismo i movimenti totalitari del pri- mo novecento, tanto il nazi-fascismo, quanto il comunismo, quanto il franchismo, ognuno con le proprie differenti declinazioni sociali e, ovviamente, dottrinali. Ma è a partire dal se- condo novecento che si viene a costituire una differente forma di nemico: un nemico ben più pericoloso, perché a differenza del primo è un nemico costruito internamente alla demo- crazia. È il nemico che ci priverà della libertà economica, che caricherà le nostre spalle di altri fardelli, che porterà tra noi lo spettro del- la povertà se mai verremo meno alla legge del

“aiuta il prossimo tuo come fosse te stesso”.

Perché è più pericoloso? Indubbiamente per un motivo: la creazione di questo tipo di nemi- co si serve di armi pragmatiche: se mai fosse possibile scacciare l’estremismo ideologico con accurate indagini razionali, in questo caso la complessa strutturazione celata dietro alla figura del nemico rende impossibile procede- re a una lucida visione del fenomeno nella sua complessità. Riconduco a questo genere l’e- stremismo dell’American Dream: una questio- ne economica, che è all’origine della grandi guerre del nostro secolo (si pensi all’imperia- lismo bushiano della guerra in Iraq). Per cui si, la figura del nemico è e rimane una neces- sità anche nel mondo attuale, e credo che sia anche estremamente più rilevante che in pas- sato. Quante leggi postulate come necessarie alla sicurezza interna di un paese sarebbero state emanate negli ultimi 10 anni se non si fosse esasperata la questione mediorientale?

O se non si fosse costruita sugli attentati alle Twin Towers o a Londra una perfetta campa- gna propagandistica in pieno stile occidenta- listico? La figura del nemico non è escludibi- le nemmeno all’interno di un’ottica europea, dove il disagio economico diventa mezzo di sviluppo dei più disparati estremismi. Inizierà a venir meno quando si porrà un freno al sot- tile e ingegnoso imperialismo globalizzante della nostra epoca.

(13)

EXTRA LO SPICILEGIO

13

STEFANO BOLOGNESI

Da quanto fai politica?

Nato a Torino il 14.09.1986 (nato e cresciuto nel quartiere di Pozzo Strada della circoscrizione Tre), diplomato nell’anno 2006 con la qualifica di geometra, nel 2007 ho intrapreso l’attività po- litica, militando nel partito di Alleanza Nazionale, divenuto nel 2009 Popolo della Libertà ed oggi (2013-2014) Forza -Italia-Pdl.

Da dove nasce questa passione?

Nel 2006 dopo essermi diplomato e successivamente avvicinandomi nel mondo del lavoro mi sono accorto delle varie cose che non andavano e delle difficoltà che trova un giovane in questo ambito.

Mi posi una domanda , perché queste problematiche non si possono cambiare, perché deve andare tutto così? Da allora mi sono avvicinato alla politica cercando di ridurre le varie difficoltà che trovano i giovani nel mondo del lavoro e schierandomi in un partito, che più rispecchiasse le mie idee.

Inoltre ho iniziato l’attività politica per pura passione, poiché credo nei valori del nostro paese e che attraverso un attento e impegnativo lavoro si possano ottenere importanti miglioramenti.

L’ interesse per la politica in realtà rappresenta la mia buona volontà nel voler aiutare le persone e risolvere problemi che interessano la nostra società.

Di preciso di cosa ti occupi quotidianamente?

Quotidianamente mi occupo sia di politica essendo consigliere presso la circoscrizione Tre di Torino, segnalando le varie problematiche e proponendo idee atte a migliorare il nostro terri- torio. Inoltre ho un attività edile di cui sono il legale rappresentante e mi occupo di ristruttura- zioni e costruzioni.

A chi consiglieresti questa esperienza?

A tutti i giovani che abbiano voglia di cambiare questo Paese per un loro futuro e per quello dei loro figli, in quanto la società che affrontiamo oggigiorno non è semplice, attanagliata da mille difficoltà.

Com’è la politica vista dall’interno?

Simile alla vita che affrontiamo tutti i giorni, non è semplice, per chi la fa bene e per chi ci crede, porta via molto tempo. A mio malincuore è anche da ammettere che vi sono problemi all’interno con soggetti che vedono questo mondo come una possibilità di lavoro e di soldi, e io credo che questi soggetti siano sempre da allontanare o si rischia di far marcire quel che di buono si vuol costruire.

Cosa pensi dovrebbe cambiare il mondo politico per avvicinarsi di più ai cittadini?

La politica dovrebbe esser più vicina al cittadino, non bisognerebbe farla solo nei “palazzi”, ma anche in mezzo alla gente, stando nei mercati, raccogliendo idee segnalazioni per poi propor- re, in parole povere costruendo insieme ai cittadini, perché le idee di tutti possono costruire il domani.

Quali sono i valori fondanti del tuo modo di far politica?

Passione, lealtà, rispetto e azione.

Qual è la prima cosa che cambieresti oggi in Piemonte?

Come credo che risponderebbero tutte le parti politiche: il lavoro, l’ istruzione e la sanità.

Lavoro, perché ci troviamo in una situazione drammatica, probabilmente basterebbe abbassare la tassazione alle imprese sulla mano d’ opera per far ripartire il mercato e far sì che si rinve-

INTERVISTA A DUE GIOVANI POLITICI

Giovani e politica sono due cose diametralmente opposte : questo sembra essere il pen- siero comune. Ma spesso non è così, anzi ci sono molti ragazzi che intraprendono l’atti- vità politica guidati da una vera e propria passione per la “res publica” e la cui massima aspirazione è di rendere migliore il posto in cui vivono. La politica quindi, non è associa- bile esclusivamente a persone corrotte e senza scrupoli, ma può rappresentare un’attivi- tà sana e nobile.

L’intervista doppia a due giovani politici ho pensato fosse uno strumento importante per eliminare stereotipi e pregiudizi che impediscono a molti una valutazione completa e veritiera della realtà politica.

(14)

EXTRA

LO SPICILEGIO

14

sta nuovamente, salvaguardare le imprese, aziende “oneste” sul mercato e cercare di eliminare quelle “disoneste”

Istruzione, perché bisogna riportare le future generazioni, oggi un po’ “smarrite”, verso una corretta partecipazione della dimensione civile e sociale per collaborare positivamente allo sviluppo della società di cui lo stesso cittadino (oggi bambino e adolescente) sarà partecipe fin dalla sua giovane età.

La Sanità, perché se non c’è la salute non vi è vita, nella stessa sono stati commessi molti errori da ambo le parti politiche ma invito a tutti a essere più attenti in questo tema.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Andare avanti politicamente nell’intento di poter dare un contributo atto a cambiare la società che affrontiamo tutti i giorni, so benissimo che non sarà facile, ma voglio provarci e voglio cre- derci.

DANIELE VALLE

Da quanto fai politica?

Faccio politica dai tempi delle scuole superiori, quando mi sono impegnato come rappresen- tante di classe e di istituto. Mi sono iscritto a un partito per la prima volta ai tempi dell’Universi- tà. Nel 2006, ancora studente, sono stato eletto nel consiglio della mia Circoscrizione, la numero 3, San Paolo – Cenisia e nel 2011, al secondo mandato, ne sono diventato il presidente.

Da dove nasce questa passione?

In famiglia nessuno faceva politica ma se ne è sempre discusso molto. Nasce dall’interesse e la curiosità verso il mondo che ti circonda e la sua complessità, dalla voglia di mettersi al servizio per un bene collettivo più grande.

Di preciso di cosa ti occupi quotidianamente?

Il Presidente di Circoscrizione è come il sindaco di un piccolo paese. Riceve tutti i giorni i cit- tadini che hanno un problema, una lamentela, un suggerimento e spesso anche un “grazie” per la pubblica amministrazione. Ci occupiamo di laboratori nelle scuole, manutenzioni del suolo e del verde, promozione dello sport, assistenza e sostegno alla disabilità.

A chi consiglieresti questa esperienza?

A tutti quelli che sono curiosi della complessità del mondo che li circonda, appassionati di pro- blemi complessi e di dinamiche umane, che non si spaventano di un ambiente complicato e dove le gratificazioni non sono immediate. La Politica è una maratona e non una gara di velocità.

Cosa pensi dovrebbe cambiare il mondo politico per avvicinarsi di più ai cittadini?

Parlare un linguaggio più semplice e più di verità, sforzarsi di recuperare un ruolo anche peda- gogico e non far solo da cassa di risonanza dei malesseri della cittadinanza. Ma soprattutto recu- perare la capacità di fare, di essere operativi, di rispondere sul serio alle necessità della gente.

Quali sono i valori fondanti del tuo modo di far politica?

Onestà, sobrietà e solidarietà. La politica è un servizio che si svolge a favore della propria Co- munità e come ogni servizio è da considerarsi solo una parte della propria esistenza e si deve rivolgere con particolare attenzione agli ultimi e a quelli che verranno dopo di noi.

Qual è la prima cosa che cambieresti oggi in Piemonte?

Tra le tante mancanze della nostra regione, la peggiore e la più miope di questi anni è stata il taglio dei fondi per il diritto allo studio. Tutti i meritevoli, indipendentemente dalle loro possibi- lità, devono avere l’occasione di continuare i loro studi.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

ll 25 Maggio* il Piemonte, la nostra regione, ha una grande opportunità davanti a sé. Crescere e guardare al futuro con serenità, puntando sulle sue qualità: l’innovazione, il merito, la solidarietà.

In questi anni abbiamo assistito ad uno spettacolo indecoroso per la nostra Regione, alla com- pleta mancanza di comprensione del presente e all’assenza di una visione. Una visione concre- ta, in grado di rilanciare il Piemonte, attirare capitali e di essere al passo con i tempi, dialogando con l’Europa, senza lasciare nessuno indietro. Una visione che tenga presente le esigenze dei suoi cittadini e li includa in un futuro prospero per giovani e meno giovani. Credo che dopo questa esperienza negativa, occorra indicare nuove mete per il cammino della nostra Regione e che per farlo serva un’assunzione di responsabilità da parte delle giovani generazioni e di coloro che hanno amministrato i territori e i quartieri in questi anni. Per questo mi candido con Sergio Chiamparino, il sindaco che ha trasformato Torino, nella lista del PD, per farmi carico di un’esigenza reale e per garantire il cambio di passo necessario alla nostra Regione.

* Daniele Valle ci ha rilasciato l’intervista a fine aprile di quest’anno. Abbiamo deciso di pubbli- carla a campagna elettorale terminata ( è stato eletto consigliere regionale).

(15)

CULTURA LO SPICILEGIO

15

‘Anche uno schiavo’ - diceva Platone – ‘è in grado di dimostrare il teorema di Pitagora’.

Con questa frase egli intendeva dire una sorta di ‘Non è mai troppo tardi’ che molto spesso sentiamo ripetere ai giorni nostri, quando an- che i ‘super-nonni’ quasi ottantenni frequenta- no corsi di elettronica o di inglese. Ognuno di noi, infatti, secondo le teorie platoniche ha già dentro di sé la conoscenza, la possiede. Il pro- blema è come tirarla fuori. E proprio qui en- trano in gioco le esperienze: solo conoscendo persone, leggendo, informandoci, osservando e studiando saremo in grado di ricordarci di tutte quelle cose ‘sepolte’ dentro di noi fin da quando siamo nati.

Imparare e conoscere il mondo che ci circon- da, dunque, è un po’ come rispolverare dei vecchi libri che sono sempre stati nella no- stra libreria, ma che non abbiamo mai letto. Il messaggio molto attuale di Platone è che, per conoscere davvero il mondo e ciò che lo abita, bisogna condurre attivamente la proprio vita.

Sempre più spesso si sente dire che molti gio- vani, e a volte anche meno giovani, trascorro- no passivamente la loro esistenza con un’igna- via che possiamo definire quasi dantesca.

Ma l’atto di lamentarsi di questa mancanza di volontà da parte degli altri, è esso stesso una mancanza di iniziativa. Lo stesso Platone,

infatti, diceva che gli uomini sono come degli schiavi, incatenati all’interno di una caverna dai loro stessi sensi, che non gli permettono di vedere la realtà. Solo alcuni schiavi riescono a liberarsi da queste catene, uscire dalla caver- na e vedere com’è realmente fatto il mondo.

Compito di questi schiavi, ormai liberi, è pro- prio quello di tornare nella caverna e aiuta- re gli altri schiavi a capire come liberarsi da queste catene per scoprire la vera natura di ciò che li circonda.

L’appello che ognuno di noi deve cogliere dai miti e dalle idee di Platone è, dunque, molo più pratico e moderno di quanto si possa pen- sare: una critica è costruttiva solo se chi la muove dà il buon esempio. La critica diventa pettegolezzo inutile nel momento in cui è fine a se stessa e chi la fa non sa come agire per ovviare al problema.

Perciò è necessario che, non solo i giovani, ma tutti i membri della nostra società capiscano se i loro polsi sono ancora avvolti da queste catene o se la vita e le esperienze li hanno già resi liberi. Ma lo scopo finale non è es- sere liberi, bensì usare la propria libertà e la propria capacità di vedere le cose per come sono realmente, per aiutare gli altri a capirle e a fare le esperienze necessarie per trovare la loro strada.

Nella storia vi è la virtù sconosciuta e la virtù male interpretata. La prima riguarda le migliaia di persone che, nel corso della loro vita, hanno agito obbedendo ai principi di giustizia, onestà, fratellanza, talora compiendo azioni eroiche tali da far impallidire gli illustri personaggi che devotamente ammiriamo. Quale fu la loro colpa per meritarsi di essere dimenticati? Nessuna suppongo. La seconda riguarda invece quelli che hanno agito con le più nobili intenzioni, ma che sfortunatamente, non essendo stati compresi né dai contemporanei né dai posteri, vengono relegati nelle pagine più marginali dei libri di storia. La loro principale colpa fu quella di aver detto la verità, nuda e cruda come deve essere. Malcolm Little fu uno di questi. La ragione per cui è più impressa nelle nostre menti l’immagine di Martin Luther King come portavoce dei di- ritti dei neri americani rispetto a quella di Malcolm X, è la stessa per cui nei libri di storia King viene descritto come la personificazione dello spirito di fratellanza cristiana e del moderato progressismo liberale, mentre X come l’incarnazione del diavolo e dell’estremismo razzista mu-

RICORDIAMOCI DI IMPARARE!

LA VIRTU' NASCOSTA DI MALCOLM LITTLE

ELEONORA SUSANNA

YANNICK DEZA

(16)

CULTURA

LO SPICILEGIO

16

sulmano. Sotto un’apparente brevità e concisione, questi libri di testo nascondono un giudizio di valore. Malcolm X si ridurrebbe a un fana- tico sostenitore della superiorità nera e intrepido istigatore all’azione violenta, con l’unica ambizione di separare definitivamente la razza nera dalla razza bianca. È davvero così? Naturalmente no. Ma ora non voglio dilungarmi in una lunga e noiosa apologia che richiederebbe pagine e pagine di argomentazioni che, per vostra fortuna, non ho intenzione di intraprendere. Vorrei tuttavia soffermarmi su una parola che troppo spesso veniva (e viene tutt’oggi) abusata ogni volta che il discorso cade sul problema delle minoranze etniche: integrazione.

Questa parola, apparentemente innocua, faceva venire la pelle d’oca a Malcolm X, e questo è uno dei motivi per cui egli veniva bollato come estremista. Perché tanto odio verso una parola che, come molti predicatori neri del tempo credevano, rappresentava forse la chiave per una maggiore giustizia sociale e parità di diritti per i neri? Perché integrarsi non doveva essere l’obiettivo dei neri americani. Essi si erano fin troppo integrati! Da quando furono sradicati dalla loro terra e dalla loro cultura, la loro vita era stata caratterizzata da un continuo assorbimento della cultura e dei modi di vivere dei bianchi americani. Essi non avevano un’identità, se non quella che li era stata imposta dai padroni, e di conseguenza, era un’identità mutilata, derisa, schernita, vilipesa. La loro sofferenza non derivava esclusivamente dal fatto che venivano linciati, maltrattati e sfruttati dai bian- chi. Il vero dramma consisteva nel credere alle parole del bianco quando diceva loro che erano una sottospecie di uomini, che lui, il bravo e clemente uomo bianco li aveva salvati dalla giungla e li aveva portati nella civiltà. Il negroamericano medio passava tutta la vita nell’aspirazione di essere un bianco, di smettere di essere un negro, perché alla figura del negro (e dunque alla sua figura) associava l’im- magine stereotipata del rozzo, stupido, sub-umano criminale. Non appena faceva un avanzamento di carriera, immediatamente cercava di sistemarsi fuori dai ghetti, in un quartiere bianco, e disprezzava i suoi simili quando si trovava in compagnia dei bianchi. Egli non odiava il bianco, lo adulava. Cercava di vestirsi come i bianchi, di mangiare come i bianchi, di farsi i capelli come i bianchi, e soprattutto, adorava le donne bianche, perché rappresentavano l’angelica perfezione in confronto alle brutte e diaboliche donne nere. Tutto questo Malcolm X l’ha vissuto perché anche lui fu un negro medio. Solo quando andò in prigione, e grazie alla religione dell’Islam cominciò a farsi un istruzione, riconobbe che i neri americani subivano un indottrinamento mentale da più di 400 anni. Per cui, egli diceva, un’integrazione razziale a che cosa porterebbe? Magari a qualche posto di lavoro in più, a dei quar- tieri misti, a un paio di studenti nelle scuole per bianchi. E dopo? Sempre l’uomo bianco considererà il nero inferiore, e sempre il nero considererà se stesso inferiore! L’integrazione era un po’ come per- mettere ai cani di entrare nei negozi o di gironzolare per casa. Con quale risultato? Che mentre la gran parte dei bianchi si lamenterebbe, l’altra parte accetterebbe la cosa, ma con spirito bonario e clemen- te, con l’andazzo di chi dice “Massi dai poverini, sono pur sempre animali”. Degli uomini superiori che lanciano delle briciole a degli esseri inferiori, che si tappano il naso vicino a loro ma che vedono il loro gesto come un atto di carità: questa era l’integrazione, e per questo Malcolm X vi si oppose ar- dentemente. Che dire? Questo predicatore musulmano ci insegna che prima di qualsiasi integrazione, ci deve essere autoaffermazione. Non si può costruire una società di eguali se chi ha una posizione di privilegio concede a chi sta in basso una piccola fetta di torta. I neri dovevano recuperare la propria identità, non quel crogiuolo di stereotipi ereditato dai bianchi. Essi dovevano riappropriarsi della pro- pria cultura, e di conseguenza, affrontare la società americana come uomini eretti, senza complessi di inferiorità di alcun tipo. Questo vale anche oggi. Senza dubbio, i bianchi mantengono sempre un certo senso di superiorità nei confronti di tutte le altre “razze”. Cosa fare? Direi che se tutti cominciassimo a guardare le altre culture con ugual rispetto, riusciremmo anche a guardare tutti gli uomini con ugual rispetto. Da lì, l’integrazione è a un passo. La vera integrazione. Quella che costituirà la repubblica mondiale degli uomini eguali. Grazie Malcolm X, meriteresti più pagine nei libri di storia: la tua virtù non sarà male interpretata ancora tanto a lungo.

(17)

CULTURA LO SPICILEGIO

17

Che sia per la digitalizzazione dell’informa- zione, per il successo delle formule a 140 ca- ratteri, o piuttosto per l’esplosione della mul- timedialità in tutti i suoi ambiti, sembra che sia tristemente giunto il tramonto del ruolo cultu- rale e civilizzante del giornale, caratteristica tipica del secolo precedente e frutto di un’e- redità illuministica squisitamente italiana. Che possa essere traumatico riesumare le spoglie dell’ormai defunto Caffè con le celebri firme dei fratelli Verri e di un Cesare Beccaria, dove il dibattito mirato alla diffusione dei lumi e al miglioramento della società si univa a un’indi- scutibile qualità letteraria, è probabile. Certo è che sarebbe salutare: una potente medicina contro l’inerzia intellettuale dei fasti digitali dell’era moderna. Brevi formule, ashtag e con- divisioni lampo non riescono a unire il pregio di un’informazione libera e universale all’ap- profondimento dei temi trattati, sminuendo le formule espressive giornalistiche in superfi- ciali slogan mediatici, più che testi compiuti e analisi approfondite, estensione dell’opera pubblicitaria che trasforma la cultura, come un qualcosa sempre più di élite e sempre più ob- bediente alle regole del marketing. Ciò di cui sento la mancanza –completamente infondata vista la mia più che tenera età- è che i temi di attualità non vengano più sviluppati in ma- niera compiuta e arricchiti con il proprio del- lo scrittore, che, per quanto potesse proporre una visione parziale, almeno forniva il terreno fertile per un acceso dibattito. La necessità di un clima culturale vivace è ancora più forte in quanto oggi l’alto livello di alfabetizzazione elimina il principale ostacolo alla democra- tizzazione della cultura, che potrebbe fiorire come conseguenza dell’abbondante svilup- po del capitale umano. Tuttavia, i vantaggi di un’alta velocità e della diffusione esponen- ziale delle informazioni deve per forza fare i conti con gli svantaggi di una loro più scarsa qualità di contenuto. Quantità e qualità, la di- cotomia che rappresenta il dramma del nostro

tempo. E l’ago della bilancia sembra preferire il primo estremo. Ed è per questo che anche uomini di alto calibro culturale si fanno ormai trascinare dalla corrente dei più, appena in tempo per affermare orgogliosamente “Video bono proboque, mala sequor”: l’ultima cita- zione dotta. Presto il colore sbiadito delle pa- gine di un manoscritto antico verrà rimpiazza- to da un carosello di menu interattivi, il verso opaco del poeta lirico dalla nitidezza dell’im- magine di uno schermo retro-illuminato.

LA CRISI

DELLA CULTURA

DIGITALIZZIAMOCI

YANNICK DEZA

(18)

CULTURA

LO SPICILEGIO

18

Il nostro calendario chiamato “gregoriano” è una riforma del calendario giuliano istituito da Giulio Cesare nel 46 a.C che deriva a sua volta dagli antichi calendari romani

Alcuni mesi dell’anno traggono il loro nome da divinità e personaggi romani: Gennaio (Giano, protettore degli inizi e dei passag- gi), Marzo (Marte), Aprile (Afrodite), Maggio (Maia), Giugno(Giunone), Luglio (Giulio Ce- sare, in latino “Iulius Caesar”), Agosto (Augu- sto). Febbraio” invece deriva dal latino: “men- ses febrarium”(mese della purificazione) A molti animali sono attribuite caratteristiche che con loro c’entrano poco o nulla: la volpe per esempio è ritenuta furba solo perchè se- condo la zoofisognomica (che si basa sulla presunta correlazione fra caratteristiche fisi- che e psicologiche delle persone e degli ani- mali in generale), molto popolare tra gli an- tichi Greci, il muso lungo è indice di grande scaltrezza.

Solo l’1% dei rifiuti svedesi termina in discari- ca ( a fronte di una media europea del 38%), il 36 % viene riciclato, il 14% compostato men- tre il 29% finisce negli inceneritori in modo da ricavarne energia. La Svezia ha un così effi- ciente metodo di gestione dei rifiuti da essere costretta a importare spazzatura (800.000 ton- nellate), prevalentemente dalla Norvegia, per soddisfare la propria politica energetica.

Alcune aziende e organizzazioni criminali de- gli Stati occidentali per sbarazzarsi del mate- riale tecnologico obsoleto o non funzionante hanno trovato una formula che non fa loro molto onore. Questi infatti, inviano sottofor- ma di donazione una enorme quantità di pro- dotti tecnologici (per il 70% inutilizzabile se non addirittura nocivo) ad alcuni Stati africani che in questo modo firmano la loro condanna.

Le discariche impegnate a smaltire tali rifiuti sono talvolta grandi come vere e proprie cit- tà (come quelle delle periferie di Nairobi e Accra). Altre volte invece, lasciano vengono lasciate in prossimità delle spiagge africane navi colme di rifiuti tossici.

Nell’inchiesta Luxleaks è emerso che circa 340 multinazionali hanno stipulato accordi se- greti con il Lussemburgo per evadere le tasse.

Aung Naing, un giornalista birmano che ha in- contrato in diverse occasioni Aung San Suu Kyi (premio Nobel per la pace ), si è recato al confine tra Birmania e Thailandia per do- cumentare gli scontri che avvenivano. È stato arrestato con l’accusa di lavorare per i ribelli e dopo aver cercato inutilmente la fuga è stato ucciso.

Se un immigrato chiede asilo politico in uno Stato poi non può più lasciarlo. Così ad esem- pio se, scappando dal suo Paese, giunge in Italia, chiedendovi asilo politico, non potrà più cercare fortuna in un altro Stato nè raggiun- gere eventualmente i suoi familiari risiedenti in un altra nazione. Molti sono quindi gli im- migrati che per evitare questo ostacolo deci- dono di tentare illegalmente la fuga spesso bruciandosi i polpastrelli per non venire iden- tificati tramite le loro impronte digitali.

Il “World Economic Forum”(WEF) ha stilato la classifica sulla parità di genere relativa a 142 Paesi. L’Italia è migliorata rispetto all’anno scorso: è al 69° posto. Le posizioni guadagna- te, solo due, hanno una valenza tutt’altro che soddisfacente.

Il dittatore nord-coreano Kim Jong Un ha ordi- nato numerose condanne a morte per motivi ideologici (per esempio possedere una Bib- bia o aver visto film stranieri sono reati ideo- logici). All’esecuzione sono obbligati ad assi- stere anche i civili, tra cui donne e bambini, in modo da scoraggiarli a ripetere lo stesso atto.

In Messico si è svolta una manifestazione mol- to partecipata per protestare contro la scom- parsa di 43 studenti. Il sindaco di Iguala è sta- to catturato con la moglie a Cittá del Messico.

Entrambi, latitanti dal 26 settembre, sono ac- cusati di aver collaborato con agenti e sicari di una banda di narcos per far sparire quei ra- gazzi che protestavano contro le autorità locali per i propri diritti.

LO SAPEVI CHE...

Riferimenti

Documenti correlati

Il disegno della nuova corona intende ripristinare un corretto equilibrio fra gli elementi costitutivi: la forma, la posizione e la prospettiva delle torri;

[r]

BANDO PER LA FORMAZIONE DELLE GRADUATORIE DEI FORNITORI DI SERVIZI DI MEDIA AUDIOVISIVI (FSMA) IN AMBITO LOCALE A CUI ASSEGNARE LA CAPACITÀ TRASMISSIVA DELLE RETI DI 1° E DI 2°

TELEGIORNALE DI

SICILIA

TELEGIORNALE DI

Ravviva e illumina i capelli biondo chiarissimo colorati e naturali. f.to:

Come interpretarle…... Tracciato ossigeno al camino e all’uscita della pompa durante la misura del contenuto di acqua negli effluenti.. Schema delle subaree esplorate in cui